All. 2/A
ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA SICUREZZA DEL LAVORO
I.S.P.E.S.L. PROGETTO SI.PRE. REGIONI
BANCA NAZIONALE DEI PROFILI DI RISCHIO DI COMPARTO
1. COMPARTO |
PRODUZIONE CARTA |
2. CODICI ISTAT |
21.12 |
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|
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3. CODICE ISPESL |
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(riservato all’ufficio)
ZONA DI RILEVAZIONE
4. NAZIONALE: |
|
5. REGIONALE |
|
6. PROVINCIALE |
|
7. USL |
AZIENDA U.S.L. N. 2 – LUCCA |
8. ANNO DI
RILEVAZIONE |
1 |
9 |
9 |
9 |
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9. NUMERO ADDETTI: |
1.600 |
Uomini |
|
donne |
|
|
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9A. IMPIEGATI: |
600 |
Uomini |
|
donne |
|
|
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9B. OPERAI: |
1.000 |
Uomini |
|
donne |
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11. STRUTTURA DI RILEVAZIONE |
AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE N. 2 |
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ZONA DI LUCCA E ZONA VALLE DEL SERCHIO |
All. 2/B
12. REFERENTE:
INDIRIZZO: |
Dipartimento della Prevenzione - Via di Tiglio 292 D.ssa Maria Grazia Roselli |
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CAP: |
55012 |
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CITTA’: |
Carraia (Lucca) |
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PROVINCIA: |
LU |
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TELEFONO: |
0583-449216 |
|
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FAX: |
0583-449088 |
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E-MAIL: |
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13. INFORTUNI:
TOTALE: |
2.179 |
DI CUI MORTALI |
5 |
14. MALATTIE
PROFESSIONALI:
DENOMINAZIONE |
N° CASI |
COD. INAIL |
Ipoacusia da rumore |
126 nel periodo 95-97 |
|
Malattie
osteoarticolari |
1 nel periodo 95-97 |
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NOTE:
ANNI DI RILEVAZIONE degli infortuni: 1996-1999
DESCRIZIONE DEL COMPARTO
Il settore cartario in provincia di Lucca comprende stabilimenti per la produzione di carta da imballo e di carta per usi igienici (tissue), oltre a stabilimenti per la sua trasformazione in cartone ondulato ed in prodotti cartari per usi igienici (carta igienica, rotoli da cucina, fazzoletti, tovaglioli).
Complessivamente è costituito da 216 Unità Locali che impiegano 5800 addetti, suddivise come segue:
Comparti del
settore cartario |
N. aziende N. addetti |
Cartiere |
55 circa 1600 |
Produzione cartone ondulato |
7 circa 900 |
Trasformazione carta tissue ed altre cartotecniche |
154 circa 3300 |
Come riportato nella seguente tabella, gli addetti sono distribuiti, in maggioranza, in aziende di grandi dimensioni:
|
U.L. fino a 9 add. |
U.L.
10-49 add. |
U.L.50-99
add. |
U.L. oltre 100 add. |
% degli addetti |
13,8 |
22,0 |
17,0 |
47,2 |
Le Aziende per la produzione del Cartone Ondulato sono localizzate nei Comuni di Capannori, Altopascio, Porcari, Barga.
Le Aziende per la trasformazione della carta tissue sono distribuite in tutta la Piana di Lucca e la Valle del Serchio, non richiedendo, al contrario delle cartiere, una disponibilità di acqua per il loro funzionamento.
Il presente documento prende in esame il comparto produzione carta, che consta di 55 Unità Locali con un totale di circa 1600 addetti.
Le Aziende più antiche del comparto sono dislocate nelle Valli del Serchio (Comuni di Castelnuovo Garfagnana, Barga, Bagni di Lucca, Borgo a Mozzano) e della Pescia (comune di Villa Basilica), dove, fin dall’800, grazie alla disponibilità di acqua, si insediarono le prime cartiere.
Negli anni ‘60 sorsero le cartiere più moderne nella Piana di Lucca, principalmente nelle zone industriali dei comuni di Porcari, Capanori, Lucca, Altopascio.
Per la produzione della carta vengono usate come materia prima sia cellulosa, che carta riciclata, perlopiù importate dall’estero. La carta prodotta in bobine viene impiegata dalle Aziende per la seconda lavorazione (cartotecniche) per produrre cartone ondulato (a partire dalla carta da imballo) o prodotti per uso igienico, quali fazzoletti, tovaglioli, carta igienica (a partire dalla carta tissue).
Per la produzione della carta le macchine principali sono costituite dallo spappolatore, per la produzione dell’impasto, dalla macchina continua, che a partire dall’impasto crea il foglio in bobine, e dalla ribobinatrice, che avvolge le bobine su un’anima di cartone, e conferisce loro le dimensioni desiderate.
Il parco macchine attualmente utilizzato risale, per le macchine più antiche, agli anni ’60, ma è continuamente rinnovato negli stabilimenti più moderni , che peraltro sono in una fase di espansione, sia per la nascita di nuovi stabilimenti, che per l’ampliamento con nuove linee di produzione di quelli già esistenti.
IL FENOMENO INFORTUNISTICO
Come evidenziato dalle tabelle seguenti, gli infortuni nel settore cartario rivestono una particolare importanza in Lucchesia, sia per il numero totale, che per il numero di eventi mortali che, per il settore cartario, fino al 1999 si sono registrati solo nel comparto cartiere, ad eccezione di un caso verificatosi in un’azienda per la produzione di cartone ondulato.
Infortuni sul lavoro avvenuti nella USL 2 di Lucca
Anni 1996-1999
COMPARTI
|
1996 |
1997 |
1998 |
1999 |
|
VdS PdL
TOT |
VdS PdL TOT |
VdS PdL
TOT |
VdS PdL
TOT |
Agricolo |
146 137 283 |
152 112 264 |
141 113 254 |
144 82 226 |
Alimentare |
16
64 80 |
12
59 71 |
15
75 90 |
12
78 90 |
Calzaturiero |
6
125 131 |
6
90 96 |
4
66 70 |
-
62 62 |
Cartario |
145 456 601 |
132 410 542 |
140 388 528 |
132 376 508 |
Chimico |
57
248 305 |
61
187 248 |
40
184 224 |
48
188 236 |
Edile |
78
290 368 |
92
219 311 |
84
217 301 |
80
183 263 |
Estrattivo |
39 9 48 |
30
9 39 |
31 7 38 |
26
5 31 |
Legno |
16
54 70 |
12
46 58 |
9
55 64 |
10
34 44 |
Metalmecc. |
166 461 627 |
158 377 535 |
131 368 499 |
118 350 468 |
Tessile |
15
67 82 |
7
49 56 |
10
37 47 |
10
49 59 |
Terziario |
271 1377 1648 |
297 1026 1323 |
288 1120
1408 |
295 1055 1350 |
Vario |
75
436
511 |
57 299 356 |
75
327 402 |
69
440 509 |
TOTALE
|
1030 3724 4754 |
1016 2883
3899 |
972 2957
3929 |
944 2902 3846 |
Di
cui GRAVI * |
n.d.
381 |
221
336 557 |
175 349 524 |
158 289 447 |
% gravi |
|
14,2% |
13,3% |
11,6% |
*Per
infortuni GRAVI si intendono quelli che hanno prognosi iniziale maggiore di 20
gg. e/o hanno provocato fratture o con modalità di accadimento che fa supporre violazioni
alle norme di sicurezza
VdS
= Valle del Serchio
PdL
= Piana di Lucca
Anni 1996-1999
1996
1997 1998 1999
COMPARTO |
VdS PdL TOT |
VdS PdL TOT |
VdS PdL TOT |
VdS PdL TOT |
Agricoltura |
|
1 1 |
|
|
Cartario |
|
|
1 1 2 |
2 1 3 |
Metalmeccanico |
|
|
1 1 |
|
Terziario |
1 |
|
1 1 |
1 1 |
Chimico |
|
|
|
1 1 |
Estrattivo |
1 |
|
1 1 |
1 1 |
TOTALE |
2 - 2 |
- 1 1 |
2 3 5 |
3 3 6 |
INFORTUNI MORTALI IN CARTIERA
Anni 1989-1999
Modalità di accadimento
Gli infortuni sono riportati con l’anno di accadimento
|
Schiacciamenti Investimenti |
Contrasto rulli |
Caduta dall’alto |
Investimento da mezzi |
Ribaltamento del mezzo |
Intossicazioni acute da H2S |
Macchina continua -conduzione -manutenzione |
89 |
99 91 |
89 |
95 |
|
|
Ribobinatrice -conduzione -manutenzione |
|
98 |
|
|
|
|
Piazzale materie prime |
90 99 |
|
|
89 |
|
|
Magazzino prodotto finito |
99 |
|
|
98 |
98 |
|
Trattamento acque |
|
|
|
|
|
90
90 90 95 95 95 |
Come evidenziato in tabella, infortuni mortali si sono
verificati in quasi tutte le principali fasi di lavorazione della produzione di
carta; negli ultimi anni tendono a concentrarsi nelle fasi di movimentazione.
Grazie all’ammodernamento del parco-macchine in atto, infatti, queste ultime
tendono ad essere più sicure. In effetti i due infortuni mortali del 1998 e
1999 rispettivamente alla ribobinatrice ed alla macchina continua, si sono
verificati entrambi su macchine fra le più datate del comparto. Viceversa le
macchine moderne hanno velocità di produzione molto più elevate, che mettono in
crisi la movimentazione sia per i ritmi che impongono, sia per le difficoltà
che molte aziende incontrano ad ampliare gli spazi destinati
all’immagazzinamento.
Negli anni ‘85-’89 l’indice infortunisctico calcolato
su un campione di 21 cartiere era pari a 139 con un range 44-224. Negli anni
‘96-’98, su un campione di 17 aziende, è risultato essere pari a 71, con un
range 26-118. Tale diminuzione del fenomeno infortunistico in generale è
probabilmente legata a più fattori fra cui l’ammodernamento dei macchinari
favorito dalla favorevole fase congiunturale nella quale si trova il comparto
da circa 10 anni, una generale più diffusa attenzione alla sicurezza in seguito
all’entrata in vigore del D.Lgs. 626/94, una attenzione particolare rivolta
dall’Az. USL verso questo comparto che è il più importante fra i comparti
industriali della zona.
Tuttavia, nonostante il calo del numero totale degli
infortuni, negli anni ‘98-’99 si è verificata una recrudescenza degli infortuni
mortali nel comparto, probabilmente in seguito ad una ulteriore accelerazione
dei ritmi produttivi delle aziende.
Sul fenomeno infortunistico influiscono molto i
pavimenti scivolosi in quanto frequentemente bagnati di impasto, l’ambiente
caldo-umido e rumoroso che favorisce il calo dell’attenzione, la presenza di
parti ad elevata temperatura, l’utilizzo di caustici, la presenza di zone di
imbocco fra rulli, il traffico sostenuto di mezzi di sollevamento e trasporto
che frequentemente devono accedere anche alle zone di produzione. In
particolare la movimentazione meccanica raggiunge situazioni critiche quando le
dimensioni dei magazzini non vengono adeguate all’incremento di produttività
ottenuto con il rinnovamento del parco macchine.
Nella tabella seguente sono
riportati gli infortuni denunciati nelle cartiere della Piana di Lucca
nell’anno 1997, suddivisi in base alle circostanze che li hanno provocati ed
alla gravità.
INFORTUNI AVVENUTI NELLE CARTIERE
Piana di Lucca
1997
CIRCOSTANZA |
N. infort. lievi |
N. infort. gravi* |
Movimentazione manuale |
16 |
- |
Movimentazione meccanica |
11 |
1 |
Conduzione macchine |
22 |
3 |
Manutenzione |
11 |
5 |
Trincetti |
9 |
- |
Corpi estranei occhi |
9 |
- |
Pavimenti scivolosi |
50 |
6 |
Vari |
20 |
- |
TOTALE |
148 |
15 |
*
per infortuni gravi si intendono quelli con più di 20 gg. di prognosi iniziale
e/o con fratture o amputazioni
All. 3.1
ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA SICUREZZA DEL LAVORO
I.S.P.E.S.L.
PROGETTO SI.PRE. REGIONI
BANCA NAZIONALE DEI PROFILI DI RISCHIO DI COMPARTO
FASE
“APPROVVIGIONAMENTO MATERIE PRIME E TRASPORTO SU NASTRI DI CARICO”
Descrizione
La materia prima, costituita da cellulosa e carta da macero in presse, arriva negli stabilimenti trasportata da camion.
Gli stessi vengono scaricati mediante carrelli elevatori generalmente diesel sui piazzali di cartiera.
Lo stoccaggio avviene perlopiù all’aperto, raramente in capannoni chiusi, o sotto tettoie.
Dai luoghi di deposito la materia prima , sempre mediante carrelli elevatori, viene trasportata nel locale “spappolatore” secondo le proporzioni dei diversi materiali (cellulosa e cartaccia di varie qualità) previste dalla ricetta per la produzione dei diversi tipi di carta.
Nelle aziende più piccole la materia prima viene immessa direttamente nello spappolatore con il carrello elevatore, previo taglio dei legacci di fil di ferro delle presse. Nella maggior parte dele aziende le prese vengono depositate sul nastro trasportatore, vengono tagliati e rimossi manualmente i legaccci, e successivamente il nastro trasportatore le immette nello spappolatore.
Attrezzature, macchine, impianti
Per lo scarico dai camions delle presse di cellulosa e di cartaccia, il loro stoccaggio nei piazzali ed il loro trasporto ai nastri trasportatori ed agli spappolatori, vengono impiegati carrelli elevatori a trazione perlopiù diesel, raramente elettrica, la cui portata varia in base al tipo di materiale da movimentare: la cellulosa viene movimentata in “units” costituite da 6 o 8 presse legate insieme, ed il cui peso può raggiungere 16 q.li, mentre la cartaccia viene movimentata in presse da 6-7 q.li.
