A.R.P.A.T.

Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana

 

http://www.arpat.toscana.it/

Settore tecnico C.E.D.I.F.

Comunicazione Educazione Documentazione Informazione Formazione

 

 

 

 

 

 

"Profili di rischio per comparto produttivo"

 

CONFEZIONE DI CAPI DI ABBIGLIAMENTO

 

Nell'area di Firenze e Pistoia.

 

 

 

 

 

Responsabile del procedimento la ricerca: Stefano Beccastrini.

Autori: Giuseppe Banchi, Claudio Nobler, Danila Scala.

Con la collaborazione di: Aldo Fedi, Massimo Ancillotti, Maria Teresa Mechi, Antonio Limberti.

 

 

 


Ricerca finanziata da:

ISPESL

Istituto Superiore Prevenzione E Sicurezza del Lavoro

 

 

 

Ultimo aggiornamento: gennaio 2002

 


1.     - GENERALITÀ SUL COMPARTO

 

Nella presente ricerca si prende in esame il comparto di produzione delle confezioni di vestiario esterno, che fa parte della filiera tessile - abbigliamento scomposto dagli operatori del settore nelle seguenti  produzioni: filatura, pettinatura, tessitura, vestiario esterno uomo, vestiario esterno donna, maglieria esterno donna, maglieria esterno uomo, confezioni in pelle, abiti da sposa, camiceria uomo, abbigliamento neonato, costumi da bagno, intimo uomo, calze donna , calze uomo, cravatte, scialli, sciarpe, foulard, bottoni, biancheria casa, tessuti a maglia.

 

La presente indagine si riferisce alle attività identificate dal codice ISTAT-ATECO ’91 per la classificazione delle attività economiche: 18.22.1 – Confezione di vestiario esterno”. Questo comparto fa parte del settore produttivo della “Confezione di articoli di vestiario; preparazione e tintura pellicce” (codice 18).

 

Tabella 1 – Classificazione ISTAT-ATECO ’91 del settore produttivo

Confezione di articoli di vestiario; preparazione e tintura pellicce” (codice 18).

Codice attività

ISTAT–aTECO ’91

Denominazione attività

18.1

- Confezione di vestiario in pelle.

18.2

- Confezione di altri articoli di vestiario e accessori.

       18.21

- Confezione di indumenti da lavoro.

       18.22

- Confezione di altri indumenti esterni.

                 18.22.1

        - Confezione di vestiario esterno.

                 18.22.2

        - Confezione su misura di vestiario.

       18.23

- Confezione di biancheria personale.

       18.24

- Confezione di altri articoli di vestiario e accessori.

                 18.24.1

        - Confezione di cappelli.

                 18.24.2

        - Confezioni varie e accessori per l’abbigliamento.

                 18.24.3

        - Confezione di abbigliamento o indumenti particolari.

                 18.24.4

        - Altre attività collegate all’industria dell’abbigliamento.

18.3

- Preparazione e tintura pellicce; confezione di articoli in pelliccia.

 


Da una ricerca effettuata sui dati delle C.C.I.A.A. (Unioncamere), si sono ottenuti i seguenti risultati:

 

Tabella 2 - Numero di unità locali in Toscana, anno 1999.

Settore produttivo: Confezione di articoli di vestiario; preparazione e tintura pellicce.

(codice ISTAT-ATECO ’91: 18).

Codice

attività

Descrizione attività

totale Unità locali

Regione

Toscana

Numero unità locali suddivise per provincia

AR

FI

GR

LI

LU

MS

PI

PO

PT

SI

18000

Confezione di articoli di vestiario; preparazione e tintura pellicce.

547

51

267

9

11

32

3

31

99

34

10

18100

Confezione di vestiario in pelle.

751

62

505

12

12

17

2

45

45

36

15

18200

Confezione di altri articoli di vestiario e accessori.

386

16

144

7

4

8

4

5

164

26

8

18210

Confezione di indumenti da lavoro.

31

1

17

2

2

1

1

3

1

1

2

18220

Confezione di altri indumenti esterni.

106

9

18

4

1

1

3

12

48

8

2

18221

Confezione di vestiario esterno.

3185

404

935

52

29

90

34

141

1182

270

48

18222

Confezione su misura di vestiario.

599

55

179

46

34

60

23

74

35

43

50

18230

Confezione di biancheria personale.

288

36

102

8

9

3

2

21

14

86

7

18240

Confezione di altri articoli di vestiario e accessori.

100

6

53

5

1

8

2

1

11

6

7

18241

Confezione di cappelli.

140

12

75

4

1

19

 

 

14

11

4

18242

Confezioni varie e accessori per l’abbigliamento.

485

19

303

4

16

11

9

29

58

25

11

18243

Confezione di abbigliamento o indumenti particolari.

240

12

130

7

10

7

10

17

15

24

8

18244

 Altre attività collegate all’industria dell’abbigliamento.

625

82

141

3

3

12

4

33

194

149

4

18300

Preparazione e tintura pellicce; confezione di articoli in pelliccia.

715

39

480

13

17

12

5

46

50

34

19

Fonte: elaborazione a cura di A.R.P.A.T. – settore tecnico S.I.R.A. su dati delle Camere di Commercio (Unioncamere).

 


 

Tabella  3 - Numero di addetti in Toscana, anno 1999.

Settore produttivo: Confezione di articoli di vestiario; preparazione e tintura pellicce.

(codice ISTAT-ATECO ’91: 18).

Codice

attività

 

Descrizione attività

Totale

addetti

Regione

Toscana

Numero addetti suddivisi per provincia

AR

FI

GR

LI

LU

MS

PI

PO

PT

SI

18000

Confezione di articoli di vestiario; preparazione e tintura pellicce.

1830

275

1068

22

5

44

15

148

136

65

52

18100

Confezione di vestiario in pelle.

1894

230

1231

21

19

43

1

207

43

45

54

18200

Confezione di altri articoli di vestiario e accessori.

449

34

215

19

3

31

8

32

22

74

11

18210

Confezione di indumenti da lavoro.

104

0

82

2

3

1

1

11

1

1

2

18220

Confezione di altri indumenti esterni.

183

46

9

1

0

5

45

42

10

25

0

18221

Confezione di vestiario esterno.

17434

5345

5821

820

59

872

460

884

1322

1261

590

18222

Confezione su misura di vestiario.

953

151

272

70

48

113

39

154

19

34

53

18230

Confezione di biancheria personale.

1503

276

662

42

44

56

12

95

19

259

38

18240

Confezione di altri articoli di vestiario e accessori.

310

19

130

14

23

43

3

0

21

34

23

18241

Confezione di cappelli.

842

40

487

26

0

167

 

 

55

64

3

18242

Confezioni varie e accessori per l’abbigliamento.

1002

43

649

2

22

39

27

40

103

45

32

18243

Confezione di abbigliamento o indumenti particolari.

1169

112

373

5

10

28

127

170

152

177

15

18244

 Altre attività collegate all’industria dell’abbigliamento.

1953

454

381

3

3

53

1

83

463

508

4

18300

Preparazione e tintura pellicce; confezione di articoli in pelliccia.

1629

112

1117

19

28

9

14

122

136

42

30

Fonte: elaborazione a cura di A.R.P.A.T. – settore tecnico S.I.R.A. su dati delle Camere di Commercio (Unioncamere).

 

Le aree di riferimento per la presente ricerca sono quella fiorentina e pistoiese.

 

Il comparto produttivo dell’abbigliamento in Toscana, come altrove, ha subito un'importante evoluzione organizzativa costituita dalla spostamento della maggior parte delle produzioni in serie dei capi in industrie extra nazionali (romene, ecc...). Questo ha portato alla scomparsa di grosse aziende (ad esempio la Lebole Moda che ha occupato oltre 3.000 dipendenti) e al ridimensionamento di altre, che svolgono attualmente le funzioni commerciali, quelle di progettazione dei modelli e realizzazione dei campioni, ed infine quelle di controllo dei capi acquisiti all'estero, di immagazzinamento e distribuzione.

Si tratta di un fenomeno legato in parte alla frammentazione del processo produttivo all’interno della globalizzazione dell’economia, che interessa molti paesi industrializzati ed è particolarmente evidente nell’industria del tessile e della moda e dei prodotti per lo sport. Ricordiamo che contro gli effetti sociali negativi di tale fenomeno è nata la campagna internazionale Clean clothes che mobilità gli stessi consumatori a fare pressione sulle compagnie che attuano comportamenti lesivi del diritto internazionale nel quadro delle condizioni lavorative (salario minimo, orario di lavoro, lavoro minorile, ecc...). Inoltre l’industria manifatturiera toscana e soprattutto il sistema moda presenta un elevato decentramento produttivo. La possibilità di ricorrere a subfornitori esterni consente alle imprese di adeguarsi tempestivamente alle mutevoli condizioni della domanda e di evitare una crescita dimensionale che, proprio a causa dell’elasticità della domanda stessa, potrebbe rivelarsi una scelta poco conveniente.

In alcune aree produttive italiane una parte di produzione può essere svolta conto terzi dove si svolge una sola fase lavorativa (ad esempio il cucito).

Per quanto riguarda la forza lavoro del comparto essa rimane fortemente femminilizzata, con uno spostamento dalle professioni operaie a quelle impiegatizie, relative alla progettazione e gestione delle collezioni.

Da un punto di vista della igiene e sicurezza del lavoro, il processo produttivo del comparto non ha visto grossi cambiamenti tecnologici, fatta eccezione per l'informatizzazione ed automazione di alcune fasi come la progettazione, la stampa dei modelli, il taglio (fino agli anni ’80 l’informatizzazione aveva riguardato il lavoro degli impiegati negli uffici commerciali, la contabilità, ecc…).

È da notare che, nelle aziende che hanno appaltato la produzione in serie a ditte esterne, si è avuta una sensibile riduzione dei ritmi e della monotonia del lavoro per i lavoratori delle fasi centrali del ciclo produttivo (taglio, cucito, stiro); infatti, agli addetti a queste lavorazioni è affidata solo la produzione dei campioni da inviare alle ditte appaltatrici; i campioni sono, naturalmente, un numero limitato di capi che devono essere realizzati perfettamente, pertanto i ritmi di lavoro non sono pressanti a vantaggio della qualità del prodotto. La lavorazione inoltre assume un andamento stagionale, con possibili interruzioni e/o cambi di mansione.

I problemi che ancora restano irrisolti sono relativi a stazioni di lavoro non ergonomiche e a sistemi di produzione che richiedono alta ripetitività delle azioni ed elevata precisione. Questi elementi pongono i lavoratori a rischio di disturbi da stress e muscoloscheletrici.

Per quanto riguarda infortuni e malattie professionali riportiamo i dati ufficiali INAIL, segnalando che sono riferiti non allo specifico comparto in esame ma più estesamente al confezionamento in tessuti, pelli e similari, non essendo stato possibile ottenere dati differenziati.

 

Tabella 4 - Infortuni denunciati e indennizzati all'INAIL nel periodo 1995-1999.

Confezionamento con tessuti, pelli e similari

INFORTUNI – Regione Toscana

ANNO

DENUNCIATI

INDENNIZZATI

TOTALE

INDENNIZZATI

TIPO CONSEGUENZA

TEMPORANEA

PERMANENTE

MORTE

1995

865

719

22

3

744

1996

807

667

24

1

692

1997

793

659

25

0

684

1998

790

631

29

0

660

1999

681

576

16

0

592

Totale 1995-1999

3.936

3.252

116

4

3.372

INFORTUNI – Italia

ANNO

DENUNCIATI

INDENNIZZATI

TOTALE

INDENNIZZATI

TIPO CONSEGUENZA

TEMPORANEA

PERMANENTE

MORTE

1995

7.112

6.014

152

10

6.176

1996

6.829

5.616

172

7

5.795

1997

6.260

5.136

153

5

5.294

1998

6.271

5.100

174

6

5.280

1999

5.631

4.649

116

4

4.769

Totale 1995-1999

32.103

26.515

767

32

27.314

Fonte: INAIL


Tabella 5 - Malattie professionali denunciate e indennizzate all'INAIL nel periodo 1995-1999.

Confezionamento con tessuti, pelli e similari

 

MALATTIE PROFESSIONALI – Regione Toscana

ANNO

TIPO DI

MALATTIA PROFESSIONALE

MALATTIE

DENUNCIATE

MALATTIE INDENNIZZATE

 

TIPO DI CONSEGUENZA

TOTALE indennizzate

 

Temporanea

Permanente

 

Codice

Descrizione

 

 

1995

39

Aldeidi e derivati

1

0

0

0

 

42

Malattie cutanee da detersivi

1

1

0

1

 

50

Ipoacusia

1

0

0

0

 

99

Non tabellate

17

1

0

1

 

Totale 1995

20

2

0

2

 

1996

39

Aldeidi e derivati

1

0

0

0

 

99

Non tabellate

23

0

0

0

 

Totale 1996

24

0

0

0

 

1997

42

Malattie cutanee da resine, oligomeri, elastomeri, gomma arabica, caprolattame

1

1

0

1

 

42

Malattie cutanee da oli di lino, trementina, lacche, vernici, smalti, pitture.

1

0

0

0

 

42

Malattie cutanee da alcali caustici, cloruro di sodio, persolfato di ammonio.

1

0

0

0

 

48

Bissinosi e pneumopatie da fibre tessili vegetali ed animali

1

0

0

0

 

50

Ipoacusia

1

0

0

0

 

99

Non tabellate

18

0

1

1

 

Totale 1997

23

1

1

2

 

1998

9

Nichel, leghe e composti inorganici

1

0

0

0

 

34

Ammine aromatiche e loro derivati

1

1

0

1

 

42

Malattie cutanee da catrame, bitume, pece, fuliggine

1

0

0

0

 

50

Ipoacusia

1

0

0

0

 

99

Non tabellate

15

2

0

2

 

Totale 1998

19

3

0

3

 

1999

5

Cromo, leghe, composti del cromo trivalente

1

0

1

1

 

34

Ammine aromatiche e loro derivati

2

2

0

2

 

50

Ipoacusia

1

0

0

0

 

99

Non tabellate

28

2

0

2

 

Totale 1999

32

4

1

5

 

TOTALE 1995-1999

118

10

2

12

Fonte: INAIL

 

 


All’interno del settore tessile – abbigliamento, il comparto delle confezioni in tessuto è stato riconosciuto nel corso degli anni come a basso rischio infortunistico. I dati attuali e quelli di indagini pluriennali condotte negli anni 60-80 nel nostro territorio presentano casistiche di media e lieve entità, con discreta prevalenza di infortuni “in itinere”. Frequenti sono gli infortuni relativi a urti contro e da parte di oggetti e le cadute. Relativamente alle macchine, laddove non è presente il confezionamento in serie, gli infortuni al taglio e allo stiro prevalgono su quelli al cucito.

Per quanto attiene le patologie da lavoro presenti nel settore, gli “Atti della ricerca sui rischi, patologia e prevenzione nell’industria dell’abbigliamento” oggetto di un convegno nazionale promosso dall’Istituto Italiano di Medicina Sociale ad Arezzo il 7 giugno 1986, riportavano: il dolore di schiena, la pesantezza ed i formicolii agli arti inferiori rappresentano generalmente la causa di disagio lamentato dalle lavoratrici dell’industria dell’abbigliamento. I sopralluoghi effettuati nei posti di lavoro hanno messo in luce un errato rapporto ergonomico nella postura statica e dinamica tra operatrice e macchina o banco di lavoro.

 

Possiamo dire che ad oggi la progettazione ergonomica del posto di lavoro non è stata risolta e che alcune delle soluzioni individuate in quella ricerca (e pubblicate anche in materiali successivi – v. E.B.E.R., ecc…), non sono divenute patrimonio delle aziende presenti in altre aree e/o nate in anni successivi. Ne consegue un impegno posturale spesso inadeguato a carico dei vari distretti muscolo-tendinei nelle posizioni di lavoro sedute e in piedi, con rischio di insorgenza di disturbi.

 

Negli anni ’70 e ’80 si sono avute in Toscana e altrove, manifestazioni acute e diffuse di disturbi irritativi a carico della faringe, laringe, congiuntive e della cute degli arti superiori. Tali disturbi furono attribuiti alla formaldeide presente in elevata quantità non tanto nell’ambiente di lavoro quanto nei tessuti e nelle fodere, sia come formaldeide totale, sia come formaldeide libera, sia soprattutto come formaldeide sotto flusso di vapore, importante per i posti di lavoro al reparto stiro dove risultava maggiore l’incidenza delle patologie.

Fra questi disturbi, quelli a carico dell’orofaringe si sono cronicizzati in maggior misura lasciando un danno permanente alle corde vocali (diverse centinaia furono in quegli anni le malattie professionali riconosciute dall’INAIL fra questi lavoratori).

Le misure preventive efficacemente adottate e tuttora valide furono quelle di certificare e controllare i tessuti in ingresso all’azienda rispetto alla presenza di sostanze nocive provenienti dai trattamenti precedentemente eseguiti sui tessuti.

 

Per quanto riguarda la produzione di rifiuti riportiamo nella tabella seguente i dati ricavati dalla elaborazione delle denunce M.U.D. (Modello Unico di Dichiarazione).

Nella prima colonna della tabella è riportato il codice PCER2 che indica la classe delle prime due cifre del codice del rifiuto secondo la codifica europea (Codifica Europea dei Rifiuti, che utilizza codici di 6 cifre per identificare i diversi tipi di rifiuti), e la P, ove presente, specifica che si tratta di un rifiuto pericoloso (ad una stessa classe possono appartenere codici di rifiuti pericolosi e codici di rifiuti non pericolosi). Al codice di due cifre (PCER2) corrisponde, come legenda, il campo descrizione tipo di rifiuto. I quantitativi sono tutti espressi in tonnellate.

 

 


Tabella 6 - Dati statistici sui rifiuti prodotti

Comparto: confezione di vestiario esterno, codice di attività: 18221, Regione Toscana, anno 1999.

PCER2

Descrizione

TIPO DI RIFIUTI

Totale rifiuti prodotti

AR

FI

GR

LI

LU

MS

PI

PO

PT

SI

04

Rifiuti della produzione conciaria e tessile

256,422

136,604

60,316

 

 

 

 

 

19,917

25,233

14,352

06

Rifiuti da processi chimici inorganici

0,466

0,466

 

 

 

 

 

 

 

 

 

08

Rifiuti da produzione, formulazione, fornitura ed uso (pffu) di rivestimenti (pitture, vernici e smalti vetrati), sigillanti e inchiostri per stampa

2,179

2,176

 

0,003

 

 

 

 

 

 

 

10

Rifiuti inorganici provenienti da processi termici

2,05

 

2,05

 

 

 

 

 

 

 

 

11_P

Rifiuti inorganici contenenti metalli provenienti dal trattamento e ricopertura di metalli; idrometallurgia non ferrosa

37,82

37,82

 

 

 

 

 

 

 

 

 

12

Rifiuti di lavorazione e di trattamento superficiale di metalli e plastica

0,382

 

 

0,382

 

 

 

 

 

 

 

13_P

Oli esauriti (tranne gli oli commestibili 05 00 00 e 12 00 00)

0,132

 

0,06

0,072

 

 

 

 

 

 

 

14_P

Rifiuti di sostanze organiche utilizzate come solventi (tranne 07 00 00 e 08 00 00)

0,071

 

 

0,071

 

 

 

 

 

 

 

15

Imballaggi, assorbenti; stracci, materiali filtranti e indumenti protettivi (non specificati altrimenti)

1136,22

71,242

562,30

16,19

 

 

 

393,2

38,68

43,96

10,65

16

Rifiuti non specificati altrimenti nel catalogo

1,4636

1,0536

0,41

 

 

 

 

 

 

 

 

16_P

Rifiuti non specificati altrimenti nel catalogo

0,537

0,5

 

0,037

 

 

 

 

 

 

 

17

Rifiuti di costruzioni e demolizioni (compresa la costruzione di strade)

293,537

25,38

262,26

5,9

 

 

 

 

 

 

 

19

Rifiuti da impianti di trattamento rifiuti, impianti di trattamento acque reflue fuori sito e industrie dell'acqua

1,846

 

1,846

 

 

 

 

 

 

 

 

20

Rifiuti solidi urbani ed assimilabili da commercio, industria ed istituzioni inclusi i rifiuti della raccolta differenziata

229,905

187,375

17,509

7

 

3,84

 

 

 

11,701

2,48

Fonte: elaborazione dalle denunce M.U.D. (Modulo Unico di Dichiarazione),

Catasto Regionale dei Rifiuti (A.R.P.A.T. - Sezione Regionale del Catasto Rifiuti)

 

 


2. - DESCRIZIONE GENERALE DEL CICLO DI LAVORAZIONE

 

Il ciclo lavorativo delle aziende del comparto può essere così sintetizzato:

 

·        CONTROLLO E PREPARAZIONE TESSUTO

Si prepara il tessuto per essere successivamente lavorato, controllandone la qualità e sottoponendolo a trattamenti preliminari quali il vaporizzo e il decatizzo.

 

·        PROGETTAZIONE E PREPARAZIONE MODELLI

Il modello è un foglio di carta sagomata che riproduce le varie parti che compongono il capo di abbigliamento e che è utilizzato al reparto taglio. Gli stilisti di moda progettano il capo di abbigliamento eseguendo disegni e sviluppando il progetto fino alla realizzazione del modello.

Tradizionalmente, per la riproduzione dei disegni su fogli di carta, erano utilizzate macchine per eliografia in un apposito reparto, ma in molte aziende del comparto esse sono state sostituite con plotter elettronici, i quali sono collegati a Personal Computer dotati di appositi software utilizzati per la progettazione dei capi di abbigliamento.

 

·        TAGLIO

Si taglia il tessuto nelle forme necessarie per confezionare il capo di abbigliamento secondo il modello.

 

·        CONFEZIONE - CUCITO

La confezione dei capi di abbigliamento avviene lungo linee di lavorazione che possono comprendere:

-         impuntura;

-         imbastitura;

-         imbottitura;

-         cucitura a macchina dei vari particolari;

-         incollaggio a caldo di rinforzi;

-         applicazione di termoaderenti decorativi;

-         attaccatura dei bottoni;

-         etichettatura.

 

·        STIRO

Una volta realizzato il capo di abbigliamento viene sottoposto alla stiratura finale per completare la finitura del prodotto prima di essere inviato al magazzino dei prodotti finiti.

Talvolta la stiratura si rende necessaria anche nelle fasi intermedie della lavorazione.

 

·        MAGAZZINO, CONTROLLO E SPEDIZIONE CAPI FINITI

Viene effettuato il controllo finale di qualità dei prodotti, l’imbustamento, l’immagazzinamento e la spedizione ai clienti.

 

Inoltre possono essere eseguite operazioni trasversali a più fasi lavorative come ad esempio:

-         MOVIMENTAZIONE MECCANICA DEI CARICHI

-         PRODUZIONE DI VAPORE (CONDUZIONE CENTRALE TERMICA)

-         PRODUZIONE DI ARIA COMPRESSA (CONDUZIONE COMPRESSORI D’ARIA)

-         MANUTENZIONE DELLE ATTREZZATURE E MACCHINE.

 


Nella figura seguente si riporta uno schema a blocchi di massima del ciclo lavorativo.

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3.

 

ANALISI DEI RISCHI E DELLE SOLUZIONI

 


STOCCAGGIO, CONTROLLO E PREPARAZIONE TESSUTO

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

Il tessuto che arriva alle aziende del comparto, proviene dalle industrie tessili fornitrici sotto forma di bobine (tessuto arrotolato intorno ad un’anima tubolare di cartone), spesso chiamate semplicemente pezze.

