ARPAT

Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana

 

Settore Tecnico CEDIF

Comunicazione Educazione Documentazione Informazione Formazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

"Profili di rischio per comparto produttivo"

 

 

 

 

 

CASEIFICI

 

Nell'area di Grosseto, Siena e Firenze

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Responsabile del procedimento la ricerca: Stefano Beccastrini

Autori della ricerca: Giuseppe Banchi, Claudio Nobler, Danila Scala.

Con la collaborazione di: Mariella Fantacci, Rodolfo Amati, Alessandro Giomarelli, Lucia Bastianini, Sonia Savini, Alberto Lolini.

 

Ricerca aggiornata al Novembre 2000

 


1.     - GENERALITA’ SUL COMPARTO.

 

Nella presente ricerca si prende in esame il comparto produttivo dei caseifici per la produzione dei formaggi, in particolare nelle province di Firenze, Siena e Grosseto, nelle quali si ha la maggiore produzione della Regione Toscana.

 

Tabella 1.1 - Consistenza del comparto nel periodo 1996/1999

Comparto produttivo: CASEIFICI nella Regione Toscana - Fonte: INAIL

ANNO

TOTALE

AZIENDE

TOTALE

ADDETTI

1996

68

899

1997

66

867

1998

70

925

1999

74

861

 

Da una nostra ricerca effettuata nell'anno 2000, attraverso Pagine Gialle On-line Ò, si sono censite in Toscana 58 aziende (delle quali alcune con più di uno stabilimento produttivo), così distribuite nelle varie province:

 

Tabella 1.2 - Distribuzione per provincia delle aziende censite in una nostra ricerca

Comparto produttivo: CASEIFICI nella Regione Toscana (anno 2000)

Provincia

N° di aziende

Arezzo

5

Firenze

6

Grosseto

13

Livorno

4

Lucca

10

Massa Carrara

1

Pisa

5

Pistoia

2

Prato

1

Siena

11

Totale

58

 

Nella regione Toscana la quantità di latte destinata alla caseificazione, in base a stime del 1995 è di circa 100 milioni di litri di cui oltre il 55% di origine ovicaprina. Le province che maggiormente contribuiscono alla produzione del latte e alla sua successiva trasformazione casearia sono Grosseto, Siena e Firenze.

I formaggi tipici prodotti in Toscana sono molto apprezzati e nel Giugno 1996 si è avuto il riconoscimento ufficiale da parte della Comunità Europea della Denominazione di Origine Protetta (D.O.P.) per il formaggio pecorino Toscano, come giàper il pecorino Romano ed altri.

Diverse sono le tipologie dei caseifici presenti in Toscana: sono presenti piccolissimi laboratori artigianali nei quali si lavora solo il latte prodotto in azienda; aziende tecnologicamente avanzate che, per dimensioni e quantità prodotte, sono caratterizzate da una produzione di tipo industriale rivolta al mercato nazionale ed estero; aziende di dimensione medie rispetto alle precedenti.  

 

 

 


Per quanto riguarda gli infortuni e le malattie professionali riportiamo i dati ufficiali INAIL dell'ultimo quinquennio per tutto il comparto:

 

Tabella 1.3 - Infortuni e malattie professionali periodo 1995/2000:

casi denunciati all'INAIL, riconosciuti, indennizzati

 Comparto produttivo Caseifici nella Regione Toscana 

INFORTUNI

ANNO

DENUNCIATI

INDENNIZZATI

TOTALE

INDENNIZZATI

TIPO CONSEGUENZA

TEMPORANEA

PERMANENTE

1995

50

47

-

47

1996

63

50

3

53

1997

49

46

1

47

1998

59

51

4

55

1999

51

45

1

46

2000 (@)

34

24

1

25

Totale  1995/2000

306

263

10

273

MALATTIE PROFESSIONALI

ANNO

DENUNCIATE

(#)

INDENNIZZATE (#)

TOTALE

INDENNIZZATE

TIPO CONSEGUENZA

TEMPORANEA

PERMANENTE

1995

-

-

-

-

1996

1

-

-

-

1997

-

-

-

-

1998

4

-

-

-

1999

2

-

-

-

2000 (@)

2

-

1

1

Totale 1995/2000

9

 

1

1

 Fonte: INAIL. - (#): tutte le malattie professionali (denunciate e indennizzate) presentano il codice:  99 - non tabellate.

                          (@): dati parziali, fino a Settembre 2000

 

 

Tabella delle percentuali di addetti esposti al rumore

(per valori di esposizione e grandezza del caseificio)

Azienda

Addetti

(%)

LEPd<80

(%)

80< LEPd<85

(%)

85< LEPd<90

(%)

LEPd>90

(%)

Caseifici piccoli

(numero addetti < 10)

23

83

17

-

-

Caseifici medi

(numero addetti <20)

33

-

94

-

6

Caseifici grandi

(numero addetti >20)

44

6

51

43

-

Totale (%) dei caseifici

100

21

57

20

2

Fonte: Atti del convegno nazionale Lavoro e salute in agricoltura”, Punta Ala, ottobre 1993.

 


2. - DESCRIZIONE GENERALE DEL CICLO DI LAVORAZIONE

 

Il ciclo lavorativo dei caseifici in studio presenta alcune differenze nelle diverse aziende del comparto dell'area di riferimento, sia in funzione del prodotto finito che della tecnologia impiegata.

In particolare nei caseifici a produzione industriale l'utilizzo di alcune macchine rende certe fasi lavorative completamente o parzialmente automatizzate, mentre nelle aziende artigianali esse continuano ad essere svolte con operazioni manuali.

 

Nella figura seguente si riporta uno schema a blocchi sintetico del ciclo lavorativo dei caseifici nella nostra area di riferimento.

 

Le principali fasi lavorative dell’industria casearia in Toscana sono le seguenti:

 

Approvvigionamento e stoccaggio del latte: il latte giunge a mezzo autobotti e viene stoccato in serbatoi inox refrigerati.

 

Trattamento preliminare del latte: il latte prelevato automaticamente dai serbatoi di stoccaggio passa alla fase di debatterizzazione (chiamata anche pulitura) e di pastorizzazione. In alcuni caseifici il pastorizzatore e la pulitrice sono situati nello stesso ambiente adibito alla produzione; in altri, specie quelli a produzione industriale, sono in un locale separato.

 

Cagliatura del latte: il latte passa in vasche polivalenti che  sono contenitori in acciaio inox muniti di pale per rimescolare. Al latte vengono aggiunti il caglio ed i fermenti lattici vivi che lo trasformano in un coagulo compatto.

 

Preparazione del formaggio: nei caseifici a produzione industriale un formatore automatico distribuisce e dosa la cagliata in opportune forme, mentre nei caseifici a produzione artigianale questa operazione è manuale: la cagliata viene immessa in carrelli sui quali poggiano i cestelli; al di sopra dei cestelli viene messo un piano munito di fori dello stesso diametro di quello dei cestelli; gli addetti pressano la cagliata nei cestelli per ottenere la forma voluta di formaggio.

 

Produzione della ricotta: il siero proveniente dalla lavorazione del formaggio viene immesso in caldaie a doppio fondo, nelle quali passa del vapore che viene riscaldato alla temperatura di 80°C. La ricotta inizia a salire in superficie, viene raccolta e depositata nei cestelli.

 

Stufatura del formaggio: avviene in camera calda termostatata, oppure in contenitori riscaldati con vapore; nei caseifici industriali è automatica: avviene in camera calda, dove la movimentazione delle forme tra la camera calda e il locale di produzione avviene con robot.

 

Salatura del formaggio: il sale viene cosparso sulle forme in forma solida, oppure le stesse vengono immerse in una soluzione salina (salamoia).

 

Stoccaggio e stagionatura del formaggio: le forme vengono trasportate in celle frigorifere con movimentazione manuale. Viene periodicamente effettuato il ribaltamento e pulita delle forme.

 

Lavaggio fustelle: nei caseifici a produzione industriale e in alcuni non industriali questa operazione richiede l’impiego di una macchina; la macchina si trova in locale separato oppure nello stesso locale adibito alla produzione del formaggio. La macchina è costituita da una caldaia nella quale vengono poste, in apposite gabbie, le fustelle da lavare. Negli altri caseifici, più piccoli, il lavaggio è manuale.

 

Etichettatura e confezionamento: il formaggio maturo viene confezionato a mano o a macchina; talvolta, prima del confezionamento, il formaggio viene porzionato.

 

Stoccaggio prodotti finiti e consegna ai clienti: i cartoni con il formaggio confezionato vengono temporanemente stoccati in celle frigorifere, in attesa di venire movimentati per essere caricati sugli automezzi frigoriferi che effettuano la consegna.

 

Sanificazione: si effettua quotidianamente la detergenza e la disinfezione degli impianti.

 

Laboratorio: si effettuano analisi chimiche e batteriologiche, volte sia al monitoraggio dei parametri fondamentali per un corretto controllo di qualità delle materie prime e del prodotto finito.

 

Depurazione acque di scarico: le acque di lavaggio degli impianti, vengono depurate in un apposito impianto prima di essere scaricate.


 

2.1 - SCHEMA A BLOCCHI


Esempio di temporizzazione delle varie fasi

 


Come esempio, non generalizzabile a tutte le aziende del comparto, ma comunque significativo per una certa tipologia di prodotto, riportiamo qui la sequenza temporale delle varie fasi di lavorazione corrispondente ad uno dei caseifici della provincia di Firenze:

 

Produzione formaggio

ORE 06:00

Ha inizio il trattamento del latte (pastorizzazione) e il riempimento delle caldaie.

 

ORE 06:30

Il lavoratore che svolge la mansione detta Casaro dei formaggi aggiunge al latte una miscela di fermenti, ceppi di batteri lattici selezionati, formulata diversamente per ogni tipo di formaggio da ottenere; di li a poco aggiungerà anche il caglio.

 

ORE 07:00

Il latte accagliato è ormai trasformato in un grande budino che il Casaro taglia, per mezzo di una lira a fili d'acciaio fino a sminuzzarla alla grossezza desiderata (noce, nocciola, chicco di mais, chicco di riso, etc..).


ORE 07:30

Tutto è pronto per il riempimento degli stampi dove il siero si separa dalla cagliata e il formaggio prende la forma voluta: più grosso da stagionare, più piccolo da consumarsi appena abbucciato, e poi stondato, marzolino, canestrato e cosi via.

 

ORE 11:00

Senza mai fermarsi vengono riempiti tutti gli stampi necessari e trasferiti nella camera calda dove i formaggi sono rivoltati una, due, tre, quattro, cinque volte negli stampi aspettando di raggiungere la maturazione necessaria ad opera del fermento.

ORE 16:00

Ormai tutto il formaggio è stato trasferito dalla camera calda alla camera fredda dove staziona per un tempo più o meno lungo prima di essere tolto dagli stampi ed immerso nella salamoia.

 

ORE 16:00 (del giorno dopo)

Il formaggio ha raggiunto il giusto grado di salatura, viene tolto dal bagno di salamoia, sgocciolato ed avviato alle celle di stagionatura dove lo aspetta un lungo periodo di maturazione e di cura sotto l'attento controllo degli Stagionatori e del Casaro che ne preleva il migliore per quella che viene chiamata la sua riserva.


Produzione mozzarella

ORE 23:00

Si inizia il processo che porta alla produzione delle mozzarelle, ed anche in questo caso si comincia con il trattamento del latte (pastorizzazione) ed il riempimento delle caldaie.


ORE 00:30

Il Casaro delle mozzarelle, dopo aver immerso nel latte i fermenti selezionati, aggiunge il caglio per la coagulazione.

 

ORE 01:30

La cagliata viene tagliata prima a mano, con una lama, in grosse fette, poi con la lira a fili d'acciaio fino a ridurla a piccoli pezzi grossi come una nocciola.

 

ORE 03:30

E' finita l'operazione di scarico, la cagliata, separata dal siero, riposa adesso al caldo su grandi carrelli; inizia il periodo di maturazione abbastanza lungo per consentire al fermento di terminare il suo lavoro.