I carrelli elevatori destinati a tale uso sono equipaggiati con pinze che afferrano le presse stringendole ai 2 lati.
I fattori di rischio
I principali fattori di rischio sono di tipo organizzativo-infortunistico, legati alla movimentazione della materia prima.
Dal punto di vista delle strutture costituiscono un fattore di rischio:
· piazzali aperti con piano di calpestio non uniforme e privi di drenaggio delle acque meteoriche, che permettono una imbibizione della materia prima con conseguente deformazione delle presse e loro possibile caduta dalle stive
· promiscuità dei percorsi delle persone e dei mezzi di trasporto (camions, carrelli elevatori)
Dal punto di vista delle macchine costituiscono fattori di rischio specifici di questa fase:
· carrelli elevatori con visibilità anteriore impedita dalla presenza delle attrezzature applicate per la presa delle presse e/o dal carico trasportato
· portata del carrello elevatore che non tenga conto del possibile incremento di peso dovuto all’imbibizione del materiale
Dal punto di vista delle procedure e comportamenti costituiscono fattori di rischio:
· realizzazione di stive troppo alte e/o con presse sovrapposte in modo che lo strato superiore non “lega” quello inferiore
· organizzazione del piazzale con vie di transito troppo strette fra una stiva e l’altra
· accesso pedonale fra le stive
· marcia dei carrelli a velocità elevata, con bruschi raggi di sterzata ed a forche alzate
· taglio dei legacci con tronchesi, senza l’uso di DPI per la protezione degli occhi dalle proiezioni dei fili di ferro
Il danno atteso
Nel 1998 si è verificato un infortunio mortale per schiacciamento in seguito al ribaltamento di un carrello elevatore e nel 1999 per investimento da parte di una pressa di cellulosa caduta da una stiva.
Il danno atteso consiste in lesioni gravi o morte per schiacciamento da parte di presse o da parte di mezzi ribaltati, o per investimento da parte di mezzi.
Sono inoltre possibili infortuni lievi agli occhi per la proiezione dei fili di ferro durante il taglio dei legacci delle presse (9 casi denunciati nel 1997 nella Piana di Lucca).
Gli interventi
I seguenti interventi possono ridurre la gravità del rischio organizzativo-infortunistico nei depositi di materia prima:
· Organizzazione degli acquisti di materia prima che eviti lunghe giacenze e sovraccarico dei depositi
· Asfaltatura e buon drenaggio delle acque meteoriche nelle aree di deposito, specie se all’aperto
· Deposito in aree coperte (tettoie o magazzini)
· Spazi sufficientemente ampi fra le stive per il passaggio dei mezzi di sollevamento e trasporto
· Realizzazione delle stive in modo che gli strati superiori di presse leghino quelli inferiori (“a scalare”)
· Limitazione dell’altezza delle stive
· Controllo periodico dello stato di conservazione delle presse stivate e relativi interventi di rimozione, se necessario
· Facile reperibilità, meglio se con cartelli sulle stive stesse, della data della loro formazione
· Separazione dei percorsi di pedoni e mezzi
· Procedure che eliminino la necessità di interventi “a piedi” fra le stive
· Accesso nelle vicinanze delle stive solo con mezzi di sollevamento e trasporto
· Limitazione della velocità dei mezzi di sollevamento e trasporto
· Trasporto con il carrello elevatore solo delle presse afferrabili dalle pinze
I carrelli utilizzati devono:
· Avere portata che tenga conto anche del possibile sovraccarico da imbibizione delle presse
· Avere dispositivi di trattenuta del conducente al posto di guida in caso di ribaltamento; la condizione migliore è la presenza di sportelli laterali
· Avere una disposizione delle pinze che permetta il mantenimento di una sufficiente visibilità anteriore
Il taglio dei legacci delle presse con tronchesi deve essere fatto utilizzando occhiali per la protezione degli occhi e guanti. Recentemente sono entrati in funzione impianti automatizzati o semiautomatizzati per tali operazioni.
Riferimenti legislativi
DPR 547/55 Art. 8-11-33-168-169-182-377-379 - TitoloVII
DPR
303/56 Art. 7-11-13-15
D Lgs. 626/94 Art.21-22
- Titolo I-III-IV-V
In seguito ad un infortunio mortale verificatosi nel Gennaio 2000 per l’investimento di un lavoratore da parte di una balla di cellulosa caduta da una stiva, è stato elaborato il seguente protocollo di sicurezza:
GRUPPO DI STUDIO MISTO SULLE PROBLEMATICHE RELATIVE ALLE OPERAZIONI DI STOCCAGGIO E MOVIMENTAZIONE DELLE MATERIE PRIME NEL SETTORE CARTARIO
MISURE E CAUTELE CONNESSE ALLA PREVENZIONE DEI RISCHI DERIVANTI DALLA MOVIMENTAZIONE E DALLO STOCCAGGIO DELLA MATERIA PRIMA NEI PIAZZALI ALL’APERTO DELLE INDUSTRIE CARTARIE
Dipartimento della Prevenzione - A.S.L. n.2
Associazione
degli Industriali della Provincia di Lucca
CGIL
CISL
UIL
FISTEL – CISL
SLC – CGIL
UILSIC – UIL
Lucca luglio 2000
Le indicazioni sotto evidenziate sono finalizzate alla definizione di procedure operative di sicurezza per gli addetti coinvolti nelle operazioni di movimentazione e stivaggio della materia prima cartaria nei piazzali all’aperto.
Le procedure operative individuano le misure di sicurezza da adottare per ridurre e/o eliminare i rischi correlati alle attività di movimentazione e stivaggio della materia prima espletate dagli addetti coinvolti.
Le procedure e le relative
istruzioni operative per il personale addetto alla movimentazione, devono
essere preventivamente concordate dalla Direzione Aziendale con l'addetto
incaricato alla movimentazione (con
specifica nomina da parte della azienda) e con il coinvolgimento del RSPP,
del RLS e se del caso del medico competente e devono essere completate con una
informazione/formazione/addestramento di tutti gli addetti coinvolti, mirata
alle attività di movimentazione e stoccaggio della materia prima.
INDICAZIONI
OPERATIVE
L'attività di stivaggio deve essere coordinata da un
addetto incaricato che effettua e/o sovraintende alla formazione delle
"stive" e verifica lo stivaggio stesso in rapporto alle:
-
caratteristiche
quali-quantitative del prodotto in arrivo
-
effettive
condizioni delle " stive " già realizzate che potrebbero risultare
modificate in seguito agli agenti atmosferici o altre cause.
Nella formazione delle stive vanno verificate e
gestite tutte le condizioni di sicurezza attinenti il piazzale di stoccaggio della
materia prima quali:
Ø planarità del piano di appoggio;
Ø piano di appoggio asfaltato e/o in cemento;
Ø piano di partenza come sotto indicato;
Ø uniformità delle units e delle presse come dimensioni per piano;
Ø integrità dei legacci;
Ø sostanziale integrità delle balle componenti l'unit e delle presse di
macero;
Ø verifica periodica da parte dell'addetto incaricato;
Ø ripristino immediato della stiva in caso di instabilità.
Il
piano di partenza della stiva deve essere idoneo a garantire la formazione in
condizioni di stabilità e comunque ogni piano deve avere le balle o presse
accostate.
Tali condizioni sono esplicitate in via cautelativa
in maniera che i due lati della base risultino entrambi superiori all’altezza
della stiva.
Il tempo di giacenza di ciascuna stiva deve essere
individuabile in sito o tramite uno specifico sistema di gestione aziendale
facilmente consultabile.
Le stive la cui giacenza superi in termini
significativi il periodo di rotazione del materiale sul piazzale devono essere
chiaramente individuabili ed individuate ed inserite in un programma di
rifacimento o di utilizzo a breve termine.
Le stive una volta "aggredite " devono
essere le prime ad essere terminate.
Gli eventuali stivaggi adiacenti alle stive già
“aggredite” devono consentire spazi adeguati per una corretta viabilità e per
eventuali interventi inerenti la risistemazione in sicurezza delle stive.
La procedura operativa relativa alla formazione
delle stive deve prevedere da parte della organizzazione aziendale il numero di
"units" o presse movimentate in condizioni di sicurezza sia in presa
che in stivaggio.
In caso di instabilità delle stive imputabile a :
Ø
rottura significativa dei legacci delle "units"
Ø rottura significativa dei legacci delle balle di cellulosa o presse di macero;
Ø deformazione significativa di una o più balle costituenti “l’unit”;
Ø rigonfiamenti significativi delle balle o presse;
Ø perdita significativa di prodotto dalle balle o presse.
l'addetto incaricato provvede direttamente o
impartisce disposizioni al personale, finalizzate al ripristino della stabilità
delle stive, mediante l'impiego di attrezzature idonee allo scopo.
I piazzali, o comunque le zone utilizzate per lo
stivaggio, devono avere sufficienti drenaggi per garantire il deflusso delle
acque. Lo stivaggio non dovrà comunque occludere pozzetti o canalette
realizzati per il deflusso delle acque.
La zona di stivaggio è interdetta ai non
autorizzati.
La zona di stivaggio deve essere adeguatamente
segnalata con idonea cartellonistica e con segnalazioni sul pavimento per
quanto possibile.
Qualsiasi operazione relativa allo
stoccaggio/smassamento e movimentazione della materia prima deve avvenire
sempre con il personale addetto a bordo dei carrelli elevatori.
E’ fatto divieto al personale addetto alla
movimentazione di scendere dal carrello nelle immediate vicinanze delle stive
nel corso delle operazioni di smassamento e/o movimentazione. E’ consentita la
permanenza del personale autorizzato fuori dal carrello solo a distanza di sicurezza
dalle stive oggetto di intervento.
Durante le operazioni di smassamento della materia
prima gli addetti incaricati devono sempre tenere presente il criterio di
mantenere la stiva in condizioni di stabilità, provvedendo immediatamente a
ripristinare le condizioni di sicurezza.
L’eventuale materiale presente sul terreno, sulle
vie di transito, in prossimità delle stive (come la stessa materia prima sfusa,
fogli di carta e/o di plastica, fili di ferro, etc.) deve essere rimosso dagli
addetti incaricati, mediante l’uso di idonei mezzi meccanici muniti di
protezione adeguata per l’operatore dalla caduta di materiale dall’alto.
INDICAZIONI
RELATIVE ALLA MATERIA PRIMA: CELLULOSA
La movimentazione della materia prima durante le fasi
di stoccaggio o di prelievo, deve avvenire mediante l'utilizzo di carrelli
elevatori di idonea portata e provvisti dei requisiti di sicurezza richiesti
dalle norme vigenti.
Nella procedura operativa è preferibile che vengano
esplicitate le modalità della formazione delle stive anche mediante l’ausilio
di disegni esemplificativi.
La portata del carrello dovrà essere superiore al
peso delle units movimentate con un adeguato margine di sicurezza; tale margine
di sicurezza dovrà essere valutato nella procedura operativa aziendale tenendo
conto che il peso delle units sarà comprensivo dell'eventuale umidità assorbita
( 40 ¸ 50% massimo del peso iniziale).
Il carrello sarà dotato di idonee pinze di presa che
dovranno afferrare le units in condizione di stabilità.
La presa del carico dovrà evitare ogni possibilità
di caduta del materiale in presa e stivaggio in relazione ai percorsi, alle
manovre e alle caratteristiche del carrello.
L'utilizzo del carrello a forche per la presa della
materia prima è possibile solo quando la materia prima è pallettizzata.
L'accatastamento della materia prima deve avvenire
in rapporto alle geometrie del prodotto in arrivo (dimensioni delle singole
balle componenti l'units) secondo criteri di stabilità e di uniformità,
realizzando la formazione di stive in cui una fila accavalla quella sottostante
di una misura tale da garantire un legame tra i livelli.
L'accatastamento "a scalare" interessa i
due fianchi della stiva stessa.
Qualora le balle che compongono le singole units si
presentino uniformi ed in buone condizioni si ritiene che uno stivaggio in
sicurezza possa avvenire su due livelli per unit di otto balle, e su tre
livelli per unit di sei balle.
La formazione di stive su tre livelli per unit di
otto balle e su quattro livelli per unit di sei balle, è possibile in funzione
di particolari esigenze produttive ed organizzative aventi carattere di
temporaneità ed eccezionalità. Lo stivaggio sopra indicato, che rimane comunque
oggetto di specifiche valutazioni aziendali e di merito da parte dell’Organo di
vigilanza, dovrà essere realizzato nel rispetto delle condizioni di sicurezza
indicate nel presente documento ed in particolare :
Ø stivaggio a scalare;
Ø periodo di giacenza inferiore al normale periodo di rotazione del
materiale sul piazzale, individuabile tramite la verifica del tempo di
realizzazione della stiva, o della sua risistemazione;
Ø copertura della stiva inferiormente e superiormente.
Lo stivaggio su tre livelli per unit di otto balle e
su quattro livelli per unit di sei balle è perseguibile al coperto.
Le balle poco legate e/o poco pressate o quelle
deformate per evidente umidità assorbita, devono essere gestite dall'addetto
incaricato secondo criteri di sicurezza tendenti comunque ad eliminare
qualsiasi situazione di pericolo, ad esempio:
Ø invio immediato del prodotto deteriorato alla produzione;
Ø stivaggio su un unico livello;
Quando le soluzioni sopra indicate non possono essere
perseguite, è necessario perimetrare l’area ed impedirne l'accesso al personale
non autorizzato alla zona dove vengono provvisoriamente stivate le balle poco
legate e/o poco pressate o deformate.