Un campione del tessuto in arrivo viene sottoposto ad un primo controllo per accertare che non abbia difetti e che le caratteristiche merceologiche dichiarate dal fornitore siano quelle richieste. I tessuti che risultano essere stati trattati chimicamente vengono sottoposti ad analisi chimica allo scopo di accertare la tipologia e quantità di sostanze chimiche che sono rimaste inglobate nel tessuto e che potrebbero liberarsi durante la lavorazione. Se i risultati dei controlli e delle analisi indicano che il tessuto è conforme allo standard di qualità richiesto, esso viene accettato, in caso contrario viene rigettato, oppure, se si ritiene che sia possibile ridurre il tenore di inquinanti presenti nel tessuto al di sotto della soglia di inaccettabilità, esso viene sottoposto a vaporizzo e quindi di nuovo analizzato; a questo punto, se le sue caratteristiche sono divenute conformi a quelle richieste, il tessuto viene accettato e inviato al magazzino tessuti, altrimenti viene definitivamente rigettato.

Dal magazzino tessuti, le bobine vengono portate al controllo con lo specchio e quindi ai trattamenti preliminari quali il vaporizzo e il decatizzo. Queste operazioni richiedono la movimentazione delle bobine, lo svolgimento del tessuto, la movimentazione da una macchina all’altra dei carrelli contenenti il tessuto in lavorazione.

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

 

Nel reparto “premagazzino – controllo tessuto” possono essere presenti varie macchine, tra le quali:

 

Macchine per controllo tessuto (tribunale o specchio)

Sono utilizzate per verificare visivamente se il tessuto rispecchia o meno le caratteristiche qualitative del campionario. La macchina è essenzialmente costituita da un sistema meccanico alimentato elettricamente, che permette di svolgere il tessuto dal rullo sul quale è arrotolato e di farlo passare su un piano inclinato (chiamato specchio). In piedi di fronte alla macchina staziona l’operatore che effettua l’esame visivo del tessuto stesso, ricordando in questo la posizione di una persona che sta in piedi davanti ad uno specchio. Un sistema di rulli, dei quali alcuni sono motorizzati ed altri sono folli, permette lo scorrimento del tessuto sullo specchio. A seconda del modello della macchina, il tessuto può essere recuperato con meccanismi diversi: uno prevede che all’uscita della macchina il tessuto passi su un’asta oscillante in senso trasversale allo scopo di raccogliere il tessuto su un carrello, facendogli assumere la forma di una pezza piegata trasversalmente in numerosi strati rettangolari; l’altro meccanismo invece prevede che in uscita alla macchina sia presente un’avvolgipezza per raccogliere il tessuto di nuovo in forma di rotolo, avvolgendo il tessuto intorno ad un’anima tubolare di cartone.

 

Macchine avvolgipezza (rollatrici)

Sono utilizzate per rimettere la pezza sotto forma di rotolo ed anche per una funzione di metraggio del tessuto. Queste macchine possono essere a sé stanti e/o integrate con lo specchio.


Fig. n. 1: macchina specchio per controllo tessuto dotata di rulli avvolgipezza con protezioni rimosse.


 



Fig. n. 2: particolare della macchina specchio.

 


Macchine per vaporizzo

Sono utilizzate per ridare al tessuto la morbidezza naturale; questa operazione viene effettuata principalmente su tessuti per abbigliamento estivo, di solito maggiormente apprettati. Lo scopo si raggiunge grazie all’azione del vapore che libera le tensioni interne del tessuto.

La machina è essenzialmente costituita da un sistema che fa scorrere il tessuto da trattare su nastro trasportatore al di sopra del quale e a distanza ravvicinata sono poste le cappe di vaporizzo e di ventilazione del tessuto.

Il tessuto da trattare viene introdotto sul nastro trasportatore tramite un sistema di rulli che lo prelevano dal carrello dove è stato riposto all’uscita della macchina specchio. All’uscita dalla macchina vaporizzatrice, il tessuto trattato viene raccolto su un carrello come quello dal quale è stato prelevato, tramite un sistema di rulli ed un’asta oscillante in senso trasversale, analogamente a quanto avviene all’uscita della macchina specchio.

 

Macchine per decatizzo

Sono impiegate per mantenere la stabilità dimensionale del tessuto. La macchina è essenzialmente costituita da due cilindri cavi, dei quali uno di grandi dimensioni con superficie forellata nel quale viene introdotto il vapore e l’altro di dimensioni più piccole dove è avvolto un tappeto che ha una estremità fissata su una generatrice del cilindro più grande. Il tessuto da trattare viene introdotto dall’esterno della macchina sul cilindro più grande, trainato dalla rotazione stessa del cilindro, che determina la formazione su di esso di strati alterni di tappeto e tessuto, i quali vengono  attraversati dal vapore. Questo realizza l’effetto di stabilizzazione dimensionale del tessuto. Al termine del trattamento con il vapore, il tessuto viene essiccato tramite una pompa di estrazione aria-vapore.

 

FATTORI DI RISCHIO

 

Lavoro in posture scorrette e movimenti ripetitivi

descrizione

Il lavoro in posizione fissa in piedi davanti alle macchine può essere causa di affaticamento eccessivo. Il disagio è maggiore quando il posto di lavoro in piedi richiede l’uso di un pedale di comando che obbliga l’operatore a ripetuti movimenti che tendono a sovraccaricare un solo arto.

danno atteso

Disturbi muscoloscheletrici, a carico della schiena e delle altre parti del corpo coinvolte in posture scorrette o in movimenti ripetitivi. I principali disturbi che possono comparire sono: - senso di peso, senso di fastidio, dolore, intorpidimento, rigidità al collo e alla schiena, formicolii, perdita di forza, impaccio ai movimenti, dolore agli arti superiori, caduta spontanea di piccoli oggetti dalle mani, ecc.

La fatica derivante dallo stare in piedi e da altre attività fisiche per le lavoratrici in gravidanza è stata spesso segnalata tra le cause di aborti spontanei, parti prematuri e neonati sottopeso. Inoltre la stazione eretta prolungata può aggravare la stasi venosa e i disturbi a carico della colonna vertebrale frequenti in gravidanza.

interventi prevenzionistici

Talvolta si è assistito a spontanee trasformazioni di un posto di lavoro in piedi a posto di lavoro seduto, in quanto gli stessi addetti si sono procurati una sedia per alternare le due posizioni di lavoro in piedi / seduto, con ergonomia inadeguata dovuta all’improvvisazione della soluzione.

Senza altre componenti, quali quelle descritte nella fase di stiro e di cucito, la posizione di lavoro fissa in piedi richiede una idonea strutturazione del posto di lavoro, che consenta di mantenere la schiena eretta e di appoggiare alternativamente un piede su un rialzo, inoltre tali posizioni non vanno mantenute continuativamente a lungo senza attuare intervalli.

È importante una organizzazione del lavoro che preveda pause e turnazione con altre mansioni che consentano un cambio della posizione eretta/seduta.

Per le lavoratrici in gravidanza:

-         assicurare che il ritmo e l’intensità del lavoro non sia eccessivo;

-         favorire una gestione delle pause da parte della lavoratrice stessa;

-         assicurare che vi sia la possibilità di sedersi;

-         adeguare il posto di lavoro o delle procedure operative al crescere del volume addominale al fine di contribuire a ridurre i problemi posturali e il rischio di infortuni.

-         allontanare o spostare la lavoratrice dalla mansione nel caso non sia possibile la eliminazione della stazione in piedi per più di metà dell’orario di lavoro o della posizione particolarmente affaticante.

È importante la informazione e formazione degli addetti sia nell’assumere atteggiamenti e/o abitudini di vita e di lavoro adatte a proteggere la schiena e le altre articolazioni, sia nello svolgere utili esercizi di rilassamento, stiramento e rinforzo muscolare. Effettuare la sorveglianza sanitaria dei lavoratori.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 1026 del 1976, Art. 5, lett. g.

-         D.Lgs. n. 626 del 1994 e s.m.i.

-         D.Lgs. n. 645 del 1996, Allegato I.

 

Lavoro in prossimità di organi meccanici in movimento

descrizione

I sistemi di rulli per lo scorrimento del tessuto presenti nelle macchine sopra descritte, possono essere causa di presa e trascinamento degli arti superiori degli addetti. Il rischio è maggiore dove i rulli sono motorizzati, contrapposti o posti ad una distanza da parti fisse tale che possa avvenire la presa e il trascinamento con conseguente schiacciamento tra i rulli o tra la parte fissa e quella mobile.

Altra parte pericolosa di queste macchine può essere il sistema di trasmissione del moto.

danno atteso

Lesioni traumatiche per schiacciamento, ferite e contusioni.

interventi prevenzionistici

Le macchine devono essere rese sicure rispettando quanto previsto dalla direttiva macchine e dalle altre norme vigenti.

In particolare:

-         i rulli per lo scorrimento del tessuto e gli organi di trasmissione del moto devono essere protetti contro il rischio di presa e trascinamento degli arti dell’addetto, tramite ripari (eventualmente trasparenti) fissi o dotati di dispositivo di interblocco, o tramite altri dispositivi che garantiscano lo stesso livello di sicurezza (esempio: fotocellule).

Per dispositivo di interblocco si intende un dispositivo ad apertura positiva che impedisce l’apertura del riparo posto sulla zona pericolosa finché la macchina è in movimento e non consente l’avvio della macchina se il riparo è aperto.

-         deve essere presente il dispositivo di arresto di emergenza, per fare fronte a situazioni di pericolo imminente o in caso di incidente; su una stessa macchina possono essere presenti più dispositivi di arresto di emergenza. Il dispositivo deve:

-         comprendere dispositivi di comando chiaramente individuabili, ben visibili e rapidamente accessibili,

-         provocare l’arresto del processo pericoloso nel tempo più breve possibile, senza creare rischi supplementari,

-         eventualmente avviare, o permettere di avviare, alcuni movimenti di salvaguardia.

Quando si smette di azionare il comando dell’arresto di emergenza, l'ordine di arresto deve essere mantenuto da un blocco del dispositivo di arresto di emergenza, sino al suo sblocco; non deve essere possibile ottenere il blocco del dispositivo senza che quest’ultimo generi un ordine di arresto; lo sblocco del dispositivo deve essere possibile soltanto con una apposita manovra e non deve riavviare la macchina, ma soltanto autorizzarne la rimessa in funzione.

-         deve essere presente il dispositivo che impedisca l’avviamento accidentale o inatteso della macchina (ad esempio nel caso dovesse ritornare la tensione di alimentazione elettrica dopo che era venuta a mancare).

-         deve essere effettuata la periodica manutenzione delle macchine e la verifica dell’efficienza dei relativi dispositivi di sicurezza.

-         è importante una buona illuminazione del posto di lavoro.

-         è importante la tenuta del manuale d’uso e manutenzione in sicurezza di ogni macchina, e svolgere la relativa opera di informazione e formazione dei lavoratori.

-         in fase di manutenzione, taratura e pulizia della macchina è opportuno che, per ogni diverso tipo di macchina, sia prevista una specifica procedura standardizzata che preveda, prima dell’intervento, la neutralizzazione di tutte le forme di energia (elettrica, meccanica, oleodinamica, pneumatica) e che assicuri tutte le parti che si potrebbero muovere per il proprio peso. Una procedura in uso consiste nel dotare il quadro di controllo della macchina di un dispositivo a chiave, in modo che l’addetto alla manutenzione, prima di intervenire, si impossessi della chiave fino a termine del lavoro. Altri sistemi possono essere ugualmente efficaci purché precedentemente definiti, ad esempio eventuali manovre straordinarie e regolazioni che richiedano l'intervento ad impianto in moto possono avvenire sotto la supervisione del responsabile del reparto, ed essere effettuate tramite pulsantiera a uomo presente con avanzamento a impulsi che, una volta inserita, escluda il quadro comando. La segnalazione del pericolo e la disposizione del divieto di attivazione e/o utilizzo può avvenire ponendo un cartello sul quadro di comando della macchina, ad esempio recante la scritta "Lavori in corso - Divieto di effettuare manovre".

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 547 del 1955 e s.m.i.

-         D.Lgs. n. 626 del 1996 e s.m.i.

-         D.P.R. n. 459/1996 (Direttiva Macchine).

-         norma CEI EN 60947-5-1 del 1991

-         norma UNI EN 1088 del 30.11.1997

 

Esposizione a polveri e inquinanti aerodispersi o adsorbiti alle polveri

descrizione

Le operazioni di svolgimento dei rotoli di tessuto durante la sua introduzione nelle macchine, può determinare la diffusione nell’ambiente di lavoro delle polveri eventualmente presenti sul tessuto. Si tratta di polveri delle fibre che costituiscono le stoffe ma anche delle sostanze chimiche utilizzate nelle precedenti operazioni di finissaggio (antipiega, coloranti, ecc…).

L’adsorbimento dei gas alle particelle fini (frazione respirabile delle polveri), può aumentare il rischio di effetti irritativi.

Il trattamento con vapore del tessuto può determinare l’asportazione dallo stesso di varie sostanze che possono essere irritanti e tossiche, la cui natura e quantità dipendono dal tipo di fibre che costituiscono il tessuto, dai trattamenti di finissaggio ai quali il tessuto è stato precedentemente sottoposto dal suo produttore e dalla attitudine delle sostanze stesse ad essere estratte dal tessuto e trasportate nella corrente di vapore.

danno atteso

Patologie irritative delle prime vie aeree e degli occhi, con manifestazioni sintomatiche quali voce rauca o abbassamento della voce, mal di gola, arrossamento degli occhi, lacrimazione, fastidio alla luce.

stima

L’esposizione alle polveri in questa fase lavorativa è inferiore a quella che si può verificare al reparto taglio alle macchine tagliaecuci.

interventi prevenzionistici

Per ridurre il rischio derivante dalla diffusione di polveri e inquinanti aerodispersi nell’ambiente di lavoro, è opportuno:

-         preferire l’impiego di tessuti privi di trattamenti con sostanze chimiche pericolose, esaminando le schede tecniche dei tessuti rilasciate dal produttore.

-         prevedere sistemi di aspirazione localizzata; talvolta ciò può essere di non semplice realizzazione, in tal caso si può ricorrere alla ventilazione per ottenere la diluizione della concentrazione delle polveri presenti nell’ambiente di lavoro; il sistema di aspirazione / ventilazione deve essere progettato in modo che l’operatore non sia investito dal flusso di aria polverosa.

-         alla macchina per decatizzo, dove si può verificare lo sviluppo di polveri nella zona di imbocco del tessuto (che coincide con la zona dove staziona l’operatore), può essere prevista per l’addetto una postazione di lavoro cabinata fornita di un sistema che tramite una leggera ventilazione determini una sovrapressione interna che impedisca l’ingresso in cabina di polveri o altri inquinanti aerodispersi.

-         Informazione, formazione e sorveglianza sanitaria degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 303/1956 e s.m.i.

-         D.P.R. n. 626/1994 e s.m.i.

 

Esposizione a vapore, calore radiante e microclima caldo umido

descrizione

La diffusione del vapore nell’ambiente di lavoro può determinare un microclima caldo-umido. Il problema può essere maggiore nella stagione estiva se i locali di lavoro non sono climatizzati. Inoltre le parti calde delle macchine di trattamento del tessuto (vaporizzo, decatizzo) possono esporre gli addetti al rischio di ustioni e a calore radiante.

danno atteso

L’esposizione a microclima caldo-umido può essere causa di disturbi da scomfort termico, riduzione della capacità lavorativa, stress psicofisico; insieme alle polveri, può contribuire a patologie respiratorie.

interventi prevenzionistici

-         Impianti di aspirazione localizzata per captare gli inquinanti il più vicino possibile alla fonte di emissione, progettati in modo che il flusso di aria inquinata non investa l’operatore.

-         Coibentazione delle pareti esterne delle macchine e dei condotti di adduzione del vapore e di recupero della condensa.

-         Informazione, formazione e sorveglianza sanitaria degli addetti.

riferimenti normativi

-         Art. 9 “Ricambio dell’aria”, Art. 11 “Temperatura” e Art. 13 “Umidità” D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Art. 240 "Protezione delle pareti esterne a temperatura elevata" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 378 "Abbigliamento" e Art. 379 "Indumenti di protezione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Norma UNI EN 563 del 30.06.95 Sicurezza del macchinario. Temperature delle superfici di contatto. Dati ergonomici per stabilire i valori limite di temperatura per le superfici calde. La norma presenta i dati ergonomici e il loro uso per stabilire i valori limite di temperatura per superfici calde e per la valutazione dei rischi di ustione.

 

Movimentazione manuale dei carichi

descrizione

La movimentazione manuale dei carichi in questa fase lavorativa è dovuta principalmente al sollevamento e allo spostamento dei rotoli di tessuto e dei carrelli porta pezze.

danno atteso

Disturbi muscolo – scheletrici.

La movimentazione manuale di carichi pesanti è ritenuta rischiosa per la gravidanza in quanto può determinare lesioni al feto e un parto prematuro. Il rischio dipende dallo sforzo, vale a dire dal peso del carico, dal modo in cui esso viene sollevato e dalla frequenza con cui avviene il sollevamento durante l'orario di lavoro. Con il progredire della gravidanza una lavoratrice incinta è esposta a un rischio maggiore di lesioni a seguito della manipolazione manuale di carichi. Ciò è causato dal rilassamento ormonale dei legamenti e dai problemi posturali ingenerati dalla gravidanza avanzata. Vi possono essere inoltre rischi per le puerpere, ad esempio dopo un taglio cesareo che può determinare una limitazione temporanea delle capacità di sollevamento e di movimentazione. Le madri che allattano possono trovarsi a disagio a causa del maggiore volume dei seni e della loro maggiore sensibilità.

interventi prevenzionistici

-         Ridurre la movimentazione manuale per tutti i lavoratori, comprese le lavoratrici gestanti o puerpere o in allattamento.

-         Utilizzare ausili per la movimentazione.

-         Informazione, formazione e sorveglianza sanitaria degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 1026 del 1976, Art. 5, lett. f.

-         D.Lgs. n. 626 del 1994 e s.m.i.

-         D.Lgs. n. 645 del 1996, Allegato I.

 

Movimentazione meccanica dei carichi

La movimentazione meccanica dei carichi in questa fase lavorativa è dovuta principalmente al sollevamento e allo spostamento dei rotoli di tessuto, dei carrelli porta pezze, dei cassoni metallici contenenti vari rotoli di tessuto, i quali a loro volta vengono depositati su scaffalature metalliche.

Per questa operazione vengono utilizzati transpalletts e carrelli elevatori a trazione elettrica. Per gli aspetti generali riguardanti l’utilizzo dei mezzi di sollevamento ed i relativi rischi, danni attesi e misure di prevenzione, si veda la fase “movimentazione meccanica dei carichi”.

 

Utilizzo di scaffalature verticali

descrizione

I tessuti e i materiali accessori sono stoccati su scaffalature metalliche di varia portata a seconda delle necessità aziendali e del tipo di materiale; ad esempio:

-         scaffalature di struttura robusta, per lo stoccaggio dei rotoli di tessuto, direttamente o entro cassoni metallici utilizzati per contenere più rotoli.

-         scaffalature di struttura leggera, per lo stoccaggio di vari materiali accessori (bottoni, cerniere zip, rinforzi sagomati, ecc…), in genere entro scatole di cartone.

Per l’accesso ai ripiani più alti delle scaffalature per materiali leggeri, talvolta vengono utilizzate scale portatili.

Quando le scaffalature non sono adeguatamente fissate alle pareti e/o di portata non adeguata, è possibile il loro ribaltamento accidentale a seguito di:

-         urto da parte degli addetti o da parte di carrelli elevatori.

-         sbilanciamento del carico.

-         appoggio di una scala portatile sulla quale sale l’addetto.

-         trascinamento della struttura nel caso un addetto vi si appigli cadendo dalla scala portatile.

E’ anche possibile la caduta della scaffalatura per cedimento strutturale in caso il carico superi la portata o se la struttura è deteriorata.

danno atteso

Lesioni traumatiche da urti e cadute.

In una azienda di un altro comparto in Toscana è recentemente accaduto un infortunio mortale da schiacciamento sotto una scaffalatura caduta per cedimento strutturale.

interventi prevenzionistici

Le scaffalature devono essere di portata idonea, dotate di cartelli che ne indichino la portata (in caso di ripiani con portata diversa, ogni ripiano deve riportare l’indicazione della sua portata); le scaffalature devono essere stabilmente fissate al soffitto o alle pareti o comunque realizzate con una struttura tale che sia impossibile la caduta per ribaltamento. Periodicamente è opportuno controllare il buono stato della scaffalatura.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 547 del 1955 e s.m.i.

-         D.Lgs. n. 626 del 1994 e s.m.i.

 

 

 

Stoccaggio di materiali combustibili

descrizione

I tessuti stoccati in grande quantità possono costituire un carico di incendio tale da far rientrare l’attività tra quelle soggette al controllo da parte dei vigili del fuoco.

danno atteso

Incendio con conseguenti possibili intossicazioni, ustioni, lesioni traumatiche.

interventi prevenzionistici

Attuare le misure di prevenzione antincendio necessarie al rilascio del C.I.P. Prestare attenzione in particolare alle possibili fonti di innesco, predisporre le vie di fuga (vie sgombre, senso corretto di apertura delle porte, maniglie antipanico, ecc..), illuminazione di emergenza, mezzi estinguenti, segnaletica, cartellonistica, ecc..

Formare gli addetti alla gestione delle emergenze.

Informare e formare i lavoratori.

riferimenti normativi

-         Norme generali di prevenzione incendi.

-         D.Lgs. n. 626 del 1994 e s.m.i.

 

 

APPALTI ESTERNI

Le fasi di controllo e trattamento del tessuto (specchio, vaporizzo, decatizzo) sono spesso eseguite a cura del produttore del tessuto oppure da ditte specializzate nella riparazione dei difetti dei tessuti.

 

 

IMPATTO ESTERNO

Non sono previsti impatti con l’esterno

 

 


PROGETTAZIONE E PREPARAZIONE MODELLI

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

Il modello è un foglio di carta sagomata che riproduce le varie parti che compongono il capo di abbigliamento e che è utilizzato al reparto taglio. Gli stilisti di moda progettano il capo di abbigliamento eseguendo disegni e sviluppando il progetto fino alla realizzazione del modello.

Tradizionalmente, per la riproduzione dei disegni su fogli di carta, erano utilizzate macchine per eliografia in un apposito reparto, ma in molte aziende del comparto esse sono state sostituite con plotter elettronici, i quali sono collegati a Personal Computer dotati di appositi software utilizzati per la progettazione dei capi di abbigliamento.

 

 

FATTORI DI RISCHIO

 

Lavoro ai videoterminali

descrizione

Il lavoro continuativo al videoterminale, anche in presenza di una postazione di lavoro correttamente progettata, comporta le seguenti condizioni di rischio: impegno visivo ravvicinato, protratto e statico; fissità della posizione seduta, abuso della mano e dell'avambraccio nella digitazione.

danno atteso

Disturbi da affaticamento visivo, irritazioni cutanee ed oculari, disturbi muscolo scheletrici in particolare a carico del polso , fatica mentale.

interventi prevenzionistici

Garantire un idoneo livello di illuminamento dello schermo e dell’ambiente di lavoro eliminando abbagliamenti o riflessi.

Garantire una postura corretta della schiena, degli arti superiori e delle gambe.

Effettuare pause di riposo.

Mantenere un adeguato microclima nell’ambiente di lavoro.

Informazione, formazione e sorveglianza sanitaria dei lavoratori che utilizzano in modo sistematico o abituale, una attrezzatura munita di videoterminale per almeno 20 ore settimanali (dedotte le pause).

riferimenti normativi

-         Tit. VI e All. VII del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 così come modificato dalla Legge Comunitaria del 2000 (Legge n.422 del 29.12.2001).

-         D.M.L. del 02.10.2000 "Linee guida d'uso dei videoterminali" (Attuazione dell'Art. 56 del D.Lgs. n.626/94 e s.m.i.).

-         Circolare n.16 del 25.01.2001 del Ministero del Lavoro e Previdenza Sociale “Modifiche al titolo VII del D.Lgs. n. 626/1994 – Chiarimenti operativi in ordine alla definizione di lavoratore esposto e sorveglianza sanitaria”.