 

ORE 05:00

Iniziano le prove di filatura: con una tecnica vecchia di secoli, il Casaro prova e riprova a filare la pasta ottenuta con un mastellino pieno d'acqua bollente ed una bacchetta a forma di forcella.


ORE 06:30

E' tutto pronto per la filatura, il Casaro delle mozzarelle può finalmente andare a dormire lasciando al Filatore il compito di trasformare il suo lavoro nei prodotti che conosciamo.

 

ORE 07:30

Si formano i primi bocconi di mozzarella.


ORE 09:00

Mani esperte e veloci iniziano ad annodare la treccia; esperte perché annodare la treccia non è facile, veloci perché la pasta filata scotta.


Produzione prodotti speciali

ORE 10:30

E' la volta dei cosiddetti prodotti speciali. Sempre a mano si inietta dentro l'involucro di pasta filata il ripieno della Tenerella, un impasto di mozzarella e panna che può essere aromatizzato anche al tartufo o al salmone.

 

ORE 11:30

Le sfoglie di mozzarella sono spianate, si riempiono di prosciutto cotto, olive, o carciofini sott'olio e si arrotolano a mano per formare i silani farciti.


ORE 13:00

La produzione è terminata e tutta riposta nella cella frigorifera a 4 °C. Nel pomeriggio si procederà al carico dei camion per la consegna ai clienti. Rimangono gli addetti alle ricotte, anche loro avevano iniziato al mattino presto la cottura del siero, e continuano, come vuole la tradizione, a riempire col mestolo le fustelle troncoconiche di fumante ricotta.

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3. 

 

ANALISI DEI RISCHI E DELLE SOLUZIONI

 


APPROVVIGIONAMENTO E STOCCAGGIO DEL LATTE

 

 

                                                                                                                                                                                                All. 3

 

 

 

 

 

1. COMPARTO:

Caseifici

 

 

 

 

2. FASE DI LAVORAZIONE:

Approvvigionamento e stoccaggio del latte

 

 

 

 

3. COD.INAIL:

 

 

 

 

 

4. FATTORI DI RISCHIO:

Agenti biologici.

Rischi per la sicurezza.

 

 

 

 

5. CODICE DI RISCHIO:

 

 

    (riservato all’ ufficio)

 

 

 

 

 

6. N. ADDETTI:

60

 

 

 

 

 

 

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

 

La refrigerazione del latte inizia alla stalla, allo scopo di contenere al massimo la contaminazione microbica. Questo consente al caseificio di non dover necessariamente lavorare il latte immediatamente all'arrivo nello stabilimento.

Al ricevimento latte proveniente dalle varie stalle o dai centri di raccolta, nel caseificio si compiono operazioni importantissime, in particolare il controllo di qualità del latte conferito e il prelievo dei campioni di latte da destinare alle analisi chimico-microbiologiche (si veda la fase laboratorio).

Il latte giunge al caseificio in autocisterne refrigerate (il ricevimento del latte in bidoni è ormai pressoché abbandonato) ed una volta effettuate le suddette verifiche, può essere smistato dall'autocisterna direttamente alle varie lavorazioni, ma più frequentemente viene stoccato in silos refrigerati (chiamati anche tanks) attraverso una serie di pompe e tubazioni in acciaio inossidabile.

L'addetto al trasporto del latte con autocisterna compie in genere anche il prelievo di campioni di latte, da inviare al laboratorio, e la pulizia dell'autocisterna una volta che essa è stata svuotata. Per compiere tali operazioni l'addetto accede alla sommità dell'autocisterna.

Per quanto riguarda le caratteristiche del latte, si può riferimento alle seguenti tabelle (C.M. Bourgeois, J.F.Mescle, J. Zucca, “Microbiologie alimentaire”, tome 1, Paris, Technique et Documentation – Lavoisier, Apria, 1990):

 

CONVERSIONE VOLUME / PESO

1 litro di latte

1.032 grammi

CARATTERISTICHE FISICHE DEL LATTE

pH (20°C)

6,5 – 6,7

Acidità titolabile

15 – 18 °D

Densità

1,028 – 1,036

Temperatura di congelamento

-0,51 –  -0,55 °C 

COMPOSIZIONE CHIMICA GLOBALE DEL LATTE [grammi / litro]

Acqua

902

Glucidi (lattosio)

49

Lipidi

Fosfolipidi

Composti liposolubili

Totale materie grasse

38

0,5

0,5

39

Caseina

Proteine non solubili

Totale proteine

Azoto non proteico

Totale materie azotate

28

4,4

32,7

0,3

33

Sali minerali

9

Vitamine, enzimi

Tracce

Gas  disciolti

5%

del volume del latte

Materia secca totale

130

 


 

MICRORGANISMI AEROBICI MESOFILI PRESENTI NEL LATTE*

 

Micrococchi

Micrococcus, Staphylococcus.

30 – 99 %

Streptococchi

Enterococcus, Streptococchi del gruppo N, Streptococchi delle mastiti.

0 - 50 %

Batteri asporigeni Gram positivi

Microbacterium, Coryneabacterium, Arthrobacter, Kurthia.

< 10 %

Spore di Bacillus

Bacillus.

< 10 %

Batteri Gram negativi

Pseudomonas, Acinetobacter, Flavobacterium, Enterobacter, Klebsiella, Escherichia, Serratia, Alcaligens, Brucella.

< 10 %

Altri tipi

Streptomiceti, Lieviti, Muffe.

< 10 %

            *microrganismi sensibili ai trattamenti di sanificazione

 

ALCUNI MICRORGANISMI TERMORESISTENITI E PSICROTROFI*

Termoresistenti

Microbacterium, micrococcus, spore di Bacillus (B. licheniformis, B. cereus), spore di Clostridium. 

Psicrotrofi

Pseudomonas, Acinetobacter, Flavobactoter, Enterobacter, Alcaligens.

            *microrganismi che possono sopravvivere ai trattamenti di sanificazione

 

Il latte prelevato da un animale sano ed in condizioni igieniche adeguate contiene pochi microrganismi (meno di 5000 germi per ml), fra cui non si trovano germi patogeni per l’uomo (Mycobacterium bovis, Mycobacterium tubercolosis, Brucella abortus, Streptococcus agalactiae, escherichia coli, salmonella, Leptospira, listeria monocytogenes, Bacillus cereus, Pasteurella multicida, Clostridium perfringens, Coxiella burnettii, campylobacter, Yersinia, staphylococcus aureus).

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

 

Impianto di ricevimento del latte

Il latte proveniente dall'autocisterna può seguire un percorso attraverso vari impianti quali:

-         degasatore in linea, che ha lo scopo di eliminare odori e gas estranei al latte e rendere più accurata la sua misurazione;

-         filtro a maglie,  per l'eliminazione di eventuale sporcizia grossolana dal latte;

-         misuratore volumetrico del latte di tipo meccanico o elettromagnetico;

-         serbatoio intermedio (opzionale), che ha lo scopo di fare da polmone per il silos;

-         scambiatore termico  (opzionale), che ha lo scopo di effettuare il trattamento termico e/o la refrigerazione del latte;

-         cisterne di stoccaggio del latte,  che possono essere una o più.

 

Misuratore volumetrico del latte

Il misuratore della quantità di latte introdotto nell'impianto, viene effettuata attraverso una misura di volume. Il principio di funzionamento del misuratore può essere meccanico o elettromagnetico.

Il misuratore meccanico è essenzialmente costituito da una camera cilindrica nella quale ruota un cilindro cavo eccentrico e che nel suo movimento lascia un predeterminato spazio vuoto che viene riempito di latte. Il numero di rotazioni del cilindro determina pertanto il volume del latte che entra nell'impianto. Tale numero viene convertito direttamente nell'equivalente valore in litri e reso disponibile sullo strumento di lettura. Questo tipo di misuratore è affidabile fino a quando resta integro e pulito, pertanto necessita di essere periodicamente smontato per una accurata pulizia.

Il misuratore elettromagnetico è essenzialmente costituito da una tratto di tubo a diametro costante circondato da un elettromagnete; il latte che entra nell'impianto passando dal misuratore, attraversa le linee di forza del campo magnetico generato dall'elettromagnete, perturbandole; questo determina una differenza di potenziale ai capi di una spira montata intorno al tubo, proporzionale alla velocità del flusso di latte che lo attraversa (1). Grazie alla formula di Bernoulli (2), il valore della differenza di potenziale misurata, viene convertita in litri e resa disponibile sul pannello di lettura dello strumento. Questo tipo di misuratore ha il vantaggio di poter essere pulito facilmente con un ciclo C.I.P. (vedere la fase sanificazione) senza dover essere smontato.

 

Cisterne di stoccaggio del latte

Si tratta di serbatoi di acciaio inox termicamente isolati e refrigerati, aventi la forma di silos verticali o orizzontali. Per quanto riguarda la capacità dei serbatoi del latte, si cita come esempio il caso di una azienda del comparto a produzione industriale, che nell'anno 1999 ha lavorato circa 3.100.000 litri di latte di vacca e 2.000.000 litri di latte di pecora, dispone dei seguenti serbatoi: n.6 da 25.000 litri; n.1 da 20.000 litri; n.2 da 10.000 litri.

Di regola i serbatoi sono ubicati all'esterno dello stabilimento produttivo, nelle immediate adiacenze del reparto dove avviene il trattamento preliminare del latte. Le moderne cisterne sono dotate di un dispositivo di agitazione (lenta ma continua) che previene la separazione per gravità della parte cremosa dal plasma del latte. La temperatura del latte viene mantenuta inferiore a 6 °C grazie ad un sistema di raffreddamento collegato ad un termostato. I silos sono dotati di strumentazione per il controllo di livello, pressione interna, temperatura. La quantità di latte stoccata in un caseificio è in genere circa tre volte il volume di latte lavorato in un giorno. 

 

 

 

 

Fig. 1 Serbatoi di stoccaggio del latte.

 

 

FATTORI DI RISCHIO

 

In questa fase lavorativa, i principali rischi professionali potenzialmente presenti sono i seguenti:

 

Esposizione ad agenti biologici

descrizione

Nel caso di latte contaminato alla stalla o durante il trasporto è possibile la  presenza di batteri patogeni. Per la maggior parte di tali germi la via di infezione per l’uomo è a seguito di ingestione di latte contaminato, pertanto esiste un rischio trascurabile per i lavoratori. Inoltre la sorveglianza veterinaria delle stalle ha sgnificativamente ridotto le principali infezioni animali che si propagavano all’uomo attraverso il latte, cioè la tubercolosi e la brucellosi. E’ comunque necessaria una attenta manipolazione del latte allo scopo di evitare che il lavoratore apporti una contaminazione aggiuntiva, e/o avvenga un contatto con eventuali germi attraverso lesioni cutanee  e attraverso le mani con possibile ingestione.

Stima

Il rischio di contatto con il latte non debatterizzato è molto basso, essendo limitato al caso di eventuali fuoriuscite accidentali oppure per operazioni di manutenzione che richiedano lo smontaggio di parti dell'impianto. Questo perché normalmente tutte le operazioni di ricevimento/stoccaggio del latte avvengono automaticamente a ciclo chiuso.

danno atteso

Sono possibili infezioni da microrganismi patogeni che possono essere presenti nel latte, specie in caso di soggetti predisposti o in condizione di immuno-depressione, se non vengono rispettate le norme igieniche.

danno rilevato

Una indagine sierologica trasversale eseguita qualche anno fa sul personale di 7 caseifici situati in provincia di Siena e Grosseto (scelti sulla base della rappresentatività dei caseifici nell'ambito del territorio considerato) su 159 lavoratori e 217 controlli, ha dato risultati negativi circa la presenza di anticorpi anti-brucella. Ciò conferma la bassa probabilità di contrarre infezioni dalla manipolazione del latte.

prevenzione

La meccanizzazione del ciclo a partire dalla raccolta fino alla pastorizzazione del latte può essere considerata una misura di prevenzione contro alcuni rischi derivanti dal contatto del latte come quelli infettivi ed in particolare contro la brucellosi.