Le eventuali operazioni di copertura e scopertura
delle stive dovranno essere effettuate mediante l'utilizzo di attrezzature
idonee che consentano di assicurare l'incolumità degli addetti contro il
rischio di cadute dall'alto.
La copertura delle stive, quando necessaria, deve
avvenire mediante l'impiego di idonei teli di resistenza adeguata,
privilegiando quelli di materiale trasparente, ricalati sui quattro lati della
stiva e fissati in maniera stabile alle balle.
Nel caso in cui i periodi di giacenza risultino superiori
al normale periodo di rotazione del materiale sul piazzale, la copertura della
stiva dovrà prevedere anche un secondo telo che dovrà essere posizionato nella
parte sottostante la stiva stessa.
INDICAZIONI
RELATIVE ALLA MATERIA PRIMA: MACERO
La movimentazione della materia prima durante le
fasi di stoccaggio o di prelievo, deve avvenire mediante l'utilizzo di carrelli
elevatori di idonea portata e provvisti dei requisiti di sicurezza richiesti
dalle norme vigenti.
Nella procedura operativa è preferibile che vengano
esplicitate le modalità della formazione delle stive anche mediante l’ausilio
di disegni esemplificativi.
La portata del carrello dovrà essere superiore al
peso delle presse movimentate con un adeguato margine di sicurezza; tale margine
dovrà essere valutato nella procedura operativa aziendale, analogamente a
quanto indicato per la cellulosa.
Il carrello sarà dotato di idonee pinze di presa che
dovranno afferrare le presse in condizione di stabilità.
La presa del carico dovrà evitare ogni possibilità
di caduta del materiale in presa e stivaggio in relazione ai percorsi, alle
manovre e alle caratteristiche del carrello.
L'utilizzo del carrello a forche per la presa della
materia prima è possibile solo quando la materia prima è pallettizzata.
Stoccaggio
Se le presse da stivare si presentano in buone
condizioni di legatura con pressatura uniforme, si ritiene che lo stivaggio –
anche in relazione alle geometrie delle balle in arrivo (con dimensioni variabili) – possa avvenire seguendo il criterio
della stabilità con altezze comunque non superiori ai 5 metri con un massimo di
6 livelli; la condizione di stivaggio dovrà essere oggetto comunque di
specifica valutazione aziendale in riferimento alla tipologia di macero.
Nella fase di formazione della stiva, va seguito il
criterio generale della stabilità della stiva stessa, tenendo ben presente che
le presse successive al primo/secondo strato vanno posizionate sulla base, in
maniera “scalare”, cioè con le pareti verticali laterali spostate verso
l’interno rispetto alla base.
Le presse poco legate e/o poco pressate o quelle
deformate, devono essere gestite dall'addetto incaricato secondo criteri di
sicurezza tendenti comunque ad eliminare qualsiasi situazione di pericolo, ad
esempio:
Ø invio immediato del prodotto deteriorato alla produzione;
Ø stivaggio su un unico livello;
Quando le soluzioni sopra indicate non possono essere
perseguite, è necessario perimetrare l’area e interdirne l'accesso al personale
non autorizzato.
La materia prima “macero” essendo più stabile delle
altre materie prime per la fabbricazione della carta, non necessita
generalmente di particolari coperture delle stive anche nei casi di lunga
giacenza all’aperto; tale condizione sarà comunque oggetto di valutazione aziendale.
All. 3.2
ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA SICUREZZA DEL LAVORO
I.S.P.E.S.L.
PROGETTO SI.PRE. REGIONI
BANCA NAZIONALE DEI PROFILI DI RISCHIO DI COMPARTO
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1. COMPARTO: |
PRODUZIONE CARTA |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
SPAPPOLAMENTO E OMOGENEIZZAZIONE DELLE MATERIE PRIME |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORE DI RISCHIO: |
Organizzativo – infortunistico (strutture, macchine, organizzazione del
lavoro) Cause Principali: Proiezione dei fili di ferro di serraggio delle presse Superfici di calpestio scivolose a causa della proiezione di materiale liquido dagli spappolatori Biologico Cause Principali: Presenza di elevate cariche batteriche nelle carte da macero (3) Range delle U.F.C. in 4 aziende in prossimità dello
spappolatore compreso tra 1-500
U.F.C. Esposizione per inalazione e contatto per la dispersione nell’ambiente delle polveri: 2,0-3,4 mg/m3 spappolatore 0,5-0,85 mg/m3 caricamento nastro Microclima Cause Principali: Microclima · Condizioni
strutturali del luogo di lavoro · Passaggio frequente fra ambienti caldo-umido ed estern Chimico Cause Principali: impiego di prodotti chimici: in questa fase vengono aggiunti nello spappolatore i seguenti additivi: (dati qualitativi ma non quantitativi) Cariche: carbonato di calcio Caolino Solfato di calcio Talco
Coloranti: azoici in dispersione acquosa in acido Acetico concentrato Biossido di titanio Sbiancanti ottici:
sali dell’acido stilbensolfonico (3) I dati sulla carica batterica sono stati
rilevati solo negli stabilimenti che utilizzano carta da macero come materia
prima. Non sono disponibili dati sui danni. |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
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FASE
“SPAPPOLAMENTO ED OMOGENEIZZAZIONE DELLE MATERIE PRIME”
Descrizione
Dai nastri trasportatori le presse vengono caricate in appositi macchinari chiamati pulpers, dove vengono mescolate con acqua e, in alcuni casi cariche (carbonato di calcio o talco) e/o coloranti organici.
Le cariche vengono generalmente aggiunte in sacchi chiusi portati direttamente nel pulper dal nastro trasportatore; raramente i sacchi vengono aperti per gettarne il contenuto nel pulper.
I coloranti vengono utilizzati soprattutto per la produzione di carta da imballo. Si tratta di coloranti organici in forma liquida perlopiù a base di Basic Brown 1 che vengono aggiunti manualmente nel pulper con un bricco.
Attrezzature, macchine, impianti
I pulpers sono macchine costituite da un recipiente di grande volume sul fondo del quale è fissata una griglia forata al di sopra della quale ruota una pala girante. L’operazione di spappolamento prevede il riempimento della vasca con acqua, dopo di che viene posta in rotazione la girante, si provvede poi al riempimento con le balle di cellulosa o cartaccia.
Fattori di rischio
I principali fattori di rischio di natura organizzativo-infortunistica sono:
· Operazioni non regolari sui nastri trasportatori o parapetti troppo bassi dei pulpers che possono provocare la cadute dell’operatore nel pulper
· Organi di trasmissione in movimento del pulper non protetti
· Pavimenti bagnati e viscidi a causa delle proiezioni di impasto dal pulper
· Luoghi confinati (locali sotterranei dove sono alloggiati i motori della girante) a rischio di sviluppo di gas tossici, specie in caso di fermo dell’impianto con conseguente fermentazione del’impasto nelle tubazioni
I principali fattori di rischio di natura biologica sono:
· Elevata carica batterica sulla carta da macero. In 4 Aziende, in prossimità dello spappolatore, è stato misurato un range di 1-500 U.F.C. e di 2.0-3,4 mg/m3 per quanto riguarda le polveri totali
I principali fattori di rischio di natura fisica sono:
· Frequenti sbalzi microclimatici per il passaggio da zone a clima caldo-umido a zone esterne e viceversa in quanto frequentemente l’addetto allo spappolatore provvede sia alla conduzione dello stesso che al suo caricamento andando a prelevare la materia prima nei piazzali all’aperto con mezzi di sollevamento e trasporto
I principali fattori di rischio di natura chimica sono:
· Additivi aggiunti in questa fase: cariche, coloranti e sbiancanti. Le cariche possono dare origine a polverosità solo nei casi in cui il sacco viene aperto e versato nel pulper. A principale modalità di esposizione a coloranti azoici è per imbrattamento, essendo gli stessi sempre utilizzati in forma liquida. L’imbrattamento è provocato dagli schizzi di impasto in prossimità del pulper
Il danno atteso
La scivolosità dei pavimenti nei pressi del pulper ha provocato nel 1997 nelle cartiere della Piana di Lucca 50 infortuni per scivolamento.
Non sono disponibili dati sui danni derivanti dal rischio biologico, dal microclima e dall’imbrattamento con impasto. Possono manifestarsi dermatiti dovute al contatto con coloranti azoici, sintomi irritativi delle prime vie aeree per l’esposizione a polveri ed all’acido acetico nel quale sono sciolti i pigmenti dei coloranti.
La caduta nel pulper è un evento che può provocare la morte o lesioni gravissime.
Gli interventi
Pavimenti grigliati e con pendenze che ne facilitano la pulizia ed i deflusso dell’acqua possono evitare la scivolosità delle superfici.
E’ opportuno che il nastro trasportatore sia azionabile “a uomo presente” da una posizione dalla quale ne sia visibile tutto il percorso.
I bordi dei pulpers devono avere altezza minima di almeno un metro; sono comunque consigliate altezze superiori. Deve essere assolutamente vietato salire su sgabelli o ripiani sopraelevati posti in prossimità dei pulpers.
Gli organi di trasmissione devono essere protetti con appositi carters.
Nei locali sotterranei non deve ristagnare acqua o impasto.
L’accesso nei luoghi confinati deve avvenire solo previa pulizia dai residui di impasto di tutte le tubazioni, con areazione artificiale, ed utilizzando idonei DPI (maschera, rilevatore istantaneo di gas tossici, cinture di sicurezza con funi che collegano con l’esterno presidiato da un atro addetto).
L’esposizione a polveri può essere limitata con mezzi di aspirazione o utilizzando dei rompi-sacchi.
Riferimenti legislativi
DPR 547/55 Art. 26-55-354-377-379-382-383 – Titolo VII
DPR 303/56 Art. 11-13-15-21
D.Lgs. 626/94 Art. 21-22 Titolo II-III-IV-VIII
All. 3.3
ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA SICUREZZA DEL LAVORO
I.S.P.E.S.L.
PROGETTO SI.PRE. REGIONI
BANCA NAZIONALE DEI PROFILI DI RISCHIO DI COMPARTO
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1. COMPARTO: |
PRODUZIONE CARTA |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
TRATTAMENTO DELLA PASTA |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORE DI RISCHIO: |
Chimico Cause principali: utilizzo di prodotti chimici (4): resine poliammidiche epicloridriniche dimero dell’alchilchetene poliacrilammidi poliammidi cationiche poliammine cationiche polietilimmine cationiche carbossimetilcellulosa metilenbistiocianato benzoisotiazolinoni ditiocarbammati aldeide glutarica alcooli etossilati e disperdenti fenolici olii alchilati policloruro di alluminio acido solforico acido cloridrico idrato di sodio
Alcuni prodotti polimerici contengono come impurezze monomeri classificati R45 e/o riconosciuti come cancerogeni dallo IARC: acrilammide, epicloridrina. segue rischio chimico: formazione di polveri e gas nocivi: sono disponibili dati sulla presenza nell’aria, in determinate condizioni di processo e ambientali, della presenza di acido solfidrico come prodotto di riduzione di solfati nelle acque di fabbricazione. Modalità di accadimento: manipolazione diretta di taluni prodotti chimici diffusione nell’aria di sostanze aggiunte o formatisi nell’impasto in zona presidiata Nota: (4) Gli additivi indicati in questa fase in alcuni casi sono aggiunti allo spappolatore. Rumore |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
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L’impasto passa inoltre, per essere depurato delle impurità che possono rimanervi, attraverso dei raffinatori.
DPR 547/55 Art. 8-10-377-379 – Titolo VII
DPR 303/56 Art. 7-11-13-24
D.Lgs. 626/94 Art. 21-22 - Titolo II-IV
All. 3.4
ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA SICUREZZA DEL LAVORO
I.S.P.E.S.L.
PROGETTO SI.PRE. REGIONI
BANCA NAZIONALE DEI PROFILI DI RISCHIO DI COMPARTO
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1. COMPARTO: |
PRODUZIONE CARTA |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
CASSA D’AFFLUSSO E TAVOLA PIANA |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORE DI RISCHIO: |
Rumore Cause Principali: rumore generato da pompe a vuoto per la disidratazione dell’impasto Organizzativo – infortunistico (strutture, macchine, organizzazione del
lavoro) Cause Principali: condizioni strutturali: · Pavimentazione · Zone di passaggio sopraelevate getti d’acqua di lavaggio sul pavimento: · Superfici di calpestio scivolose Microclima Cause principali:
Condizioni microclimatiche severe per umidità elevata con formazione di fase condensata in zona presidiata. Dopo la cassa d’afflusso il ciclo di
lavorazione può diversificarsi in relazione al tipo di prodotto finale: nel territtorio di
competenza le tecnologie di fabbricazione della carta sono sostanzialmente di
due tipi: · Formazione
del foglio su tavola piana e seccheria
Þ fabbricazione carta da imballo · Formazione
del foglio su doppia tela con monolucido essiccatore
Þ fabbricazione di carta per uso domestico
“tissue” esistono alcuni impianti che per la formazione del foglio di carta utilizzano tamburi creatori sui quali viene depositato l’impasto proveniente dalla cassa di afflusso. |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
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La cassa d’afflusso ha il compito di distribuire uniformemente sulla tela di formazione l’impasto diluito.
L’impasto mescolato, diluito, dosato ed epurato è pronto per essere trasformato in foglio di carta.
La sospensione fibrosa, molto diluita (oltre il 99% di acqua), arriva in un contenitore metallico opportunamente sagomato delle stesse dimensioni in larghezza della tela sulla quale distribuisce l’impasto ed è chiamato “cassa d’afflusso”.