-         Norme U.N.I. 7367, 9095, 7498.

 

Esposizione a vapori di ammoniaca

descrizione

Dove è ancora presente la macchina per eliografia, gli addetti possono essere esposti a vapori di ammoniaca.

danno atteso

irritazione delle prime vie aeree, delle mucose e della cute.

interventi prevenzionistici

-         Installazione di aspirazioni localizzate alla macchina per eliografia.

-         Appena usciti dalla macchina, depositare i fogli eliografati in una cabina aspirata e mantenerli in essa per un tempo sufficientemente lungo in modo da evitare che, quando i fogli vengono portati al reparto taglio, gli addetti al taglio possano venire esposti a vapori di ammoniaca. 

-         Ricambio forzato dell'aria nell'ambiente di lavoro (consigliati almeno 6 ricambi / ora).

-         Informazione, formazione e sorveglianza sanitaria degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 303 del 1956 e s.m.i.

-         D.Lgs. n. 626 del 1994 e s.m.i.

 

 

APPALTI ESTERNI

Questa lavorazione può essere appaltata all’esterno.

 

 

 

IMPATTO ESTERNO

 

Produzione di rifiuti

Si tratta prevalentemente di carta e contenitori dei materiali di consumo del plotter.

 

 

 

 


TAGLIO

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

Questa lavorazione consiste nel tagliare il tessuto nelle forme necessarie per confezionare il capo di abbigliamento secondo il modello. Talvolta, per tagliare i capi non in serie, sono utilizzate forbici; tuttavia nella maggior parte dei casi i tessuti vengono stesi e allineati lungo un tavolo in vari strati formando il cosiddetto materasso, costituito da tessuti di uguale natura e destinati allo stesso tipo di confezione, sul quale si interviene per effettuare il taglio tramite taglierine computerizzate, oppure tramite taglierine manuali. In quest’ultimo caso si posiziona il modello (realizzato in carta termoaderente) sulla superficie del materasso al quale si fa aderire, passandoci sopra una piastra metallica calda. Tale operazione è effettuata manualmente dall’addetto, il quale si deve chinare in avanti sul banco di stesura per passare la piastra calda sul modello. Si effettua un 1° taglio grossolano, tramite taglierine elettriche ad azionamento manuale, per prelevare un pezzo di materasso contenente il modello, e poi si effettua un 2° taglio di rifinitura, tramite sega a nastro, seguendo precisamente le linee del modello.

Talvolta, anche nelle aziende dove sono presenti taglierine computerizzate, la produzione di alcuni capi richiede il taglio a mano, come nel caso di tessuti disegnati, ad esempio a quadri, per i quali è necessario che il taglio, oltre a seguire il modello, segua anche le linee del disegno del tessuto.

Lo spessore del materasso può variare da qualche centimetro fino a circa 20 cm., in base sia al tipo di tessuto, sia alle esigenze produttive (a seconda di quanti capi dello stesso tipo si intende produrre).

Nelle aziende che non dispongono della macchina specchio (vedi fase stoccaggio, controllo e trattamento tessuto), durante la stesura viene anche effettuato un controllo visivo della qualità del tessuto.

La movimentazione delle pezze di tessuto (bobine), dal magazzino fino al banco di stesura e taglio, in genere avviene tramite carrelli elevatori a trazione elettrica, ma in alcuni casi sono presenti sistemi automatici che movimentano le bobine dal magazzino alla macchina e che effettuano direttamente il caricamento delle bobine sulla macchina stessa.

 

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

 

In questo reparto possono essere presenti varie attrezzature e macchine.

 

Banchi di stesura e taglio

Si tratta di lunghi banchi sui quali viene appoggiato il tessuto da tagliare. Il tessuto viene steso, con mezzi manuali o tramite macchine semiautomatiche, fino a formare il materasso il quale viene  tagliato in modo manuale o automatico, secondo le linee dei modelli da confezionare: il taglio viene eseguito sull’intero materasso, seguendo il profilo del modello.

Nei sistemi semiautomatici di stenditura, l’addetto comanda la macchina stenditrice da una postazione di lavoro posta su una piattaforma mobile, di poco più alta del livello del pavimento e solidale al carrello stenditore, che scorre lungo il banco di stesura e taglio.

 

Taglierine

Sono attrezzature manuali ad alimentazione elettrica, dotate di una lama verticale a movimento alternato, utilizzate per il taglio (tenendo fermo il materiale e spostando la taglierina).

 

Seghe a nastro

Sono utilizzate per il taglio (tenendo ferma la lama e spostando il materiale).

 

Trance

Si tratta di macchine ad azionamento idraulico, utilizzate per tagliare particolari pezzi componenti dei vari capi di abbigliamento a seconda del modello; ad esempio, nel caso di una giacca: il collo, il taschino, ecc…Esistono trance a bandiera oppure con il ponte superiore fisso ed il piano di tranciatura mobile, tuttavia in molte aziende del comparto le trance non sono utilizzate.

 

FATTORI DI RISCHIO

 

Lavoro in prossimità di organi meccanici in movimento

descrizione

-         Il carrello stenditore, durante il suo moto lungo il banco di stesura e taglio, può determinare l’investimento di persone che possono trovarsi nella zona operativa; inoltre può essere presente il rischio di schiacciamento degli arti dell’addetto tra carrello stenditore (mobile) e banco di stenditura e taglio (fisso).

-         Le ruote del carrello stenditore che scorrono su guide poste lungo il banco di stenditura e taglio possono costituire rischi infortunistici per presa e trascinamento, schiacciamento.

-         Le taglierine e le seghe a nastro possono comportare il rischio di infortuni per contatto con la lama. In generale l’utilizzo della sega a nastro può comportare un rischio maggiore rispetto all’utilizzo della taglierina, sia per il tipo di lavorazione che per la sua durata.

-         Le trance possono determinare il rischio di schiacciamento delle mani tra la parte fissa e la parte mobile.

-         Gli organi di trasmissione del moto delle macchine possono costituire rischi infortunistici per presa e trascinamento.

danno atteso

-         In caso di investimento dal carrello stenditore, schiacciamento tra parte mobile e parte fissa, presa e trascinamento dagli organi di trasmissione del moto: lesioni traumatiche (contusioni e ferite).

-         In caso di contatto con la lama tagliente: ferite da taglio alle mani e alle dita; amputazione delle dita.

interventi prevenzionistici

-         Dispositivo di arresto automatico del carrello stenditore in caso di urto (barra sensibile ad entrambi i lati della piattaforma mobile).

-         Dispositivo di protezione coprilama regolabile in modo che venga lasciata scoperta solo quella parte della lama che di volta in volta è necessaria per il taglio. Il coprilama talvolta può essere integrato con uno schermo in plexiglas.

-         Dispositivo scansamano sulle ruote del carrello mobile.

-         Doppi comandi a consenso e distanziati tra loro, tali da tenere impegnate entrambe dell’operatore addetto alla trancia.

-         Gli addetti al taglio devono indossare guanti antitaglio in maglia di acciaio.

-         Informazione e formazione degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 547 del 1955 e s.m.i.

-         D.Lgs. n. 626 del 1996 e s.m.i.

-         D.P.R. n. 459/1996 (Direttiva Macchine).

-         norme UNI e CEI

 


Esposizione a polveri e inquinanti aerodispersi o adsorbiti

descrizione

Sia durante la stenditura del tessuto sul banco di taglio, sia durante l’operazione di taglio vera e propria si possono diffondere nell’ambiente di lavoro le polveri del tessuto stesso, le quali possono essere portatrici di inquinanti chimici, a seconda della natura del tessuto e dei trattamenti con prodotti chimici pericolosi per la salute ai quali è stato eventualmente sottoposto il tessuto in precedenza.

Alcuni tipi di tessuto, in particolare quelli invernali (pile, velluto, etc.) sono particolarmente polverosi durante il taglio e, in mancanza di aspirazione localizzata, l’esposizione alle polveri di tessuto può essere notevole. Queste tipologie di tessuto presentano il vantaggio che l’operazione di taglio è meno faticosa rispetto al taglio di altri tessuti più duri, come ad esempio il cotone, il quale però genera meno polvere.

I frammenti di filo di certi tessuti sintetici notevolmente duri, possono essere proiettati dalle macchine da taglio ed investire gli addetti, infiggendosi nella cute (le parti maggiormente esposte sono le mani).

danno atteso

L’esposizione a polveri di tessuto può essere causa di imbrattamento, irritazione degli occhi e vie respiratorie, irritazione cutanea. L’azione meccanica che piccoli frammenti di filo di certi tessuti duri possono esercitare sulla cute, può determinare su di essa una serie di piccole scarificazioni (prodotte anche dall’azione spontanea di grattarsi per il fastidio dovuto al corpo estraneo), le quali costituiscono un terreno favorevole per l’insorgenza di dermatiti.

L’adsorbimento dei gas alle particelle fini (frazione respirabile delle polveri), può aumentare il rischio di effetti irritativi.

interventi prevenzionistici

-         Impianti di aspirazione localizzata per captare gli inquinanti il più vicino possibile alla fonte di emissione. Sui banchi di stesura e taglio, essendo questi di grandi dimensioni, talvolta ciò può essere di non semplice realizzazione, in tal caso si può ricorrere alla ventilazione per ottenere la diluizione della concentrazione delle polveri e dei gas presenti nell’ambiente di lavoro. Il sistema di aspirazione / ventilazione deve essere progettato in modo che l’operatore non sia investito dal flusso di aria polverosa.

-         Le taglierine possono essere dotate di un piccolo aspiratore a cartuccia. L’efficienza dell’aspiratore può essere ottenuta svuotando frequentemente la cartuccia (tale operazione richiede una procedura organizzata in modo opportuno per evitare che l’operatore possa essere esposto alla polvere al momento che effettua lo svuotamento della cartuccia).

-         Frequente pulizia dell'ambiente di lavoro, evitando l'utilizzo di scope che darebbero luogo al sollevamento di polvere, ma utilizzando invece aspirapolveri industriali dotati di filtro che eviti la nuova immissione di polveri fini nell'ambiente di lavoro.

-         Informazione, formazione e sorveglianza sanitaria degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 303/1956 e s.m.i.

-         D.P.R. n. 626/1994 e s.m.i.

-         L.1204/71 Art.3 comma III

 


Fig. n. 3: schema grafico della taglierina. A) motore elettrico; B) aspiratore: C) protezione sulla lama di taglio.


 


Esposizione a rumore

descrizione

In questa fase lavorativa il rumore è dovuto principalmente alle macchine per il taglio del tessuto.

stima

Data la vicinanza dell’operatore alla macchina durante il taglio e considerato che gli addetti a questa mansione in genere sono sempre gli stessi, l’esposizione a rumore può essere medio-alta.

danno atteso

L’esposizione continuativa a rumore, oltre ai disturbi della comunicazione e della prestazione lavorativa, può provocare danni extrauditivi che si possono manifestare anche per livelli di esposizione inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari misure preventive, quali: effetti cardiovascolari (aumento della pressione sanguigna, ecc…); disturbi psichici (astenia, irritabilità, depressione, insonnia); disturbi a carico dell’apparato digerente. L’esposizione continuativa a livelli di rumore medio-alti può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore).

Come conseguenza della necessità di parlare ad alta voce per le comunicazioni verbali in presenza di rumore si può verificare l’affaticamento delle corde vocali, che può essere una concausa (insieme alla esposizione a microclima sfavorevole, vapori, polveri e sostanze chimiche) per l’insorgenza di laringopatie con ipofonesi.

interventi prevenzionistici

Anche dove i livelli di rumore non sono considerati di particolare rischio per l’udito, è bene attuare tutte le possibili misure di riduzione del rumore rendendo l’ambiente idoneo a comunicazioni verbali con voce più bassa.

Nei casi di livelli di esposizione personale superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs. 277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”, riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di carattere generale”. riferimenti normativi

-         Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).

-         D.Lgs. n. 645 del 1996, Allegato I.

 

Esposizione a vibrazioni

descrizione

L’utilizzo di taglierine elettriche manuali può essere causa di esposizione a vibrazioni a carico degli arti superiori. Stare in piedi in prossimità della trancia e stare in piedi sulla pedana del banco di stesura possono essere cause di esposizione a vibrazioni a carico degli arti inferiori.

danno atteso

L’esposizione continuativa a vibrazioni può causare una malattia professionale detta Sindrome di Raynaud (anche conosciuta come fenomeno del dito bianco). Si tratta di una alterazione vasoplastica della microcircolazione delle mani per esposizione a vibrazioni e favorita da esposizione alle basse temperature e dal fumo di sigaretta. L’insorgenza di questa patologia è correlata ai tempi ed all’entità di esposizione.

prevenzione

-         Utilizzare taglierine del tipo a bassa vibrazione e minore impatto vibratorio, oltre a effettuare su di esse una accurata manutenzione.

-         Per ridurre la possibilità della trasmissione di vibrazioni dalla trancia alla struttura dello stabilimento produttivo, è opportuno installare sotto la trancia un basamento dimensionato in modo tale da evitare ponti acustici con la restante struttura del fabbricato.

riferimenti normativi

-         D.M.L. del 18.04.1973 "Elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali".

-         Art. 46, capo I, Tit. III "Scuotimenti e vibrazioni delle macchine" D.P.R. n. 547 del 27.04.1955.

-         Art. 24, capo II, Tit. II "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n. 303 del 19.3.1956.

-         9.9.3 Direttiva CEE/CEEA/CE n. 663 del 22.12.1986: "Direttiva del Consiglio del 22 dicembre 1986 per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai carrelli semoventi per movimentazione".

-         1.5.9 Direttiva CEE/CEEA/CE n. 392 del 14.06.1989: "Direttiva del Consiglio del 14 giugno 1989 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine".

-         1.5.9 "Campo di applicazione e definizioni" e 3.2.2 "Norme armonizzate e disposizioni di carattere equivalente"  D.P.R. n. 459 del 24.07.1996

-         Comunicazione CE 22 marzo 1997 (CEN-EN 1032): "Comunicazione della Commissione nel quadro dell'applicazione della direttiva 89/392/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1989, relativa alle macchine, modificata dalle direttive del Consiglio 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE".

-         Norma UNI-EN n. 30326-1 del 01.04.1997 (vedere 6.1.37): "Vibrazioni meccaniche - Metodo di laboratorio per la valutazione delle vibrazioni sui sedili dei veicoli - Requisiti di base".

-         D.M. 30.05.1997 (UNI-EN 1033, 1997) "Elenco delle norme armonizzate adottate ai sensi del comma 2 dell'Art. 3 del D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459 (2): «Regolamento per l'attuazione delle direttive del Consiglio 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle medesime»".

-         Comunicazione CE del 04.06.1997 (CEN-EN 1299, 1997): "Comunicazione della Commissione nel quadro dell'applicazione della direttiva 89/392/CEE del Consiglio del 14 giugno 1989 relativa alle macchine, modificata dalle direttive 91/368/CEE, 93/44/CEE  e 93/68/CEE".

 

Lavoro in posture scorrette, movimenti ripetitivi, lavoro faticoso, movimentazione manuale dei carichi

descrizione

Le operazioni di stesura e taglio del tessuto, quando sono eseguite manualmente, possono esporre gli addetti ai rischi derivanti dalla assunzione di posture scorrette (in particolare posture a schiena flessa) e dalla esecuzione di movimenti ripetitivi a carico della mano. Inoltre, nella maggior parte dei casi, il lavoro è svolto prevalentemente in piedi. L’operazione di taglio, sia che venga effettuata con forbici, con taglierine o con sega a nastro può essere faticosa specie quando si tagliano tessuti duri.

Possono essere presenti rischi da movimentazione manuale dei carichi per il caricamento della bobina di tessuto sui supporti dei banchi di stesura e taglio, dove l’operazione non è stata automatizzata.

danno atteso

Disturbi muscoloscheletrici. Tenosinoviti a carico dei flessori-estensori delle dita della mano destra impegnata nell’utilizzo delle attrezzature di taglio manuale. Alterazioni della sensibilità, formicolio (in particolare durante di riposo notturno) e dolore.

La fatica derivante dallo stare in piedi e da altre attività fisiche per le lavoratrici in gravidanza è stata spesso segnalata tra le cause di aborti spontanei, parti prematuri e neonati sottopeso. Inoltre la stazione eretta prolungata può aggravare la stasi venosa e i disturbi a carico della colonna vertebrale frequenti in gravidanza.

interventi prevenzionistici

-         Evitare l’uso delle forbici per tempi prolungati (30 minuti continuativi di utilizzo delle forbici andrebbero alternati per almeno mezz’ora con altri lavori che non comportino movimenti rapidi e ripetitivi della mano);

-         L’uso delle forbici non deve richiedere l’uso di forza; per ridurre lo sforzo è necessaria una buona manutenzione delle lame (affilatura).

-         È necessario scegliere modelli di forbici ben conformati che consentano l’alloggiamento delle dita senza provocare dannose compressioni delle strutture della mano.

-         Sostituire il più possibile le operazioni di taglio manuale con operazioni di taglio automatico.

-         Automatizzare il sistema di caricamento delle bobine di tessuto sui banchi di stesura e taglio.

-         Progettare adeguatamente il posto di lavoro.

-         Prevedere pause, turnazione con altre mansioni che consentano un cambio della posizione eretta/seduta.

-         Per le lavoratrici in gravidanza assicurare che il ritmo e l’intensità del lavoro non sia eccessivo. Favorire una gestione delle pause da parte della lavoratrice stessa. Assicurare che vi sia la possibilità di sedersi. Adeguare il posto di lavoro o delle procedure operative al crescere del volume addominale al fine di contribuire a ridurre i problemi posturali e il rischio di infortuni. Allontanare o spostare la lavoratrice dalla mansione nel caso non sia possibile la eliminazione della stazione in piedi per più di metà dell’orario di lavoro o della posizione particolarmente affaticante.

-         Informazione, formazione degli addetti sia nell’assumere atteggiamenti e/o abitudini di vita e di lavoro adatte a proteggere la schiena e le altre articolazioni, sia nello svolgere utili esercizi di rilassamento, stiramento e rinforzo muscolare.

-         Sorveglianza sanitaria degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 1026 del 1976, Art. 5, lett. g., f

-         D.Lgs. n. 626 del 1994 e s.m.i.

-         D.Lgs. n. 645 del 1996, Allegato I.

 

APPALTI ESTERNI

Questa lavorazione può essere appaltata all’esterno

 

IMPATTO ESTERNO

 

Produzione di rifiuti

Si tratta principalmente degli sfridi di tessuto derivanti dal taglio e dalle anime di cartone sulle quali è avvolto il tessuto in rotoli, dai fogli di carta che riproducono il modello. Ad esempio, una azienda di medie dimensioni del comparto ha dichiarato per l’anno 2000 una produzione complessiva di rifiuti di circa 8.400 Kg. di fibre tessili (Cod. CER 150101) e di circa 30.000 Kg. di carta e cartone.

 

 


CONFEZIONE - CUCITO

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

In questo reparto si cuciono insieme le varie parti che compongono il capo di abbigliamento.

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

 

In questo reparto possono essere presenti varie macchine.

 

Macchine per cucire

Sono macchine ad alimentazione elettrica e comando a manuale e a pedale. Esistono diversi tipi di macchine per cucire: macchine piane, a braccio, cilindriche, con base a colonna, ecc… Possono essere utilizzate a vari scopi: cuciture lineari, attaccare maniche, fare occhielli, attaccare bottoni, ecc…

In genere le macchine per cucire sono dotate di due linee distinte di lubrificazione: una per gli organi elettropneumatici e l’altra per gli organi di cucitura:

-         Gli organi elettropneumatici vengono lubrificati con un sistema ad aerosol: il lubrificante viene fatto cadere goccia a goccia mentre viene investito da una corrente d’aria compressa che ne determina la sua conversione in aerosol. Quest’ultimo, dopo aver attraversato gli organi elettropneumatici lubrificandoli, viene filtrato allo scopo di recuperare la maggior parte del lubrificante contenuto nella corrente d’aria, prima essa sia espulsa dalla macchina.

-         Gli organi di cucitura vengono lubrificati con un sistema a caduta o pompa centrifuga interna: in questo caso non si ha formazione di aerosol e la maggior parte del lubrificante, assolta la sua funzione, si deposita nel sottofondo della macchina.

L’olio lubrificante utilizzato in entrambi i casi è in genere lo stesso.

 

Tagliaecuci (sorgettatrice)

Sono macchine ad alimentazione elettrica e comando a manuale e a pedale. La tagliaecuci è una macchina per cucire dotata anche di un dispositivo di taglio (coltello) per togliere le parti eccedenti di tessuto. Questa macchina può essere utilizzata sia per il tessuto che per le fodere, per realizzare cuciture interne dei capi di abbigliamento.

 

Macchine attaccabottoni

Si tratta di particolari macchine da cucire ad alimentazione elettrica utilizzate per attaccare i bottoni. In genere sono dotate di un vetro ottico, chiamato salvaocchi, che ha la funzione di lente di ingrandimento per meglio visualizzare la zona operativa. Il salvaocchi è posto circa a metà distanza tra l’occhio e il punto di applicazione del bottone, è mobile nel senso alto-basso, ed è anche incernierato su un lato in modo da poterlo escludere.

 

FATTORI DI RISCHIO

 

Lavoro ripetitivo, posture scorrette, carico di lavoro fisico.

descrizione

Gli addetti alle operazioni di cucito svolgono la lavorazione stando seduti fissi alle macchine, compiendo movimenti ripetitivi. La postura seduta fissa alle macchine può essere aggravata dalla non corretta progettazione del posto di lavoro e indurre gli addetti ad assumere una flessione della parte alta del tronco (dorso curvo) e del collo ed a tenere le braccia sollevate o comunque non appoggiate e la coscia e la gamba in angolature scorrette. Il problema è causato in genere da inadeguata distanza tra il sedile e il piano di lavoro, quando la presenza sotto il piano di lavoro del motore di altre parti funzionali (sistema di trasmissione del moto, lubrificazione, ecc…) non consentire una buona sistemazione delle gambe. L'addetto allora può tendere ad una eccessiva flessione del tronco per avvicinarsi alla zona di cucitura, allo scopo di stabilire una distanza ottimale, tra l’occhio ed il punto di applicazione, che è stimata in circa 35 cm.

La posizione scorretta della seduta può essere dovuta anche all’utilizzo di sedie non idonee e non adeguabili alle esigenze personali.

Durante la postura seduta fissa alla macchina, l’errato rapporto delle distanze tra il sedile ed il piano di lavoro, così come tra il sedile e la pedana, può determinare la compressione della faccia posteriore delle cosce o una sollecitazione eccessiva del piede.

La presa continuativa di parti di capi di abbigliamento da cucire e i movimenti per prendere eventuali oggetti posti dietro la schiena e in basso rispetto alla postazione di lavoro seduta alla macchina da cucire, possono comportare una notevole sollecitazione a carico del polso e delle dita, della spalla e del rachide. Inoltre, la cucitura di tessuti rigidi comporta la necessità tirare il tessuto sotto l’ago per farlo scorrere.

Per le donne in gravidanza è potenzialmente pericoloso lavorare in posti di lavoro ristretti ovvero in postazioni non sufficientemente adattabili per tenere conto del crescente volume addominale, in particolare a gravidanza inoltrata. Il permanere a lungo immobili in posizione seduta aggrava i rischi di trombosi, embolia, lombalgia già presente in gravidanza.

stima

Il lavoro alla macchina da cucire è spesso erroneamente ritenuto leggero e pertanto i relativi rischi sono sottovalutati; infatti, l’immagine considerata di un lavoro pesante è in genere quella di una attività faticosa che coinvolge tutto il corpo, come ad esempio la movimentazione manuale di carichi pesanti, mentre si tende a non preoccuparsi della pesantezza del lavoro di una persona seduta alla macchina da cucire, occupata a spostare carichi leggeri. Da un punto di vista energetico, stante lo scarso peso unitario dei capi da cucire, l’esercizio muscolare sembra leggero, tuttavia se si considera, nell’arco dell’intera giornata lavorativa, il numero di volte che un capo viene sollevato, lo sforzo esercitato e i movimenti ripetuti delle braccia, spesso in posture scorrette, ci si rende conto di quanto siano rilevanti il carico di lavoro e le sollecitazioni osteoarticolari.