Per quanto è possibile sono da preferire soluzioni impiantistiche che permettano la pulizia tramite un ciclo C.I.P. (vedere la fase sanificazione), senza necessità di smontaggio. In caso di necessità di interventi di manutenzione che richiedano lo smontaggio di parti di impianto, è opportuno che gli addetti indossino D.P.I. (grembiuli, guanti, mascherina).

Deve essere fatto divieto di mangiare e fumare durante le operazioni che possono comportare l’imbrattamento delle mani.

riferimenti normativi

-         Norme igienico-sanitarie per la produzione e commercializzazione del latte e suoi derivati (D.P.R. n. 155/1997 e D.P.R. n. 54/1997).

-         D.Lgs. 626/1994 e successive modifiche e integrazioni.

 

Transito di mezzi pesanti

descrizione

Il transito delle autocisterne per il rifornimento del latte nei piazzali esterni dello stabilimento produttivo (dal cancello di ingresso fino al punto di riempimento dei serbatoi e viceversa), può comportare il rischio di investimento dei lavoratori del caseificio.

danno atteso

Lesioni traumatiche per investimento da automezzi.

prevenzione

Predisporre e segnalare percorsi separati per pedoni ed automezzi.

riferimenti normativi

-         Art. 8 “Vie di circolazione, zone di pericolo, pavimenti e passaggi” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         D.Lgs. 626/1994 e successive modifiche e integrazioni.

 

Lavoro in postazioni sopraelevate

descrizione

Le eventuali operazioni di manutenzione agli impianti ed ai serbatoi di stoccaggio possono comportare la necessità di raggiungere postazioni in altezza, con conseguente rischio di caduta dall'alto. Anche per le operazioni di prelievo di campioni di prodotto e la successiva pulizia, ove  l'addetto acceda alla sommità della autocisterna, è presente il rischio di caduta dall'alto.

danno atteso

Lesioni traumatiche per caduta dall'alto (rischio di infortunio mortale).

prevenzione

Predisporre accessi sicuri alle postazioni in altezza ai serbatoi di stoccaggio con gradini stabili e antiscivolo, parapetti, fascia fermapiedi, ecc… come prescritto dalle norme vigenti.

Anche l'accesso alla parte superiore della autocisterna deve essere reso sicuro, ad esempio con una scaletta robusta dotata di gradini stabili e antiscivolo, e dotando il camminamento lungo la cisterna di corrimano e parapetto reclinabili, che l'operatore possa alzare prima di accedere al camminamento, anch'esso antiscivolo realizzato ad esempio tramite un grigliato.

A seconda delle situazioni possono essere necessari D.P.I. (scarpe antiscivolo, imbracatura con sistema di trattenuta che impedisca la caduta d'alto).

riferimenti normativi

-         Art. 386 “Cinture di sicurezza”  D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. II “Ambienti, posti di lavoro e di passaggio” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Norme UNI EN 361, 363, 795

-         All. IV, part B, sez. II Direttiva CEE/CEEA/CE n. 57 del 24.06.1992: "Direttiva del Consiglio del 24 giugno 1992 riguardante le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili (ottava direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE)."

 

 

APPALTI ESTERNI

Talvolta il servizio di rifornimento del latte è affidato a ditte esterne, ma spesso viene affidato agli stessi addetti al caseificio, magari a turno, specie quando le aziende casearie sono società costituite degli stessi allevatori che producono il latte.

La manutenzione dell'impianto di ricevimento del latte, specie quella straordinaria, è generalmente appaltata a ditte esterne.

 

 

IMPATTO ESTERNO

In questa fase lavorativa può essere presente il seguente fattore di impatto ambientale:

 

Impianti antiestetici e di altezza elevata

La dimensione dei silos e la forma delle tubazioni e delle varie parti dell'impianto di ricevimento e stoccaggio del latte, può determinare un impatto negativo sul paesaggio, specie se l'azienda è ubicata in aree particolarmente sensibili sotto questo aspetto. Per ridurre l'impatto può essere prevista una limitazione in altezza (ad esempio utilizzando silos orizzontali anziché verticali) e/o prevedere una copertura degli impianti.

 

Impianti e tubazioni contenenti grandi quantità di latte

L'impianto di stoccaggio può contenere fino a qualche centinaio di ettolitri di latte. In caso di cedimenti strutturali o perdite da pompe e tubazioni, può avvenire lo sversamento del latte sul terreno.

Il tal caso il danno per l'ambiente è limitato, dato che il latte è un alimento naturale, normalmente non nocivo.

La prevenzione consiste nel dotare i serbatoi di sistemi di contenimento e conformare la pavimentazione delle zone dove sono installati i serbatoi e le tubazioni del latte, compreso i piazzali esterni, in modo tale da convogliare gli eventuali sversamenti verso una vasca di raccolta e l’impianto di depurazione acque.

 

Trasporto su strada di latte in autocisterne

In caso di incidente stradale si possono verificare sversamenti di latte sul suolo.

Il tal caso il danno per l'ambiente è limitato, dato che il latte è un alimento naturale, normalmente non nocivo. È anche possibile che lo sversamento di latte su strada renda l’asfalto sdrucciolevole, pertanto ciò può essere causa di incidenti stradali.

La prevenzione consiste essenzialmente nel prevedere una procedura di emergenza e nella relativa formazione dell’addetto al trasporto.   

riferimenti normativi

Il recepimento della normativa nazionale ed internazionale relativa al trasporto di merci pericolose su strada - Direttive 96/86/CE e 1999/47/CE del Consiglio dell’Unione Europea, quali adeguamenti al progresso tecnico della Direttiva 94/55/CE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al trasporto di merci pericolose su strada, nonché i Decreti del Ministero dei Trasporti del 4/11/96, del 15/05/97 e del 28/09/99 attuativi delle suddette Direttive Comunitarie - impone a ricercatori, medici, biologi operanti in campo scientifico l’osservanza di precisi criteri per l’imballaggio ed il trasporto dei materiali appartenenti alla classe 6.2, che, in quanto potenzialmente infettanti, comportano rischi per la collettività e per gli operatori addetti alla loro movimentazione. Oltre a regolamentare il trasporto dei biologici pericolosi, la normativa comunitaria interviene a disciplinarne la manipolazione e la movimentazione all’interno delle strutture lavorative, al fine di tutelare gli operatori che sono quotidianamente esposti al loro contatto: con il Decreto Legislativo del 19/09/94 n. 626 ed il successivo D.L. 19/03/96 n. 242 trovano infatti attuazione in Italia le Direttive Comunitarie 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE (ultimo adeguamento al progresso tecnico: 97/59/CE e 97/65/CE ) riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. Il Titolo VIII di tale Decreto è proprio relativo alla protezione da agenti biologici, in quanto il personale ad essi esposto deve essere informato dei rischi e protetto da eventuali contaminazioni.

 

________________________________________________________________________________

Note

 

(1): in accordo con la Legge di Faraday sulla induzione elettromagnetica, nella spira si genera una forza elettromotrice indotta che tende ad opporsi alla variazione del flusso magnetico concatenato con la spira stessa.

 

(2): con la formula di Bernoulli, a partire dalla conoscenza della velocità di flusso del liquido, è possibile calcolarne la quantità che passa in un tratto di tubo di diametro fisso.


TRATTAMENTO PRELIMINARE DEL LATTE

 

 

 

 

1. COMPARTO:

Caseifici

 

 

 

 

2. FASE DI LAVORAZIONE:

Trattamento preliminare del latte

 

 

 

 

3. COD.INAIL:

 

 

 

 

 

4. FATTORI DI RISCHIO:

Agenti fisici: rumore, microclima.

Rischi per la sicurezza.

 

 

 

 

5. CODICE DI RISCHIO:

 

 

    (riservato all’ ufficio)

 

 

 

 

 

6. N. ADDETTI:

60

 

 

 

 

 

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

Una volta che il latte è stato analizzato e stoccato, prima della sua trasformazione si procede ad una sua parziale o totale debatterizzazione che consiste nella eliminazione di microrganismi indesiderati nel latte, che possono assumere sia un significato anticaseario (possono causare diversi inconvenienti, tra i quali: facile rammollimento, gonfiori anormali, sapori amari), sia igienico sanitario per la eventuale presenza di microrganismi patogeni per l'uomo.

Per il latte destinato alla produzione di formaggi duri a lunga stagionatura, la debatterizzazione avviene talvolta tramite una parziale scrematura del latte realizzata per affioramento, mentre in altri casi la debatterizzazione viene effettuata attraverso procedimenti diversi come la bactofugazione oppure la moderna microfiltrazione.

Nelle aziende del comparto che sono state oggetto della presente indagine, il trattamento preliminare del latte consiste essenzialmente in due processi:

-         pulitura del latte: eliminazione dello sporco eventualmente presente nel latte, tramite centrifugazione in una apposita macchina chiamata pulitrice.

-         pastorizzazione del latte: particolare tipo di trattamento termico che consente una benefica distruzione della flora anti-casearia, al quale il latte viene sottoposto dopo la pulitura.

Il processo chiamato pastorizzazione, prende il nome dal grande studioso francese Louis Pasteur, e consiste in un particolare tipo di trattamento termico che consente una benefica distruzione della flora anti-casearia. In particolare, le muffe, i lieviti, i coliformi ed i microbi cromogeni, oltre ai patogeni, vengono facilmente distrutti da una razionale pastorizzazione a 72°C per 15 secondi.

La pastorizzazione permette anche la standardizzazione del prodotto finale e un maggior rendimento complessivo della produzione.

Ovviamente il risultato ottenuto con la pastorizzazione dovrà essere mantenuto, garantendo una adeguata igiene delle linee produttive, macchine e attrezzi (si veda la fase sanificazione).

La pastorizzazione talvolta viene omessa quando si desideri trasformare latte crudo debatterizzato tramite bactofugazione, allo scopo di produrre formaggi duri a lunga stagionatura.

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

 

Pulitrice 

Si tratta di una centrifuga ermetica ad alta velocità, realizzata in acciaio inossidabile, che ha lo scopo di separare le impurità dal latte, basandosi sull’allontanamento delle particelle di dimensioni superiori a globulo di grasso (il cui diametro per la maggior parte va da 1 a 8 micron anche se il range va da valori inferiori a 0,2 micron fino a 15 micron). In caso vengano effettuate produzioni industriali di derivati del siero, la macchina viene anche utilizzata per debatterizzare il siero (dopo la scrematura).

 


Fig. 2 Pulitrice centrifuga

 


Macchine pastorizzatrici

Sono particolari apparecchiature in acciaio inossidabile dove avviene la pastorizzazione del latte tramite scambiatori termici a piastre, che riscaldano il latte ad una temperatura di 71°-72°C per 30 secondi.

 


Fig. 3 Pastorizzatore

 

 

 

 


FATTORI DI RISCHIO

 

I rischi professionali risultano fondamentalmente legati al microclima e al rumore. Per altri rischi si veda la fase sanificazione.

 

Esposizione a rumore

descrizione

Il rumore in questa fase lavorativa deriva principalmente dalle macchine pulitrici (centrifughe), le quali si trovano nelle immediate vicinanze delle macchine pastorizzatrici, e dalle pompe che fanno circolare il latte nell'impianto. Altra operazione rumorosa è il ciclo di lavaggio in C.I.P. dell'impianto (si veda la fase sanificazione). Il locale (o la porzione del locale), dove si trovano entrambe le macchine, viene chiamato in genere zona pastorizzazione.

stima

L’analisi dei dati di esposizione a rumore ha messo in evidenza il fatto che, nei caseifici in cui le macchine pulitrici hanno un valore di LAeq elevato e l'operazione di pulitura-pastorizzazione avviene nello stesso locale in cui avviene anche la produzione del formaggio, l’esposizione dei lavoratori impegnati nella produzione è maggiore di quella dei lavoratori che operano alla produzione nei caseifici con macchine pulitrici a LAeq basso.

Nelle tabelle seguenti sono riportati alcuni valori misurati in alcune aziende del comparto.