Il suo compito principale è quello di distribuire con la massima uniformità e regolarità la sospensione acquosa di fibre sulla “tela formatrice”, evitando la formazione di vortici e schiume.
La cassa d’afflusso costituisce il cuore della “macchina continua” infatti è da questo punto in poi che si nasce il foglio di carta.
La tela formatrice è l’elemento di drenaggio della macchina continua e ha la massima influenza sulla formazione della carta.
E’ un nastro senza fine che avvolge due o più cilindri che lo fanno ruotare in continuo.
Tramite le casse drenanti, situate al di sotto della tela, riesce a far perdere buona parte dell’acqua contenuta nell’impasto favorendo allo stesso tempo l’unione tra l’ora delle fibre di cellulosa
La tela formatrice occupa la maggior parte dell’estremità umida della macchina ed è costituita da una rete metallica o di nylon fine e continua.
Ha una larghezza uguale a quella della macchina continua e nel tratto pianeggiante prende il nome di “tavola piana”
Alla fine del percorso che l’impasto deve fare sulla tela, il foglio di carta comincia ad avere una sufficiente consistenza per essere staccato dal supporto sul quale è adagiato e consentire quindi l’inizio di una nuova fase di lavorazione.
Il foglio di carta quando abbandona la tela, contiene ancora una forte percentuale di umidità che normalmente si aggira tra il 60 e l’80%.
E’ nel tratto di tela chiamato tavola piana che inizia un drenaggio graduale, dapprima il più possibile dolce e controllato, mediante i “foils”.
Questi elementi drenanti, posti dopo la cassa d’afflusso, hanno la funzione di tenere mossa la pasta sulla tela e di richiamare nelle maglie della tela e sotto di essa l’acqua dell’impasto.
Dopo il primo tratto della tavola piana la leggera depressione creata dai foils non è più sufficiente a togliere l’acqua ed è necessario ricorrere ad elementi drenanti più consistenti che creando un vuoto sempre più alto sotto la tela, costringono l’acqua a lasciare la fibra.
Considerato che ha il ruolo principe per la fabbricazione della carta è l’acqua che imbeve e idrata le fibre, le rende flessibili e raffinabili, consente di miscelare uniformemente l’impasto fibroso con gli altri componenti al fine di permettere il pompaggio di tutto l’impasto, le pompe di vario tipo e genere, sono le macchine principalmente utilizzate in questa prima fase di formazione del foglio.
La tela, col suo moto rotatorio continuo, sviluppato per mezzo di cilindri e rulli, motori, giunti e organi di trasmissione di vario tipo sono gli impianti presenti nella fase umida.
Le attrezzature sono tutte quelle tubazioni, passerelle, ballatoi, dispositivi automatici per il controllo della pressione e dei flussi di impasto che sono indispensabili per la corretta gestione della formazione del foglio nella fase umida.
Fattori di rischio
I principali fattori di rischio in questa fase sono quelli derivanti dal trascinamento di organi ruotanti, dal contatto con sostanze chimiche, dalla esposizione a fonti di rumore, dalla permanenza in zone sopraelevate, della esposizione ad un microclima sfavorevole, dall’uso costante di DPI, dallo scivolamento di pavimenti costantemente umidi.
Il danno atteso
Lesioni gravi agli arti superiori per schiacciamento, lesioni agli arti inferiori per cadute e scivolamenti, lesioni agli occhi per schizzi di sostanze chimiche, dermatiti da contatto, cadute da ballatoi e terrazze situate in quota.
Accessi sicuri a ballatoi e terrazze a mezzo di scale fisse realizzatre con pedate e alzate corrette, parapetti regolamentari, protezione alle zone di imbocco create dai cilindri con la tela, drenaggio dei pavimenti e uso di piastrelle antiscivolo, impiego di DPI ergonomici, isolamento acustico delle pompe a vuoto e dei raffinatori che normalmente sono adiacenti.
DPR 547/55 Art. 8.16-27-41-55-68-377-379 – Titolo VII
DPR 303/56 Art.
7-11-13-24
D.Lgs. 626/94 Art.
21-22 - Titolo II-III-IV
D. Lgs. 277/91 Capo
IV
All. 3.5
ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA SICUREZZA DEL LAVORO
I.S.P.E.S.L.
PROGETTO SI.PRE. REGIONI
BANCA NAZIONALE DEI PROFILI DI RISCHIO DI COMPARTO
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1. COMPARTO: |
PRODUZIONE CARTA |
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2. FASE DI LAVORAZIONE: |
PREPARAZIONE DEL FOGLIO |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORE DI RISCHIO: |
Organizzativo – infortunistico (strutture, macchine, organizzazione del
lavoro) Cause Principali: · Interventi in prossimità di zone di cattura degli arti Organi meccanici in movimento: cilindri, tele, cinghie, catene · formazione di mucillagine sulle superfici di calpestio · condizioni microclimatiche severe: umidità e condensazione vapori Rumore Cause Principali: · cinematismi vari in movimento · pompe a vuoto · cassettine e casse aspiranti |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
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FASE
Una volta staccato dalla tela il foglio di carta viene adagiato su di un “feltro”
Questo è un tessuto sintetico poroso a forma di nastro continuo il cui compito è quello di far avanzare il foglio, su di esso posato, alla successiva sezione presse
L’altro fondamentale compito del feltro è quello di permettere la compressione del foglio per estrarre rapidamente acqua in quanto il foglio di carta così formato sulla tavola piana ha un secco compreso tra il 16 ed il 20%.
Dato che la componente maggiore di tale foglio è l’acqua, un eventuale tentativo di compressione farebbe si che le fibre vaganti nel mezzo acquoso si muovano disordinatamente distruggendo o alterando fortemente la struttura del contesto già formata.
Se invece la pressione viene esercitata sul foglio quando questa giace sul feltro che è per natura soffice ed assorbente, l’acqua di spremitura si trasferisce al feltro senza disturbare il contesto fibroso.
Infatti se l’acqua “spremuta” non trovasse sfogo attraverso un corpo permeabile, soffice e resiliente, eserciterebbe sul foglio una pressione idraulica trale da provocarne la rottura (franatura in gergo).
Considerato che ha il ruolo principe per la fabbricazione della carta è l’acqua che imbeve e idrata le fibre, le rende flessibili e raffinabili, consente di miscelare uniformemente l’impasto fibroso con gli altri componenti al fine di permettere il pompaggio di tutto l’impasto, le pompe di vario tipo e genere, sono le macchine principalmente utilizzate in questa prima fase di formazione del foglio.
La tela, col suo moto rotatorio continuo, sviluppato per mezzo di cilindri e rulli, motori, giunti e organi di trasmissione di vario tipo sono gli impianti presenti nella fase umida.
Le attrezzature sono tutte quelle tubazioni, passerelle, ballatoi, dispositivi automatici per il controllo della pressione e dei flussi di impasto che sono indispensabili per la corretta gestione della formazione del foglio nella fase umida.
Fattori di
rischio
I principali fattori di rischio in questa fase sono quelli derivanti dal trascinamento di organi ruotanti, dal contatto con sostanze chimiche, dalla esposizione a fonti di rumore, dalla permanenza in zone sopraelevate, della esposizione ad un microclima sfavorevole, dall’uso costante di DPI, dallo scivolamento di pavimenti costantemente umidi.
Il danno atteso
Lesioni gravi agli arti superiori per schiacciamento, lesioni agli arti inferiori per cadute e scivolamenti, lesioni agli occhi per schizzi di sostanze chimiche, dermatiti da contatto, cadute da ballatoi e terrazze situate in quota.
Accessi sicuri a ballatoi e terrazze a mezzo di scale fisse realizzatre con pedate e alzate corrette, parapetti regolamentari, protezione alle zone di imbocco create dai cilindri con la tela, drenaggio dei pavimenti e uso di piastrelle antiscivolo, impiego di DPI ergonomici, isolamento acustico delle pompe a vuoto e dei raffinatori che normalmente sono adiacenti.
DPR 547/55 Art. 8-16-27-41-55-68-377-379 – Titolo VII
DPR 303/56 Art.
7-11-13-24
D.Lgs. 626/94 Art.21-21
- Titolo II-III-IV
D. Lgs. 277/91 Capo
IV
All. 3.6
ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA SICUREZZA DEL LAVORO
I.S.P.E.S.L.
PROGETTO SI.PRE. REGIONI
BANCA NAZIONALE DEI PROFILI DI RISCHIO DI COMPARTO
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1. COMPARTO: |
PRODUZIONE CARTA |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
PRESSATURA AD UMIDO |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORE DI
RISCHIO: |
Organizzativo – infortunistico (strutture, macchine, organizzazione del
lavoro) Cause Principali: organi meccanici in movimento: cilindri, tele, cinghie, catene interventi per passaggi manuali del foglio in prossimità di zone di cattura degli arti
formazione di mucillagine sulle superfici di calpestio condizioni microclimatiche severe: umidità e condensazione vapori Rumore Cause Principali:
Cinematismi vari in movimento |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
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Il feltro umido quindi, oltre alla funzione di sostegno, funge anche da ricettore d’acqua e da tutore delle integrità del foglio.
Per spremere l’acqua in continuo si ricorre all’uso delle presse ad umido.
Le presse sono costituite da coppie di cilindri contrapposti il cui numero e dimensione variano con le caratteristiche della carta da fabbricare.
Dopo
l’ultima pressa termina la parte della macchina
continua detta “zona umida”.
All’uscita delle presse umide il foglio, in funzione del tipo di press a disposizione e dell’impasto, può avere un secco generalmente compreso tra il 42% e il 50%
Per toglire ulteriore acqua al foglio ormai formato, è necessario passare alla “sona secca” dove il componente principale è il calore.
sempre più alto sotto la tela, costringono l’acqua a lasciare la fibra.
Considerato che ha il ruolo principe per la fabbricazione della carta è l’acqua che imbeve e idrata le fibre, le rende flessibili e raffinabili, consente di miscelare uniformemente l’impasto fibroso con gli altri componenti al fine di permettere il pompaggio di tutto l’impasto, le pompe di vario tipo e genere, sono le macchine principalmente utilizzate in questa prima fase di formazione del foglio.
La tela, col suo moto rotatorio continuo, sviluppato per mezzo di cilindri e rulli, motori, giunti e organi di trasmissione di vario tipo sono gli impianti presenti nella fase umida.
Le attrezzature sono tutte quelle tubazioni, passerelle, ballatoi, dispositivi automatici per il controllo della pressione e dei flussi di impasto che sono indispensabili per la corretta gestione della formazione del foglio nella fase umida.
Fattori di
rischio
I principali fattori di rischio in questa fase sono quelli derivanti dal trascinamento di organi ruotanti, dal contatto con sostanze chimiche, dalla esposizione a fonti di rumore, dalla permanenza in zone sopraelevate, della esposizione ad un microclima sfavorevole, dall’uso costante di DPI, dallo scivolamento di pavimenti costantemente umidi.
Il danno atteso
Lesioni gravi agli arti superiori per schiacciamento, lesioni agli arti inferiori per cadute e scivolamenti, lesioni agli occhi per schizzi di sostanze chimiche, dermatiti da contatto, cadute da ballatoi e terrazze situate in quota.
Accessi sicuri a ballatoi e terrazze a mezzo di scale fisse realizzatre con pedate e alzate corrette, parapetti regolamentari, protezione alle zone di imbocco create dai cilindri con la tela, drenaggio dei pavimenti e uso di piastrelle antiscivolo, impiego di DPI ergonomici, isolamento acustico delle pompe a vuoto e dei raffinatori che normalmente sono adiacenti.
DPR 54755 Art. 8-11-33-68-168-169-182-377-379 – Titolo VII
DPR 303/56 Art.7-11-20
D.Lgs. 626/94 Art.
21-21 - Titolo II-III-IV
D. Lgs.
277/91 Capo IV
All. 3.7
ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA SICUREZZA DEL LAVORO
I.S.P.E.S.L.
PROGETTO SI.PRE. REGIONI
BANCA NAZIONALE DEI PROFILI DI RISCHIO DI COMPARTO
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1. COMPARTO: |
PRODUZIONE CARTA |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
ESSICCAZIONE O SECCHERIA |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORE DI
RISCHIO: |
Organizzativo – infortunistico (strutture, macchine, organizzazione del
lavoro) Cause Principali: Monolucido (5) e cilindri essiccatori: superfici a temperature elevate
organi meccanici in movimento
incendio della polvere di carta innescata dalla elettricità statica prodotta dallo strofinio per trascinamento Modalità di Accadimento: Note: (5) pericolo di scoppio del monolucido per cedimento strutturale trattandosi di recipiente a pressione. Alcuni incidenti per incendio e scoppio hanno causato Fortuitamente solo gravi danni agli impianti ed alle strutture. Microclima
Cause Principali:
presenza di impianti con superfici a temperatura elevata Rumore Cause Principali: Cinematismi vari in movimento |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
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FASE
"ESSICAZIONE O
SECCHERIA"
Descrizione
L'impasto di materia prima steso sul feltro, affinché possa essere trasformato in telo di carta, deve essere impoverito della parte umida. Questo avviene facendo passare l'impasto guidato dalla tela, attorno a dei cilindri essiccatori o direttamente su di un unico cilindro caldo detto monolucido, costituenti la zona di essiccazione o seccheria della macchina continua.
Attrezzature
Nelle macchine continue che producono carta da imballo la velocità di avanzamento è relativamente bassa in quanto la grammatura della carta è alta. Pertanto l'essiccamento dell'impasto necessita del passaggio attraverso gruppi di cilindri caldi denominati seccheria che per temperatura lo asciugano trasformandolo in carta.