Studi condotti in Quebec tra le lavoratrici addette alle macchine da cucire per la cucitura in serie di pantaloni, hanno dimostrato che una lavoratrice può arrivare a ripetere lo stesso ciclo oltre 1.500 volte al giorno, sollevare complessivamente oltre 400 Kg di materiale, esercitare una forza di oltre 2.850 Kg. con le braccia, le spalle e le mani, 29.648 Kg con le gambe per l’attivazione del pedale.  Tutto ciò dimostra come non si possa considerare il lavoro delle addette alla cucitura “un lavoro leggero”.

Nel comparto produttivo in Toscana, lo sforzo fisico delle addette al cucito è mitigato dal fatto che spesso la cucitura in serie è appaltata a ditte esterne extraregionali.

danno atteso

Disturbi muscoloscheletrici, che si manifestano in particolare come dolori di schiena, pesantezza e formicolio degli arti superiori e inferiori. Sono segnalate per le sarte maggiori probabilità di soffrire al momento del pensionamento di forme di inabilità grave e permanente, nonché una elevata frequenza di lesioni muscoloscheletriche alla spalla sinistra.

Il disagio alle gambe è maggiore nei soggetti portatori di varici o nevriti agli arti inferiori.

Disturbi da affaticamento visivo (bruciore agli occhi, ecc…).

La stazione seduta prolungata e in spazi ristretti può aggravare la stasi venosa e i disturbi muscolari (stiramenti, strappi, ecc…) che sono favoriti durante la gravidanza.

Disturbi da stress mentale per monotonia del lavoro, carichi di lavoro elevati concentrati nel tempo, incertezza del lavoro, ecc...

interventi prevenzionistici

-         Progettazione adeguata del posto di lavoro. Riportiamo qui alcune indicazioni che sono risultate vantaggiose:

§         la macchina è stata sollevata in modo da alzare il piano di lavoro il quale è stato sdoppiato e inclinato con un angolo di 8° verso l’esterno; ciò ha consentito di rendere più ampio il campo visivo sul punto di applicazione (altrimenti parzialmente limitato dal ponte della macchina) e di ridurre la distanza tra l’occhio e il punto di applicazione. Il piano di lavoro originario è stato mantenuto per garantire il necessario appoggio degli arti superiori sui gomiti. Il piano superiore sul quale poggia la macchina è stato conformato con una opportuna convessità allo scopo di agevolare lo scorrimento del tessuto.

§         il piano di lavoro può essere reso regolabile in altezza fino a consentire l’alternanza della posizione seduta con quella in piedi e/o l’utilizzo di appoggi “siedi-in-piedi”.

§         la pedana e/o i pedali di comando, tradizionalmente fissi sulla struttura della macchina, sono stati resi mobili consentendo movimenti di aggiustamento nelle tre direzioni: avanti-indietro, alto-basso, destra-sinistra.

§         il sedile è stato reso regolabile in altezza e più facilmente avvicinabile alla macchina, in modo da favorire, insieme al sollevamento del punto di applicazione, il corretto atteggiamento eretto della colonna vertebrale.

Il favorevole risultato è stato documentato con tracciati elettromiografici, eseguiti prima e dopo l’adozione dei suddetti accorgimenti, che hanno dimostrato una minore tensione muscolare nella nuova situazione posturale.

Gli arti inferiori, inoltre, assumono un corretto assetto con un angolo di 110° sotto il ginocchio e con un angolo di 90° tra piede e gamba.

A questi risultati si può giungere grazie ad una progettazione ergonomica dell’intera macchina, pertanto per le aziende del comparto può essere più facile rivolgersi alle ditte costruttrici delle macchine e valutare la possibilità di sostituire le macchine presenti in azienda piuttosto che incaricare il proprio ufficio tecnico di apportarvi delle modifiche.

La seduta dovrebbe essere un supporto stabile per il corpo in una postura che è fisicamente soddisfacente e appropriata per il compito o l’attività e che rimane confortevole per un lungo periodo di tempo. Normalmente la seduta dovrebbe essere rotabile. Per realizzare una seduta idonea si può fare riferimento alle norme UNI EN ISO 7250 e UNI EN 547-3.

-         Inoltre possono essere utili:

§         Poggia braccia regolabili da applicare sul piano della macchina se il punto di cucitura è alto.

§         sagomatura del piano di lavoro in modo adeguato per facilitare l’appoggio degli arti superiori e dei tessuti da cucire.

§         pedali e pedane che richiedano un ridotto sforzo per il loro azionamento

§         contenitori appositi da porre di fianco (e non dietro) all’addetto, per alloggiare i pezzi da cucire ed i pezzi cuciti.

§         organizzare il lavoro e progettare il posto di lavoro in modo da ridurre la frequenza e l’ampiezza dei movimenti di adduzione, abduzione e rotazione della spalla.

-         Organizzazione del lavoro, turnazione con periodi di riposo o altre mansioni, che consentono di alternare la posizione seduta con quella in piedi, pause brevi ma frequenti per sgranchirsi la schiena e le braccia.

-         Per ridurre la monotonia del lavoro è opportuno disporre le postazioni di lavoro in modo da favorire la socializzazione; ad esempio, anziché tutte in fila una dietro l’altra (come avviene tradizionalmente), le postazioni di lavoro possono essere disposte in semicerchio o a coppie affacciate.

-         Per le lavoratrici in gravidanza assicurare che il ritmo e l’intensità del lavoro non sia eccessivo. Favorire una gestione delle pause da parte della lavoratrice stessa. Assicurare che vi sia la possibilità di sedersi. L’adeguamento del posto di lavoro o delle procedure operative al crescere del volume addominale, contribuisce a ridurre i problemi posturali e rischio di infortuni.

-         Informazione, formazione degli addetti sia nell’assumere atteggiamenti e/o abitudini di vita e di lavoro adatte a proteggere la schiena e le altre articolazioni, sia nello svolgere utili esercizi di rilassamento, stiramento e rinforzo muscolare.

-         Sorveglianza sanitaria degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.Lgs. n. 626 del 1996 e s.m.i.

-         D.P.R. 1026/76 Art. 5 lett. g, h.

-         D.Lgs. n. 645 del 1996, Allegato I.

-         Norma UNI EN ISO 7250 del 29.02.2000 (sostituisce UNI 10120) “Misurazioni di base del corpo umano per la progettazione tecnologica”- La norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma europea EN ISO 7250 (edizione luglio 1997). La norma fornisce una descrizione delle misure antropometriche che può essere utilizzata come base per il confronto di gruppi di popolazione. L'elenco di riferimento specificato nella norma e' destinato a servire come guida per ergonomiche devono definire gruppi di popolazione e applicare le loro conoscenze alla progettazione delle geometrie dei luoghi nei quali le persone lavorano e vivono. Concordanze: EN ISO 7250 del 1997 - ISO 7250 del 1996.

-         Norma UNI EN 547-3 del 30.09.1998 “Sicurezza del macchinario - Misure del corpo umano - Dati antropometrici”. La norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma europea EN 547-3 (edizione dicembre 1996). La norma specifica le misure del corpo umano attualmente accettate, cioè i dati antropometrici richiesti dalla UNI EN 547-1 e dalla UNI EN 547-2 per calcolare le dimensioni delle aperture d'accesso utilizzate nel macchinario. Concordanze: EN 547-3 del 1996.

 

Lavoro in prossimità di organi meccanici in movimento

descrizione

Il rapido movimento alternato dell’ago cucitrice può esporre gli addetti al rischio di puntura da parte dell’ago stesso. In caso di rottura accidentale dell’ago, i frammenti possono proiettarsi sull’operatore.

La cinghia di trasmissione del moto può determinare il rischio di presa e trascinamento.

danno atteso

-         Ferite alle dita delle mani, in genere di lieve entità.

-         Ferite cutanee e lesioni oculari in caso di proiezione dei frammenti di ago conseguente alla sua rottura accidentale.

interventi prevenzionistici

-         Installazione di protezioni salvadito e salvaocchi nella zona di lavoro dell’ago.

-         Installazione di carter di protezione agli organi di trasmissione del moto, fisso o munito di dispositivo di interblocco.

-         Informazione e formazione degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 547 del 1955 e s.m.i.

-         D.Lgs. n. 626 del 1996 e s.m.i.

-         D.P.R. n. 459/1996 (Direttiva Macchine).

-         norme UNI e CEI

 

Esposizione a polveri

descrizione

Le lavorazioni eseguite sul tessuto mediante le macchine sopra descritte, possono determinare lo sviluppo di polveri che si possono diffondere nell’ambiente di lavoro. Il problema richiede una particolare attenzione per la tagliaecuci, in quanto la macchina per cucire in genere da luogo ad uno sviluppo di polveri molto minore.

Le polveri prodotte dalla tagliaecuci sono dovute alla produzione di sfrido frastagliato del tessuto ed alla produzione di eccedenza di filato (cordellina); inoltre, il riscaldamento localizzato indotto sul tessuto dall’azione meccanica del coltello, favorisce la aerodispersione delle polveri.

danno atteso

L’esposizione a polveri di tessuto può essere causa di irritazione degli occhi e vie respiratorie, irritazione cutanea. L’azione meccanica che piccoli frammenti di filo di certi tessuti duri possono esercitare sulla cute, può determinare su di essa una serie di piccole scarificazioni (prodotte anche dall’azione spontanea di grattarsi per il fastidio dovuto al corpo estraneo), le quali costituiscono un terreno favorevole per l’insorgenza di dermatiti.

interventi prevenzionistici

-         Ventilazione generale dell’ambiente di lavoro.

-         Installazione alla tagliaecuci di due bocchette di aspirazione: una posizionata il più vicino possibile al coltello rifilatore, lateralmente o in basso anteriormente ad esso; l’altra posizionata posteriormente all’ago. Ad entrambe le bocchette, l’aspirazione può essere realizzata con un sistema aspirante tradizionale, oppure tramite l’asservimento di un sistema ad aria compressa che sfrutta il principio dell’eiettore. I residui devono essere convogliati in appositi contenitori filtranti.

-         Frequente pulizia dell'ambiente di lavoro, evitando l'utilizzo di scope che darebbero luogo al sollevamento di polvere, ma utilizzando invece aspirapolveri industriali dotati di filtro che eviti la nuova immissione di polveri fini nell'ambiente di lavoro.

-         Utilizzo di aspiratori individuali per la frequente pulizia del tavolo di lavoro e degli indumenti dell’operatore.

-         Indossare D.P.I. (grembiuli) e utilizzare armadietti doppio scomparto per separare gli abiti civili da quelli utilizzati per il lavoro.

-         Informazione, formazione e sorveglianza sanitaria degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 303/1956 e s.m.i.

-         D.P.R. n. 626/1994 e s.m.i.


 


Fig. n. 4.1: schema grafico sorgettatrice. A) bocchetta di aspirazione dello sfrido al coltello rifilatore. B) bocchetta di aspirazione dell’eccedenza di filato posteriormente all’ago.



 


Fig. n. 4.2: schema grafico sorgettatrice. A) sezione della bocchetta di aspirazione dello sfrido al coltello rifilatore. B) sezione bocchetta di aspirazione dell’eccedenza di filato posteriormente all’ago. C) contenitore di raccolta filtrante e/o evacuante all’esterno dell’ambiente di lavoro.

 

Esposizione ad aerosol di olio lubrificante

descrizione

Il sistema di lubrificazione degli organi elettropneumatici può determinare la diffusione di aerosol di olio lubrificate nell’ambiente di lavoro.

stima

Una stima del rischio di esposizione, quando non siano disponibili misurazioni ambientali e/o di esposizione personale, può essere ottenuta indirettamente dal consumo di olio lubrificante che periodicamente necessita di essere aggiunto nella macchina. In alcuni casi, il consumo di olio lubrificante della linea di lubrificazione ad aerosol di una macchina per cucire, è stato stimato in  circa 125 – 150 cc al mese.

danno atteso

Sono possibili danni alla pelle, agli occhi e alle vie respiratorie la cui entità dipende dalla natura dei prodotti impiegati come oli lubrificanti.

interventi prevenzionistici

-         Verifica della efficacia dei filtri e loro periodica sostituzione secondo le indicazioni del fabbricante.

-         Esame della scheda di sicurezza del prodotto (che deve essere obbligatoriamente fornita dal fornitore) e valutazione della possibilità di sostituzione con prodotti meno pericolosi.

-         Informazione, formazione e sorveglianza sanitaria degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 303/1956 e s.m.i.

-         D.P.R. n. 626/1994 e s.m.i.

 

Lavoro faticoso per gli occhi

descrizione

Il lavoro del cucito può richiedere un impegno visivo ravvicinato e protratto e il frequente alternarsi di punti di focalizzazione diversi. In particolare gli addetti alle macchine attaccabottoni, talvolta non utilizzano il salvaocchi perché ciò richiederebbe una frequente diversa accomodazione rispetto al punto di applicazione. Questo tipo di visione sollecita fortemente i muscoli per la messa a fuoco dell’immagine e per la motilità oculare. L’impegno aumenta quanto più l’oggetto è vicino o piccolo e quanto più a lungo è fissato nel tempo. All’affaticamento visivo contribuiscono i movimenti ritmici e continui, per esempio seguire il tessuto che scorre sul piano di lavoro e/o l’ago della macchina. Un altro fattore da considerare attentamente è il sistema di illuminazione naturale e artificiale dell’ambiente di lavoro.

danno atteso

In situazioni di sovraccarico dell’apparato visivo possono insorgere disturbi reversibili quali bruciori, lacrimazione, secchezza, senso di corpo estraneo, ammiccamento frequente, fastidio alla luce, pesantezza, visione annebbiata, visione sdoppiata, stanchezza durante la visione protratta da vicino. Questi disturbi nel loro complesso costituiscono la sindrome da fatica visiva (astenopia).

L’affaticamento visivo ed il movimento alto-basso possono favorire l’insorgenza di nistagmo verticale.

Tali disturbi, in talune condizioni, possono manifestarsi maggiormente in caso siano presenti negli addetti difetti visivi (presbiopia, ipermetropia, astigmatismo, miopia) non o mal corretti.

interventi prevenzionistici

-         Il sistema di illuminazione deve essere realizzato in modo tale da garantire la posizione corretta rispetto al punto di applicazione, sul quale i valori di illuminamento devono essere idonei alla finezza che il lavoro richiede: ad esempio, considerando che prevalentemente vengono svolti lavori di media finezza, valori di 450 – 600 lux possono in genere essere considerati soddisfacenti. È opportuno utilizzare lampade a bassa luminanza (e quindi minor abbagliamento), minimo calore e gradevole colore, ad esempio le lampade a scarica di vapori fluorescenti in genere possono essere considerate idonee. Al fine di ridurre la possibilità di esposizione alle radiazioni ultraviolette, è bene che le lampade siano installate ad una opportuna distanza (ad esempio almeno 1 metro) dalla testa dell’operatore; per un illuminamento migliore possibile è opportuno disporre le lampade secondo la regola dei 30 gradi, in modo tale da non entrare nel campo visivo dell’operatore mentre lavora. L’installazione elettrica deve essere realizzata in modo tale da evitare lo sfarfallamento dell’illuminazione (ad esempio installando le lampade sulle tre fasi dell’impianto elettrico trifase).

-         Progettazione corretta del posto di lavoro, tenendo in debita considerazione, oltre agli aspetti ergonomici posturali, anche la posizione rispetto al sistema di illuminazione; è bene che le superfici di lavoro siano opache in moda da evitare riflessi che possono essere causa di abbagliamento.

-         Sottoporre gli addetti ad un controllo dell’apparato oculo-visivo, prima che vengano assegnati a mansioni che comportano un impegno visivo ravvicinato per buona parte del turno, al fine di evidenziare eventuali difetti visivi (miopia, astigmatismo, ecc…) di cui il soggetto sia già portatore e correggerle adeguatamente, anche se lievi, per evitare un ulteriore sforzo visivo durante il lavoro.

-         Organizzazione corretta del lavoro.

-         Pause e turnazione con altre mansioni.

-         Informazione e formazione degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 626/1994 e s.m.i.

 

Esposizione a rumore

descrizione

In questa fase lavorativa il rumore deriva prevalentemente dalle macchine attaccabottoni, dalle macchine da cucire e dalle tagliaecuci, per il movimento dei loro organi meccanici e per il sistema di lubrificazione.

stima

La stima della esposizione personale a rumore in questo reparto è da valutare in relazione al tipo e al numero di macchine funzionanti contemporaneamente e all'eventuale funzionamento nello stesso reparto di altre macchine rumorose. In genere nell’industria dell’abbigliamento il livello sonoro è contenuto entro gli 85 dB(A).

danno atteso

L’esposizione continuativa a rumore, oltre ai disturbi della comunicazione e della prestazione lavorativa, può provocare danni extrauditivi che si possono manifestare anche per livelli di esposizione inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari misure preventive, quali: effetti cardiovascolari (aumento della pressione sanguigna, ecc…); disturbi psichici (astenia, irritabilità, depressione, insonnia); disturbi a carico dell’apparato digerente. L’esposizione continuativa a livelli di rumore medio-alti può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore).

Come conseguenza della necessità di parlare ad alta voce per le comunicazioni verbali in presenza di rumore si può verificare l’affaticamento delle corde vocali, che può essere una concausa (insieme alla esposizione a microclima sfavorevole, vapori, polveri e sostanze chimiche) per l’insorgenza di laringopatie con ipofonesi.

interventi prevenzionistici

-         Posizionare il compressore d'aria esternamente all'ambiente di lavoro.

-         Anche dove i livelli di rumore non sono considerati di particolare rischio per l’udito, è bene attuare tutte le possibili misure di riduzione del rumore rendendo l’ambiente idoneo a comunicazioni verbali con voce più bassa.

-         Nei casi di livelli di esposizione personale superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs. 277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”, riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di carattere generale”.

riferimenti normativi

-         Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).

-         D.Lgs. n. 645 del 1996, Allegato I.

 

Esposizione a vapori inquinanti

descrizione

I collanti di cui sono impregnati i termoadesivi, sciogliendosi sotto l’azione del calore durante la loro applicazione, possono determinare la dispersione di vapori nell’ambiente di lavoro.

danno atteso

Sono possibili danni alla pelle, agli occhi e alle vie respiratorie la cui entità dipende dalla natura dei prodotti impiegati come collanti.

interventi prevenzionistici

-         Esame delle schede di sicurezza dei prodotti.

-         Impianto di aspirazione localizzata con cappe aspiranti poste all’imbocco e all’uscita della macchina.

-         Informazione, formazione e sorveglianza sanitaria degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 303/1956 e s.m.i.

-         D.P.R. n. 626/1994 e s.m.i.

 

Esposizione a campo magnetico a bassa frequenza (50 Hz)

descrizione

Sotto il piano di lavoro delle macchine per cucire e delle tagliaecuci, si trova il motore elettrico per il funzionamento delle macchine stesse, il quale genera nel suo intorno un campo magnetico di tipo reattivo dovuto alla circolazione della corrente a frequenza di rete (50 Hz) negli avvolgimenti elettrici del motore.

In questo caso non ha senso parlare di radiazioni elettromagnetiche, in quanto non siamo in presenza di campi radiativi che si staccano dalla sorgente (come ad esempio nel caso di una antenna), ma di campi reattivi (dovuti alla corrente elettrica che scorre nei numerosi avvolgimenti interni del motore elettrico) che decrescono rapidamente allontanandosi dalla sorgente. Pertanto nell’affrontare l’analisi di questo fattore di rischio è necessario fare attenzione a non confondere le sue specifiche problematiche con quelle riguardanti ad esempio i campi elettrici a bassa frequenza e i campi elettromagnetici ad alta frequenza, per i quali sono diversi gli effetti dell’esposizione, i possibili danni, i limiti di riferimento e le misure di prevenzione. Pertanto, tutta la trattazione che segue, è esclusivamente riferita ai campi magnetici variabili a bassa frequenza, coerentemente al caso in esame.

stima

Dalle misurazioni di induzione del campo magnetico B effettuate dal Dipartimento Provinciale ARPAT di Prato in una azienda del comparto, su macchine cucitrici di varie tipologie (macchina piana, tagliaecuci,  ribattitrice, bordatrice, smerlatrice) tutte con motori ad alimentazione elettrica monofase a 50 Hz, sono risultati i valori sotto riportati:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig. n. 4.3: schema di postazione di lavoro alla macchina cucitrice, con indicazione dei punti (a, b, c, d, e) dove sono state effettuate le misure del campo magnetico, qui sotto elencati.

a: in prossimità del motore sul retro della macchina;

b: a 10 cm circa da A;

c: a 30 cm circa da A, in prossimità del ginocchio della operatrice;

d: in prossimità della coscia sinistra;

e: in prossimità della coscia destra.

 

Tabella – Misure di induzione del campo magnetico B a 50 Hz alle macchine cucitici.

Tipo di macchina

Valori massimi di induzione magnetica a 50 Hz

espressi in microtesla (mT)

misurati nei punti indicati in figura n. 4.3

a

b

c

d

e

Ribattitrice con motore 550W

381

n.r.

n.r.

1,0

0,41

Macchina piana con motore 550 W

58

n.r.

n.r.

5,98

3,01

Tagliaecuci (marca 1)

394

n.r.

n.r.

2,06

2,26

Tagliaecuci (marca 2), motore 740 W

82

n.r.

n.r.

2,2

3,4

Bordatrice

365

n.r.

n.r.

2,60

3,06

Smerlatrice con motore 370 W

500

125

15

n.r.

4,8

 

danno atteso

Per quanto riguarda la descrizione dei possibili danni, è importante avere presente la distinzione tra effetto sul corpo umano e danno. Le conclusioni attuali, dimostrate e internazionalmente accreditate, fanno risalire gli effetti e le potenziali cause di danno derivante dalla esposizione umana a campi magnetici variabili a bassa frequenza, alle correnti elettriche che i campi stessi inducono nel corpo umano quando l'intensità di tali correnti sia capace di interferire con le correnti fisiologiche dell'organismo.

I criteri di base per la protezione dalle correnti indotte nel corpo umano sono ormai concordati e omogenei nelle recenti raccomandazioni e normative. Sono presenti tuttavia lievi variazioni dei valori di riferimento, da una norma ad un'altra, originate da differenti coefficienti di sicurezza o da criteri accessori. In ogni caso si può ritenere che, dal punto di vista della protezione dalle correnti indotte nel corpo umano, i risultati degli studi siano sostanzialmente definitivi.

Ciò nonostante, sulla base di indagini epidemiologiche sono state avanzate ipotesi secondo le quali si possono verificare danni da esposizione a campi magnetici variabili a bassa frequenza, anche se l'esposizione ad essi determina valori di intensità di corrente indotte nell'organismo inferiori a quelle per cui si possono verificare interazioni con le correnti fisiologiche, ridotte per il coefficiente di sicurezza; tali ipotesi sono ispirate alla prudenza contro eventuali effetti ignoti nell'organismo, quali possibile causa che favorisca l’insorgenza di rare forme neoplastiche.

Recenti studi hanno esaminato il rischio di insorgenza di tumori infantili (leucemia, tumori cerebrali, ecc...) in figli di sarte, in relazione alla esposizione a radiazioni non ionizzati in utero, prodotte dal motore della macchina da cucire. I risultati non sono coerenti fra gli studi e manca una valutazione quantitativa dell’esposizione al campo magnetico durante la gravidanza.