 

Valori delle LAeq misurati espressi in dB(A)

Caseificio

Zona pulitura - pastorizzazione

Azienda 1

90.7

Azienda 2

80.2

Azienda 3

88.0

Azienda 4

86.7

Azienda 5

90.3

Azienda 6

74.5

Azienda 7

83.0

Azienda 8

90.0

Azienda 10

87.0

Azienda 11

76.0

Azienda 12

-

Azienda 13

-

 

Valori di LEP,d, livello di esposizione giornaliera, espressi in dB(A)

Caseificio

Addetto alla mansione di Casaro

Azienda 1

85.0

Azienda 2

80.4

Azienda 3

84.2

Azienda 4

81.5

Azienda 5

78.8

Azienda 6

79.4

Azienda 7

79.3

Azienda 8

84.4

Azienda 9

82.7

Azienda 10

72.8

Azienda 11

82.2

Azienda 12

80.3

 

 

 

 

danno atteso

L’esposizione continuativa a livelli di rumore medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure preventive.

Oltre ai disturbi della comunicazione e della prestazione lavorativa, possono insorgere: effetti cardiovascolari (aumento della pressione sanguigna, ecc…); disturbi psichici (astenia, irritabilità, depressione, insonnia); disturbi a carico dell’apparato digerente.

prevenzione

Le principali misure di prevenzione sono le seguenti:

-         utilizzare macchine pulitrici - pastorizzatrici del tipo meno rumoroso.

-         segregazione delle macchine rumorose tramite pannellature fonoisolanti - fonoassorbenti.

-         evitare la possibilità di esposizione indiretta degli addetti ad altre lavorazioni, confinando le macchine rumorose in locali separati, oppure (nel caso di caseifici in cui la zona di pastorizzazione sia nello stesso locale della produzione del formaggio) confinandole in una zona specifica delimitata da pareti fonoassorbenti e separata dalla zona di produzione del formaggio.

-         quando sia necessario intervenire entro la zona chiusa e delimitata da pareti fonoassorbenti, è necessario indossare D.P.I. (cuffie, tappi).

-         informazione, formazione e sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti.

Nei casi di livelli di esposizione personale superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs. 277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”, riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di carattere generale”.

riferimenti normativi

-         Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).

 

Esposizione a microclima caldo-umido

descrizione

Le operazioni di pastorizzazione e sterilizzazione del latte, possono determinare l'esposizione degli addetti a microclima caldo-umido.

stima

Da uno studio su 12 caseifici del sud la Toscana, svolto da le A.S.L. n. 19 "Alta Val d'Elsa", n. 27 "Colline Metallifere" e n. 28 "Area Grossetana" non sono risultate situazioni di elevato stress da calore.

danno atteso

Disturbi da scomfort termico, riduzione della capacità lavorativa, stress psico fisico.

prevenzione

Nelle situazioni di maggior esposizione a stress termico, è utile prevedere l’uso di abbigliamento idoneo specifico, in relazione al rischio da esposizione ad elevata temperatura, oltre a prevedere, nell’organizzazione del lavoro, idonei periodi di acclimatamento.

È altresì opportuno valutare la possibilità di confinare in locali appositi le macchine che determinano il microclima caldo-umido, in modo da separarle dagli altri reparti di lavorazione, al fine di evitare l'esposizione indiretta degli addetti.

È fondamentale una corretta organizzazione del lavoro e l’informazione e formazione degli addetti.

riferimenti normativi

-         Art. 9 “Ricambio dell’aria”, Art.11 “Temperatura” e Art.13 “Umidità” D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Art. 240 "Protezione delle pareti esterne a temperatura elevata" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 378 "Abbigliamento" e Art. 379 "Indumenti di protezione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Norma UNI EN 563 del 30.06.95 Sicurezza del macchinario. Temperature delle superfici di contatto. Dati ergonomici per stabilire i valori limite di temperatura per le superfici calde. La norma presenta i dati ergonomici e il loro uso per stabilire i valori limite di temperatura per superfici calde e per la valutazione dei rischi di ustione.

 

Transito su pavimenti resi scivolosi

Si veda la fase sanificazione.

 

 

APPALTI ESTERNI

Il trattamento preliminare del latte generalmente non viene  appaltata a ditte esterne.

 

 

IMPATTO ESTERNO

 

I principali fattori di impatto ambientale in questa fase sono i seguenti:

 

Scarichi dalla pulitura del latte

Le impurità presenti nel latte che sono state separate dalla pulitrice centrigufa, vengono avviate all’impainto di depurazione delle acque.

Per quanto riguarda lo scarico delle soluzioni di lavaggio si veda la fase sanificazione.

 

Diffusione di rumore all’esterno

La pulitrice centrifuga e le pompe del latte possono dare luogo ad elevati livelli di rumore e se non è prevista una adeguata insonorizzazione, possono provocare disturbo alla popolazione eventualmente residente nelle adiacenze dell’impianto produttivo.

________________________________________________________________________________

Note:

(1): 1 micron = un millesimo di millimetro (1 m = 10-6 m).

 

 


FERMENTATURA, CAGLIATURA, TAGLIO, PRESSATURA, FORMATURA, STUFATURA, RIVOLTAMENTO.

 

                                                                                                             

 

 

 

1. COMPARTO:

Caseifici

 

 

 

 

2. FASE DI LAVORAZIONE:

Fermentatura, cagliatura, taglio, pressatura, stufatura, formatura, stufatura, rivoltamento.

 

 

 

 

3. COD.INAIL:

 

 

 

 

 

4. FATTORI DI RISCHIO:

Agenti fisici: rumore, microclima.

Rischi per la sicurezza.

 

 

 

 

5. CODICE DI RISCHIO:

 

 

    (riservato all’ ufficio)

 

 

 

 

 

6. N. ADDETTI:

78

 

 

 

 

 

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

Una classica lavorazione per la produzione del formaggio, prevede un processo che può essere sintetizzato come segue.

Si inizia con la preparazione di una miscela di latte e fermenti lattici (starter). Gli starter sono fondamentali nella caseificazione, in quanto servono a dare acidità al latte per favorire l’azione coagulante del caglio e in quanto nella maturazione svolgono un’azione proteolitica, lipolitica e aromatizzante. Esistono fermenti specifici per ogni tipo di formaggi. In genere i fermenti lattici vengono acquistati in forma di liofilizzati (di lunga conservazione). Essi vengono mescolati con il latte in apposite apparecchiature dette fermentiere e lasciati in riposo a temperatura predeterminata per qualche ora, in modo che la miscela raggiunga il valore di acidità (2) richiesto prima di venire aggiunta (in misura dell’1 - 2%) al latte in lavorazione.

Nel frattempo il latte, precedentemente trattato come descritto alla fase trattamento preliminare del latte, viene riscaldato (1) ed immesso entro vasche di lavorazione; nei caseifici più moderni, il riscaldamento e la lavorazione avvengono in una stessa macchina chiamata caldaia polivalente.

Si procede quindi aggiungendo gli  starter al latte riscaldato e, per fare coagulare il latte in ambiente acido, si aggiunge un enzima: il caglio (rennina o lab-fermento o chimosina o chimasi) (3). Il caglio si ottiene dalla mucosa gastrica (pelletta) di giovani ruminanti (4);  le preparazioni di caglio possono essere allo stato liquido, in polvere o in pasta. La forza coagulante del caglio è espressa da un valore chiamato titolo (5). Ad esempio, una azienda del comparto a produzione industriale, consuma al giorno da 1 Kg. a  1,5 Kg. di caglio in polvere, in rapporto rispetto al latte di  1:100.000. 

Quando l’azione del caglio è ultimata (dopo circa 20 - 25 minuti), la massa ottenuta prende il nome di cagliata. Essa viene quindi tagliata in cubetti (delle dimensioni di una nocciola o poco più), mediante apposite taglierine incorporate nella vasca stessa. Le taglierine sono essenzialmente delle griglie che ruotano all'interno della vasca; talvolta esse presentano un profilo affilato da un solo lato, in modo che, se fatte ruotare dalla parte affilata funzionano da taglierine, mentre se fatte ruotare nell'altro senso funzionano da agitatori.

Dopo il taglio, la massa viene agitata per facilitare l’eliminazione del siero (spurgatura), ed a questo punto si effettua la cosiddetta formatura: i cubetti di cagliata vengono scaricati entro stampi della forma voluta. Talvolta l'operazione di scarico della cagliata è meccanizzata tramite un sistema pneumatico.

In alcuni casi, prima del riempimento degli stampi, viene eseguito un pre-drenaggio del siero dalla cagliata  facendola cadere su un tamburo rotante perforato: la velocità di rotazione del tamburo e il diametro delle perforazioni determinano l'intensità di drenaggio del siero e, di conseguenza, la quantità di siero che scola negli stampi.  

Per la produzione di molte famiglie di formaggi, una delle operazioni fondamentali consiste nella pressatura della cagliata sotto siero. Un tempo questa operazione era realizzata lasciando depositare la cagliata  sul fondo della caldaia aperta di coagulazione e poi ricoprendola con tavole, invece oggi vengono utilizzati tavoli pressa porzionatori.

Una volta riempiti gli stampi, entro di essi avviene un ulteriore spurgo del siero ed in genere, per favorire lo spurgo, le forme vengano più volte ribaltate. Il ribaltamento della forma può avvenire o nello stesso stampo (e in tal caso è spesso prevista la sostituzione del telo che riveste internamente lo stampo) oppure si utilizzano stampi di plastica talvolta rivestiti internamente da un materiale anch'esso plastico poroso (che essendo impermeabile non necessita di essere sostituito) e si ribalta direttamente lo stampo. Nel secondo caso l'operazione è spesso meccanizzata. 

Per la produzione di alcuni tipi di formaggi, la cagliata negli stampi viene sottoposta a stufatura che  ha lo scopo di ottenere uno spurgo secondario del siero, in cui l’azione dei fermenti lattici viene aiutata dal calore. La stufatura si realizza ponendo la cagliata negli stampi in un ambiente mantenuto a temperatura costante e umidità relativa costanti e determinate a seconda del tipo di formaggio. Valori tipici di temperatura di stufatura sono intorno ai 58 °C per il formaggio pecorino intorno a 51 °C per le caciotte di latte misto (pecora e vacca). La stufatura dura in genere da 2 a 8 ore. Sempre allo scopo di favorire lo spurgo, la stufatura è talvolta abbinata ad un sistema automatico di avanzamento, impilamento e ribaltamento degli stampi. Nelle aziende del comparto, la stufatura avviene in due diverse modalità tra loro alternative:

-         entro cassoni chiusi condizionati tramite vapore e posti nella stessa sala di produzione della cagliata, in tal caso il ribaltamento delle forme avviene in genere manualmente, a cura di un operatore esperto che la esegue con movimenti molto veloci e ripetitivi.

-         in un apposito locale (camera di stufatura), nel quale gli stampi pieni entrano ed escono, tramite un sistema di movimentazione automatizzato, il quale è collegato ad un ribaltatore automatico degli stampi contenenti le forme, posto all'esterno della camera di stufatura: dopo un certo tempo prestabilito, le forme vengono estratte dalla camera, ribaltate e reimmesse nello stessa. L'operazione viene ripetuta un numero di volte variabile a seconda del tipo di formaggio prodotto.

Il siero derivante dalle varie operazioni sopra descritte (agitatura, pre-drenaggio, pressatura, stufatura, ribaltamento,  sgrondo dagli stampi) viene raccolto e aspirato tramite apposite pompe per poi essere utilizzato nella produzione della ricotta.

Per quanto riguarda le quotidiane operazioni di pulizia si veda la fase sanificazione.

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

Caldaie polivalenti

Sono vasche realizzate in acciaio inox, aventi capacità variante da 30 a 200 quintali, dotate di un sistema di riscaldamento del latte, ed di agitatori - taglierine. Il funzionamento della macchina viene controllato da un addetto, tramite comandi manuali, oppure tramite un sistema di controllo computerizzato.

Il riscaldamento del latte nelle caldaie polivalenti avviene per mezzo di un sistema di serpentine dove viene fatta scorrere acqua calda; esse sono poste entro una camiciatura della vasca e distribuite in modo tale da rendere più uniforme possibile il riscaldamento del latte.

 

Fig. 4 Interno della caldaia polivalente aperta.