La carta tissue, di grammatura più bassa rispetto alla carta da imballo e prodotta a velocità maggiore, viene ottenuta facendo essiccare l'impasto su un unico cilindro di notevoli dimensioni denominato monolucido.
Le superfici dei cilindri e del monolucido assumono elevata temperatura da vapore caldo inviato al loro interno e prodotto da apposita caldaia sistemata in ambiente diverso da quello della macchina continua e dalla produzione di aria calda all'interno di apposita cappa installata sopra il monolucido per aumentarne la capacità di essiccazione.
Il distacco del foglio di carta dal monolucido viene facilitato da apposita coltella denominata raschia, a stretto contatto con la superficie del cilindro.
All'uscita della seccheria o del monolucido è installato un lettore a radiazioni ionizzanti per la verifica della grammatura del telo di carta.
Fattori di rischio
I principali fattori di rischio sono da considerare di tipo organizzativo e fisico.
Da un punto di vista della macchina costituiscono fattori di rischio specifici:
· i cilindri essiccatori, in quanto la loro superficie assume temperature elevate costituendo quindi un pericolo di contatto con superfici calde durante il controllo di funzionamento ed il passaggio carta nei casi di rottura della stessa. Inoltre durante queste operazioni sussiste il pericolo di cattura degli arti superiori per la presenza di zone di imbocco, formate dalle superfici dei cilindri essiccatori a stretto contatto con la tela che porta la carta attorno agli stessi.
· Gli organi di trasmissione del moto dei cilindri, che possono essere raggiunti durante le operazioni di controllo e manutenzione.
· Il monolucido, in quanto, come i cilindri essiccatori, ha la superficie calda, costituendo a sua volta pericolo di contatto con le parti calde sia durante il controllo di funzionamento sia durante il cambio della raschia. Inoltre presenta pericoli di cattura degli arti superiori alle zone di imbocco che si formano tra lo stesso e i cilindri pressori. Altro fattore di rischio specifico del monolucido è quello legato al pericolo di incendio del polverino che si accumula in prossimità delle cappe per la produzione di aria calda (prodotta dalla combustione di gas metano) in seguito ad anomalie che permettano la fuoriuscita di gas caldi combusti. Oltre al rischio di incendio è presente quello di scoppio del monolucido, per cedimento strutturale essendo un recipiente a pressione.
I fattori di rischio fisico sono individuati in:
· microclima: in quanto l'elevata differenza di temperatura esistente tra la zona seccheria o zona monolucido e l'ambiente circostante sottopone il personale a sbalzi termici.
· Presenza di polvere durante la produzione di carta tissue nella zona in uscita al monolucido.
· Esposizione a radiazioni ionizzanti prodotte dal lettore di grammatura della carta.
· Esposizione al rumore generato da cinematismi vari in movimento presenti lungo la linea di produzione.
Dal punto di vista delle procedure e comportamenti costituiscono fattori di rischio le modalità di esecuzione del passaggio carta. Il passaggio manuale della stessa sottopone il personale ai rischi derivanti dall'accostamento degli arti alle superfici calde e alle zone di imbocco qualora le procedure non siano coadiuvate da misure di sicurezza tali da impedire l'accostamento degli arti alle zone pericolose. L'automatizzazione di dette operazioni può comportare il rischio residuo di contatto con zone di imbocco qualora sia costituito da corde e relative pulegge non protette.
Danno atteso
Il contatto con superfici calde ha dato origine ad ustioni di vario grado, mentre la cattura degli arti ha provocato lesioni da schiacciamento agli arti superiori.
L'esposizione a sorgenti rumorose è stata causa di ipoacusie bilaterali, mentre non sono conosciuti eventuali danni legati al microclima, alla esposizione di polveri ed a radiazioni ionizzanti.
Alcuni incidenti avvenuti per esplosione del monolucido e/o incendio hanno causato danni alle persone e alle cose ma non infortuni mortali.
Interventi
I seguenti interventi possono ridurre la gravità del rischio organizzativo - infortunistico durante operazioni nella zona essiccazione:
· segregazione delle zone di imbocco e delle superfici calde o allontanamento dalle stesse con barriere distanziatrici.
· Attuazione di procedure corrette per gli interventi di passaggio carta e cambio raschia che impediscono l'avvicinamento dell'operatore alle zone pericolose.
· Installazione di un sistema automatico di passaggio carta e relative protezioni dello stesso qualora sia costituito da cinghie e/o funi e relative pulegge.
· Segregazione o protezione delle zone trasmissione.
· Delimitazione della zona di rispetto dell'apparecchio a radiazioni ionizzanti.
· Insonorizzazione delle sorgenti rumorose e/o delimitazione delle aree di rispetto.
· Allestimento di una cabina silente pressurizzata.
· Dotare il personale dei D.P.I. necessari.
· Cartelli ammonitori.
· Informazione e formazione.
DPR 547/55 Art.27-34-35-36-55-60-68-69-132-240-377-379
DPR 303/56 Art.
11-21-23-24
D.Lgs 277/91 Capo IV
D.Lgs. 626/94 Art.
21-22 Titolo III-IV
Legge 01/03/1968 n°186
Regio Decreto 12/05/1927 n° 824 – D.M. 21/05/1974
All. 3.8
ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA
SICUREZZA DEL LAVORO
I.S.P.E.S.L. PROGETTO SI.PRE. REGIONI
BANCA NAZIONALE DEI PROFILI
DI RISCHIO DI COMPARTO
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1.
COMPARTO: |
PRODUZIONE CARTA |
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2.
FASE DI LAVORAZIONE: |
ARROTOLATORE o POPEL |
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COD.INAIL: |
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FATTORE DI RISCHIO: |
Organizzativo-infortunistico (strutture, macchine, organizzazione del lavoro) Cause Principali:
Cilindri in movimento:
alta velocità di rotazione
strutture macchine e impianti non adeguatamente protetti
organizzazione del lavoro inadeguata condizioni strutturali: Spazi di manovra ristretti
Modalità di accadimento: Interventi in prossimità di zone di cattura degli arti Operazioni di aggiuntatura del telo di carta
Passaggio manuale della carta tra cilindri Accoppiati Rumore
Cause principali: Cinematismi vari in movimento |
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5.
CODICE DI RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6.
N. ADDETTI: |
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All. 3.9
FASE
"ARROTOLATORE O
POPE"
Descrizione
Il telo di carta proveniente dall'essiccazione deve essere avvolto in bobine per essere commercializzato o inviato a successiva lavorazione. L'avvolgimento in bobine viene effettuato con apposita macchina detta arrotolatore o pope.
Attrezzature
L'arrotolatore è costituito da un cilindro ruotante su cui poggia un altro cilindro folle, di sezione più piccola, denominato palo o cassetta che, portato in rotazione dall'arrotolatore, avvolge su se stesso la carta in arrivo dalla zona di essiccamento. Durante l'avvolgimento la bobina in formazione si sposta sulla parte frontale della macchina per consentire sia l'aumento in sezione della stessa, sia all'operatore di posizionare, a mezzo di apparecchio di sollevamento (carroponte), un altro palo in attesa. Quest'ultimo poggia su due elementi verticali denominati forche. Quando la bobina raggiunge le dimensioni volute il palo viene portato a contatto con il cilindro dell'arrotolatore che lo porta in rotazione e in modo automatico o manuale il telo di carta dalla bobina finita viene strappato per essere riavvolto sul palo e riformare così una nuova bobina. La bobina ormai finita rotola su due guide parallele e orizzontali per essere allontanata dai cilindri in rotazione; arrivata a fine corsa viene prelevata a mezzo del carroponte.
Fattori di rischio
I principali fattori di rischio sono da considerare di tipo organizzativo e fisico.
Da un punto di vista della macchina costituiscono fattori di rischio specifici:
· Zone di imbocco che si formano tra il palo in attesa ed il sottostante cilindro dell'arrotolatore e tra quest'ultimo e la bobina in formazione con pericolo di cattura degli arti superiori.
· Gli organi di trasmissione del moto dell'arrotolatore.
· Pericolo di schiacciamento costituito dalle zone di imbocco che si formano tra il palo della bobina finita e le guide di scorrimento.
· Rischio di caduta dei carichi e pericolo di schiacciamento tra il carico movimentato ed una struttura fissa durante l'uso del carroponte specie quando gli spazi a disposizione sono ristretti.
· Movimentazione manuale dei carichi, nel caso di alcune macchine più vecchie che richiedono l’estrazione manuale del del palo dell’arrotolatore dall’anima della bobina
I fattori di rischio fisico sono individuati in:
· Presenza di polveri durante la formazione di bobine di carta tissue.
· Esposizione al rumore generato da cinematismi vari in movimento presenti lungo la linea di produzione.
Da un punto di vista delle procedure e comportamenti costituiscono fattori di rischio le modalità di esecuzione del passaggio carta. Questo può avvenire o per portare la carta in arrivo dalla zona essiccazione al palo per la formazione della prima bobina o nel caso in cui il telo di carta si strappi prima dell'arrivo all'arrotolatore e nelle operazioni di cambio bobina quando vengono effettuate manualmente e qualora le procedure non siano coadiuvate da misure di sicurezza tali impedire l'accostamento degli arti alle zone pericolose. L'automatizzazione di dette operazioni può comportare il rischio residuo di contatto con zone di imbocco qualora sia costituito da corde e relative pulegge non protette.
Danno atteso
La cattura degli arti nelle zone di imbocco costituite da palo e arrotolatore e palo e bobina in formazione ha provocato lesioni da schiacciamento agli arti superiori, così come l'impigliamento degli arti tra corde del passaggio automatico carta e relative pulegge.
Non si conoscono danni rilevanti causati dagli elementi di trasmissione dell'arrotolatore ed a esposizione di polveri.
Esposizione a sorgenti rumorose è stata causa di ipoacusia bilaterale.
Interventi
I seguenti interventi possono ridurre la gravità del rischio organizzativo - infortunistico durante le operazioni all'arrotolatore:
· Protezioni delle zone di imbocco o allontanamento dalle stesse con barriere distanziatrici.
· Installazione di un sistema automatico di passaggio carta e relative protezioni dello stesso qualora sia costituito da cinghie e/o funi e relative pulegge.
· Attuazione di procedure corrette per gli interventi di passaggio carta e di aggiuntatura della stessa che impediscono l'avvicinamento dell'operatore alle zone pericolose.
· Segregazione o protezione delle zone di trasmissione.
· Installazione, dove necessario, di idoneo impianto di aspirazioni polveri.
· Cartelli ammonitori.
· Dotare il personale dei D.P.I. necessari.
· Informazione e formazione.
· Assenza di personale durante la movimentazione dei carichi con carroponte.
· Utilizzo di pali dell’arrotolatore più leggeri in fibra di carbonio
DPR 547/55 Art. 34-35-36-55-60-69-132-186-377-379
DPR 303/56 Art.
21-23-24
D.Lgs. 277/91 Capo IV
D.Lgs. 626/94 Art.
21.22 – Titolo III-IV-V
Legge 01/03/1968 n° 186
ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA
SICUREZZA DEL LAVORO
I.S.P.E.S.L. PROGETTO SI.PRE. REGIONI
BANCA NAZIONALE DEI PROFILI
DI RISCHIO DI COMPARTO
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1.
COMPARTO: |
PRODUZIONE CARTA |
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2.
FASE DI LAVORAZIONE: |
RIBOBINATURA |
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3.
COD.INAIL: |
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4.
FATTORE DI RISCHIO: |
Organizzativo-infortunistico (strutture, macchine, organizzazione del
lavoro) Cause Principali: cilindri in movimento: alta velocità di rotazione strutture macchine e impianti non adeguatamente protetti organizzazione del lavoro inadeguata condizioni strutturali: spazi di manovra ristretti
Modalità di accadimento: interventi in prossimità di zone nelle quali vi sono pericoli di cattura degli arti operazioni di aggiuntatura del telo di carta passaggio manuale della carta tra cilindri accoppiati
Rumore Cinematismi vari in movimento |
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5.
CODICE DI RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6.
N. ADDETTI: |
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"RIBOBINATURA"
Descrizione
La bobina di carta formata all'arrotolatore viene poi sezionata a misura, secondo il prodotto richiesto e/o ulteriore lavorazione da effettuare, tramite apposito macchinario detto ribobinatrice, in quanto svolge un o più bobine di carta in contemporanea e le riavvolge in rotoli più o meno grandi, se non addirittura in prodotto finito, su apposite anime di cartone.
Dall’arrotolatore la bobina viene trasportata alla ribobinatrice normalmente mediante carroponte in quanto la ribobinatrice di norma è coolocata subito di seguito all’arrotolatore. In alcuni casi, laddove vecchi stabilimenti sono stati adattati per installarvi macchine più moderne, la ribobinatrice, per carenza di spazi, si trova non in linea con la macchina continua. In questi casi le bobine in uscita dall’arrotolatore vengono deposte dal carroponte su un carrello, che viene spinto a mano, o trainato da una motrice, fino alla ribobinatrice.
Attrezzature
La ribobinatrice è costituita da una serie di cilindri attraverso cui viene fatta passare la carta e da due cilindri di frizione su cui viene posata l'anima di cartone attorno cui si avvolge la carta. L'anima di cartone viene tenuta in posizione sia da due punzoni laterali che da un cilindro cavaliere tenuto in posizione sopra l'anima. Il sezionamento del foglio di carta che va a formare le nuove bobine avviene tramite coltelli circolari.
Il posizionamento delle bobine da svolgere nonché di quelle finite se intere avviene tramite uso di carroponte.
Fattori di rischio
I principali fattori di rischio sono da considerare di tipo organizzativo e fisico.