Uno studio caso controllo su tre serie cliniche di casi sporadici di malattie di Alzheimer (finlandesi e statunitensi) ha evidenziato un’associazione con l’esposizione occupazionale a campi elettromagnetici, in particolare per donne nelle professioni di sartoria e confezionamento abiti.

limiti di esposizione

Per la protezione della popolazione in genere dalla esposizione a campi magnetici variabili alla frequenza di 50 Hz, vige in Italia il limite di riferimento di 100 mT (ovvero 0,1 mT) stabilito dall’Art. 4 del D.P.C.M. del 23.04.1992, in accordo al limite indicato dalla Raccomandazione 1999/519/CE, norma relativa alla protezione della popolazione in genere, demandando le norme per i professionalmente esposti ai singoli Stati membri (la distinzione tra popolazione in genere e professionalmente esposti è dovuta al fatto che la Raccomandazione CE ritiene accettabile per questi ultimi una esposizione maggiore, in quanto si ipotizza che siano esposti per tempi inferiori rispetto ai primi).

La suddetta Raccomandazione CE suggerisce, per l’intervallo di frequenze tra 4 e 1.000 Hz, di considerare come limite di base, cioè come limite relativo alle grandezze elettriche interne al corpo umano ritenute responsabili di possibile danno, il valore di 2 mA/m2 (milliAmpere/metroquadro) inteso come valore efficace della densità di corrente, mediata su 1 cm2 di sezione del corpo; dato che le correnti elettriche indotte all’interno del corpo umano non sono facilmente misurabili, la stessa Raccomandazione suggerisce di adottare come limite di riferimento, cioè come limite relativo alle grandezze elettriche misurabili esternamente al corpo in modo che sia garantito il rispetto del limite di base, per l’induzione del campo magnetico B espresso in mT (microtesla) nell’intervallo tra 25 e 800 Hz, il valore di 5/f (con f = frequenza espressa in KHz), pertanto a 50 Hz il limite di riferimento corrisponde al valore di 100 mT, coerentemente all’Art. 4 del D.P.C.M. del 23.04.1992.

L'European Pre-standard ENV 50166-1 "Human exposure to electromagnetic fields - Low frequency (0 Hz – 10 KHz )" del gennaio 1995, suggeriva per l’induzione del campo magnetico B espresso in mT (microtesla) nell'intervallo di frequenza tra 1,15 e 1.500 Hz il limite di riferimento per la popolazione in genere di 32/f (con f = frequenza espressa in KHz), che a 50 Hz corrispondeva a 640 mT. Tale limite era stato ottenuto dai valori per cui sono noti gli effetti potenzialmente dannosi derivanti dalla esposizione a campo magnetico a bassa frequenza, diviso per un coefficiente di sicurezza. La Raccomandazione 1999/519/CE, per maggiore cautela, ha abbassato tale limite, portandolo a 100 mT per la frequenza di 50 Hz.

Per i professionalmente esposti si può fare riferimento alla Raccomandazione I.C.N.I.R.P. pubblicata nel 1998 “Guidelines for limiting exposure to time-varying electric, magnetic and electromagnetic fields (up to 300 GHz)” la quale suggerisce di adottare come limite di riferimento alla frequenza di 50 Hz il valore di  500 mT.

Recenti studi condotti in vari paesi, considerano probabile l’associazione tra esposizione a campi magnetici a bassa frequenza al di sopra della soglia di 0,2 mT e l’insorgenza di rare forme neoplastiche, ma al tempo stesso che non vi siano rischi quantitativamente significativi connessi con la normale esposizione della popolazione. Il valore di 0,2 mT è stato scelto non in base a criteri di sicurezza, ma semplicemente come valore statistico per classificare la popolazione sulla quale è stato condotto lo studio epidemiologico.

Pur accettando la correttezza del criterio per la protezione dalle correnti indotte nel corpo umano, l'ipotesi della presenza di effetti ignoti, in mancanza di risultati definitivi degli studi, ha ispirato alcune Regioni italiane ad adottare criteri di maggiore prudenza per l’esposizione ai campi magnetici variabili alla frequenza di 50 Hz, considerando come soglia di attenzione il valore di induzione magnetica B = 0,2 mT.

La validità scientifica dei metodi con cui sono state condotte tali indagini epidemiologiche è messa in dubbio da altri studiosi che si occupano di elettromagnetismo e ad oggi il dibattito è ancora in corso.

La quasi totalità degli organismi scientifici internazionali più accreditati concorda nel ritenere che, per l’induzione magnetica B a 50 Hz, non ci sono elementi sufficienti per poter individuare un limite di riferimento diverso da quello oggi fissato dalla normativa vigente di 100 mT come limite massimo di esposizione (Art. 4 del D.P.C.M. 23.04.1992).

Sempre per quanto riguarda i limiti di esposizione, è importante notare che siamo in attesa dei decreti attuativi della Legge Quadro del 14.02.2001, i quali dovranno stabilire i limiti di esposizione ai campi elettrici, magnetici e elettromagnetici nell’intervallo di frequenza da 0 a 300 GHz.

interventi prevenzionistici

Utilizzare macchine da cucire con motori con caratteristiche costruttive che nel proprio intorno generano minimi valori di campo magnetico e/o posizionare il motore il più lontano possibile dalle parti del corpo della operatrice, al fine di consentire la riduzione al minimo della esposizione al campo magnetico. In alcune macchine da cucire moderne, è utilizzato un motore che genera un ridotto campo magnetico nel proprio intorno e lo stesso motore è stato incorporato nel braccio della macchina (anziché sotto il piano di lavoro dove viene quasi a contatto con le gambe), consentendo tra l’altro anche un miglioramento posturale grazie alla riduzione degli ingombri al di sotto del piano di lavoro. È  inoltre necessaria l’informazione e formazione degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.C.M. del 23.04.1992

-         D.P.C.M. del 28.09.1995

-         D.Lgs. n. 645 del 1996, Allegato I.

-         D.M.A. n. 381 del 10.09.1998

-         Raccomandazione CE n. 519 del 12.07.1999 "1999/519/CE: Raccomandazione del Consiglio, relativa alla limitazione dell'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz".

-         Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, del 14.02.2001.

 

 

APPALTI ESTERNI

Nelle aziende dove ancora è presente la produzione in serie dei capi di abbigliamento, in questo reparto è presente il maggior numero di lavoratori, in genere tutte donne. Anche nelle aziende che hanno appaltato la produzione in serie dei capi (in genere all’estero, spesso in stabilimenti di proprietà dell’azienda stessa), sono presenti comunque un certo numero di addetti al cucito per la produzione dei campioni; in quest’ultimo caso il numero maggiore di lavoratori si trova negli altri reparti dell’azienda.

 

IMPATTO ESTERNO

 

Produzione di rifiuti

Si tratta di polveri, sfridi e parti di tessuti


STIRO

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

La stiratura può essere eseguita sia nelle fasi intermedie, sia al termine del ciclo produttivo per il confezionamento dei capi di abbigliamento. Infatti, nelle fasi intermedie la stiratura ha lo scopo di garantire la stabilità del tessuto durante la lavorazione, mentre la stiratura finale ha lo scopo di eliminare dal tessuto le pieghe che si possono essere formate durante le precedenti lavorazioni, al fine di completare la rifinitura del prodotto.

La stiratura consiste nel sottoporre il capo (o parte di esso) all’azione combinata di pressione, temperatura e umidità.

Allo scopo possono essere utilizzate macchine specifiche quali le presse stiro oppure attrezzature manuali come ferri da stiro.

In questo reparto viene talvolta effettuata anche l’applicazione di termoadesivi (termoaderenti) al tessuto (rinforzi per colli e polsini, decorazioni, etc…). Il termoaderente è composto di un tessuto a maglia (che serve da armatura al tessuto vero e proprio) impregnato di un collante che, sotto l’azione del calore, si scioglie determinando così la sua salda adesione al tessuto.

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

 

Presse stiro


Si tratta di macchine aventi lo scopo di stirare il tessuto ed aventi forma e dimensioni variabili a seconda di quelle dei pezzi da stirare.

Fig. n. 5: pressa stiro.


Fig. n. 6: macchina da stiro per giacche.


 


Attrezzatura per stiro manuale

Si tratta di una attrezzatura uguale a quella utilizzata nelle lavanderie, costituita da un ferro da stiro dotato di pulsante per comandare l’uscita del vapore e da un asse da stiro forellato sul quale viene appoggiato il tessuto da stirare; l’asse è dotato di aspirazione localizzata da sotto di esso, azionata tramite pedale.

Talvolta sono presenti attrezzature per stiro verticale, cioè per stirare i capi lasciandoli direttamente sulle grucce o sui manichini.

 

Presse per applicazione termoadesivi

Sono utilizzate per applicare termoaderenti (rinforzi, decorazioni, ecc…) al tessuto, facendole aderire per pressione e calore. La pressione del termoadesivo sul tessuto è esercitata da piani contrapposti riscaldati elettricamente e da rulli contrapposti.

 

 

FATTORI DI RISCHIO

 

Esposizione a calore radiante e microclima caldo umido

descrizione

Il vapore acqueo utilizzato per la stiratura può diffondere nell’ambiente di lavoro, investire l’operatore e determinare un microclima caldo-umido. Il problema può essere maggiore nella stagione estiva se i locali di lavoro non sono climatizzati.

Durante le operazioni di aggiustamento dell’abito sul piano della pressa e/o durante l’operazione di stiro, si determinano contatti e attriti tra il palmo della mano dell’addetto e il tessuto in presenza di vapore, con conseguente rischio per la cute derivante dall’azione meccanica e chimica alla quale si trova esposta.

Le parti calde della macchina possono determinare calore radiante ed esporre gli addetti al rischio di ustioni.

danno atteso

L’esposizione a microclima caldo-umido può essere causa di disturbi da scomfort termico, riduzione della capacità lavorativa, stress psicofisico.

L’esposizione al vapore derivante dalle operazioni di stiro può essere causa di scottature, indurre iperemia della congiuntive e delle mucose delle prime vie respiratorie, predisponendo gli esposti all’insorgenza di congiuntiviti, faringo-laringiti ed anche dermatite del volto.

I contatti e gli attriti con il tessuto sottoposto all’azione del vapore possono essere causa di modifiche sulla cute con conseguente insorgenza di disidrosi predisponente all’eczema o ad altre forme di dermatiti da contatto.

Sono possibili ustioni per contatto con superfici calde.

interventi prevenzionistici

-         Aspirazione localizzata al bordo del piano superiore della pressa stiro, con cappa solidale. Detta aspirazione può essere resa attiva nella sola fase di abbassamento del piano superiore (quando si ha emissione di vapore) con un semplice collegamento meccanico (cordicella) fra il piano superiore della pressa e una valvola di intercettazione posta sul condotto di aspirazione.

-         Aspirazione localizzata sotto l’asse per stiro manuale.

-         Operare sotto cappe di aspirazione del vapore nel caso di stiro verticale, realizzate in modo che l’operatore non sia investito dal flusso di vapore aspirato.

-         Coibentazione delle facce esterne dei piani di pressatura e dei condotti di adduzione del vapore e di recupero della condensa.

-         Nelle situazioni di maggior esposizione a stress termico, è utile prevedere l’uso di abbigliamento idoneo specifico, in relazione al rischio da esposizione ad elevata temperatura, oltre a prevedere una corretta organizzazione del lavoro ed idonei periodi di acclimatamento.

-         È altresì opportuno valutare la possibilità di confinare in locali appositi le macchine che determinano il microclima caldo-umido, in modo da separarle dagli altri reparti di lavorazione, al fine di evitare l'esposizione indiretta degli addetti.

-         Informazione, formazione (in particolare l’addestramento all’uso del comando del vapore) e sorveglianza sanitaria degli addetti.

riferimenti normativi

-         Art. 9 “Ricambio dell’aria”, Art. 11 “Temperatura” e Art. 13 “Umidità” D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Art. 240 "Protezione delle pareti esterne a temperatura elevata" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 378 "Abbigliamento" e Art. 379 "Indumenti di protezione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Norma UNI EN 563 del 30.06.95 Sicurezza del macchinario. Temperature delle superfici di contatto. Dati ergonomici per stabilire i valori limite di temperatura per le superfici calde. La norma presenta i dati ergonomici e il loro uso per stabilire i valori limite di temperatura per superfici calde e per la valutazione dei rischi di ustione.

-         D.Lgs. n. 645 del 1996, Allegato I.

 



Fig. n. 7: schema grafico della pressa stiro. A) cappa aspirante.

 


Lavoro in prossimità di organi meccanici in movimento

descrizione

La lavorazione può esporre l’addetto ad infortuni in caso gli arti superiori rimangano schiacciati nella pressa con conseguenti effetti dannosi combinati della pressione e del flusso di vapore in temperatura.

danno atteso

Schiacciamento ed ustione degli arti superiori o delle mani.

interventi prevenzionistici

-         Per le presse stiro con comando di azionamento a mano: installare dispositivo di azionamento a doppio comando distanziato, in modo che entrambe le mani debbano essere impegnate per azionare la macchina e quindi sia impossibile che una resti schiacciata dentro di essa.

-         Per le presse stiro con comando di azionamento a pedale: installazione di una barra sensibile di sicurezza posizionata lungo il profilo esterno del piano superiore, 2 –3 cm più in basso rispetto al piano stesso, in modo tale da rappresentare la prima parte solidale con il piano che, in caso esso venga a contatto con gli arti dell’operatore, comandi la riapertura del piano stesso tramite un sistema elettropneumatico.

-         Informazione e formazione degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 547 del 1955 e s.m.i.

-         D.Lgs. n. 626 del 1996 e s.m.i.

-         D.P.R. n. 459/1996 (Direttiva Macchine).

-         norme UNI e CEI

 

Lavoro ripetitivo e posture scorrette

descrizione

Le operazioni di stiro manuale con sollevamento e spostamento del ferro possono determinare movimenti ripetitivi e l'assunzione di posture non corrette del tronco. Il ferro da stiro pesa mediamente 3 Kg e i lavoratori di questo comparto produttivo sono prevalentemente donne. In mancanza di un sistema di bilanciamento che permetta l'alleggerimento del peso da sollevare, lo spostamento orizzontale del ferro lungo l'asse da stiro può affaticare l'arto superiore della donna. L'affaticamento è maggiore quando la stiratura avviene su un manichino e il ferro deve essere spostato in senso verticale.

Un piano di stiratura troppo basso e/o troppo profondo costringe a mantenere a lungo la schiena flessa.

Un piano di stiratura troppo alto obbliga a mantenere le braccia sollevate.

Le operazioni di stiro comportano una posizione eretta prolungata, con assunzione di posizioni di flessione del collo e del dorso.

L’uso ripetuto di un pedale alle presse stiro (per comandare l’aspirazione del vapore) può sovraccaricare l’arto inferiore.

danno atteso

Disturbi muscoloscheletrici, specie a carico della schiena, dell'arto superiore utilizzato per stirare, dell’arto inferiore utilizzato per il pedale (possibili contratture muscolari). Tenosinoviti a carico dei flessori-estensori delle dita della mano destra impegnata nell’utilizzo del ferro da stiro. A lungo termine si possono determinare patologie artrosiche della spalla o infiammazioni croniche dei tendini e dei muscoli.

La fatica derivante dallo stare in piedi e da altre attività fisiche per le lavoratrici in gravidanza è stata spesso segnalata tra le cause di aborti spontanei, parti prematuri e neonati sottopeso. Inoltre la stazione eretta prolungata può aggravare la stasi venosa e i disturbi a carico della colonna vertebrale frequenti in gravidanza, stiramenti o strappi muscolari.

interventi prevenzionistici

-         Prevedere sistemi di bilanciamento per alleggerire il peso del ferro da stiro da sollevare.

-         Progettare adeguatamente il posto di lavoro. In particolare il piano di stiratura manuale è di altezza adeguata quando consente di stirare mantenendo il gomito ad angolo retto; la profondità di tale piano non dovrebbe superare 50 – 55 cm : la presenza di entrambe queste caratteristiche consente di mantenere la schiena eretta. E’ anche utile avere la possibilità di appoggiare alternativamente un piede su un rialzo e se possibile alternare lo stiro in piedi con lo stiro in posizione seduta.

-         Pause, turnazione con altre mansioni che consentano un cambio della posizione eretta/seduta.

-         Per le lavoratrici in gravidanza assicurare che il ritmo e l’intensità del lavoro non sia eccessivo. Favorire una gestione delle pause da parte della lavoratrice stessa. Assicurare che vi sia la possibilità di sedersi. L’adeguamento del posto di lavoro o delle procedure operative al crescere del volume addominale, contribuisce a ridurre i problemi posturali e rischio di infortuni.

-         Educazione sanitaria degli addetti sia nell’assumere atteggiamenti e/o abitudini di vita e di lavoro adatte a proteggere la schiena e le altre articolazioni, sia nello svolgere utili esercizi di rilassamento, stiramento e rinforzo muscolare.

-         Informazione, formazione e sorveglianza sanitaria degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 626/1994 e s.m.i.

-         D.P.R. 1026/76 Art. 5 lett. g, h.

 

 

 

 

Esposizione a inquinanti aerodispersi

descrizione

Durante lo stiro si può determinare l’asportazione dal tessuto di varie sostanze che possono essere irritanti e tossiche, la cui natura e quantità dipendono dal tipo di fibre che costituiscono il tessuto, dai trattamenti di finissaggio ai quali il tessuto è stato precedentemente sottoposto dal suo produttore e dalla attitudine delle sostanze stesse ad essere estratte dal tessuto e trasportate nella corrente di vapore. I collanti di cui sono impregnati i termoadesivi, sciogliendosi sotto l’azione del calore durante lo stiro, possono determinare la dispersione di vapori nell’ambiente di lavoro.

danno atteso

Sono possibili danni alle vie respiratorie, alla cute e agli occhi a seconda della natura degli inquinanti presenti.

interventi prevenzionistici

-         preferire l’impiego di tessuti privi di sostanze pericolose per la salute, esaminando le schede tecniche dei tessuti rilasciate dal produttore.

-         impianto di aspirazione localizzata con cappe aspiranti poste all’imbocco e all’uscita della macchina.

-         informazione, formazione e sorveglianza sanitaria degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 303 del 1956 e s.m.i.

-         D.P.R. n. 1026 del 1976 Art. 5, lett. b

-         D.Lgs. n. 626 del 1994 e s.m.i.

-         D.Lgs. n. 645 del 1996, Allegato I.

 

Esposizione a rumore

descrizione

Nel reparto stiro il rumore proviene prevalentemente dalle macchine da stiro.

stima

L’esposizione personale al rumore misurata nel reparto stiro di una azienda di medie dimensioni del comparto ha evidenziato un livello equivalente Leq = 77,7 ¸ 79,4 dB(A) e livelli di esposizione personale degli addetti sempre inferiore a 80 dB(A).

danno atteso

L’esposizione continuativa ai livelli di rumore sopra riportati, può essere causa di danni extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari misure preventive.

Oltre ai disturbi della comunicazione e della prestazione lavorativa, possono insorgere: effetti cardiovascolari (aumento della pressione sanguigna, ecc…); disturbi psichici (astenia, irritabilità, depressione, insonnia); disturbi a carico dell’apparato digerente.

prevenzione

Anche dove i livelli di rumore non sono considerati di particolare rischio per l’udito, è bene attuare tutte le possibili misure di riduzione del rumore rendendo l’ambiente idoneo a comunicazioni verbali con voce più bassa.

Nei casi di livelli di esposizione personale superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs. 277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”, riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di carattere generale”. riferimenti normativi

-         Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).

-         D.Lgs. n. 645 del 1996, Allegato I.

 

 

APPALTI ESTERNI

In genere questa fase è strettamente legata allo taglio e al cucito, pertanto può essere affidata a ditte esterne, nei casi in cui siano affidate alla stessa ditta anche il taglio e il cucito.

 

IMPATTO ESTERNO

 

Emissioni in atmosfera

Emissione di vapore misto a vari inquinanti aerodispersi che possono derivare dai trattamenti effettuati sui tessuti o dai collanti dei termoaderenti.

Si tratta in genere di emissioni scarsamente significative, specie quando sono stirati tessuti non trattati con sostanze nocive che possono essere rilasciate durante lo stiro.

 

 


SMACCHIATURA

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

Talvolta, a seguito del controllo finale del capo di abbigliamento finito o al momento dello stiro, può rendersi necessario effettuare smacchiature, come ad esempio in caso una goccia di olio lubrificante delle macchine da cucire sia caduta sul capo. Per la smacchiatura vengono utilizzati appositi solventi: si tratta in genere di prodotti spray a base di tricloroetilene (trielina).

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

 

 

FATTORI DI RISCHIO

 

Esposizione a solventi

descrizione

Durante l'applicazione spray di prodotti a base di tricloroetilene (trielina) si può determinare l'esposizione dei lavoratori al prodotto tossico, per inalazione e/o per contatto cutaneo.

stima

L'entità della esposizione personale al prodotto tossico va valutata in base alla frequenza d'uso ed alle quantità utilizzate per ogni operazione di smacchiatura.

danno atteso

Dermatiti, irritazione agli occhi e alla gola, depressione del S.N.C. e dei nervi cranici. In concentrazione maggiore o uguale all’1% il prodotto è classificato nocivo e accompagnato dalla frase di rischio “R40: può provocare effetti irreversibili” (per probabile effetto cancerogeno).

Per quanto riguarda il rischio per la riproduzione e lo sviluppo neonatale la Commissione Consultiva Tossicologica Nazionale ha classificato il tricloroetilene in categoria 5 corrispondente a mancanza di evidenza di effetto.

interventi prevenzionistici

-         Etichettatura dei contenitori dei prodotti utilizzati.

-         Valutare la sostituzione dei prodotti più pericolosi con altri meno pericolosi esaminando le schede di sicurezza che il produttore è obbligato a fornire.

-         Utilizzare il prodotto in modo corretto e solo quando effettivamente necessario.

-         Effettuare la smacchiatura sotto cappa aspirante (può essere utilizzata la stessa installata sulle presse stiro).

-         Indossare D.P.I. (maschera, guanti, grembiuli).

-         Informazione, formazione e sorveglianza sanitaria degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 303 del 1956 e s.m.i.

-         D.P.R. n. 1026 del 1976 Art. 5, lett. b

-         D.Lgs. n. 626 del 1994 e s.m.i.

-         D.Lgs. n. 645 del 1996, Allegato I.

 

 

APPALTI ESTERNI

Questa fase è talvolta appaltata all’esterno.

 

 


IMPATTO ESTERNO

 

Produzione di rifiuti

Si tratta prevalentemente dei contenitori vuoti dei prodotti utilizzati per smacchiare.

 

Emissioni in atmosfera

Si tratta dei solventi captati dall’impianto di aspirazione ed evacuati all’esterno dell’ambiente di lavoro.

 

 

 


MAGAZZINO CAPI DI ABBIGLIAMENTO FINITI E SPEDIZIONE

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

In questo reparto sono temporaneamente stoccati i capi in arrivo dalla produzione, ai quali si appongono i cartellini e si prepara la spedizione, eventualmente coprendo i singoli capi con buste di plastica trasparente allo scopo di proteggerli durante il trasporto. I capi così preparati sono poi smistati in base alla destinazione e quindi caricati su furgoni o camion per la spedizione ai Clienti (negozi).