 

Un tempo queste macchine erano aperte, ma nei caseifici moderni è in atto una tendenza alla loro sostituzione con caldaie polivalenti chiuse nelle quali tutte le operazioni (in particolare coagulo, cagliatura e taglio) avvengono in maniera meccanizzata ed automatica. Nonostante lo svantaggio di rendere meno agevole un controllo visivo e tattile della massa in lavorazione, le caldaie polivalenti chiuse presentano numerosi vantaggi, rispetto a quelle aperte:  maggiore igiene delle operazioni, facilità di lavaggio in ciclo C.I.P. (vedere la fase sanificazione), minore consumo energetico, possibilità di lavorare grandi volumi di latte.  

Esiste una grande varietà di caldaie polivalenti chiuse, tra le quali:

-         caldaie cilindriche piane, a forma di cilindri affiancati, dette tipo "00" (doppio zero);

-         caldaie cilindriche orizzontali, dette tipo "OST".

-         caldaie a semicilindro orizzontale e movimenti alternati, dette tipo "MKT".

-         caldaie a culla ribaltabile.

Si noti che il tipo di caldaia polivalente impiegata può cambiare a seconda del tipo di formaggio prodotto, ad esempio quella per formaggi molli (quali ad esempio lo stracchino e il ravaggiolo) la caldaia polivalente si differenzia soprattutto per il fatto che al posto delle taglierine (non più necessarie), gli utensili agitatori sono costituiti da pale di acciaio inossidabile.   

 

Sistema pneumatico per lo scarico della cagliata.

Lo scarico della cagliata è una delle operazioni più critiche per la buona riuscita di un formaggio, pertanto specie per certi tipi di formaggi, se l'operazione non avviene con la sufficiente delicatezza è possibile compromettere la definitivamente la riuscita del prodotto. In tal caso non è possibile utilizzare un semplice sistema di scarico a gravità, né tramite pompe volumetriche. 

Uno dei sistemi di scarico automatizzato che può essere impiegato anche in tali situazioni, è basato sull'impiego di pompe a vuoto e serbatoi polmone che funzionano alternativamente: creando il vuoto in un serbatoio si risucchia la massa siero-cagliata dalla caldaia polivalente e poi, pressurizzando si ottiene l'espulsione della massa dal serbatoio per riempire così lo stampo in modo rapido e delicato.

Una azienda del comparto utilizza invece un sistema a gravità, coadiuvato però da un dispositivo automatico che provvede, tramite un meccanismo pneumatico, a sollevare la caldaia quando il livello del suo contenuto diminuisce, in modo da mantenere costante la pressione dello scarico.

 

Sistema automatico per il ribaltamento degli stampi

Il rivoltamento automatizzato degli stampi prevede in genere un sistema di impilatura degli stessi uno sull'altro (e/o posizionamento degli stampi su appositi vassoi anch'essi sovrapponibili), e dei ribaltatori meccanici che, una volta raccolta e racchiusa l'intera pila entro ganasce, provvedono al ribaltamento della stessa.

 

Tavoli pressa porzionatori

Si tratta di tavoli rettangolari dotati di pareti di altezza sufficientemente elevata e di un fondo sul quale scorre un nastro trasportatore perforato. L'alimentazione dei tavoli con la cagliata proveniente dalla caldaia di coagulazione, può avvenire  con accorgimenti diversi ad esempio a spruzzo o tramite maniche distributrici mobili che corrono  lungo il tavolo.

Sopra il tavolo è posizionato un coperchio che, tramite un meccanismo pneumatico, cala sopra la massa  in lavorazione pressandola. Il siero viene raccolto sul fondo del tavolo e convogliato attraverso uno scarico al sistema di raccolta. Lo scarico sul fondo del tavolo è dotato di un sistema di chiusura per permettere di regolare la quantità di siero residuo sulla cagliata depositata, in modo da poterla mantenere umida e/o coperta dal siero. Tramite il movimento del nastro, la cagliata che è stata pressata viene quindi convogliata da una estremità del tavolo, nella quale è posizionato il porzionatore. Quest'ultimo è costituito da taglierine mobili realizzate come un sistema di fili metallici orizzontali e verticali, regolabili e azionate meccanicamente per tagliare il manto di cagliata in porzioni delle dimensioni volute.

 


FATTORI DI RISCHIO

I rischi sono fondamentalmente legati al microclima caldo-umido, al rumore, alla possibilità di infortuni specie per scivolamento. I fermenti utilizzati per la caseificazione comprendono una flora microbica altamente selezionata che non rappresenta un rischio infettivo per l’uomo.

 

Transito su pavimenti resi scivolosi

Si veda la fase sanificazione.

 

Esposizione a rumore

descrizione

Il rumore deriva prevalentemente da pompe, macchina formatrice, sistema automatico di avanzamento, impilamento e ribaltamento degli stampi meccanico o manuale (ribaltamento manuale delle forme, che avviene battendo lo stampo sul bordo del cassone di stufatura).

Inoltre, nei piccoli caseifici a produzione artigianale, talvolta le varie macchine utilizzate per le diverse lavorazioni (pulitrice, polivalente, ecc…) si trovano nello stesso locale, pertanto possono costituire una fonte di esposizione indiretta anche per i lavoratori addetti a questa fase.

stima

I valori di rumore rilevati in alcune aziende del comparto sono riportati nelle tabelle seguenti:

 

Valori delle LAeq misurati espressi in dB(A)

Caseificio

Zona formatura dei formaggi

Zona caldaie polivalenti

Azienda 1

84.2

85.4

Azienda 2

80.9

79.6

Azienda 3

85.3

85.0

Azienda 4

83.6

82.3

Azienda 5    (*)

74.2  (82.3)

74.2  (82.8)

Azienda 6

77.3

77.3

Azienda 7

83.6

73.6

Azienda 8

88.0

89.0

Azienda 9

85.0

84.0

Azienda 10

68.0

68.0

Azienda 11

76.9

76.9

Azienda 12

80.7

80.7

(*) Il valore tra parentesi è relativo ad una misura effettuata con la centrifuga del reparto pastorizzazione accesa.

 

Valori di LEP,d, livello di esposizione giornaliera, espressi in dB(A)

Caseificio

Addetti alla formatura dei formaggi

Azienda 1

82.6

Azienda 2

80.0

Azienda 3

84.1

Azienda 4

78.7

Azienda 5

76.3

Azienda 6

79.4

Azienda 7

79.3

Azienda 8

85.4

Azienda 9

82.7

Azienda 10

72.8

Azienda 11

82.2

Azienda 12

80.3

 

danno atteso

L’esposizione continuativa a livelli di rumore medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure preventive.

Oltre ai disturbi della comunicazione e della prestazione lavorativa, possono insorgere: effetti cardiovascolari (aumento della pressione sanguigna, ecc…); disturbi psichici (astenia, irritabilità, depressione, insonnia); disturbi a carico dell’apparato digerente.

danno rilevato

In generale, i risultati sanitari sulla esposizione al rumore non hanno messo in evidenza una situazione di particolare rischio: l’audiogramma medio di settore è risultato nei limiti della variabilità normale. Tuttavia per i caseifici studiati, limitatamente a certe mansioni specifiche, come “addetto alla produzione”, dove l’audiogramma medio è risultato di classe 1 Merluzzi tipo “trauma sonoro iniziale”, è auspicabile generalizzare gli interventi di prevenzione che sono già stati attuati in alcuni caseifici, sotto indicati.

prevenzione

-         Portare all'esterno del locale di produzione le pompe che aspirano il siero.

-         Effettuare una regolare manutenzione delle valvole di sfiato dell'aria compressa del formatore.

-         Insonorizzare le macchine più rumorose e separarle dagli altri locali di lavoro.

-         Sostituire le macchine più vecchie e rumorose con altre nuove meno rumorose.

-         Organizzare il lavoro in modo da ridurre i tempi di esposizione dei lavoratori.

-         Informazione, formazione e sorveglianza sanitaria degli esposti.

Nei casi di livelli di esposizione personale superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs. 277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”, riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di carattere generale”.

riferimenti normativi

-         Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).

 

Esposizione a microclima caldo-umido

descrizione

Gli addetti possono essere esposti ad un microclima caldo-umido, dovuto alle lavorazioni sopra descritte, in particolare a causa del calore derivante dalle caldaie polivalenti e dalla operazione di  stufatura specie quando essa si realizza nella stessa sala in cui compiono le altre operazioni. Inoltre a determinare l'elevatissimo tasso di umidità, concorre anche l'impiego di idropulitrici a getto d'acqua e vapore in pressione durante la fase di pulizia delle apparecchiature.

Quando la stufatura avviene in una apposita camera, eventualmente abbinata ad un sistema automatico di movimentazione degli stampi e apertura / chiusura automatica delle paratie, può essere presente il rischio per gli addetti di rimanere accidentalmente chiusi dentro la camera di stufatura.

stima

Da uno studio su 12 caseifici del sud la Toscana, svolto da le A.S.L. n. 19 "Alta Val d'Elsa", n. 27 "Colline Metallifere" e n. 28 "Area Grossetana"  non sono risultate né situazioni di elevato stress da calore.

danno atteso

Disturbi da scomfort termico, riduzione della capacità lavorativa, stress psico fisico.

prevenzione

Nel locale di lavorazione, specie dove sono presenti le caldaie polivalenti, è bene prevedere un continuo ricambio di aria così da operare in sovrapressione rispetto all'esterno del reparto, nel quale si fa entrare solo aria depurata tramite opportuni filtri; ciò favorisce tra l'altro la prevenzione contro la contaminazione del prodotto da parte eventuali inquinanti esterni.

Nelle situazioni di maggior esposizione a stress termico, è utile prevedere l’uso di abbigliamento idoneo specifico, in relazione al rischio da esposizione ad elevata temperatura, oltre a prevedere, nell’organizzazione del lavoro, idonei periodi di acclimatamento. Quanto sopra è stato è stato attuato in quasi tutti i caseifici controllati.

È altresì opportuno valutare la possibilità di confinare in locali appositi le macchine che determinano il microclima caldo-umido, in modo da separarle dagli altri reparti di lavorazione, al fine di evitare l'esposizione indiretta degli addetti.

Per la camera di stufatura è necessario prevedere un sistema di apertura sicuro delle paratie anche dall’interno, tramite maniglie di sicurezza, in modo che qualora un addetto vi acceda, non possa accadere che vi rimanga accidentalmente chiuso all’interno.

È fondamentale una corretta organizzazione del lavoro e l’informazione e formazione degli addetti.

riferimenti normativi

-         Art. 9 “Ricambio dell’aria”, Art.11 “Temperatura” e Art.13 “Umidità” D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Art. 240 "Protezione delle pareti esterne a temperatura elevata" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 378 "Abbigliamento" e Art. 379 "Indumenti di protezione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Norma UNI EN 563 del 30.06.95 Sicurezza del macchinario. Temperature delle superfici di contatto. Dati ergonomici per stabilire i valori limite di temperatura per le superfici calde. La norma presenta i dati ergonomici e il loro uso per stabilire i valori limite di temperatura per superfici calde e per la valutazione dei rischi di ustione.

 

Lavoro in prossimità di organi meccanici in movimento

descrizione

In questo reparto gli addetti possono essere esposti al rischio di impigliamento, presa e trascinamento, schiacciamento dovuto a varie parti dell’impianto, principalmente:

-         agitatori-taglierine delle caldaie polivalenti ed i relativi bracci meccanici e organi di trasmissione del moto.

-         organi di trasmissione del moto al tamburo rotante perforato, utilizzato per il pre-drenaggio del siero dalla cagliata prima della formatura.

-         sistema automatico di avanzamento, impilamento e ribaltamento degli stampi pieni.

-         sistemi automatici per la movimentazione degli stampi entro e fuori dalla camera di stufatura, ad esempio trenini elettrici (robot). 

-         sistemi automatici per l’apertura e chiusura delle porte della camera di stufatura.

danno atteso

Lesioni traumatiche quali ferite e contusioni.

prevenzione

Per quanto riguarda gli agitatori-taglierine e gli organi di trasmissione del moto, è opportuno prevedere protezioni fisse (o munite di dispositivo di blocco); ove sia necessario mantenere la visibilità, possono essere eventualmente realizzate con griglie, o barre distanziatrici idonee ad impedire che gli arti degli addetto possano raggiungere le parti meccaniche in movimento.