Da un punto di vista della macchina costituiscono fattori di rischio specifici:
· gli organi di trasmissione della ribobinatrice con pericolo di cattura degli arti superiori.
· Zone di imbocco che si formano tra i cilindri della ribobinatrice e la bobina in formazione con pericolo di cattura degli arti superiori specie durante le operazioni di passaggio carta.
· Coltelli circolari privi di protezione alla lama.
· Rischio di caduta dei carichi e pericolo di schiacciamento tra il carico movimentato ed una struttura fissa durante l'uso del carroponte specie quando gli spazi a disposizione sono ristretti.
· Movimentazione manuale di carichi in caso di necessità di spostamento manuale con carrelli delle bobine da ribobinare
· Talvolta movimentazione manuale dei carichi per l’estrazione manuale di pali della ribobinatrice dall’anima dela bbobina.
I fattori di rischio fisico sono individuati in:
· Presenza di polveri durante la ribobinatura di carta tissue.
· Esposizione al rumore generato da cinematismi vari in movimento presenti sia nella macchina sia nell'ambiente di lavoro.
Da un punto di vista delle procedure e comportamenti costituiscono fattori di rischio le modalità di esecuzione del passaggio carta per inizio ribobinatura e per rottura della stessa qualora le procedure non siano coadiuvate da misure di sicurezza tali da impedire l'accostamento degli arti alle zone pericolose. Allo stesso modo, per assenza di adeguati sistemi di movimentazione e procedure, è presente il rischio legato alla movimentazione manuale dei carichi per la manipolazione delle aste su cui, in alcuni casi, viene fatto avvolgere il telo di carta.
Danno atteso
La cattura degli arti nelle zone di imbocco che si formano tra i cilindri della ribobinatrice e tra i cilindri e la bobina in formazione ha provocato lesioni da schiacciamento agli arti superiori. Nel 1998 si è verificato un infortunio mortale ad una ribobinatrice per afferramento del lavoratore da parte dei cilindri contrapposti in movimento.
Non si conoscono danni rilevanti causati dagli elementi di trasmissione della ribobinatrice ed a esposizione di polveri.
Esposizione a sorgenti rumorose è stata causa di ipoacusia bilaterale.
L'assenza di protezioni alla lama dei coltelli circolari ha causato una ferita da taglio.
Interventi
I seguenti interventi possono ridurre la gravità del rischio organizzativo - infortunistico durante le operazioni alla ribobinatrice:
· Protezioni delle zone di imbocco o allontanamento dalle stesse con barriere distanziatrici.
· Installazione di cancelli di accesso all'interno provvisti di microinterruttori che ne impediscano l'apertura con macchina in movimento.
· Attuazione di procedure corrette per gli interventi di passaggio carta e di aggiuntatura della stessa che impediscono l'avvicinamento dell'operatore alle zone pericolose durante la normale marcia.
· Consenso di accesso alle zone pericolose solo a marcia lenta.
· Segregazione o protezione delle zone di trasmissione.
· Installazione, dove necessario, di idoneo impianto di aspirazioni polveri.
· Cartelli ammonitori.
· Dotare il personale dei D.P.I. necessari.
· Informazione e formazione.
· Assenza di personale durante la movimentazione dei carichi con carroponte.
· Installazione di idonea cabina insonorizzata.
·
Utilizzo di pali più leggeri in fibra di carbonio
Riferimenti
legislativi
DPR
547/55 Art.
27-55-60-68-69-72-132-186-377-379
DPR 303/56 Art.
21-24
D.Lgs 277/91 Capo
IV
D.Lgs. 626/94 Art. 21-22 – Titolo III-IV-V
Legge
01/03/1968 n° 186
All. 3.10
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SICUREZZA DEL LAVORO
I.S.P.E.S.L. PROGETTO SI.PRE. REGIONI
BANCA NAZIONALE DEI PROFILI
DI RISCHIO DI COMPARTO
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1.
COMPARTO: |
PRODUZIONE CARTA |
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2.
FASE DI LAVORAZIONE: |
MAGAZZINO PRODOTTI FINITI |
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3.
COD.INAIL: |
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4.
FATTORE DI RISCHIO: |
Organizzativo – infortunistico (strutture, macchine, organizzazione del
lavoro) Cause Principali: percorsi: · Visibilità · Promiscuità dei percorsi del personale e dei mezzi meccanici carrelli: · Velocità · altezza forche · raggio di sterzata · visibilità
caratteristiche strutturali (6) : · stato dei piani di calpestio · piazzali soggetti agli agenti atmosferici Modalità di accadimento: caduta dall’alto di materiali investimenti da parte dei carrelli
ribaltamento del carrello |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
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FASE
“MAGAZZINO PRODOTTI
FINITI”
In tutti i casi il magazzino prodotto finito è costituito da un capannone chiuso, spesso poco finestrato per evitare l’influenza dei raggi ultravioletti sul colore della carta e per evitare incendi dolosi.
Per il carico dei camions, che generalmente avviene all’aperto o sotto tettoie, le bobine vengono movimentate mediante carrelli elevatori.
· Necessità per i muletti carichi di viaggiare a retromarcia per mancanza di visibilità anteriore
Il principale fattore di rischi fisico è rappresentato dagli sbalzi microclimatici legati alla necessità di entrare ed uscire continuamente dai capannoni per le operazioni di carico dei camions.
Per investimento da parte dei muletti o per ribaltamento degli stessi si può verificare la morte o lesioni gravissime, come pure per investimento da parte di bobine. Nel 1998 si sono verificati due infortuni con esito mortale di cui sono rimasti vittime due addetti al magazzino prodotto finito (un ribaltamento di carrello elevatore, un investimento).
Disturbi a carico del rachide possono verificarsi in seguito alla prolungata guida a retromarcia.
Per evitare ribaltamenti dei muletti è importante la buona manutenzione dei piani di calpestio, la guida a bassa velocità, senza brusche sterzate e con forche abbassate.
Nei magazzini è importante che siano lasciati liberi spazi sufficienti per consentire una buona visibilità delle vie di transito. La visibilità può essere migliorata con specchi parabolici, specie sui portoni di ingresso dei magazzini ed agli incroci delle vie di transito.
Devono essere previsti percorsi appositi per i pedoni e le vie di transito devono avere larghezza sufficiente in relazione alla larghezza dei mezzi carichi.
L’ergonomicità dei mezzi di sollevamento e trasporto per le bobine è affidata attualmente all’uso di sedili che ammortizzano le vibrazioni trasmesse al rachide, non è ancora stato risolto tuttavia il problema della guida prolungata a retromarcia, che obbliga il conducente ad una posizione antiergonomica.
DPR 547/55 Art. 8-11-33-68-168-169-182-377-379
DPR 303/56 Art. 7-11
D.Lgs. 626/94 Art. 21-22 - Titolo II-III-IV-V
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I.S.P.E.S.L.
PROGETTO SI.PRE. REGIONI
BANCA NAZIONALE DEI PROFILI DI RISCHIO DI COMPARTO
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1. COMPARTO: |
PRODUZIONE CARTA |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
CENTRALE TERMICA |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORE DI
RISCHIO: |
Rumore Microclima
Cause Principali: Macchine per produzione vapore da immettere nei Circuiti di alimentazione del ciclo di lavorazione. Sorgenti: Bruciatori Iniezione di combustibile Circuito di alimentazione di aria forzata Circuito di alimentazione e trasporto vapore. Modalità di accadimento: Presenza di addetti con addestramento specifico per la conduzione delle macchine: tempo stimato di esposizione giornaliera 4h. Organizzativo – infortunistico (strutture, macchine, organizzazione del
lavoro) Cause Principali: Presenza di elementi e parti di impianto a Temperatura elevata
Fluidi in pressione ad alta temperatura Modalità di
accadimento: Contatto con superfici calde o fuoriuscita di vapore Durante operazioni di manutenzione |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
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CENTRALE TERMICA
Trattiamo qui di seguito il caso tipo, ovvero quello più rappresentativo di una realtà di un comparto come quello cartario che per stare sul mercato necessita di continui adeguamenti tecnologici ,in una parola occorre ridurre i costi di produzione al massimo, compresi quindi anche i costi di produzione dell’energia elettrica.
Il ciclo di lavoro è ben delineato,perlomeno nelle sue fasi essenziali nello schema a blocchi nella pagina seguente.
Si tratta comunque di un reparto molto complesso nelle sue articolazioni, che costituisce il cuore della cartiera.
Normalmente vi troviamo ubicato un cogeneratore costituito da una turbina a gas metano, da un alternatore che genera la corrente elettrica e da una turbina a vapore che realizza la riduzione di pressione di I° salto ed è montata coassialmente con la turbina a gas con l’interposizione di un particolare giunto che fa in modo di mettere la turbina a vapore sempre in presa sull’albero dell’alternatore.
Questa soluzione fa si che anche dalla riduzione di pressione del vapore si possa trarre lavoro utile alla produzione di energia elettrica.
La caldaia a recupero posta sull’uscita fumi della turbina a gas genera vapore surriscaldato che a sua volta genera corrente nella turbina a vapore (riduzione di I° salto)
A questo punto il vapore prodotto viene ottemperato in modo da portarlo nelle condizioni di “vapor saturo secco” utile quindi ad essere condensato con la cessione di una grande quantità di calore.
Trattandosi di un impianto non munito di condensatori, la condensazione del vapore che nelle centrali tradizionali determina un lavoro passivo enorme a spese del ciclo termodinamico e del suo rendimento totale ,nel nostro caso avviene invece nei cilindri essiccatori ovvero nel monolucido ( caso carta tissue ) con la chiusura ottimale del ciclo termodinamico.
Da considerare come parte integrante del ciclo produttivo anche la demineralizzazione totale dell’acqua di reintegro del ciclo, realizzata per mezzo di resine cationiche ed anioniche (zeoliti)
Attrezzature, macchine, impianti
Turbina alimentata a gas metano,turbina a vapore, alternatore,quadri elettrici di parallelo,caldaia a recupero ed altre attrezzature torri dell’impianto di demineralizzazione totale
Recentemente ha avuto molto successo un nuovo
tipo di centrale termoelettrica con turbina a gas, detta a ciclo combinato
(CCGT, dall'inglese Combined Cycle Gas
Turbine). In questo tipo di centrale, la trasformazione dell'energia
termica in energia meccanica, necessaria ad azionare un generatore elettrico,
avviene in due tempi, con un rendimento totale che si avvicina al 55%: il
calore contenuto nei gas di scarico di una turbina a gas accoppiata a un
generatore elettrico viene utilizzato per riscaldare l'acqua di una caldaia,
che così produce il vapore necessario ad azionare una turbina a vapore
accoppiata a un secondo generatore.
Il funzionamento della turbina a vapore è basato sui principi della termodinamica: espandendosi, il vapore subisce un abbassamento di temperatura, in quanto parte della sua energia calorica si trasforma in energia meccanica, sotto forma di moto delle particelle che lo compongono. Tale trasformazione rende direttamente disponibile una grande quantità di energia meccanica.
Sebbene costruite in base a due diversi principi, le parti essenziali di tutte le turbine sono simili. Ci sono innanzitutto gli ugelli, attraverso i quali il vapore fluisce, si espande, perde calore e acquista energia cinetica; poi ci sono le palette, contro le quali il vapore ad alta velocità esercita pressione. La disposizione di ugelli e palette, fisse o mobili, dipende dal tipo di turbina. Oltre a questi due componenti di base, le turbine comprendono le giranti sulle quali sono fissate le palette, un albero su cui sono montate le giranti, un involucro esterno (o cassa) e altri dispositivi accessori, inclusi quelli di lubrificazione e di regolazione.
Nelle applicazioni industriali che richiedono sia il calore di processo (ossia il calore necessario allo svolgimento di un processo tecnologico) sia l'elettricità, il vapore viene portato ad alta pressione nella caldaia, in modo che, dopo aver alimentato la turbina, si trovi nelle condizioni di pressione e temperatura richieste dal processo. Le turbine a vapore possono anche essere inserite in cicli combinati con un generatore di vapore che recupera il calore che andrebbe altrimenti perduto, come quello, ad esempio, contenuto nei gas di scarico di una turbina a gas.
La turbina a vapore non è stata il frutto dell'ingegno di una singola persona, ma si è sviluppata negli ultimi anni del XIX secolo, come risultato del lavoro di più inventori, fra i quali spiccano il britannico Charles Algernon Parsons e lo svedese Carl Gustav Patrik de Laval. A Parsons si deve il cosiddetto principio della stadiazione, ossia la suddivisione in diversi stadi dell'espansione del vapore, in modo che questo produca lavoro utile a ciascuno stadio. De Laval invece fu il primo a progettare una disposizione di ugelli e palette particolarmente adatta a sfruttare efficacemente l'espansione del vapore.
3.1. Funzionamento della turbina a vapore Il funzionamento della turbina a vapore è basato sui principi della termodinamica: espandendosi, il vapore subisce un abbassamento di temperatura, in quanto parte della sua energia calorica si trasforma in energia meccanica, sotto forma di moto delle particelle che lo compongono. Tale trasformazione rende direttamente disponibile una grande quantità di energia meccanica.
Sebbene costruite in base a due diversi principi, le parti essenziali di tutte le turbine sono simili. Ci sono innanzitutto gli ugelli, attraverso i quali il vapore fluisce, si espande, perde calore e acquista energia cinetica; poi ci sono le palette, contro le quali il vapore ad alta velocità esercita pressione. La disposizione di ugelli e palette, fisse o mobili, dipende dal tipo di turbina. Oltre a questi due componenti di base, le turbine comprendono le giranti sulle quali sono fissate le palette, un albero su cui sono montate le giranti, un involucro esterno (o cassa) e altri dispositivi accessori, inclusi quelli di lubrificazione e di regolazione.