L’attività lavorativa in questo reparto è legata ai flussi dei capi di abbigliamento primavera/estate o autunno/inverno, pertanto in alcuni periodi dell’anno (in genere aprile-maggio e settembre-ottobre), è molto ridotta. Nelle aziende dove il ciclo lavorativo viene svolto per intero, in tali periodi di ridotta attività, il personale addetto al magazzino è impiegato per altre mansioni all’interno dell’azienda. Tuttavia, nella maggior parte delle aziende di una certa grandezza del comparto, la produzione dei capi è appaltata a ditte esterne (talvolta anche fuori Italia), pertanto nei periodi di ridotta attività, talvolta sono applicate forme di contrattazione tra associazioni datoriali e associazioni sindacali; ad esempio nell’area Pistoiese l’accordo prevede che durante l’anno l’azienda può anticipare al lavoratore il pagamento di ore lavorative fino ad un massimo di 96 ore l’anno, che poi lo stesso deve restituire lavorando un’ora di più al giorno nei periodi di maggiore attività produttiva (al massimo 8 ore lavorative in più alla settimana). In tale modo la giornata lavorativa arriva fino ad un massimo di 9 ore al giorno. In alcuni casi, i lavoratori che preferiscono avere libero il sabato, si accordano direttamente con l’azienda per allungare la propria giornata lavorativa di altri 30 minuti, portandola fino a 9,5 ore al giorno, anche se ciò non è previsto nell’accordo sindacale. L’accordo ha il duplice scopo di evitare la cassa integrazione nei periodi di ridotta attività e le ore di straordinario nei periodi di maggiore attività. Accordi di questo tipo a volte riguardano non solo il personale del magazzino, ma anche quello degli altri reparti dell’azienda.

 

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

 

Impianto per la movimentazione dei capi

Si tratta di un sistema di monorotaie aeree, provviste di vari scambi, sulle quali scorrono supporti tubolari metallici (motorizzati o a spinta manuale) sui quali vengono appese le grucce con sopra i capi di abbigliamento. Gli scambi hanno lo scopo di indirizzare e smistare i capi, a seconda della destinazione finale, nelle varie linee di spedizione e/o verso le macchine imbustatrici. Per il comando degli scambi tra le varie monorotaie esistono soluzioni diverse, più o meno automatizzate. La parte terminale della monorotaia dell’impianto è dotata in genere di un’asta orizzontale telescopica, realizzata in modo da innestarsi nella monorotaia montata a bordo dei camion utilizzati per le consegne ai Clienti. Sistemi analoghi sono presenti in caso il magazzino sia posto su più piani collegati tra loro da ascensori-montacarichi, anch’essi dotati di monorotaie sul soffitto della cabina montacarichi.


 


Fig. n. 8: particolare dell’impianto per la movimentazione dei capi su monorotaia.

 


Imbustatrice automatica dei capi

Si tratta di una macchina automatica che ha lo scopo di imbustare i capi di abbigliamento entro buste di plastica trasparente; in genere la macchina è collegata ad un impianto per la movimentazione automatica dei capi, i quali sono posti su grucce e vengono introdotti automaticamente nella macchina. Essa è dotata di un supporto meccanico che scende dall’alto lungo guide verticali, che ha la funzione di portare con sé la busta di plastica tenendola tesa e allargata mentre la stessa viene calata intorno al capo di abbigliamento, fino a coprirlo completamente. Una volta che il supporto meccanico arriva al termine della propria corsa, il capo imbustato viene automaticamente espulso dalla macchina, eventualmente inviato ad una termosaldatrice per chiudere la busta, e quindi reimmesso nell’impianto di movimentazione per la spedizione, mentre un altro capo viene introdotto nella macchina e il ciclo ricomincia.

 



Fig. n. 9: imbustatrice automatica dei capi di abbigliamento.

 


Termosaldatrice delle buste di plastica

Si tratta di una macchina che ha lo scopo di chiudere il fondo della buste di plastica trasparente che avvolgono i capi di abbigliamento, per meglio garantire la protezione dei capi. La termosaldatrice è in genere collegata alla macchina imbustatrice senza soluzione di continuità e la movimentazione dei capi tra le due macchine è automatica. 

La termosaldatrice è essenzialmente costituita da due aste metalliche mobili riscaldate che si abbassano fino a toccare l’asta metallica fissa sulla quale è appoggiata la parte terminale della busta contenente il capo di abbigliamento. La saldatura tra i due lembi della busta avviene per combinazione di calore e pressione. A saldatura effettuata le due aste si rialzano, la plastica in eccesso viene aspirata e raccolta in un apposito contenitore, il capo imbustato viene espulso verso l’impianto di movimentazione per la spedizione, un nuovo capo imbustato viene introdotto nella macchina e il ciclo ricomincia.


 


Fig n. 10: termosaldatrice delle buste di plastica trasparente che proteggono i capi di abbigliamento.

 


FATTORI DI RISCHIO

 

Esposizione a inquinanti aeriformi (fumi di termosaldatura della plastica)

descrizione

La termosaldatura tra i due lembi della busta di plastica che avviene per combinazione di calore e pressione, può essere causa della diffusione di sostanze organiche volatili  nell’ambiente di lavoro.

danno atteso

Irritazione delle mucose e delle vie aeree superiori.

interventi prevenzionistici

-         Aspirazione localizzate il più vicino possibile alla fonte di emissione.

-         Informazione e formazione degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 303/1956 e s.m.i.

-         D.P.R. n. 626/1994 e s.m.i.

 

Esposizione a rumore

descrizione

Il rumore in questo reparto è dovuto prevalentemente alle macchine imbustatrici e termosaldatrici, ove presenti, e all’impianto per la movimentazione dei capi di abbigliamento, ove questo è motorizzato e automatico.

stima

L’esposizione personale al rumore misurata in prossimità di una macchina imbustatrice–termosaldatrice di una azienda di medie dimensioni del comparto ha evidenziato un livello equivalente Leq = 79,5 dB(A) e livelli di esposizione personale degli addetti sempre inferiore a 80 dB(A).

danno atteso

L’esposizione continuativa ai livelli di rumore sopra riportati, può essere causa di danni extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari misure preventive.

Oltre ai disturbi della comunicazione e della prestazione lavorativa, possono insorgere: effetti cardiovascolari (aumento della pressione sanguigna, ecc…); disturbi psichici (astenia, irritabilità, depressione, insonnia); disturbi a carico dell’apparato digerente.

prevenzione

-         E’ opportuno prevedere la separazione delle macchine rumorose (imbustatrice e termosaldatrice), dalla zona di stoccaggio e movimentazione dei capi, in modo da evitare l’esposizione indiretta al rumore di lavoratori non addetti a tali macchine.

-         Anche dove i livelli di rumore non sono considerati di particolare rischio per l’udito, è bene attuare tutte le possibili misure di riduzione del rumore rendendo l’ambiente idoneo a comunicazioni verbali con voce più bassa.

-         Nei casi di livelli di esposizione personale superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs. 277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”, riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di carattere generale”.

riferimenti normativi

-         Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).

-         D.Lgs. n. 645 del 1996, Allegato I.

 

Lavoro in prossimità di organi meccanici in movimento

descrizione

Gli organi lavoratori delle macchine imbustatrici e termosaldatrici possono essere causa di urti, presa e trascinamento degli arti superiori degli addetti.

Le parti mobili motorizzate appese alle monorotaie aeree, cariche dei capi di abbigliamento, potrebbero investire gli addetti se questi si trovano nel percorso della monorotaia.

danno atteso

Lesioni traumatiche per urto e schiacciamento, ferite e contusioni.

interventi prevenzionistici

-         E’ opportuno prevedere la separazione e la segnalazione della zona operativa da quella riservata al transito del personale.

-         Presenza di una segnalazione luminosa che si attivi automaticamente durante il funzionamento dell’impianto di movimentazione automatica su monorotaia aerea.

-         Segregare le zone pericolose con protezioni fisse o munite di dispositivo di interblocco.

-         Informazione e formazione degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 547 del 1955 e s.m.i.

-         D.Lgs. n. 626 del 1996 e s.m.i.

-         D.P.R. n. 459/1996 (Direttiva Macchine).

-         norme UNI e CEI

 

Lavoro in postazioni sopraelevate

descrizione

La macchina imbustatrice è dotata di scala a pioli per l’accesso alla parte alta della macchina.

danno atteso

Lesioni traumatiche per cadute dall’alto.

interventi prevenzionistici

-         scale di sicurezza, stabilmente fissate.

-         informazione e formazione degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 547 del 1955 e s.m.i.

-         D.Lgs. n. 626 del 1996 e s.m.i.

-         norme UNI

 

Lavoro in ambiente con attrezzature sospese e/o montate dal soffitto fino ad altezza d’uomo

descrizione

L’impianto di movimentazione dei capi su monorotaie fissate a soffitto è spesso montato ad altezza d’uomo, pertanto lavoratori alti possono urtare con la testa le parti metalliche delle monorotaie.

danno atteso

Lesioni traumatiche alla testa per urto (ferite e contusioni).

interventi prevenzionistici

-         installare l’impianto in ambienti con soffitti di altezza adeguata.

-         indossare l’elmetto di protezione della testa.

-         Informazione e formazione degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 547 del 1955 e s.m.i.

-         D.Lgs. n. 626 del 1996 e s.m.i.

 

Lavoro faticoso – movimentazione manuale dei carichi

descrizione

Dove l’impianto di movimentazione dei capi su monorotaie non è automatico, l’operazione di spinta manuale dei capi di abbigliamento sulle monorotaie aeree può richiedere un certo sforzo fisico, aggravato dal fatto che gli addetti svolgono la maggior parte delle proprie mansioni stando in piedi.

danno atteso

Disturbi muscoloscheletrici.

La fatica derivante dallo stare in piedi e da altre attività fisiche per le lavoratrici in gravidanza è stata spesso segnalata tra le cause di aborti spontanei, parti prematuri e neonati sottopeso. Inoltre la stazione eretta prolungata può aggravare la stasi venosa e i disturbi a carico della colonna vertebrale frequenti in gravidanza.

interventi prevenzionistici

-         Meccanizzare il più possibile la movimentazione, con soluzioni impiantistiche sicure.

-         Prevedere pause, turnazione con altre mansioni che consentano un cambio della posizione eretta/seduta.

-         Per le lavoratrici in gravidanza assicurare che il ritmo e l’intensità del lavoro non sia eccessivo. Favorire una gestione delle pause da parte della lavoratrice stessa. Assicurare che vi sia la possibilità di sedersi. L’adeguamento del posto di lavoro o delle procedure operative al crescere del volume addominale contribuisce a ridurre i problemi posturali e il rischio di infortuni.

-         Informazione, formazione degli addetti sia nell’assumere atteggiamenti e/o abitudini di vita e di lavoro adatte a proteggere la schiena e le altre articolazioni, sia nello svolgere utili esercizi di rilassamento, stiramento e rinforzo muscolare.

-         Sorveglianza sanitaria degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.Lgs. n. 626 del 1996 e s.m.i.

-         D.P.R. n. 1026 del 1976 Art. 5, lett. f, g

-         D.Lgs. n. 645 del 1996, Allegato I.

 

 

APPALTI ESTERNI

In genere questa fase lavorativa non è appaltata, salvo alcune singole operazioni come l’imbustamento e/o il controllo di qualità dei capi. In genere, una macchina imbustatrice è comunque presente in azienda, ad esempio per la sostituzione di buste che dovessero arrivare sporche a seguito del trasporto dalla ditta appaltatrice che ha realizzato i capi in serie. 

 

 

IMPATTO ESTERNO

 

Produzione di rifiuti

Nel caso sia necessario sostituire le buste di plastica trasparente che proteggono i capi finiti, ad esempio perché arrivate sporche dalla ditta appaltatrice che ha realizzato la produzione in serie dei capi di abbigliamento, le buste sostituite vengono raccolte e avviate allo smaltimento tramite ditte autorizzate. Ad esempio, una azienda di medie dimensioni del comparto ha dichiarato per l’anno 2000 una produzione complessiva di circa 13.900 Kg. di rifiuti di imballaggi di plastica (Cod. CER 150102).

 

 


MOVIMENTAZIONE MECCANICA DEI CARICHI

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

Nella fase lavorativa dello stoccaggio, controllo e preparazione tessuto, che in tale reparto si ricorre utilizzo di ausili per la movimentazione meccanica dei carichi, in particolare carrelli elevatori a trazione elettrica; approfondiamo qui alcune problematiche legate al loro utilizzo.

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

 

Carrelli elevatori

Si tratta di carrelli elevatori (chiamati anche muletti) a forche ad alimentazione elettrica.

In alcune aziende del comparto, per accedere tra le scaffalature poste a distanza inferiore a quella del normale raggio di manovra dei carrelli elevatori di tipo tradizionale, sono utilizzati carrelli elevatori con guida laterale (il cui sedile è orientato a 90° rispetto alla normale direzione di marcia).


Fig. n. 11: carrello elevatore a guida laterale.

 

 


FATTORI DI RISCHIO

 

I principali fattori di rischio potenzialmente presenti in questa fase lavorativa sono i seguenti:

 

Movimentazione meccanica dei carichi con carrelli elevatori

descrizione

Durante le operazioni di movimentazione può avvenire il ribaltamento del carrello elevatore nel caso in cui il carico non sia bene bilanciato e/o per asperità e dislivelli eccessivi del terreno, raggio di curvatura troppo stretto. In caso di ribaltamento l’addetto può  venire sbalzato fuori dal posto di guida e rimanere schiacciato sotto il carrello.

Può anche avvenire l’investimento di altri lavoratori da parte dei carrelli elevatori o dal materiale trasportato. In una azienda del comparto è recentemente accaduto un infortunio per investimento da parte di un carrello elevatore guidato in retromarcia.

Quando viene accatastato in modo non corretto, il materiale può cadere ed investire gli addetti.

danno atteso

Durante le suddette operazioni, gli addetti possono riportare gravi lesioni traumatiche

danno rilevato

Nei casi di infortunio accaduti in diversi comparti produttivi, le lesioni riportate per infortuni occorsi durante questa fase lavorativa sono risultate gravi o anche mortali.

prevenzione

I rischi sopra evidenziati possono essere limitati garantendo le seguenti condizioni:

·        sistemare o attrezzare i carrelli elevatori in modo da limitare i rischi di ribaltamento; a tal fine l'Art. 7, lettera b), punto 1.4 del D.Lgs. n. 359 del 04.08.1999, elenca una serie di possibili accorgimenti, come esempi delle possibili soluzioni attuabili, quali:

-       cabina per il conducente;

-       struttura concepita in modo tale da lasciare, in caso di ribaltamento del carrello elevatore, uno spazio sufficiente tra il suolo e talune parti del carrello stesso per il lavoratore o i lavoratori a bordo:

-       struttura che trattenga il lavoratore sul sedile del posto di guida per evitare che, in caso di ribaltamento del carrello elevatore, essi possano essere intrappolati da parti del carrello stesso.

·        dispositivi di trattenuta del conducente al posto di guida dei muletti, per eliminare il rischio di essere sbalzati fuori, in caso di ribaltamento.

·        pavimenti privi di buche, sporgenze o sconnessioni.

·        percorsi dei mezzi senza curve troppo strette, senza pendenze eccessive, preferibilmente a senso unico, oppure ampi a sufficienza per il passaggio di due carrelli caricati.

·        limitazione delle interferenze fra i percorsi dei mezzi e quelli pedonali.

·        percorsi pedonali e luoghi di stazionamento dei lavoratori protetti dal pericolo di investimento da parte di materiali stivati.

·        protezione delle uscite da locali o altri punti frequentati dai lavoratori, quando incrociano i percorsi dei mezzi.

·        buona illuminazione dei percorsi e tinteggiatura con colori chiari delle pareti dei locali di lavoro.

·        specchi parabolici ove occorrenti; in casi particolari valutare la possibilità di installare semafori.

·        segnalazione e, se necessario, protezione di eventuali ostacoli sul percorso dei carrelli elevatori.

·        individuazione di zone di attraversamento delle linee di trasporto che consentano il passaggio delle persone senza pericoli di investimento.

·        organizzazione spaziale e/o temporale del magazzino in modo da limitare al minimo le interferenze fra il carico e lo scarico del magazzino stesso.

·        idonei ancoraggi, funi ed imbracatura in tutti i casi in cui è necessario intervenire in altezza

·        i prodotti in entrata devono riportare l’indicazione del loro peso in modo che l’addetto possa verificare che il carrello ed il sistema di presa sia di adeguata capacità.

·        dispositivi acustici e luminosi di segnalazione di manovra dei mezzi.

·        mantenimento della visibilità dal posto di guida dei mezzi anche mediante opportuno posizionamento del carico trasportato, che comunque deve essere posizionato più in basso possibile in modo da garantire la stabilità del carrello; in casi occasionali in cui l’ingombro del carico sia tale da pregiudicare la visuale, il carrello può essere preceduto da un altro lavoratore che aiuti il carrellista nella manovra e segnali agli altri lavoratori eventualmente presenti nei dintorni, la presenza del trasporto.

·        preferenza dell’acquisto di mezzi con pedaliera analoga a quella degli automezzi.

·        limitazione della velocità dei mezzi in relazione alle caratteristiche del percorso, anche con eventuali dispositivi regolabili che limitano la velocità.

·        protezione degli organi di comando contro l’avviamento accidentale.

·        protezione del posto di guida contro il pericolo di investimento di corpi che possono cadere dall’alto.

·        regolare manutenzione e periodica revisione del mezzo meccanico e delle sue varie componenti.

·        il conducente deve guidare con prudenza senza fare sporgere gambe o braccia dall’abitacolo di guida, prestare particolare attenzione in retromarcia, condurre il carrello all’interno dei percorsi segnalati a terra, interrompere il lavoro se qualcuno si trova nel raggio di azione del mezzo, inserire il freno prima di lasciare il carrello in sosta.

·        disporre il divieto di trasportare persone facendole salire sulle forche di sollevamento.

·        puntuale informazione, formazione, ed addestramento dei lavoratori all’uso corretto e sicuro dei mezzi nelle diverse condizioni di impiego. Ad esempio l’addetto deve essere sapere come comportarsi se il mezzo dovesse accidentalmente ribaltarsi, ovvero: non buttarsi giù dal mezzo, ma tenersi saldamente al volante, puntare i piedi e inclinarsi dalla parte opposta a quella di ribaltamento.

riferimenti normativi

-         Art. 8 “Vie di circolazione, zone di pericolo, pavimenti e passaggi” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 11 “Posti di lavoro e  di passaggio e luoghi di lavoro esterni” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. X, Capo III, Art. 381 "Protezione del capo" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. V “Mezzi ed apparecchi di sollevamento, trasporto e immagazzinamento” (Capo I “Disposizioni generali”, Capo II “Gru, argani, paranchi e simili”, Capo III “Ascensori e montacarichi”, Capo V “Mezzi ed apparecchi di trasporto meccanici”) D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 10 “Illuminazione naturale e artificiale dei luoghi di lavoro”  D.P.R. n. 303 del 19.03.1956.

-         Tit. II, Capo V "Illuminazione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         All. 1 "Requisiti essenziali di sicurezza e di salute relativi alla progettazione e alla costruzione delle macchine e dei componenti di sicurezza" D.P.R. n.459 del 24.07.1996.

-          Norme UNI 9288, 9289, 9290, 9291, 9292, 9293, UNI EN 281, 614/1, UNI ISO 1074, 2328, 2330, 2331, 3287, 3691, 5053, 5767, 6055 (vedere 6.1.37).

 

Lavoro in prossimità di organi meccanici in movimento

descrizione

Gli organi meccanici mobili del carrello elevatore possono essere causa di presa, impigliamento, cesoiamento.

danno atteso

Lesioni temporanee e permanenti per presa, trascinamento, taglio, amputazione, schiacciamento degli arti.

prevenzione

Le parti pericolose devono essere rese inaccessibili tramite adeguati ripari fissi.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 547 del 1955 e s.m.i.

-         D.Lgs. n. 626 del 1996 e s.m.i.

-         D.P.R. n. 459/1996 (Direttiva Macchine).

-         norme UNI e CEI

 

Lavoro in posture incongrue

descrizione

In caso vengano utilizzati carrelli elevatori a guida laterale (il cui sedile è orientato a 90° rispetto alla normale direzione di marcia), le modalità di conduzione del mezzo richiedono che l’addetto, per rivolgere lo sguardo nella direzione di marcia, debba assumere una postura seduta con torsione (verso destra o verso sinistra) del collo e del tronco, e debba mantenere questa posizione durante tutta la marcia del mezzo. Ad esempio, se nel percorso di andata l’addetto si torce verso destra, nel percorso di ritorno l’addetto si torce verso sinistra.

danno atteso

Disturbi muscolo scheletrici, maggior rischio di infortuni per investimento di altri lavoratori, per riduzione del campo visivo.

prevenzione

L’utilizzo di carrelli elevatori con posto di guida a 90° rispetto al normale senso di marcia è altamente sconsigliato. È opportuno distanziare sufficientemente le scaffalature in modo poter utilizzare carrelli elevatori a guida normale, oppure dotare il carrello elevatore di sedile girevole e doppi comandi.

riferimenti normativi

-         D.Lgs. n. 626 del 1996 e s.m.i.

 

Movimentazione manuale dei carichi.

descrizione

L’operazione di sostituzione delle batterie dei muletti richiede la loro movimentazione.

danno atteso

La movimentazione manuale può comportare disturbi e danni muscolo – scheletrici.

prevenzione

I rischi connessi alla movimentazione manuale dei carichi possono essere ridotti utilizzando mezzi meccanici di sollevamento per le batterie.

Si può anche mettere sotto carica la batteria del muletto lasciandola a bordo del mezzo stesso. In questo caso il carica batterie viene posto all’interno di un locale apposito mentre il mezzo sosta sotto una tettoia nel piazzale in prossimità della parete esterna del locale sulla quale sono poste prese e spine per il collegamento elettrico; questa soluzione limita anche l’esposizione agli acidi degli accumulatori elettrici e il rischio di esplosione e incendio.

Nel caso della movimentazione manuale occorre procedere alla valutazione del rischio in sede di misure attuative del D.Lgs. 626/94 ed informare e formare gli addetti.

riferimenti normativi

-         Tit. V e All. 6 del D.Lgs. n.626 del 10.09.1994.

-         Norma UNI ISO 938

 

Esposizione a vibrazioni

descrizione

La guida dei mezzi meccanici (carrello elevatore) può essere causa di esposizione a vibrazioni.

danno atteso

L’esposizione continuativa a vibrazioni può causare una malattia professionale detta Sindrome di Raynaud (anche conosciuta come fenomeno del dito bianco). Si tratta di una alterazione vasoplastica della microcircolazione delle mani per esposizione a vibrazioni e favorita da esposizione alle basse temperature e dal fumo di sigaretta. L’insorgenza di questa patologia è correlata ai tempi ed all’entità di esposizione.

prevenzione

Utilizzare mezzi del tipo a bassa vibrazione e minore impatto vibratorio, oltre a effettuare su di essi  una accurata manutenzione.

riferimenti normativi

-         D.M.L. del 18.04.1973 "Elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali"

-         Art. 46, capo I, Tit. III "Scuotimenti e vibrazioni delle macchine" D.P.R. n. 547 del 27.04.1955.

-         Art. 24, capo II, Tit. II "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n. 303 del 19.3.1956

-         9.9.3 Direttiva CEE/CEEA/CE n. 663 del 22.12.1986: "Direttiva del Consiglio del 22 dicembre 1986 per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai carrelli semoventi per movimentazione".

-         1.5.9 Direttiva CEE/CEEA/CE n. 392 del 14.06.1989: "Direttiva del Consiglio del 14 giugno 1989 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine".

-         1.5.9 "Campo di applicazione e definizioni" e 3.2.2 "Norme armonizzate e disposizioni di carattere equivalente"  D.P.R. n. 459 del 24.07.1996

-         Comunicazione CE 22 marzo 1997 (CEN-EN 1032): "Comunicazione della Commissione nel quadro dell'applicazione della direttiva 89/392/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1989, relativa alle macchine, modificata dalle direttive del Consiglio 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE".

-         Norma UNI-EN n. 30326-1 del 01.04.1997 (vedere 6.1.37): "Vibrazioni meccaniche - Metodo di laboratorio per la valutazione delle vibrazioni sui sedili dei veicoli - Requisiti di base".

-         D.M. 30.05.1997 (UNI-EN 1033, 1997) "Elenco delle norme armonizzate adottate ai sensi del comma 2 dell'Art. 3 del D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459 (2): «Regolamento per l'attuazione delle direttive del Consiglio 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle medesime»".