 

 


Fig. 5 caldaie polivalenti con griglie di protezione degli organi mobili.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 6 Griglia di protezione al sistema di impilamento degli stampi pieni di cagliata.

 


 

Fig. 7 Moderna macchina per l’impilamento degli stampi pieni di cagliata. Si notino le protezioni degli organi in movimento realizzate tramite sportelli grigliati dotati di dispositivo di interblocco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Durante eventuali manutenzioni, tutto l’impianto deve posto in sicurezza; in particolare possono essere predisposte procedure di sicurezza che impediscano la possibilità che, mentre un lavoratore esegue la manutenzione, un altro possa avviare la macchina. A tale scopo, prima di iniziare le operazioni di manutenzione, si può attuare una procedura di tipo “Blocca e Segnala”, che può consistere, ad esempio, nel bloccare tutte le forme di energia che possono fare muovere le varie parti della macchina, impossessarsi della chiave del quadro di controllo e apporre su quest’ultimo un cartello con una scritta del tipo “Non azionare la macchina – manutenzione in corso”.

Le paratie ad apertura e chiusura automatica della camera di stufatura, ove presenti, devono essere protette contro il rischio di schiacciamento, ad esempio:

-         per la fase di chiusura, la paratia può essere dotata di barra sensibile sul bordo che, in caso di urto, ne blocchi la corsa.

-         per la fase di apertura, se la paratia va ad occupare una porzione di spazio accessibile ai lavoratori, può essere utilizzato un sistema analogo al precedente, oppure la zona operativa può essere resa inaccessibile ad esempio tramite una adeguata recinzione, conformata in modo tale che non sia possibile che un arto resti a contrasto tra la paratia mobile e la protezione fissa.

 

Fig. 8 Barra sensibile sul bordo delle paratie delle camere a microclima controllato.

riferimenti normativi

-         Art. 6 “Doveri dei lavoratori” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 41 “Protezione e sicurezza delle macchine”  D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. III, Capo III "Trasmissioni e ingranaggi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 68 “Protezione degli organi lavoratori e delle zone di operazione delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 72 “Blocco degli apparecchi di protezione”  D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 73 “Aperture di alimentazione e di scarico delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 76 e 77 "Organi di comando per la messa in moto delle macchine" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 81 "Comando con dispositivo di blocco multiplo" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 82 "Blocco della posizione di fermo della macchina" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 233 "Organi di comando e di manovra" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. IX "Manutenzione e riparazione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Tit. III “Uso delle attrezzature di lavoro” D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 (Direttiva macchine).

Norme UNI EN 291/2, 291/2, 614/1, 294, 349, 811, 418, 1037, 1088, 574, 982, 983, 1012/1, 1012/2

 

 

APPALTI ESTERNI

In genere questa fase non viene appaltata, in quanto lavorazione centrale del processo produttivo.

 

 

IMPATTO ESTERNO

 

Diffusione di rumore all’esterno

Le lavorazioni rumorose sopra descritte possono dare luogo ad elevati livelli di rumore e se non è prevista un’adeguata insonorizzazione, possono provocare disturbo alla popolazione eventualmente residente nelle adiacenze dell’impianto produttivo.

 

Scarichi idrici

Per quanto riguarda lo scarico delle soluzioni di lavaggio si veda la fase sanificazione.

________________________________________________________________________________

Note:

 

(1) La temperatura alla quale viene portato il latte nelle caldaie, è predeterminata a seconda del tipo di formaggio che si intende produrre. Nelle aziende del comparto, tale temperatura è 25 - 38 °C.

 

(2) L'acidità deriva dalla trasformazione del lattosio in acido lattico operata dai fermenti lattici.

 

(3) In questo modo il caseinogeno viene trasformato in paracaseina la quale, in presenza di ioni calcio, precipita come paracaseinato di calcio.

 

(4) Il caglio è l'insieme degli enzimi coagulanti che si aggiunge al latte per ottenere la precipitazione della caseina. Il caglio può essere aggiunto al latte attraverso preparata in pasta, in polvere o liquidi. Con questa miscelazione prendono il via i fenomeni di coagulazione enzimatica che danno poi origine alla cagliata. Un tempo, la coagulazione del latte veniva fatta avvenire utilizzando anche il succo di alcuni vegetali, dei quali il lattice di fico era il più utilizzato. Attualmente, con il termine "caglio" o "presame" si intende il prodotto enzimatico estratto dallo stomaco (più precisamente dall'abomaso) di bovini lattanti o in età giovanile. Questo estratto è molto ricco di un enzima, la chimasi o rennina, ottimale per la realizzazione della coagulazione del latte. Per la produzione di formaggi tipici come pecorino e caprino, viene invece usato il caglio di agnello o di capretto.

 

(5) Il titolo del caglio è la quantità di latte, espressa in millilitri (o in grammi), che viene coagulata da 1 millilitro (o da 1 grammo) di caglio, alla temperatura di 35°C in un tempo di 40 minuti.


SALATURA

 

 

 

 

 

1. COMPARTO:

Caseifici

 

 

 

 

2. FASE DI LAVORAZIONE:

Salatura

 

 

 

 

3. COD.INAIL:

 

 

 

 

 

4. FATTORI DI RISCHIO:

Rischi per la sicurezza;  agenti fisici: rumore; agenti chimici.

 

 

 

 

 

 

 

 

5. CODICE DI RISCHIO:

 

 

    (riservato all’ ufficio)

 

 

 

 

 

6. N. ADDETTI:

 76

 

 

 

 

 

 

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

La salatura (anche detta salagione) è l’operazione di aggiunta di sale sulle forme che viene compiuta dopo la stufatura.

I formaggi vengono salati per diverse ragioni: aiutare per osmosi la rimozione del siero ancora da spurgare (spurgo terziario della cagliata); condensare la cagliata; rallentare lo sviluppo acido; conservare il formaggio rallentando ogni sviluppo batterico; indurre una leggera solubilizzazione delle proteine; impartire al formaggio il gusto desiderato; aumentare il valore nutritivo del formaggio.  

La salatura può essere fatta a secco, cioè mediante distribuendo il sale direttamente sulle forme, ovvero a umido, cioè mediante immersione del formaggio per un certo tempo in apposite vasche riempite con soluzione salina (salamoia) mantenuta ad una temperatura di 11-12 °C.

La salatura può essere completamente manuale, ma spesso, specie quando viene effettuata ad umido, è una operazione automatizzata.

La cura e la depurazione delle  salamoie, un tempo realizzata mediante periodiche bolliture, oggi può essere effettuata con procedimenti diversi: filtrazione su farina fossile; microfiltrazione continua o intermittente; debatterizzazione con raggi ultravioletti (facendo passare la salamoia in un tubo di vetro trasparente).  Ad esempio, in una azienda del comparto, la soluzione viene prima filtrata e poi pastorizzata. 

Le forme di formaggio, dopo che sono rimaste in salamoia per un certo tempo, possono venire inviate al trattamento antimuffa, tramite una serie di trasportatori a rulli.

Nel locale può anche essere presente un ventilatore per il ricambio dell'aria.

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

 

Vasche di salamoia

Si tratta di vasche, che possono essere anche di grandi dimensioni, riempite di acqua e sale. Esse sono dotate di carroponte per il sollevamento delle gabbie a ripiani multipli, nei quali vengono introdotte le forme da tenere in salamoia. L’introduzione delle forme nei ripiani della gabbia (calata all’interno della vasca), avviene manualmente da un lato della vasca, mentre la movimentazione delle forme dai ripiani della gabbia fino verso l’uscita, avviene grazie all’azione della corrente che si determina nel fluido tramite un sistema di pompaggio.

 

 

 

Fig. 9 Vasca di salamoia con gabbia multilivello per il posizionamento delle forme da salare.

 

Carroponte

Si tratta di carroponte di tipo convenzionale, il cui scorrimento avviene nel senso longitudinale della vasca, cioè lungo lo stesso percorso che compiono le forme per attraversarla.

 

FATTORI DI RISCHIO

I rischi professionali sono legati all’impiego del sale da cucina, rischi di caduta per scivolamento su pavimenti bagnati, esposizione a rumore.

 

Esposizione al rumore

descrizione

Il rumore in questa fase deriva principalmente dalle pompe e dal movimento della soluzione attraverso la vasca, e da eventuali ventilatori per il ricambio dell’aria.

stima

Riportiamo a titolo di esempio i dati misurati in una azienda del comparto.

 

Valori di LAeq misurati espressi in dB(A)

Caseificio

Zona salamoia

Azienda A

76 - 86(*)

(*) Misura eseguita con ventilatore acceso

 

danno atteso

L’esposizione continuativa a livelli di rumore medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure preventive.

Oltre ai disturbi della comunicazione e della prestazione lavorativa, possono insorgere: effetti cardiovascolari (aumento della pressione sanguigna, ecc…); disturbi psichici (astenia, irritabilità, depressione, insonnia); disturbi a carico dell’apparato digerente.

interventi prevenzionistici

I ventilatori per il ricambio dell'aria devono essere del tipo meno rumoroso possibile oppure eliminati ed attuati altri sistemi per il ricambio dell'aria.

Nei casi di livelli di esposizione personale superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs. 277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”, riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di carattere generale”.

riferimenti normativi

-         Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).

 

Movimentazione manuale dei carichi.

descrizione

Il sale da cucina viene in genere fornito in sacchi; la movimentazione di gruppi di sacchi avviene tramite transpalletts, mentre i singoli sacchi vengono movimentati manualmente. Nel caso di salatura in salamoia, la soluzione viene periodicamente reintegrata di sale.

Talvolta le forme di formaggio vengono introdotte manualmente nella vasca di salamoia.

danno atteso

Disturbi muscolo-scheletrici per la movimentazione manuale dei carichi.

interventi prevenzionistici

Per la movimentazione manuale è necessario che l’azienda richieda al fornitore che il sale sia confezionato in  sacchi piccoli in modo da ridurne il peso. Il limite massimo stabilito dal D.Lgs.n.626/1994 e s.m. è pari a 30 Kg per gli uomini e 20 Kg per le donne, altrimenti la movimentazione manuale deve essere effettuata da due persone per ogni sacco. Tali limiti possono essere ridotti, se il sacco deve essere tenuto o maneggiato ad una certa distanza dal tronco o con torsione  inclinazione del tronco. 

riferimenti normativi

-         Tit. V e All. 6 del D.Lgs. n.626 del 10.09.1994.

-         Norma UNI ISO 938

 

Manipolazione di sale da cucina.

descrizione

Nel caso della salatura manuale a secco, l’addetto prende una manciata di sale dal sacco e la cosparge sulla singola forma. 

danno atteso

Irritazione della pelle per contatto cutaneo prolungato con sale da cucina. In caso di schizzi di acqua salata si può verificare irritazione degli occhi.

interventi prevenzionistici

Per evitare il contatto prolungato della pelle con il sale da cucina, gli addetti alla salatura manuale devono indossare guanti. 

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 303/1956

-         D.Lgs. 626/1994 e s.m.i.

 

Lavoro in prossimità di vasche aperte

descrizione

Durante l’introduzione delle forme all’interno della vasca di salamoia, quando l’operazione avviene manualmente, gli addetti possono essere esposti al rischio di caduta dentro la vasca stessa.

danno atteso

Lesioni traumatiche per caduta dall’alto; irritazione della cute e degli occhi per contatto con soluzione salina.

interventi prevenzionistici

Parapetti regolamentari, pavimentazione antiscivolo, indossare scarpe antiscivolo. Informazione e formazione degli addetti, in particolare sulle procedure corrette di lavorazione.

riferimenti normativi

-         Tit. II del D.P.R. n.547 del 27.04.1955 “Norme per la prevenzione degli infortuni”

-         Tit. VI, Capo III "Vasche, canalizzazioni, tubazioni, serbatoi, recipienti, silos" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         D.Lgs. 626/1994 e s.m.i.