3.2. Tipi di turbina a vapore La forma più semplice di turbina a vapore è la cosiddetta turbina ad azione, nella quale il vapore, uscendo ad alta pressione da una serie di ugelli opportunamente disposti all'interno della cassa, colpisce direttamente le palette montate sulla parte periferica della girante, facendo ruotare quest'ultima intorno all'albero centrale.
Nella turbina a reazione, invece, l'energia meccanica viene ottenuta in parte dall'impatto del vapore sulle alette, ma soprattutto dall'accelerazione del vapore in espansione. Le turbine di questo tipo infatti comprendono due serie di palette, una fissa, che costituisce il distributore, e una mobile montata sulla girante. Distributore e girante sono posti uno di fronte all'altro: le palette del distributore sono disposte in modo che ciascuna coppia funzioni come un ugello, attraverso il quale il vapore si espande agendo sulle palette della girante. Quest'ultima, nelle turbine a reazione, non è una ruota, ma ha forma di tamburo il cui asse ha la funzione di albero della turbina.
Allo scopo di utilizzare nel modo più efficiente possibile l'energia ottenibile dal vapore, in entrambi i tipi di turbina il ciclo di espansione è diviso in più stadi, in ciascuno dei quali solo una parte dell'energia termica viene trasformata in energia cinetica. Se tale trasformazione avvenisse totalmente in un unico stadio, la velocità di rotazione della girante potrebbe essere eccessiva. In genere, le turbine a reazione richiedono più stadi di quelle ad azione. Le grandi turbine ad azione hanno in realtà qualche stadio a reazione, all'inizio del percorso del vapore, per garantire un flusso efficiente attraverso le palette; numerose turbine a reazione sono fornite di un primo stadio di controllo ad azione, che consente un risparmio complessivo sul numero totale di stadi.
A causa dell'aumento di volume del vapore in espansione attraverso i vari stadi della turbina, le dimensioni delle aperture attraverso le quali passa il vapore devono essere crescenti. Nella progettazione delle turbine, ciò si realizza aumentando di stadio in stadio la lunghezza delle palette, e quindi il diametro della girante, e accoppiando in parallelo due o più sezioni di turbina. Di conseguenza, una turbina industriale di piccole dimensioni può essere di forma più o meno troncoconica, con il diametro minore all'ingresso, in corrispondenza dell'estremità ad alta pressione, e quello maggiore all'uscita, all'estremità a bassa pressione; una grossa unità per una centrale nucleare, invece, può essere realizzata con quattro giranti, ed essere costituita da una sezione a doppio flusso ad alta pressione seguita da una sezione a doppio flusso a bassa pressione.
Le turbine ad azione di solito utilizzano uno stadio a pressione costante, o di Rateau (dal nome dell'ingegnere francese Auguste Rateau), nel quale il rapporto di pressione è pressoché uniforme. In passato le turbine ad azione impiegavano stadi a salti di velocità, o di Curtis (dal nome dell'inventore statunitense Charles Gordon Curtis), con due giranti, una azionata da una serie di ugelli e l'altra accoppiata a un distributore. La separazione fra gli stadi di una turbina a reazione sono talvolta detti stadi di Parsons.
In sintesi, le turbine a vapore sono macchine relativamente semplici, con una sola parte principale mobile, la girante, e una serie di componenti ausiliari fissi, come i cuscinetti portanti che sopportano le spinte radiali dell'albero, il cuscinetto reggispinta che sopporta la spinta assiale e un sistema di lubrificazione dei cuscinetti. La velocità di rotazione è controllata dalle valvole di ingresso del vapore. Le turbine a reazione sviluppano una considerevole spinta assiale, a causa della caduta di pressione tra le palette in movimento; questa spinta viene di solito compensata con l'impiego di un falso pistone che esercita una spinta nella direzione opposta a quella del flusso di vapore.
Il rendimento delle moderne turbine a vapore
multistadio è intrinsecamente alto, grazie ll'alto grado di sviluppo dei componenti
posizionati lungo il percorso del vapore e alla capacità di ricuperare le
perdite di uno stadio in quelli successivi, mediante un riscaldamento
aggiuntivo. Il rendimento teorico della trasformazione di energia termodinamica
in lavoro meccanico supera in genere il 90%, ma il rendimento effettivo è
sensibilmente inferiore, principalmente a causa della perdita di energia nel
vapore di scarico della turbina.
I fattori di
rischio
I fattori di rischio sono essenzialmente riconducibili ad eventuali e possibili ipoacusie da rumore dovute alla fortissima emissione sonora della turbogas
Possibili danni dovuti al contatto con le sostanze chimiche utilizzate nel condizionamento del condensato e dell’impianto di demineralizzazione acqua di reintegro ove avviene la manipolazione vera e propria delle sostanze rigeneranti le resine HCl ed NaOH.ad esempio e qualora si utilizzino prodotti filmanti o alcalinizzanti quali Idrazine, Azamine ed altre
Altra fonte di pericolo e di possibili danni è il rumore generato dalla Turbogas, anche se non si hanno notizie certe di ipoacusie da rumore vuoi per la forte mobilità interna tra le varie mansioni degli operatori, vuoi perché i locali in cui stazionano abitualmente gli addetti, sono insonorizzati efficacemente e climatizzati.
Per gli interventi da effettuare fuori da detti locali per controlli, si fa un uso sistematico dei D.P.I. in dotazione
Il Danno atteso
Non esistono allo stato malattie professionali acclarate ,anche perché non sono disponibili dati disaggregati di reparto e perché esistono grossi fenomeni migratori all’interno del comparto con mobilità interna e cambi di mansioni molto praticati.
Gli interventi
Il comparto cartario in grossa evoluzione , seppur privilegiando iniziative di bonifica di tipo procedurale, certo non disdegna ,ove possibile, anche i cosiddetti interventi alla fonte.
All’interno della centrale termica sono installate cabine insonorizzate ed opportunamente climatizzate ove gli operatori addetti stazionano per il 90% del loro orario di lavoro.
In quasi tutti gli impianti non si fa più uso di sostanze potenzialmente cancerogene mentre la rigenerazione delle resine scambiatrici di ioni avviene con impianto automatico completamente chiuso con servocomando.
Appalto a ditte esterne
Il reparto in esame non è mai soggetto all’intervento di Ditte esterne
Riferimenti Normativi
Ci si riferisce in modo particolare al D.P.R. 27.04.1955 n° 547 nelle parti interessanti i contatti accidentali con elementi sotto tensione dell’impianto elettrico a quella parte dedicata a contatti accidentali con superfici a temperature dannose (elevate), al possibile investimento da liquidi ustionanti per manovre errate su valvole e flange a tenuta.
Una attenzione particolare andrà senz’altro dedicata alla possibilità di ritorni di fiamma in camera di combustione della caldaia a recuperu dovuta al tra filamento accidentale delle elettrovalvole di blocco sull’afflusso di gas per la combustione.
Altra attenzione andrà dedicata alla manutenzione di tutto l’impianto nel suo complesso con particolare riguardo ai rotori della turbogas e della turbina a vapore , nonché quello dell’alternatore.
All. 2/A
ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA SICUREZZA DEL LAVORO
I.S.P.E.S.L.
PROGETTO SI.PRE. REGIONI
BANCA NAZIONALE DEI PROFILI DI RISCHIO DI COMPARTO
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1. COMPARTO: |
PRODUZIONE CARTA |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
TRASFORMAZIONE E DISTRIBUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA (8) |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORE DI RISCHIO: |
Organizzativo – infortunistico (strutture, macchine, organizzazione del
lavoro) Cause Principali: Interventi di manutenzione su parti in tensione Interventi effettuati da personale non addestrato Modalità di accadimento:
Interventi impropri o senza adeguate Precauzioni su parti in tensione con conseguente Rischio di contatti diretti o fenomeni di arco elettrici Note:
(8) Sono da distinguere due principali fasi: a) - i lavori effettuati all’interno della cabina elettrica del sistema di produzione là dove esiste (cogenerazione). b) - la distribuzione delle singole macchine e l’impianto macchina: situazione nelle quali gli interventi possono essere effettuati da personale addetto alla macchina ma non necessariamente addestrato e che in quel caso effettua piccoli interventi di ripristino su parti in tensione. |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
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FASE
“TRASFORMAZIONE E DISTRIBUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA”
Descrizione
L’energia elettrica nelle cartiere è fornita dalla cabina di trasformazione (media tensione /bassa tensione) e tramite l’impianto elettrico raggiunge tutte le utenze dello stabilimento dedicate alla produzione.
Attrezzature macchine e impianti
Le principali utenze elettriche della cartiera sono costituite dalla macchina continua e dagli impianti di depurazione, in effetti, per tali attrezzature si raggiunge il massimo di assorbimento di potenza. L’attuale parco macchine per circa il 90% è stato installato prima degli anni novanta.
Il fattore di rischio
La particolare tipologia dei macchinari presenti in cartiera (a velocità variabile) pone il problema del contatto indiretto relativamente ai seguenti punti:
Ø sistemi di comando con alimentazione da secondario del trasformatore dei quadri di macchina
Ø sistemi elettrici a corrente continua per azionamento dei motori
Ø sistemi con inverter a frequenza variabile per alimentazione dei motori
Il danno atteso
Danni tipici da elettrocuzione ( fibrillazione ventricolare, tetanizzazione, ustione, asfissia)
Gli interventi
Controllo periodico dell’efficienza dei dispositivi di protezione secondo le modalità stabilite dal CEI e dal DPR 547/55.
Uso dei mezzi personali di protezione individuali per i lavori su parti sotto tensione, elaborazione di procedure per eseguire lavori elettrici in genere; formazione degli addetti
Appalto a ditte esterne
Gli impianti elettrici devono essere installati da ditte in possesso dei requisiti stabiliti dalla legge 46/90. Anche in occasione di affidamento di lavori elettrici di manutenzione a ditte esterne dovranno essere valutati i requisiti tecnico professionali di cui alla legge 46/90.
ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA SICUREZZA DEL LAVORO
I.S.P.E.S.L.
PROGETTO SI.PRE. REGIONI
BANCA NAZIONALE DEI PROFILI DI RISCHIO DI COMPARTO
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1. COMPARTO: |
PRODUZIONE CARTA |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
OFFICINA MECCANICA E MANUTENZIONE MECCANICA |
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3. COD.INAIL: |
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All’interno del comparto esiste un sotto comparto costituito dall’officina meccanica e manutenzione (gli addetti stimati sono nell’ordine del 5% degli addetti del comparto) per i quali è presumibile l’associazione dei rischi tipici dell’officina meccanica ai rischi specifici delle fasi di lavorazione in cui intervengono. Pertanto, tralasciando i rischi noti delle officine meccaniche si fa riferimento a quelli per le diverse fasi di lavorazione sopra descritti. In modo analogo, per quanto attiene i danni, i dati sono aggregati a quelli generali indicati del comparto carta. |
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5. CODICE DI RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
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All. 3.14
ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA SICUREZZA DEL LAVORO
I.S.P.E.S.L.
PROGETTO SI.PRE. REGIONI
BANCA NAZIONALE DEI PROFILI DI RISCHIO DI COMPARTO
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1. COMPARTO: |
PRODUZIONE CARTA |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
CONDUZIONE DI IMPIANTI DI DEPURAZIONE ACQUE |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORE DI RISCHIO: |
Organizzativo – infortunistico (strutture, macchine, organizzazione del
lavoro) Cause Principali: Strutturali: vasche aperte
condizioni delle superfici di calpestio
zone di passaggio sopraelevate personale non addestrato Modalità di accadimento:
Interventi non coordinati su parti di macchine e Impianti complessi, Mancato uso di D.P.I. Chimico Cause Principali: Interventi di manutenzione durante il fermo macchine e/o impianti
Modalità di accadimento:
Accumulo di sostanze tossiche in ambiente anaerobico Durante le fermate (9). Nota: (9) nel 1997 una indagine effettuata in 15 cartiere ha rilevato concentrazioni ambientali di H2S comprese in un range da 0 a 123 ppm; le maggiori rilevazioni si sono rilevate allo spappolatore e alle tine di preparazione dell’impasto.
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
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FASE
“CONDUZIONE DI IMPIANTI DI
DEPURAZIONE ACQUA”
Com’è noto le cartiere sono attività con un gran consumo d’acqua. Con l’evolversi della tecnologia si è cercato di ridurre al massimo tale consumo si è sviluppato un particolare sistema denominato “ ciclo chiuso”che opportunamente riciclando una grossa quantità d’acqua, diminuisce drasticamente eventuali reintegri d’acqua grezza.
In pratica una apposita
vasca nel sottomacchina recupera le seconde acque di supero della continua
ricche d’impasto ed in possesso di un grosso C.O.D. (Chemical oxigen demand )
Allo stato quest’acqua non può essere riutilizzata tal quale, ma deve essere liberata dai solidi sospesi e dalle altre impurità nonché adeguatamente riossigenata per ripristinarne il più possibile le condizioni iniziali.
Per fare questo tipo d’operazione è necessario un apposito impianto di depurazione.
Quest’impianto è di solito
ubicato all’aperto, perché ciò consente di prevenire eventuali rischi di
ristagno e formazione d’idrogeno solforato sui fanghi in fermentazione con
carichi elevatissimi di C.O.D. e B.O.D.