-         Comunicazione CE del 04.06.1997 (CEN-EN 1299, 1997): "Comunicazione della Commissione nel quadro dell'applicazione della direttiva 89/392/CEE del Consiglio del 14 giugno 1989 relativa alle macchine, modificata dalle direttive 91/368/CEE, 93/44/CEE  e 93/68/CEE".

 

Manipolazione di oli minerali

descrizione

I carrelli elevatori, come la generalità delle macchine, necessitano di oli minerali come lubrificanti degli organi meccanici.

danno atteso

Gli oli minerali sono una classe di composti che possono presentare rischi per i lavoratori di danni di tipo acuto (allergie, dermatiti) e di tipo cronico (tumori).

La IARC suddivide gli oli in due grandi categorie:

-         non severamente raffinati: classificati certamente cancerogeni per l’uomo (Gruppo 1).

-         severamente raffinati: classificati tra le sostanze per le quali non è possibile esprimere un giudizio di cancerogenicità (Gruppo 3).

L’Unione Europea, invece, nel classificare i prodotti derivanti dal petrolio e dal carbone (tra cui ovviamente gli oli minerali) ha seguito un diverso criterio da quello della raffinazione ”tal quale”: le miscele di sostanze derivate dal petrolio e dal carbone vengono considerate sostanze a cui è stato attribuito un univoco numero di identificazione CAS ed un univoco numero di indice CE, classificando circa 600 sostanze come cancerogene (R45) a meno che il produttore non possa dimostrare che contengono (D.P.R. n. 52/97):

-         meno dello 0,1% peso/peso di 1,3-butadiene

-         meno dello 0,1% peso/peso di benzene

-         meno del 3% di estratto Dmso (Dimetilsolfossido) secondo la misurazione IP 346

-         meno del lo 0,005% peso/peso di benzo (a) pirene

oppure se il produttore, conoscendo l’intero iter di raffinazione, può dimostrare che la sostanza da cui il prodotto è derivato non è cancerogena.

Quindi, anche in questo caso, è fondamentale la lettura dell’etichetta e della scheda dei dati di sicurezza e che questi strumenti siano correttamente compilati.

prevenzione

Utilizzare oli minerali del tipo meno pericoloso (oli severamente raffinati) ed evitare l’imbrattamento, specie durante il prelievo degli oli esausti. È pertanto necessario utilizzare D.P.I. (guanti, tuta, grembiuli, occhiali) ed evitare di tenere in tasca stracci o utilizzare guanti impregnati di olio minerale. È importante una adeguata informazione, formazione, e sorveglianza sanitaria degli esposti.

riferimenti normativi

-         Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.

-         Tit. VII del D.Lgs. n.626/94 “Protezione da agenti cancerogeni”, così come modificato dal D.Lgs. n. 66 del 25.02.2000.

-         DPR n. 336 del 1994 (Malattie professionali).

-         D.Lgs. n. 66 del 25.02.2000 “Attuazione delle direttive 1997/42/CE e 1999/38/CE, che modificano la direttiva  90/394/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i  rischi  derivanti  da esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro”.

 

Esposizione ad acidi di accumulatori elettrici

descrizione

Durante la ricarica delle batterie di carrelli a trazione elettrica, i lavoratori possono essere esposti ad acidi contenuti nelle batterie.

danno atteso

Irritazione e ustione chimica della cute e delle mucose con cui vengono in contatto.

prevenzione

L’inalazione di vapori degli acidi presenti negli accumulatori elettrici viene limitata effettuando la ricarica in locale separato adeguatamente aerato. Se l’aerazione naturale non è sufficiente è necessario un sistema di aspirazione. In alternativa possono essere utilizzati apparecchi di ricarica chiusi e posti sotto aspirazione.

Una ulteriore soluzione può essere quella di mettere sotto carica la batteria del muletto lasciandola a bordo del mezzo stesso. In questo caso il carica batterie viene posto all’interno di un locale apposito mentre il mezzo sosta sotto una tettoia nel piazzale in prossimità della parete esterna del suddetto locale; questa soluzione evita anche il problema della movimentazione dei carichi per la sostituzione delle batterie.

Per evitare il contatto degli acidi con la pelle, durante le operazioni di movimentazione per la sostituzione delle batterie, i tappi devono essere chiusi e i lavoratori devono indossare guanti antiacido. L’aggiunta dell’acqua demineralizzata agli elementi delle batterie può avvenire tramite un sistema automatico, con valvola di ritegno che eviti la fuoriuscita della soluzione acida.

riferimenti normativi

-         Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. II, Art. 9 “Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi” e Capo II “Difesa dagli agenti nocivi” del D.P.R. n.303 del 19.03.1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”.

-         Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.

-         Norme UNI EN 626/1, 626/2, 1093/4, UNI  9293.

-         DPR n. 336 del 1994 (Malattie professionali).

 

Sviluppo di sostanze capaci di creare miscele esplosive con l’aria

descrizione

L’operazione di ricarica degli accumulatori dei carrelli a trazione elettrica comporta il pericolo di incendio – esplosione. Infatti, durante la ricarica, il passaggio della corrente elettrica determina un processo di elettrolisi con sviluppo di idrogeno. Si ha anche una parziale evaporazione degli acidi forti contenuti nella batteria. Pertanto, in assenza di idonea aerazione, si può arrivare ad un livello di saturazione ambientale che può determinare la formazione di una miscela esplosiva.

Se avviene l’esplosione si può anche verificare la proiezione violenta degli acidi forti contenuti nella batteria.

danno atteso

In caso di incendio-esplosione, gli addetti possono riportare gravi ustioni, lesioni traumatiche, intossicazioni. Se investiti da schizzi di acido della batteria, possono riportare anche ustioni cutanee e lesioni agli occhi.

prevenzione

Per ridurre i rischi derivanti dalla ricarica degli accumulatori elettrici è necessario effettuare questa operazione in locale separato dai restanti locali di lavoro, adeguatamente aerato. L’impianto elettrico deve rispondere alle norme per gli ambienti a maggior rischio in caso di incendio (CEI 64-8). È opportuno che in tale locale non siano presenti altri materiali infiammabili. In caso di ricarica sotto aspirazione localizzata, i parametri geometrici dell’impianto di aspirazione devono essere adeguatamente dimensionati in relazione alla velocità di aspirazione per evitare che si formino miscele esplosive con l’aria.

La protezione antincendio deve prevedere la presenza almeno di estintori a polvere, del tipo omologato. Nei casi a rischio più elevato può essere opportuno installare un impianto di spegnimento automatico (ad esempio del tipo a CO2).

È necessaria la valutazione dettagliata del rischio d’incendio in base a quanto previsto dal D.M. del 10.03.98.

riferimenti normativi

-         Art. 19 “Separazione del locali nocivi”  D.P.R. n. 303 del 19.03.1956.

-         Art. 20 “Difesa dell’aria dagli inquinamenti con prodotti nocivi” D.P.R. n. 303/56.

-          Art. 303 “Accumulatori elettrici”  D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         D.M. (Industria) del 01.03.1989 "Recepimento della direttiva CEE/88/571, sull'aggiornamento al progresso tecnico dei metodi di protezione del materiale elettrico antideflagrante"

-         D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 e s.m.i.

 

 

IMPATTO ESTERNO

 

I principali fattori di impatto ambientale di questa fase lavorativa sono i seguenti:

 

Emissioni in atmosfera

Sono costituite dalle emissioni dei vapori degli acidi emessi durante la ricarica delle batterie. In genere si tratta di emissioni non convogliate, che hanno un impatto ambientale relativamente basso stante le ridotte quantità di emissione.

 

Produzione di rifiuti

I principali rifiuti prodotti in questa fase sono gli oli esausti e le batterie esauste dei carrelli elevatori. Tali rifiuti vengono ritirati da ditte specializzate (si veda il paragrafo 4.1).

L’olio esausto va tenuto, prima del conferimento alla ditta incaricata al ritiro, in modo idoneo ed in condizioni di sicurezza per l’ambiente e per gli addetti. Pertanto devono essere utilizzati contenitori adatti ad eliminare i rischi di rottura e sversamento. Contenitori adatti a questo scopo devono rispondere a regole precise. In particolare devono essere provvisti di:

·        idonee chiusure per impedire la fuoriuscita del contenuto;

·        accessori e dispositivi atti ad effettuare in condizioni di sicurezza il riempimento e lo svuotamento;

·        bacini di contenimento in caso di rotture o sversamenti;

·        mezzi di presa per rendere sicure le operazioni di movimentazione.

La sistemazione dei contenitori deve essere studiata per evitare al massimo gli urti accidentali ed altri gravi inconvenienti.

In procinto di raggiungere la capacità massima del contenitore di olio usato chiamare esclusivamente l’incaricato del Consorzio Obbligatorio degli oli usati e conferirgli l’olio in condizioni di sicurezza (il conferimento al Consorzio di olio usato non inquinato avviene a titolo gratuito), ponendo la massima attenzione alla movimentazione dei contenitori ed alla situazione di lavoro intorno alle operazioni di trasferimento del liquido.

Le batterie al piombo esauste sono pericolose per l’uomo e per l’ambiente perché contengono il 60-65% in peso di piombo e il 20-25% di acido solforico diluito. Il piombo interferisce sui processi biochimici vitali e la sua azione attacca fegato, sistema nervoso ed apparato riproduttivo, l’acido solforico provoca ustioni e contamina le acque. Inoltre l’acido solforico è classificato dalla ACGIH come sospetto cancerogeno.

Le batterie esauste devono essere conferite al raccoglitore incaricato COBAT.

 

 

I principali fattori di rischio ambientale di questa fase lavorativa sono i seguenti:

 

Sversamenti di acido solforico e contaminazione del suolo con piombo.

In caso di rottura delle batterie durante la loro movimentazione si possono verificare sversamenti della soluzione acida; sversamenti sono possibili anche durante la ricarica delle batterie e durante lo stoccaggio provvisorio delle batterie esauste nell’attesa del ritiro da parte dello smaltitore. In caso di sversamento si può verificare l’inquinamento del suolo e delle acque. La batteria al piombo esausta è pericolosa per l’uomo e per l’ambiente perché contiene il 60-65% in peso di piombo e il 20-25% di acido solforico diluito. Il piombo interferisce sui processi biochimici vitali e la sua azione attacca fegato, sistema nervoso ed apparato riproduttivo, l’acido solforico provoca ustioni e contamina le acque. Inoltre l’acido solforico in nebbie di acidi forti è classificato dalla ACGIH come sospetto cancerogeno.

L’aggiunta dell’acqua demineralizzata agli elementi delle batterie può avvenire tramite un sistema automatico, con valvola di ritegno che eviti la fuoriuscita della soluzione acida; durante le operazioni di movimentazione per la sostituzione delle batterie, i tappi devono essere chiusi.

I luoghi di ricarica devono essere conformati in modo da evitare sversamenti, ad esempio può essere predisposto un apposito canale di raccolta, coperto da grigliato in materiale antiacido, e dotato di pozzetto di accumulo e neutralizzazione; l’acido raccolto nel pozzetto deve essere neutralizzato e rimosso.

I lavoratori devono essere adeguatamente formati per la gestione dell’evento accidentale, sia per quanto riguarda la protezione dell’ambiente, sia per le norme di prevenzione di salute e sicurezza.

In attesa dell’arrivo del raccoglitore incaricato COBAT, le batterie esauste vanno depositate temporaneamente in contenitori mobili costituiti in materiale antiacido e dotati delle seguenti caratteristiche (deliberazione Comitato interministeriale 27 luglio 1984):

·        dotati di idonee chiusure per impedire la fuoriuscita del contenuto;

·        dotati di maniglie per rendere sicure ed agevoli le operazioni di movimentazione;

·        utilizzare accessori e dispositivi atti ad effettuare in condizioni di sicurezza le operazioni di riempimento e svuotamento;

·        le sponde siano più alte di almeno 20 cm dall’altezza massima dell’accumulo previsto;

·        contrassegno con etichetta o targa visibili, apposte sui recipienti stessi o collocate nelle aree di stoccaggio;

·        i recipienti che hanno contenuto le batterie e non reimpiegati per gli stessi tipi di rifiuti, devono essere sottoposti a trattamenti di bonifica appropriati ai nuovi usi. Non possono però essere mai utilizzati per contenere prodotti alimentari.

 

Sversamenti di oli minerali sul suolo o nelle acque

La sostituzione dell’olio usato dei muletti e le operazioni di rabbocco dell’olio devono essere effettuate in condizioni di massima sicurezza ed igiene per evitare che operazioni approssimative o mezzi tecnici non adeguati producano spandimenti e sversamenti sul suolo o nelle acque, perciò vanno usate tutte le cautele e le professionalità necessarie per eseguire il lavoro a regola d’arte.

È quindi indispensabile che i datori di lavoro impartiscano adeguate istruzioni al personale dipendente e agli apprendisti per la corretta gestione degli oli usati ai fini della protezione ambientale, senza trascurare le disposizioni igieniche e sanitarie a protezione della salute e della sicurezza: gli oli sono fonte di rischi (scivolamenti, incendi, intossicazioni) che vanno valutati e ridotti secondo le norme previste dagli appositi decreti legislativi 626/94 e 242/96.

 

Incendio – esplosione

L’incendio-esplosione del locale ricarica batterie può comportare danni strutturali interessanti anche altre parti dell’edificio, oltre che la propagazione dell’incendio ai locali limitrofi.

 

 


CENTRALE TERMICA - PRODUZIONE DI VAPORE

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

La produzione del vapore che viene utilizzato nelle varie fasi dell'impianto come sopra descritto, avviene tramite centrali termiche di rilevante potenzialità produttiva, alimentate con vari combustibili (gas metano oppure olio combustibile) e poste in locali appositi.

Ad esempio una delle aziende del comparto, caratterizzata da una produzione di tipo industriale, dispone di n. 2 caldaie con le seguenti caratteristiche:

 

 

Caldaia n.1

Caldaia n.2

Alimentazione

gasolio

gasolio

Produzione di vapore

3 t./h

1 t./h

Pressione

12 bar

12 bar

 

Fino ad alcune decine di anni fa erano installati solo generatori di vapore alimentati ad olio combustibile denso. Successivamente, tenendo presenti le problematiche derivanti dall'inquinamento atmosferico (D.P.R. 203/88), i generatori di vapore sono stati alimentati a olio combustibile fluido 3-5 °E, e adesso si tende a convertirle a metano.

Tenute presenti le potenzialità in gioco e la pressione massima necessaria del vapore, tali generatori di vapore possono essere di due tipi: a tubi di fumo o a tubi d'acqua.

I più moderni generatori di vapore sono dotati dei vari sistemi di recupero del calore (pressurizzazione della camera di combustione delle caldaie, preriscaldatori d'aria e/o economizzatori nel giro fumi dei generatori, degasatori per il recupero delle condense).

Dal momento che i citati generatori di vapore necessitano della presenza continua dei conduttori patentati, secondo le norme di cui al D.M. 01.03.1974, si è estesa sempre più l'installazione di generatori ad olio diatermico dotati di scambiatori - evaporatori in grado di produrre, a loro volta, vapore alla pressione richiesta. Il crescente successo di tali tipi di generatori di calore è dovuto al fatto che gli stessi non richiedono la presenza del conduttore patentato.

 

L’acqua utilizzata nell’impianto termico necessita di essere preventivamente demineralizzata mediante un apposito impianto. Questo trattamento può essere ottenuto tramite due sistemi diversi: osmosi inversa oppure attraverso resine scambiatrici di ioni.

 

Il principio dell'osmosi inversa consiste nell'estrarre i sali minerali contenuti nell'acqua, facendola passare ad una pressione di circa 20 bar attraverso membrane semipermeabili che lasciano passare acqua demineralizzata trattenendo i sali che vi erano disciolti. L'impianto a osmosi inversa è essenzialmente costituito da una pompa che alza la pressione dell'acqua, dal modulo contenente le membrane semipermeabili e da due misuratori di flusso, uno sul concentrato (liquido contenente i sali che vengono trattenuti dalle membrane) e l'altro sul permeato (acqua demineralizzata). I misuratori di flusso hanno lo scopo di controllare che la produzione sia quella desiderata. Normalmente, sulla linea del permeato viene installato un rilevatore di salinità costituito da un conduttivimetro che segnala immediatamente una eventuale rottura della membrana perché in questo caso l'acqua in uscita avrebbe caratteristiche pressoché uguali a quella in entrata mettendo a rischio il buon funzionamento della caldaia. Il concentrato viene scaricato verso l'impianto di depurazione delle acque.

 

Gli impianti a resine scambiatrici di ioni, hanno lo scopo di trasformare tutti i sali contenuti in nell'acqua da demineralizzare, mediante successivi scambi ionici. Tali scambi ionici avvengono, di norma, in due colonne contenenti resina cationica forte la prima e resina anionica forte la seconda. Nelle colonne avvengono le seguenti reazioni chimiche:

Ø      Colonna cationica:                    NaCl  +  H - R    ®    HCl   +  Na - R

Ø      Colonna anionica:                     HCl  +  R - OH   ®    H2O  +   R -  Cl

(dove con  R  è indicata la resina scambiatrice).

La rigenerazione delle colonne avviene con lavaggi in controcorrente con una soluzione acida (di solito a base di acido cloridrico) per quella cationica e con una soluzione alcalina (di solito a base di soda caustica) per quella anionica, sfruttando così le reazioni inverse a quelle descritte sopra.

In certi casi, specie per grossi impianti termici, tra le due colonne è posta una torre di decarbonatazione.

Per ottimizzare la demineralizzazione talvolta viene aggiunta una terza colonna con il compito di eliminare la silice.

L’acido cloridrico e l’idrossido di sodio (soda) utilizzati per la rigenerazione delle resine vengono stoccati in serbatoi che alimentano l’impianto tramite tubazioni.

 

Gli impianti ad osmosi inversa si stanno affermando rispetto a quelli a resine scambiatrici di ioni perché, nonostante che i primi presentino costi maggiori, essi sono di più facile gestione ed evitano gli scarichi idrici dovuti al lavaggio delle resine scambiatrici.

 

La centrale termica richiede interventi di manutenzione periodica ordinaria e straordinaria, anche in corrispondenza delle verifiche obbligatorie previste per Legge.

 

FATTORI DI RISCHIO

 

I principali fattori di rischio potenzialmente presenti in questa fase lavorativa sono i seguenti:

 

Esposizione a prodotti chimici

descrizione e danno atteso

Il trattamento di demineralizzazione dell’acqua, talvolta prelevata da pozzi artesiani e immessa nell'impianto produzione calore in elevati quantitativi medi giornalieri, comporta l'impiego di vari prodotti chimici che possono essere causa di danni alla salute dei lavoratori. In particolare:

-         Soda: il contatto con soluzioni di soda, essendo un prodotto caustico, può provocare lesioni alla cute ed agli occhi. Il rischio di contatto è maggiore nelle operazioni di travaso dalle autocisterne ai serbatoi. L’esposizione ai vapori può provocare irritazione per occhi e prime vie aeree.

-         Acido cloridrico: il contatto con soluzioni di acido cloridrico, può provocare lesioni alla cute ed agli occhi. L’esposizione ai vapori può provocare irritazione per occhi e prime vie aeree.

-         Idrazine: vengono utilizzate allo scopo di ridurre l’acidità dell’acqua di caldaia ed evitare la corrosione delle tubazioni ed altre superfici metalliche dell’impianto. Alcune idrazine sono classificare dalla CEE come cancerogene (R45). Inoltre possono esercitare un’azione epato-nefrotossica e irritante sulle persone esposte. Si tratta di prodotti molto infiammabili capaci di formare miscele esplosive con l'aria.

prevenzione

L’azienda deve richiedere ai propri fornitori le schede di sicurezza dei prodotti chimici utilizzati, renderle rapidamente disponibili per i lavoratori e valutare attentamente la possibilità di sostituire i prodotti più pericolosi con formulati meno tossici. I serbatoi e le tubazioni devono essere dotati della prescritta etichettatura.

Per eventuale prelievo, trasporto e dosaggio manuale dei suddetti prodotti possono essere utilizzate attrezzature atte ad evitare sgocciolamenti, sversamenti e diffusione di vapori, quali ad esempio rubinetti autochiudenti, pompe di travaso dotate di valvole di ritegno, contenitori di sicurezza a chiusura ermetica con tappo provvisto di molla autochiudente e beccuccio di scarico flessibile.

 

I serbatoi dei prodotti chimici diversi devono essere dotati di bacini di contenimento separati, per evitarne la possibilità di miscelazione.

E’ necessario che gli addetti indossino Dispositivi di Protezione Individuali (D.P.I.) quali guanti, grembiuli, maschere, ecc… nelle fasi di preparazione e impiego, che vengano informati circa i rischi ed i danni potenziali a seguito dell’esposizione, che vengano formati alle corrette procedure di lavoro in sicurezza e che siano messi a loro disposizione servizi igienico assistenziali: armadietti con doppio scomparto per separare gli indumenti da lavoro da quelli civili, lavabi, docce, lavaocchi, ecc…. I lavoratori devono essere sottoposti ad opportuna sorveglianza sanitaria.

riferimenti normativi

-         Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. II, Art. 9 “Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi” e Capo II “Difesa dagli agenti nocivi” del D.P.R. n.303 del 19.03.1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”.

-         D.M. (Industria) del 01.03.1989 "Recepimento della direttiva CEE/88/571, sull'aggiornamento al progresso tecnico dei metodi di protezione del materiale elettrico antideflagrante"

-         Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.

-         Norme UNI EN 626/1, 626/2, 1093/4, UNI  9293.

-         DPR n. 336 del 1994 (Malattie professionali).

 

Esposizione a gas di combustione

descrizione

La centrale termica può rilasciare i prodotti della combustione (NOx, CO, ecc.) nell'aria del locale.

danno atteso

L'esposizione ai prodotti di combustione che ristagnano nell'ambiente di lavoro può comportare fenomeni di intossicazione da ossido di carbonio (CO), irritazione delle mucose congiuntivali, delle prime vie aeree e broncopneumopatie.

prevenzione

Nei locali delle caldaie, per evitare il rischio di inalazione di gas tossici, occorre verificare che il tiraggio della caldaia sia mantenuto in perfetta efficienza e non debbano verificarsi fuoriuscite dei gas di combustione nell’ambiente di lavoro e comunque garantire l’arieggiamento costante dei locali caldaia.

In caso di interventi straordinari di manutenzione, devono essere messi a disposizione degli addetti idonei DPI.

riferimenti normativi

-         Art. 236 "Lavori entro tubazioni, canalizzazioni, recipienti e simili nei quali possono esservi gas e vapori tossici o asfissianti" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. II, Art. 9 “Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi” e Capo II “Difesa dagli agenti nocivi” del D.P.R. n.303 del 19.03.1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”.

-         Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.

-         Tit. VII del D.Lgs. n.626/94 “Protezione da agenti cancerogeni”, così come modificato dal D.Lgs. n. 66 del 25.02.2000.

-         Norme UNI EN 626/1, 626/2, 1093/4, UNI  9293  (vedere 6.1.37).

-         DPR n. 336 del 1994 (Malattie professionali).

-         D.Lgs. n. 66 del 25.02.2000 “Attuazione delle direttive 1997/42/CE e 1999/38/CE, che modificano la direttiva  90/394/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i  rischi  derivanti  da esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro”.

 

Movimentazione manuale dei carichi

descrizione

Nelle operazioni necessarie alla conduzione della centrale termica è presente un rischio da movimentazione carichi, dovuto all’utilizzo di prodotti chimici contenuti in sacchi di carta del peso di circa 25 Kg.

danno atteso

Possibili disturbi muscoloscheletrici.

prevenzione

-         Per la movimentazione manuale dei carichi, dove possibile, devono essere impiegati ausili meccanici (apparecchi di sollevamento ecc.).

-         Informazione, formazione, sorveglianza sanitaria degli addetti.

riferimenti normativi

-         Tit. V e All. 6 del D.Lgs. n.626 del 10.09.1994.

-         Norma UNI ISO 938.