 

Transito su pavimenti resi scivolosi

Si veda la fase sanificazione.

 

APPALTI ESTERNI

In genere questa fase, ove sia necessaria, non viene appaltata.

 

 

 

 

 

IMPATTO ESTERNO

 

Scarichi idrici

La soluzione salina della salamoia viene periodicamente rigenerata tramite filtratura e  pastorizzazione. Il filtrato se scaricato tal quale potrebbe essere causa di inquinamento, pertanto deve essere inviato all’impianto di depurazione delle acque.

Per quanto riguarda lo scarico delle soluzioni di lavaggio si veda la fase sanificazione.

 


STAGIONATURA

 

 

 

 

 

1. COMPARTO:

Caseifici

 

 

 

 

2. FASE DI LAVORAZIONE:

Stagionatura.

 

 

 

 

 

3. COD.INAIL:

 

 

 

 

 

4. FATTORI DI RISCHIO:

Agenti fisici: rumore, microclima.

Agenti biologici.

Rischi per la sicurezza.

 

 

 

 

5. CODICE DI RISCHIO:

 

 

    (riservato all’ ufficio)

 

 

 

 

 

6. N. ADDETTI:

58

 

 

 

 

 

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

La stagionatura dei formaggi consiste nel creare le condizioni esterne necessarie per controllare il processo di maturazione di un formaggio nei limiti dell'ottimale. Per ciascun tipo di formaggio, una combinazione specifica di temperatura e umidità deve essere mantenuta (o variata), durante l'invecchiamento per favorire la maturazione.

Un tempo questo si realizzava in speciali zone geografiche, grotte naturali o in ambienti che, a causa del clima locale risultavano ottimali per il verificarsi delle condizioni volute.

Oggi la maturazione si compie su scaffali posti entro apposite celle o magazzini dotati un completo sistema di condizionamento, dove temperatura, umidità e ventilazione sono tenuti costantemente sotto controllo da una centralina elettronica; valori tipici sono: temperatura di 6 - 10 °C, umidità relativa del 75-90%.  Nella produzione di formaggio tipica della zona in esame la stagionatura dura 10 - 15 giorni per i formaggi freschi, circa 120 giorni per i formaggi stagionati ottenuti con latte misto (di vacca e di pecora) e 180 giorni per i formaggi pura pecora in locali a 6-10°C e 90% di umidità relativa.

Le forme poste a stagionare vengono periodicamente pulite, ribaltate e movimentate. Il ribaltamento delle forme avviene manualmente nelle celle frigorifere di tipo tradizionale e con l'ausilio di carrelli elevatori elettrici e ribaltatori automatici nelle celle frigorifere più moderne.

Periodicamente viene anche effettuato il lavaggio delle assi di legno sulle quali vengono appoggiate le forme a stagionare (si veda la fase sanificazione).

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

 

Celle di stagionatura dei formaggi

Tenendo conto che dai formaggi evapora umidità, l'aria circolante nell'ambiente di stagionatura deve essere deumidificata e refrigerata, controllando poi una successiva umidificazione e/o riscaldamento per mantenere costanti i parametri microclimatici.

Per garantire una maggiore uniformità spaziale dei parametri microclimatici, specie per locali di una certa grandezza e per grandi quantità di formaggi in stagionatura, l'impianto di condizionamento è talvolta dotato di numerosi condotti per convogliare l'aria in punti specifici, tali da assicurare un’adeguata circolazione tra gli scaffali dove sono stoccate le forme.

 

 

 

 

 

 

Fig. 10 Stagionatura delle forme di formaggio  su assi di legno.

Scaffali per la stagionatura delle forme di formaggio nelle celle frigorifere

Nelle celle frigorifere di tipo tradizionale, la sistemazione dei formaggi avviene su assi di legno poste su scaffali fissi; di conseguenza la movimentazione è svolta manualmente per ogni singolo formaggio, ma oggi questa procedura in diversi casi è stata sostituita con metodi di magazzinaggio e movimentazione delle forme entro gabbie o pallets i quali sono poi movimentati su appositi carrelli elevatori a trazione elettrica. In molti casi è presente un sistema di ribaltamento meccanizzato delle gabbie contenenti le forme.

Talvolta vengono anche utilizzati scaffali mobili posti su rotaie in modo che essi, una volta riempiti, possono essere avvicinati tra loro permettendo così, rispetto agli scaffali fissi, la stagionatura di un maggior numero di forme nello stesso spazio.

 

Macchine per la pulitura delle forme di formaggio


Si tratta di piccole macchine spazzolatrici, nelle quali l’operatore introduce la forma da pulire, allo scopo di rimuovere i depositi superficiali. In certi casi, durante l’operazione, la forma deve essere mantenuta in posizione di pulitura dall’operatore. La pulitura può avvenire a secco o a umido.

Fig. 11 Macchina per la pulitura delle forme di formaggio.

 

FATTORI DI RISCHIO

 

I principali fattori di rischio potenzialmente presenti in questa fase lavorativa sono i seguenti:

 

Esposizione a microclima freddo-umido

Durante la permanenza nelle celle di stagionatura, gli addetti che effettuano il ribaltamento e la pulizia delle forme e loro movimentazione, sono esposti a microclima freddo-umido. È anche da considerare il rischio che l’addetto rimanga accidentalmente chiuso all'interno.

stima

Da uno studio su 12 caseifici del sud la Toscana, svolto dalle A.S.L. n. 19 "Alta Val d'Elsa", n. 27 "Colline Metallifere" e n. 28 "Area Grossetana", non sono risultate situazioni di notevole rischio per il lavoro nelle celle frigorifere.

danno atteso

L’esposizione prolungata a microclima freddo – umido può essere causa di: disordini cardiovascolari, metabolici; disturbi muscolo – scheletrici; atrocianosi; stress psicologico; orticaria da freddo; criopatie. Alcuni di questi effetti si aggravano se l’esposizione a freddo è abbinata a fatica fisica e/o alla movimentazione manuale dei carichi. 

prevenzione

Nel caso di permanenze prolungate nelle celle frigorifero sono consigliabili pause nell’esposizione.

In genere, nelle situazioni di maggior esposizione a stress termico, è utile prevedere anche l’uso di abbigliamento idoneo specifico in relazione al rischio da esposizione a bassa temperatura (indumenti di protezione contro il freddo), oltre a prevedere, nell’organizzazione del lavoro, idonei periodi di acclimatamento.

Naturalmente la migliore misura di prevenzione consiste nell'evitare l'esposizione. Oggi questo è tecnologicamente possibile utilizzando sistemi di automazione del magazzino basati sull'impiego di gabbie da riempire di formaggi della stessa partita, e che quindi devono subire le stesse vicende di stagionatura. Questi sistemi permettono infatti di movimentare meccanicamente i formaggi ai vari livelli del magazzino tramite guidovie completamente automatiche, in moda da poter spostare i formaggi all'interno del magazzino nelle sue diverse parti che presentano condizioni microclimatiche diverse e più confacenti al grado di stagionatura raggiunto.  Tali  sistemi possono raggiungere un levato grado di meccanizzazione, anche con l'ausilio di computers tali da governare l'intero magazzino senza o con il minimo intervento da parte degli addetti.

Per le celle frigorifere è necessario prevedere un sistema di apertura sicuro delle paratie anche dall’interno, tramite maniglie di sicurezza, in modo che qualora un addetto vi acceda, non possa accadere che vi rimanga accidentalmente chiuso all’interno.

riferimenti normativi

-         Art. 9 “Ricambio dell’aria”, Art.11 “Temperatura” e Art.13 “Umidità” D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Art. 378 "Abbigliamento" e Art. 379 "Indumenti di protezione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

 

Lavoro in prossimità di organi meccanici in movimento

descrizione

Le porte delle celle frigorifere, quando sono costituite da paratie mobili a comando pneumatico, comportano il rischio di schiacciamento dell'addetto che dovesse trovarsi a passare in quel momento.

Gli organi di trasmissione del moto delle macchine spazzolatrici utilizzate per pulire le forme possono costituire un rischio di presa e trascinamento.

danno atteso

Lesioni traumatiche, quali ferite e contusioni.

prevenzione

Le paratie ad apertura e chiusura automatica delle celle frigorifere, devono essere protette contro il rischio di schiacciamento, ad esempio:

-         per la fase di chiusura, la paratia può essere dotata di barra sensibile sul bordo che, in caso di urto, ne blocchi la corsa.

-         per la fase di apertura, quando la paratia vada ad occupare uno porzione di spazio accessibile ai lavoratori, può essere utilizzato un sistema analogo al precedente, oppure la zona operativa può essere resa inaccessibile tramite una adeguata recinzione.   

Gli organi di trasmissione del moto delle macchine spazzolatrici devono essere protetti tramite riparo fisso o munito di dispositivo di blocco.

riferimenti normativi

-         Art. 6 “Doveri dei lavoratori” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 41 “Protezione e sicurezza delle macchine”  D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. III, Capo III "Trasmissioni e ingranaggi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 68 “Protezione degli organi lavoratori e delle zone di operazione delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 72 “Blocco degli apparecchi di protezione”  D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 73 “Aperture di alimentazione e di scarico delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 76 e 77 "Organi di comando per la messa in moto delle macchine" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 81 "Comando con dispositivo di blocco multiplo" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 82 "Blocco della posizione di fermo della macchina" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 233 "Organi di comando e di manovra" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. IX "Manutenzione e riparazione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Tit. III “Uso delle attrezzature di lavoro” D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 (Direttiva macchine).

-         Norme UNI EN 291/2, 291/2, 614/1, 294, 349, 811, 418, 1037, 1088, 574, 982, 983, 1012/1, 1012/2.

 

Esposizione ad agenti biologici

descrizione

All'inizio della fase di stagionatura, sulla superficie del formaggio si impiantano delle muffe che si possono definire primarie, come certi Aspergilli, ben presto raggiunte ed utilizzate a fini trofici dagli acari fungivori stretti detti acari primari tra cui il Glycyphagus domesticus. Nel lavoro di distruzione del feltro fungino, gli acari possono danneggiare la crosta e determinare delle caverne nel formaggio, dove si impiantano altri acari detriticoli, quali l'acarus Siro e il Tyrolochus casei, o saprofiti detti acari terziari. Durante la maturazione del formaggio si modificano le condizioni ecologiche favorendo l'impianto di nuove specie fungine e, contemporaneamente, l'enorme numero di acari diventa cibo per specie predatrici, come il Cheyletus eruditus; si tratta dei cosiddetti acari secondari i quali hanno la capacità di formare uno stadio ulteriore, detto ipopiale, che ne favorisce la sopravvivenza anche in condizioni sfavorevoli, compresa la mancanza nutrimento, anche per più di un anno. Questa particolare forma può essere trasportata da insetti e quindi può colonizzare nuovi ambienti. La densità di acari e muffe che si raggiunge in poche settimane, richiede interventi periodici di pulizia delle forme in maturazione di significato sia merceologico che igienico-sanitario. La pulizia evita infatti l'accumulo di guanina (principale sottoprodotto del metabolismo azotato degli acari e presente nelle loro particelle fecali), che determinerebbe l'alterazione del prodotto, lo sviluppo di microrganismi e la alterazione del valore biologico dell'alimento e della sua digeribilità. Dal punto di vista sanitario la pulitura delle forme riduce la quantità di acari nell'ambiente e quindi il rischio di sensibilizzazione degli addetti. Gli acari si depositano anche sulle assi degli scaffali dove vengono posti i formaggi a stagionare.

Le tubazioni ed i canali di convogliamento dell'aria condizionata dei locali di stagionatura dei formaggi, possono facilmente diventare un ricettacolo di muffe ed altri contaminati, specie in caso siano presenti numerosi punti di convogliamento dell'aria.

stima

Un'indagine sulle specie di acari infeudati nei pecorini prodotti in provincia di Grosseto realizzata nell'anno 1993 ha dato i seguenti risultati:

-         sui formaggi pecorini in stagionatura si ritrovano tipicamente due specie, Acarus siro L. e Glycyphagus domesticus;

-         il numero di acari per grammi di polvere è molto elevato, da 200 a 4000.