Vedere schema a blocchi sottoriportato:
Fase 3
Una volta ottenuto un prodotto omogeneo quest’ultimo è inviato con l’ausilio d’elettropompe centrifughe, in una vasca di solito in cemento armato dove avviene la cosiddetta “ossidazione biologica” o meglio dove le acque fortemente in debito d’ossigeno ( C.O.D. tipico di cartiera 15.000 –18.000 ) sono ossigenate per mezzo d’insufflaggio d’aria spinta da ventilatori soffianti in un particolare distributore denominato “ air dissolving tube “ in grado di cedere al liquido l’ossigeno necessario.
íCiò impedisce anche la fermentazione anaerobica, laddove un particolare batterio denominato
“ desulfovibrio desulfuricans “, vorace d’ossigeno, in mancanza d’aria ( ambiente anaerobico) si nutre dell’ossigeno che si trova disciolto nell’acqua: ad esempio il radicale acido dei solfati (SO4) Man mano che continua l’attacco del batterio, questo radicale diventa prima SO3 indi SO2 per finire poi, in estrema mancanza d’ossigeno H2S, in altre parole Idrogeno solforato.ý
L’uscita di questa vasca ha due effluenti in pratica il primo è costituito da fanghi di risulta ancora riciclabili in testa al ciclo, e l’altro da fanghi esausti che sono avviati alla discarica o al riutilizzo.
La successiva fase è di
chiarificazione che si ottiene mediante l’immissione di una sostanza
flocculante ( in genere policroruro d’alluminio o allume, in grado di addensare
le sostanze solide in sospensione che formano dei fiocchi che precipitano sul
fondo della vasca per essere espulsi ed inviati a discarica, mentre il
surnatante che sempre di più si avvicina all’acqua chiara, è recuperata ed
inviata in parte al riutilizzo ed in parte allo scarico in acque superficiali.
Tab. “A” Legge 319
Trattasi in buona sostanza di vasche d’accumulo d’acqua ubicate all’esterno dello stabilimento completate da una stazione di pompaggio ove trovansi ubicate una serie d’elettropompe centrifughe in grado di provvedere a veicolare opportunamente le acque interessate da una vasca all’altra, da un settore all’altro.
In alcuni casi possono essere installate una o più “ filtro presse” ovvero una sorta di tela montata su rulli che trattiene i solidi sopesi presenti nell’effluente per poi spremerli mediante il contrasto tra due rulli contrapposti.
Mosse da motori elettrici queste filtro presse, sono generalmente marcate CE ex D.P.R. 459 con autocertificazione del costruttore.
Il rischio di gran lunga più rilevante riscontrabile in impianti di questo tipo è quello legato all’avvelenamento da Idrogeno solforato, che, nonostante tutti gli accorgimenti utilizzati, si rivela sempre esser presente.
Poiché trattasi di un gas pericoloso anche in concentrazione nell’aria relativamente basse, ben si capisce perché viene a ragione considerato uno dei nemici più pericolosi e subdoli.
Infatti, non appena la sua concentrazione raggiunge livelli potenzialmente pericolosi, questo gas non è più percepito dalle nostre terminazioni olfattive che il gas stesso inibisce, ingenerando quindi pericolose ed inconsapevoli esposizioni al rischio.
Altro rischio presente in impianti di questo tipo è legato al carico biologico, dovuto però all’effettiva presenza di microrganismi specifici presenti nel processo, ci si riferisce in modo particolare all’inquinamento dei maceri costituenti la materia prima in lavorazione.
Nel corso dell’anno 1990 abbiamo avuto n° 3 morti in un solo evento, a causa d’avvelenamento da Idrogeno solforato, evento che si è replicato nell’anno 1995 con 3 morti per fuoriuscita di Idrogeno solforato da una tubazione durante la sostituzione di una pompa in un locale sotterraneo.
Gli interventi di bonifica in questo settore hanno riguardato essenzialmente soluzioni di tipo impiantistico e procedurale.
Impiantistico perché si è provveduto ad inibire pericolosi ristagni di liquidi con possibile formazione di fermentazioni anaerobiche mediante inserimento di circolatori con funzionamento continuo, anche nel corso delle fermate per manutenzione ordinaria e straordinaria.
Procedurale perché è stato redatto un protocollo di comportamento da seguire nei casi di possibile formazione di sacche d’idrogeno solforato.
Questo protocollo, molto dettagliato, prevede tra l’altro che le Aziende interessate, si dotino d’apparecchi rilevatori di H2S nonché d’adeguati D.P.I. in grado di consentire in ogni caso sia la rilevazione della pericolosità di una particolare zona, sia la protezione degli operatori per un tempo indispensabile perché questi ultimi, avvertiti della possibile presenza del gas mortale, si possano mettere in salvo senza nocumento.
La predetta fase di lavorazione
si applica anche alle ditte esterne, per le quali vi è in ogni modo l’obbligo
di seguire le procedure di cui sopra mediante l’uso della procedura “ permessi di lavoro”
E’ effettuato un controllo capillare di tutti gli interventi che sono programmati all’interno del perimetro dello stabilimento, avendo in ogni momento il governo di tutte le operazioni, pericolose e non, che dipendenti della Ditta ed eventuali operatori esterni, sono chiamati a svolgere all’interno dello stabilimento.
Vi è uno o più responsabile/i dei procedimenti.
fermentazione anaerobica
Anaerobiosi Condizione in cui un organismo vive in un ambiente privo di ossigeno. Si contrappone al termine aerobiosi, che si riferisce alla vita in presenza di ossigeno.
L'ossigeno viene utilizzato dagli organismi nel processo di respirazione cellulare (Vedi Ciclo di Krebs), con il quale essi ossidano composti organici (in genere, zuccheri come il glucosio) e ottengono energia, immagazzinata sotto forma di composti ad alto tenore energetico (in particolare, l'adenosina trifosfato, ATP).
Gli organismi anaerobi, non avendo a disposizione ossigeno, ricavano energia demolendo gli zuccheri attraverso il processo di fermentazione, oppure, come talvolta accade agli organismi che vivono in prossimità di sbocchi con temperature discretamente elevate, mediante reazioni che utilizzano composti inorganici. Tutti gli anaerobi sono organismi semplici e tra di essi si annoverano lieviti e batteri; si dividono in anaerobi obbligati o facoltativi a seconda che la presenza di ossigeno sia per essi, rispettivamente, letale o non dannosa.
I termoacidofili vivono in acque o liquami caldi e negli stoccaggi non agitati da appositi mescolatori o pompe attivatici di una minima circolazione, e sopportano temperature molto elevate; possono essere eterotrofi o chemiosintetici. Quelli chemiosintetici utilizzano ossidi di zolfo trasformandoli in acido solfidrico, H2S.
Lo zolfo è un elemento chimico che in natura si trova allo stato solido, di colore giallo, inodore e insapore. Pur essendo presente in diversi alimenti, ad esempio nei prodotti caseari e nelle uova, forma composti tossici come l'acido solfidrico (H2S), riconoscibile dal tipico odore di uova marce. Dalla combustione dello zolfo (nella foto) si ottiene il diossido di zolfo (SO2) che, ulteriormente ossidato e combinato con il vapore acqueo dell'atmosfera, diventa una delle principali sostanze responsabili delle piogge acide.
Idracidi Composti binari che l'idrogeno forma con elementi aventi un'elevata elettronegatività: hanno formula generale HX. Il nome degli idracidi si costruisce facendo seguire al termine acido l'aggettivo ottenuto aggiungendo il suffisso "idrico" alla denominazione dell'elemento cui l'idrogeno si è legato.
I principali composti della famiglia degli idracidi sono la serie degli acidi alogenidrici e l'acido solfidrico (H2S).
Alla famiglia degli acidi alogenidrici appartengono: HF acido fluoridrico, HCl acido cloridrico, HBr acido bromidrico e HI acido iodidrico.
La forza degli acidi alogenidrici aumenta gradualmente passando dal fluoro allo iodio: infatti l'acido fluoridrico, a differenza degli altri acidi alogenidrici che sono acidi forti, si comporta come acido di media forza, mentre l'acido iodidrico è uno dei più forti acidi inorganici. L'acido solfidrico a sua volta è un acido molto debole dall'odore pungente e sgradevole.
Un'altra convenzione molto diffusa fra i chimici è di riferire gli idracidi come sali di idrogeno: così HCl diventa cloruro di idrogeno, H2S solfuro di idrogeno ecc.
GLOSSARIO
COD o Chemical Oxygen
Demand In ecologia, parametro che esprime la quantità di composto
necessaria per ossidare attraverso un reagente chimico, le sostanze inquinanti
presenti in un corpo d’acqua, ad esempio un lago. Uno dei composti comunemente
usati per la determinazione del COD è il bicromato di potassio, K2Cr2O7;
la reazione tra il bicromato e le sostanze inquinanti viene fatta decorrere in
una soluzione contenente acido solforico. Il rilevamento del COD risulta
indicato nel caso di acque il cui carico inquinante è costituito da sostanze
non biodegradabili o comunque poco attaccabili dall’azione dei batteri, caso in
cui non è possibile applicare il metodo del BOD (Biological Oxygen Demand). Con
il metodo del COD, invece, non è possibile rilevare le sostanze che non possono
essere ossidate per via chimica (ad esempio, non possono essere ossidati i
composti contenenti azoto ammoniacale): in tal caso, risulta più indicato il
sistema del BOD.
MISURAZIONE-DEL-COD
La misurazione del COD si esegue mettendo a reagire
in una soluzione di acido solforico, un campione dell’acqua da esaminare con
una quantità conosciuta di bicromato di potassio; avvenuta la reazione, si
misura con una reazione di titolazione il quantitativo di bicromato rimanente, da
cui si può calcolare quello consumato nel corso della reazione. La quantità di
bicromato di potassio consumatoè direttamente proporzionale alla quantità di
sostanza ossidabile (cioè di inquinante) che era presente nella soluzione.
BOD o Biological Oxygen
Demand In ecologia, parametro che esprime la quantità di ossigeno
necessaria perché possano essere ossidate e, quindi, demolite, a opera di
microrganismi, le sostanze inquinanti presenti in un corpo d’acqua (ad esempio,
un lago). La misurazione del BOD permette di valutare, sia pure indirettamente,
il carico inquinante presente nelle acque: infatti, valori di BOD alti indicano
che nelle acque esaminate vi è stato un elevato consumo di ossigeno; ciò
signifca che i microrganismi ne hanno richiesto grandi quantità per degradare
forti quantitativi di inquinanti.
CARATTERISTICHE DEL BOD
Il parametro BOD prende in considerazione l’ossigeno disciolto nelle acque e viene misurato a particolari condizioni di temperatura, di luce e di pH. Il BOD viene riferito a un certo lasso di tempo, solitamente 5 giorni; pertanto, si indica come BOD5 la quantità di ossigeno consumata nel corpo d’acqua in 5 giorni. Le sostanze inquinanti che la misurazione del BOD permette di rilevare sono: sostanze biodegradabili, cioè composti che possono essere ossidati e degradati da batteri eterotrofi, i quali dalle reazioni di ossidazione ottengono energia per il proprio metabolismo; sostanze organiche azotate e composti derivati da nitriti, che vengono attaccati da batteri autotrofi chemiosintetici, i quali dalle reazioni di ossidazione ottengono energia per effettuare la fotosintesi; composti che possono essere ossidati mediante reazioni chimiche con altri composti.
MISURAZIONE-DEL-BOD
La misura della quantità di ossigeno che viene consumata
in un corpo d’acqua dai batteri può essere effettuata in modo diretto, con un
metodo che si basa sul confronto tra l’ossigeno presente all’inizio della
misurazione e l’ossigeno presente nel campione dopo un certo lasso di tempo. In
particolare, i campioni da esaminare vengono raccolti entro bottiglie scure
(per impedire che la luce, penetrandovi, possa stimolare attività di
fotosintesi e conseguente liberazione di nuovo ossigeno, in alghe eventualmente
presenti); si eliminano o si correggono i fattori che potrebbero interferire
con l’esame (ad esempio, alcuni metalli e composti come i nitrati); in un
campione si effettua subito la misura della concentrazione dell’ossigeno,
mentre le altre bottiglie vengono collocate al buio per 5 giorni, alla temperatura
costante di 20 °C. Trascorso tale periodo, si misura la concentrazione
dell’ossigeno in queste bottiglie; la misura, sottratta al valore ottenuto
nella prima rilevazione, corrisponde al BOD5.
SIGNIFICATO-DEL-BOD
Di norma, si assume che il valore BOD5 rappresenti
il 70% della richiesta complessiva di ossigeno, che si può pertanto ricavare
estrapolando il BOD5. L’andamento delle reazioni di consumo
dell’ossigeno operate dai microrganismi, in realtà, non è costante; per conoscere in modo più preciso come esse
decorrano, si possono effettuare misurazioni della quantità di ossigeno dopo
sole 24, 48 ore dal momento iniziale della prova. L’ossidazione completa dei
composti organici spesso richiede molti giorni (si ritiene che il BOD a 20
giorni possa esprimere con buona approssimazione l’ossigeno totale richiesto).
La misurazione del BOD effettuata con il metodo diretto risulta adatta
all’esame di acque che si suppongono poco inquinate, dotate di una certa
popolazione batterica e il cui carico di inquinanti sia sostanzialmente di
natura organica. Nel caso le acque considerate risultino contaminate da
sostanze che potrebbero inibire l’azione batterica (come il cloro, il piombo,
sostanze battericide), o nel caso le sostanze siano poco biodegradabili, o,
ancora, nel caso di acque molto inquinate che risultino sterili (cioè prive di
flora batterica), la misurazione del BOD è più complessa e può richiedere, ad
esempio, operazioni preliminari di diluizione dei campioni d’acqua, o di
inoculazione di colonie batteriche.
VISIONE DI UNA
MODERNA MACCHINA CONTINUA PER LA PRODUZONE DI CARTA