 

Esposizione a rumore

descrizione

Il rumore il questa fase lavorativa deriva prevalentemente dai bruciatori delle caldaie, le quali sono collocate in locali separati dagli altri ambienti di lavoro, ma la conduzione dell'impianto può richiedere una presenza continua dell'addetto.

stima

L’impianto di produzione del vapore sviluppa elevati livelli di rumorosità. I valori di livello equivalente (Leq) di rumore prodotto dalla caldaia in dB(A), evidenziano l’entità del problema, come si può vedere nella tabella seguente:

 

 Tabella - Livello equivalente in dB(A) del rumore nel locale caldaia.

Leq max

Leq min

Leq medio

91.4

83.5

89.6

 

In una azienda di medie dimensioni del comparto, sono ad esempio esposti n. 2 lavoratori (uno a turno), addetti al controllo della caldaia con un livello di esposizione personale al rumore Lep,w = Lep,d = 73 dB(A).

danno atteso

L’esposizione continuativa a livelli di rumore medio-alti può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari misure preventive.

Oltre ai disturbi della comunicazione e della prestazione lavorativa, possono insorgere: effetti cardiovascolari (aumento della pressione sanguigna, ecc…); disturbi psichici (astenia, irritabilità, depressione, insonnia); disturbi a carico dell’apparato digerente.

prevenzione

Per ridurre il rumore è necessaria una buona coibentazione termico-acustica dell’impianto, e mantenere in buono stato di manutenzione ed efficienza bruciatori, aspiratori e ventilatori. Inoltre devono essere evitati sfiati liberi di vapore. In caso di rumorosità eccessiva l’operatore deve poter disporre di una cabina insonorizzata e climatizzata e di D.P.I. (cuffie, tappi antirumore) per gli interventi di manutenzione.

Nei casi di livelli di esposizione personale superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs. 277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”, riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di carattere generale”.

riferimenti normativi

-         Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).

 

Esposizione a microclima sfavorevole e lavoro in prossimità di superfici calde

descrizione

La caldaia e le condutture dell’impianto termico possono presentare una elevata temperatura; nel locale si può determinare un microclima sfavorevole.

danno atteso

L'esposizione a microclima sfavorevole e a calore radiante può determinare disturbi da scomfort termico, riduzione della capacità lavorativa, stress psico fisico.

In caso di contatto cutaneo con superfici ad elevata temperatura, si possono verificare infortuni per ustioni di vario grado e lesioni cutanee.

prevenzione

-         Proteggere tutte le superfici calde mediante coibentazione.

-         Indossare guanti anticalore ed indumenti adeguati.

-         Predisporre locali di ristoro e cabine climatizzate.

-         Informazione, formazione e sorveglianza sanitaria degli addetti.

riferimenti normativi

-         Art. 9 “Ricambio dell’aria”, Art. 11 “Temperatura” e Art. 13 “Umidità” D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Art. 240 "Protezione delle pareti esterne a temperatura elevata" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 378 "Abbigliamento" e Art. 379 "Indumenti di protezione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Norma UNI EN 563 del 30.06.95 Sicurezza del macchinario. Temperature delle superfici di contatto. Dati ergonomici per stabilire i valori limite di temperatura per le superfici calde. La norma presenta i dati ergonomici e il loro uso per stabilire i valori limite di temperatura per superfici calde e per la valutazione dei rischi di ustione.

 

Esposizione ad amianto

descrizione

Durante l’esecuzione di lavori di manutenzione e coibentazione su guarnizioni, raccordi e condutture dell’impianto termico, nel caso tali interventi vengano effettuati su un vecchio impianto nel quale era stato utilizzato l’amianto prima che questo venisse vietato (D.L. 257/92), gli addetti possono essere esposti a polveri di amianto.

danno atteso

L’inalazione di polveri di amianto può provocare asbestosi, mesoteliomi e tumori polmonari.

prevenzione

In caso di lavori di demolizione – rimozione di parti dell’impianto termico contenenti amianto, è necessario notificare alla Azienda Sanitaria Locale competente per territorio, il relativo piano di lavoro in sicurezza ai sensi dell’Art. 34 del D.Lgs. n. 277/91. Tali operazioni, quando necessarie, vengono di solito affidate a ditte specializzate.

riferimenti normativi

-         Capo III “ Protezione dei lavoratori contro i rischi connessi all'esposizione ad amianto durante il lavoro” del D.Lgs. n. 277 del 15.08.1991 “Attuazione delle direttive 80/1107/CEE, 82/605/CEE, 83/477/CEE, 86/188/CEE e 88/642/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro, a norma dell’Art. 7 Legge n.212 del 30.07.1990”.

-         Legge n.257 del 27.03.92 "Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto"

-         D.M. del 06.09.94 "Normative e metodologie tecniche di applicazione dell'Art. 6, comma 3, e dell'Art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto"

-         D.M. del 20.08.99 "Ampliamento delle normative e delle metodologie tecniche per gli interventi di bonifica, ivi compresi quelli per rendere innocuo l'amianto, previsti dall'Art. 5, comma 1, lettera f), della L. 27 marzo 1992, n. 257, recante norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto"

 

Incendio – esplosione

descrizione

In una centrale termica è sempre presente il rischio di incendio - esplosione.

Inoltre le idrazine (vapori) sono in genere prodotti facilmente infiammabili e, in opportune condizioni, esplosivi: devono essere conservate pertanto entro contenitori di sicurezza, in ambienti separati (preferibilmente compartimentati), provvisti di idonea aerazione.

danno atteso

In caso di incendio - esplosione, sono possibili lesioni traumatiche, ustioni, intossicazioni.

prevenzione

È necessario che la centrale termica sia rispondente in tutto alle specifiche norme di sicurezza antincendio, impianti elettrici a norma e predisporre idonei programmi di controlli e manutenzione programmata dell’impianto.

La normativa antincendio per le centrali termiche si differenzia a seconda del tipo di combustibile utilizzato:

-         Olio combustibile fluido 3-5 °E o gasolio: Circolare del M.I. n. 73 del 29/7/71 e successive circolari integrative.

-         Metano: Circolare del M.I. n°68 del 25/11/69 e successive circolari integrative.

Il locale della centrale termica deve essere provvisto almeno di estintori (normalmente del tipo a polvere od anidride carbonica) omologati.

Per la prevenzione di esplosione ed incendio occorre che l’unità produttiva abbia ottenuto il C.P.I. rilasciato dal Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco. Inoltre l’addetto alla conduzione della caldaia deve essere provvisto della autorizzazione prevista dalla Legge, nei casi richiesti.

La presenza degli apparecchi a pressione (generatori di vapore, degasatori) comporta il pericolo di scoppio con conseguente rischio per i lavoratori presenti; il problema può essere ritenuto trascurabile se le caldaie e i recipienti a pressione sono stati regolarmente omologati da ISPESL e subiscono le regolari verifiche periodiche annuali da parte dell'Azienda Sanitaria Locale competente per territorio.

riferimenti normativi

-         D.M. del 31.07.1934 “Approvazione delle norme di sicurezza per la lavorazione, l’immagazzinamento, l’impiego o la vendita di oli minerali, e per il trasporto degli oli stessi”.

-         Tit. II, Art. 13 "Vie d'uscita e di emergenza", Art. 14 "Porte e portoni" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. II, Capo VI “Difesa contro gli incendi e le scariche atmosferiche” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. VII, Capo X “Installazioni elettriche in luoghi dove esistono pericoli di esplosione o incendio” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Parte II della Circolare M.I. n° 74  del 20.09.1956 "D.P.R. 28 giugno 1955, n. 620 - Decentramento competenze al rilascio di concessioni per depositi di oli minerali e gas di petrolio liquefatti - Norme di sicurezza".

-         Circolare M.I. n.73 del 29.07.1971 “Impianti termici ad olio combustibile o a gasolio – Istruzioni per l’applicazione delle norme contro l’inquinamento atmosferico; disposizioni ai fini della prevenzione incendi”.

-         D.M. del 16.02.1982 “Modificazioni del D.M. 27.09.1965, concernente la determinazione delle attività soggette alle visite di prevenzione incendi”.

-         D.P.R. n.577 del 29.07.1982 “Approvazione del regolamento concernente l’espletamento dei servizi antincendio”.

-         D.M.I. del 31.03.1984 "Norme di sicurezza per la progettazione, la costruzione, l'installazione e l'esercizio dei depositi di gas di petrolio liquefatto con capacità complessiva non superiore a 5 m3 ".

-         D.M.I. del 02.08.1984 "Norme e specificazioni per la formulazione del rapporto di sicurezza ai fini della prevenzione incendi nelle attività a rischio di incidenti rilevanti di cui al D.M.I. del 16.11.1983.

-         D.M.I. del 24.11.1984 "Norme di sicurezza antincendio per il trasporto, la distribuzione, l'accumulo e l'utilizzazione del gas naturale con densità non superiore a 0,8".

-         D.M.I. del 08.03.1985 "Direttive sulle misure più urgenti ed essenziali di prevenzione incendi ai fini del rilascio del nullaosta provvisorio di cui alla legge 7 dicembre 1984, n. 818".

-         D.P.C.M. 31.03.1989  "Applicazione dell'Art. 12 del D.P.R. 17 maggio 1988, n. 175, concernente rischi rilevanti connessi a determinate attività industriali."

-         D.M. del 13.10.1994 "Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione, l'installazione e l'esercizio dei depositi di G.P.L. in serbatoi fissi di capacità complessiva superiore a 5 m3 e/o in recipienti mobili di capacità complessiva superiore a 5.000 kg."

-         D.M.A. 14.04.1994 "Criteri di analisi e valutazione dei rapporti di sicurezza relativi ai depositi di gas di petrolio liquefatto ai sensi dell'Art. 12 del D.P.R. 17 maggio 1988, n. 175".

-         D.M. del 12.04.1996 “Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione e l’esercizio degli impianti termici alimentati da combustibili gassosi.”

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto", comma 5 lettera a) e lettera q) del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 (con successive modifiche e integrazioni) “Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE,  89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 97/42/CE e 99/38/CE riguardanti il  miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro”.

-         Art. 12 e 13 “Prevenzione incendi ed evacuazione dei lavoratori” D.Lgs. n.626/1994.

-         D.M. del 10.03.1998 “Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro”.

-         Norme UNI-VV.FF. su impianti antincendio, impianti di rivelazione degli incendi, impianti di evacuazione fumo e calore, ecc…

 

 

IMPATTO ESTERNO

 

I principali fattori di impatto ambientale di questa fase sono i seguenti:

 

Emissioni in atmosfera

Si tratta delle emissioni dei gas prodotti dalla combustione in caldaia del combustibile per produrre il vapore necessario, distribuito poi, mediante apposite linee, ai reparti per l’utilizzazione.

I residui di questa combustione sono facilmente prevedibili: infatti un m3 di metano bruciato, in minimo eccesso di comburente, produce quantità note di residui (anidride carbonica, azoto, ossigeno, ecc...). Quando la centrale termica è alimentata a gasolio è lecito aspettarsi un peggioramento delle emissioni a causa delle impurità presenti nell’olio combustibile.

Le emissioni sono controllate da ARPAT attraverso la determinazione delle concentrazioni degli ossidi di carbonio, di azoto, di zolfo e delle polveri.

Queste emissioni avvengono a temperature piuttosto elevate (circa 230 °C).

E’ opportuno orientarsi verso la sostituzione delle caldaie alimentate a gasolio con caldaie alimentate a metano.

 

Scarichi idrici

Negli impianti a resine scambiatrici di ioni, sono costituiti dai reflui della rigenerazione delle resine utilizzate per la demineralizzazione dell’acqua, nonché dai cosiddetti spurghi di caldaia. Si tratta di soluzioni a pH acido o basico con elevata concentrazione di sali minerali e contenenti acido cloridrico e soda, che scaricate tal quali potrebbero inquinare le acque e il suolo. Pertanto tali reflui devono essere convogliati, tramite canalizzazioni in materiale chimicamente resistente, alla vasca di neutralizzazione nella quale viene corretto il pH mediante soda o acido cloridrico, prima di essere convogliate all’impianto di depurazione delle acque.

Negli impianti ad osmosi inversa, si ha solo lo scarico della soluzione concentrata dei sali trattenuti dalle membrane semipermeabili, pertanto ciò costituisce un impatto ambientale notevolmente minore rispetto a quello derivante dall'impianto a resine.

 

Produzione di rifiuti

Il rifiuto principale prodotto da questa fase del ciclo produttivo è costituito dalle resine esauste utilizzate nell’impianto di demineralizzazione dell’acqua.

 

Consumo delle risorse

Per la produzione del vapore viene utilizzata una notevole quantità di acqua e di combustibile.

Il consumo di acqua può essere minimizzato con sistemi di recupero delle condense. Il consumo di combustibile può essere ridotto mediante l’utilizzo di economizzatori per recuperare il calore e per riscaldare aria comburente e acqua di caldaia. Il consumo di energia elettrica può essere ridotto tramite l’utilizzo di sistemi di cogenerazione.

 

I principali fattori di rischio ambientale di questa fase sono i seguenti:

 

Sversamenti di olio combustile sul suolo

In caso di rottura del serbatoio interrato dell’olio combustibile, utilizzato come carburante della centrale termica secondaria, si possono verificare sversamenti sul terreno circostante, con conseguente inquinamento del suolo e possibile penetrazione nelle falde acquifere. Pertanto è richiesto che i serbatoi interrati siano realizzati secondo la recente emanazione del Ministero dell’Ambiente D.M. del 20.10.98 "Requisiti tecnici per la costruzione, l’installazione e l’esercizio di serbatoi interrati".

 

Sversamenti di prodotti chimici sul suolo

I prodotti chimici utilizzati nell’impianto di demineralizzazione dell’acqua, quali acido cloridrico e idrossido di sodio (soda), possono dare luogo a sversamenti sul suolo, sia durante il rifornimento dei serbatoi da autocisterne, sia in caso di rotture o cedimenti. In caso di sversamento si può verificare inquinamento del suolo, con possibile penetrazione nelle falde acquifere, ed emissione di vapori in atmosfera. Pertanto, per evitare il rischio di dispersione sul suolo, possono essere utilizzati bacini di contenimento in materiale chimicamente resistente e prevedere misure di emergenza per la neutralizzazione dei prodotti chimici.

 

Incendio - esplosione

In caso di incendio a carico della centrale termica il danno atteso per l’ambiente consiste prevalentemente nella formazione di prodotti parzialmente incombusti immessi nell’atmosfera. L’esplosione può comportare danni strutturali al locale sede della centrale termica ed a locali ed edifici limitrofi.

 


RIFERIMENTI NORMATIVI DI CARATTERE GENERALE

 

-         D.P.R. n. 547 del 27.04.1955 (G.U. n. 158 del 02.07.1955) – Norme generali per la prevenzione degli infortuni. Norme per prevenzione degli infortuni sul lavoro.

-         D.P.R. n. 302 del 19.03.1956 – Norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro integrative di quelle generali emanate con D.P.R. n. 547/1955.

-         D.P.R. n. 303 del 19.03.1956 – Norme generali per l’igiene del lavoro.

-         D.M.L. del 28.07.1958 – Presidi chirurgici e farmaceutici aziendali.

-         D.M.L. del 12.09.1958 – Istituzione del registro degli infortuni.

-         D.P.R. n. 1124 del 30.06.1965 – Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

-         Legge n. 977 del 17.10.1967 – Tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti.

-         Legge n. 300 del 20.05.1970 – Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento.

-         Legge n. 1204 del 30.12.1971 – Tutela delle lavoratrici madri.

-         D.M.L. del 18 aprile 1973 - Elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia contro gli infortuni sul lavoro e la malattie professionali.

-         D.P.R. n. 1026 del 25.11.1976 – Regolamento di esecuzione della Legge n. 1204 del 30.12.1971 sulla tutela delle lavoratrici madri.

-         Legge n. 833 del 23.12.1978 – Istituzione del servizio sanitario nazionale.

-         Legge n. 46 del 05.03.1990 – Norme per la sicurezza degli impianti

-         D.Lgs. n. 277 del 15.08.1991 – Attuazione delle direttive n. 80/1107/CEE, n. 82/605/CEE, n. 83/477/CEE, n. 86188/CEE e n. 88/642/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizioni ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro a norma dell’Art. 7 della Legge n. 212 del 30.07.1990.

-         D.Lgs. n. 77 del 25.01.1992 – Attuazione della direttiva 88/364/CEE in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici.

-         D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 (con successive modifiche e integrazioni) “Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE,  89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 97/42/CE e 99/38/CE riguardanti il  miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro”.

-         D.Lgs. n. 242 del 19.03.1996 – Modifiche ed integrazioni al D.Lgs. n. 626/1994, recante attuazione di direttive comunitarie riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro.

-         Circolare Ministero del Lavoro n. 89 del 27.06.1996 – Direzione generale dei rapporti di lavoro Divisione VII - D.Lgs. n. 242/1996, , contenente modificazioni ed integrazioni al D.Lgs. n. 626/1994, in materia di sicurezza e salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. Direttive per l’applicazione.

-         D.P.R. n. 459 del 24.07.1996 – Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 81/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento degli stati membri relative alle macchine.

-         D.Lgs. n. 493 del 14.08.1996 – Attuazione della Direttiva 92/58/CEE concernente le prescrizioni minime per la segnaletica di sicurezza e/o di salute sui luoghi di lavoro.

-         D.Lgs. n. 494 del 14.08.1996 – Attuazione della Direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e/o di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili.

-         D.Lgs. n. 645 del 25.11.1996 – Recepimento della Direttiva 92/85/CEE concernente il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.

-         Circolare n. 172 del 20.12.1996 – Ulteriori indicazioni in ordine di applicazione del D.Lgs. n. 626/1994, come modificato dal D.Lgs. n. 242/1996.

-         D.M.L. del 16.01.1997 – Individuazione dei contenuti minimi della formazione dei lavoratori, dei rappresentanti per la sicurezza e dei datori di lavoro che possono svolgere direttamente i compiti propri del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione.

-         D.Lgs. n. 359 del 04.08.1999 “Attuazione della Direttiva 95/63/CE, che modifica la Direttiva  89/394/CEE, relativa ai requisiti minimi di sicurezza e salute per l'uso di attrezzature di lavoro da parte dei lavoratori”.

-         D.Lgs. n. 66 del 25.02.2000 “Attuazione delle Direttive 97/42/CE e 99/38/CE, che modificano la Direttiva 90/394/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro”.

 

Tabella riassuntiva

VALORI LIMITE DI ESPOSIZIONE AL RUMORE

e relative misure di prevenzione ai sensi del D.Lgs. n. 277/1991.

Valori limite

Principali misure da attuare al superamento dei valori limite

Lep,d 80 dB(A)

-          Informare i lavoratori su:

-          rischi per l'udito derivanti  dall'esposizione al rumore;

-          le misure adottate in applicazione delle norme vigenti;

-          le misure di protezione cui i lavoratori debbono conformarsi;

-          la funzione dei mezzi individuali di protezione, le circostanze in cui ne è previsto l'uso e le modalità di uso;

-          il significato ed il ruolo del controllo sanitario per mezzo del medico competente;

-          i risultati ed il significato della valutazione del rumore.

-          Sottoporre a controllo sanitario i lavoratori interessati che ne facciano richiesta ed il medico competente ne confermi l'opportunità, anche al fine di individuare eventuali effetti extrauditivi.

-          Privilegiare all'atto dell'acquisto di nuovi utensili, macchine, apparecchiature, quelli che producono, nelle normali condizioni di funzionamento, il più basso livello di rumore.

Lep,d 85 dB(A)

-          Formare i lavoratori su:

-          uso corretto dei mezzi individuali di protezione dell'udito;

-          uso corretto, ai fini della riduzione al minimo dei rischi per l'udito, degli utensili, macchine, apparecchiature che, utilizzate in modo continuativo, producono un Lep,d pari o superiore a 85 dB(A);

-         Sottoporre a controllo sanitario i lavoratori esposti (indipendentemente dall'uso di D.P.I.). La frequenza delle visite successive è stabilita dal medico competente comunque ad intervalli non superiori a due anni.

-         Corredare da un'adeguata informazione relativa al rumore prodotto nelle normali condizioni di utilizzazione ed ai rischi che questa comporta, i nuovi utensili, macchine e apparecchiature destinati ad essere utilizzati durante il lavoro che possono provocare ad un lavoratore che li utilizzi in modo appropriato e continuativo un'esposizione quotidiana personale al rumore pari o superiore al limite.

Lep,d 90 dB(A)

 

oppure

 

Pressione acustica istantanea non ponderata

140 dB

(200 Pa)

-          Esporre una segnaletica appropriata, perimetrare e limitare l’accesso ai luoghi di lavoro.

-          Fornire ai lavoratori i D.P.I per la protezione dell'udito.

-          Consultare i lavoratori per la scelta dei modelli dei D.P.I.

-          I lavoratori la cui esposizione quotidiana personale supera 90 dB(A) sono tenuti ad utilizzare i D.P.I.

-          Sottoporre a controllo sanitario i lavoratori esposti (indipendentemente dall'uso di D.P.I.). La frequenza delle visite successive è stabilita dal medico competente comunque ad intervalli non superiori ad un anno.

-          Adottare misure preventive e protettive per singoli lavoratori, in conformità al parere del medico competente, al fine di favorire il recupero audiologico. Tali misure possono comprendere la riduzione dell'esposizione quotidiana personale del lavoratore, conseguita mediante opportune misure organizzative.

-          Tenuta del registro degli esposti.

-          Comunicare all'organo di vigilanza, informando i lavoratori, le misure tecniche ed organizzative applicate, qualora l'esposizione quotidiana personale di un lavoratore al rumore risulti superiore ai limiti nonostante l'adozione delle misure preventive.


BIBLIOGRAFIA

 

1.        “Atti del convegno nazionale di studio e ricerca sui rischi, patologia e prevenzione nell’industria dell’abbigliamento, Arezzo 7 Giungo 1986”, promosso ed organizzato dall’Istituto italiano di medicina sociale, Roma, 1987.

 

2.        “Valutazione dei rischi nelle attività commerciali di abbigliamento e pelletteria (ai sensi del D.Lgs. 626/94): linee guida a cura di Matteo Farina”, Azienda USL di Ravenna, Servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro, Regione Emilia Romagna, 1995

 

3.        “Sicurezza e salute nei luoghi di lavoro – D.Lgs. 626/94 – Confezioni di abbigliamento”, E.B.E.R. Ente Bilaterale Emilia Romagna, 1996.

 

4.        “ D.Lgs. 626/94 e sicurezza e salute nei luoghi di lavoro: guida per il settore abbigliamento”, E.B.A.V., Artigianato Veneto, 1996.

 

5.        “Lavoro e salute nell’industria dell’abbigliamento: la prevenzione dei disturbi dell’apparato locomotore”, a cura di Daniela Colombini, Enrico Occhipinti, Olga Menoni, Alessandra Petri, Angela Soccio, Emanuela Tosatto (ed altri), Monza, EPM, Unità di ricerca ergonomica della postura e del movimento, Regione Lombardia,  1994

 

6.        ILO Encyclopedia of occupational health and safety, Textiles and apparel industries, Clothing and finished.

 

7.        “I disturbi muscolo-scheletrici lavorativi. La causa, l'insorgenza, la prevenzione, gli aspetti medico legali”, D. Colombini, E.Occhipinti, C. Colombini, 2000.

 

8.        “Comprendere il lavoro delle donne per trasformarlo”, BTS, ISPESL, 2000.

 

9.        “I diritti delle lavoratrici, dei lavoratori e dei consumatori nell’industria dell’abbigliamento”, A cura del Tribunale Permanente dei Popoli, Medicina Democratica, n. 125-126, Luglio-Ottobre 1999, pag. 53-76.

 

10.     “Per te mamma”, Azienda U.S.S.L. n.32

 

11.     “Maternità e lavoro”, U.L.S.S. n.20, Verona, pag. 33.