-         le due specie acarine sono sicuramente allergizzanti.

La presenza di specie fungine è stata altresì studiata effettuando prelievi di aria in tutti i locali  ed in particolare in quelli di stagionatura di 12 caseifici di Siena e Grosseto, nell'anno 1993. Come evidenziato in altre indagini, il genere Penicillum è sempre presente ed alta è anche la presenza di lieviti, specialmente nei generi Candida, Geotricum, e Rhodotorula. Quantitativamente si sono ottenuti dalla semina dei campioni dati molto variabili sia fra sedi diverse (le unità formanti colonia per metro cubo vanno da 0 a 3200 ufc/m3) che fra caseifici.

danno atteso

La presenza di polveri allergizzanti nel caseificio può comportare l'insorgenza di sensibilizzazione nei lavoratori e la comparsa di patologie allergiche (asma, rinite). Nell'anno 1993 è stata valutata la prevalenza di questi effetti (test spirometrici, allergometrici, immunologici e questionario anamnestico) in 140 lavoratori di età compresa fra 18 e 65 anni addetti a varie mansioni in 10 caseifici dell'area grossetana e senese. E' stata evidenziata una bassa prevalenza di alterazioni respiratorie di tipo bronchitico ostruttivo, nessun quadro di tipo restrittivo e 10 casi di patologia allergica di non chiara attribuzione lavorativa. Piuttosto elevata risulta invece la prevalenza di sensibilizzazione ad acari e miceti presenti nell'ambiente di lavoro (intorno al 34% dei soggetti studiati), senza differenze significative fra gruppi di mansioni (caseificazione e salamoia, magazzino frigorifero e lavaggio formaggi, etichettatura e spedizione, preparazione ricotta, autista). Occorre quindi approfondire questo dato in rapporto all'insorgenza di patologie allergiche respiratorie.

È ipotizzabile che la presenza di allergeni nell’ambiente di lavoro, sensibilizzando i lavoratori, possa aver costretto alcuni di loro all’allontanamento per la manifestazione di patologie a sintomatologia acuta e di entità rilevante; del resto l’anzianità lavorativa media piuttosto bassa, della popolazione esaminata, rafforzerebbe questa ipotesi.

prevenzione

Per evitare che nell'impianto di condizionamento si sviluppino e si accumulino muffe ed altri agenti contaminanti, è opportuno che l'impianto sia progettato in modo da permettere una facile e frequente pulizia e disinfezione all'interno dei condotti.

La periodica pulizia delle forme evita l’accumulo sulle stesse e nell’ambiente di lavoro di acari e miceti; questa operazione oltre ad essere necessaria per la qualità del prodotto, può essere vista come misura di prevenzione per ridurre il rischio di sensibilizzazione degli addetti alla fase stagionatura. Tuttavia l’operazione di pulizia può comportare, specie per chi la esegue, un maggior rischio di esposizione a tali agenti allergizzanti, i quali si possono diffondere nell’ambiente di lavoro in forma di polveri derivanti dalla spazzolatura delle forme; pertanto la postazione di pulizia delle forme deve essere separata dagli altri reparti di lavorazione, ad esempio mediante opportune pannellature, aerata e le macchine spazzolatrici devono essere dotate di un sistema di captazione e aspirazione localizzata il più vicino possibile alla fonte di emissione e realizzato in modo tale che il flusso d’aria aspirata non investa l’operatore, il quale deve comunque indossare D.P.I. (grembiule, guanti, maschera di protezione delle vie respiratorie).

riferimenti normativi

-         Norme igienico-sanitarie per la produzione e commercializzazione del latte e suoi derivati (D.P.R. n. 155/1997 e D.P.R. n. 54/1997).

-         D.Lgs. 626/1994 e successive modifiche e integrazioni.

 

 

APPALTI ESTERNI

In genere questa fase non viene appaltata.

 

 

IMPATTO ESTERNO

 

Produzione di rifiuti

In questa fase il principale rifiuto è costituito dalla parte superficiale delle forme di formaggio che viene asportata dalle macchine spazzolatrici durante la pulizia; si tratta comunque di bassi quantitativi.


PRODUZIONE DI MOZZARELLA

 

 

 

 

1. COMPARTO:

Caseifici

 

 

 

 

2. FASE DI LAVORAZIONE:

Produzione di mozzarella.

 

 

 

 

 

3. COD.INAIL:

 

 

 

 

 

4. FATTORI DI RISCHIO:

Organizzazione del lavoro.

Rischi per la sicurezza.

 

 

 

 

5. CODICE DI RISCHIO:

 

 

    (riservato all’ ufficio)

 

 

 

 

 

6. N. ADDETTI:

10

 

 

 

 

 

 

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

Il processo che porta alla produzione delle mozzarelle, anche in questo caso, comincia con il trattamento del latte (pastorizzazione) ed il riempimento delle macchine polivalenti (come sopra descritto).

Il Casaro delle mozzarelle, dopo aver immerso nel latte i fermenti selezionati, aggiunge il caglio per la coagulazione. Il caglio viene talvolta utilizzato allo stato liquido e dosato automaticamente. Una volta ottenuta la cagliata, essa viene trasferita tramite apposite coclee in tavoli di acciaio inossidabile con piano forato e vasca sottostante di raccolta del siero. Su di essi avviene il taglio manuale: prima in grosse fette, utilizzando un apposito coltello a manico lungo e lama non affilata, e successivamente con una lira a fili d'acciaio, fino a ridurre la cagliata in piccoli pezzi, della dimensione di una nocciola. Il siero che si raccoglie sul fondo del tavolo viene estratto tramite una pompa per poi essere utilizzato per la produzione della ricotta.

La cagliata tagliata viene lasciata riposare al caldo su altri tavoli (simili ai precedenti), per un tempo abbastanza lungo da consentire al fermento di terminare il suo lavoro, cioè fino alla completa maturazione. A questo punto iniziano le prove di filatura: con una tecnica vecchia di secoli, il Casaro prova e riprova a filare la pasta ottenuta con un mastellino pieno d'acqua molto calda ed una bacchetta a forma di forcella.

Una volta che il Casaro ha terminato il suo compito, la mozzarella viene riscaldata con acqua molto calda, e subentra il Filatore che si occupa di produrre la treccia di mozzarella con movimenti delle mani molto veloci perché la pasta filata scotta. Successivamente, la treccia viene raffreddata con acqua fredda ottenuta tramite uno scambiatore di calore alimentato a fluido frigorifero. Dopo che il prodotto si è raffreddato, si procede al confezionamento con l'ausilio di apposite macchine (si veda la fase confezionamento ed etichettatura).

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

 

Caldaie polivalenti

(vedere la fase di cagliatura precedentemente descritta).

Coclea

Si tratta di una coclea a doppia elica, che ha la funzione di fare avanzare la cagliata  in lavorazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fig. 12 Coclea.

 

Tavoli per il taglio della cagliata e la formatura della mozzarella

Si tratta di tavoli di acciaio inossidabile, il cui piano è forato per premettere il drenaggio del siero. Quest'ultimo si raccoglie sul doppio fondo del tavolo, dal quale viene estratto tramite un’apposita pompa.

 

 

FATTORI DI RISCHIO

 

I principali fattori di rischio in questa fase sono dovuti al rischio di scivolamento, microclima sfavorevole, rumore delle pompe quando vengono azionate per il trasferimento della cagliata e del siero, analogamente a quanto trattato nelle fasi lavorative precedentemente descritte, cui si rimanda.

 

In questa fase sono inoltre presenti i seguenti fattori di rischio:

 

Manipolazione di materiali ad elevata temperatura

descrizione

Durante la filatura e formatura manuale della mozzarella, precedentemente riscaldata, l'addetto è sottoposto al rischio di scottature.

danno atteso

Possibili scottature cutanee.

interventi prevenzionistici

Indossare guanti e grembiuli in lattice, pause, informazione e formazione degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.Lgs. n. 626/1994 e s.m.i.

 

Movimenti manuali ripetitivi

descrizione

Durante la filatura e formatura manuale della mozzarella, l'addetto effettua rapidi movimenti ripetitivi con le braccia e le mani.

danno atteso

Disturbi muscolo – scheletrici.

interventi prevenzionistici

Pause, turnazione, informazione e formazione degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.Lgs. n. 626/1994 e s.m.i.

 

Lavoro in prossimità di organi meccanici in movimento

descrizione

La coclea per l’avanzamento della cagliata, può comporare rischio di presa e trascinamento.

danno atteso

Lesioni traumatiche quali ferite e contusioni.

interventi prevenzionistici

Segrazione della coclea con ripari fissi o muniti di dispositivo di interblocco.

riferimenti normativi

-         Art. 6 “Doveri dei lavoratori” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 41 “Protezione e sicurezza delle macchine”  D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. III, Capo III "Trasmissioni e ingranaggi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 68 “Protezione degli organi lavoratori e delle zone di operazione delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 72 “Blocco degli apparecchi di protezione”  D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 73 “Aperture di alimentazione e di scarico delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 76 e 77 "Organi di comando per la messa in moto delle macchine" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 81 "Comando con dispositivo di blocco multiplo" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 82 "Blocco della posizione di fermo della macchina" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 233 "Organi di comando e di manovra" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. IX "Manutenzione e riparazione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Tit. III “Uso delle attrezzature di lavoro” D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 (Direttiva macchine).

-         Norme UNI EN 291/2, 291/2, 614/1, 294, 349, 811, 418, 1037, 1088, 574, 982, 983, 1012/1, 1012/2.

 

 

APPALTI ESTERNI

Non tutti i caseifici producono mozzarella; quelli che invece la producono, eseguono in proprio questa fase lavorativa.

 

 

IMPATTO ESTERNO

 

Scarichi idrici

Per quanto riguarda lo scarico delle soluzioni di lavaggio si veda la fase sanificazione.


PRODUZIONE DI RICOTTA

 

 

 

 

1. COMPARTO:

Caseifici

 

 

 

 

2. FASE DI LAVORAZIONE:

Produzione di ricotta.

 

 

 

 

 

3. COD.INAIL:

 

 

 

 

 

4. FATTORI DI RISCHIO:

Agenti fisici: microclima, rumore.

Rischi per la sicurezza.

 

 

 

 

5. CODICE DI RISCHIO:

 

 

    (riservato all’ ufficio)

 

 

 

 

 

6. N. ADDETTI:

68

 

 

 

 

 

 

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

La ricotta non è un formaggio, ma un latticino ottenuto per riscaldamento del siero residuo che deriva dalla lavorazione dei formaggi, come evidenziato nelle fasi produttive sopra descritte. Per migliorare resa e qualità, talvolta al siero viene aggiunto latte (in una percentuale variabile dal 5 al 25% in volume) ed anche una minima quantità di panna di latte (circa l'1%).

In tal caso, generalmente il latte e la panna si aggiungono dopo aver preriscaldato il siero fino ad una temperatura di 60-70 °C. Il riscaldamento del siero o della miscela procede fino ad una temperatura di 80 - 90 °C, secondo l’acidità di partenza del siero e gli usi locali. 

Il siero utilizzato per la produzione della ricotta, viene talvolta preventivamente filtrato per rimuovere eventuali residui di formaggio in esso presenti.

La produzione di ricotta può avvenire in caldaie a doppi fondi alimentati a vapore. In buona parte dei caseifici, per riscaldare più velocemente il siero, viene immesso vapore nel liquido stesso.

Per produrre il vapore da utilizzare per l'insufflazione diretta nel siero in caldaia, si utilizza un apposito evaporatore alimentato con acqua potabile, riscaldato dal vapore a sua volta prodotto dalla centrale termica.


Quando il prodotto coagula tende ad affiorare sul bagno e si produce anche della schiuma che deve essere eliminata. La massa coagulata che affiora si lascia consolidare, sospendendo il riscaldamento per qualche minuto; a questo punto si raccoglie la ricotta con un mestolo forato e si deposita in canestri di vimini o fustelle di plastica forate, che permettono lo sgrondo della parte liquida in modo da favorire il consolidamento del prodotto. La ricotta viene lasciata asciugare per alcune ore in locali freschi e venduta fresca, previo confezionamento. 

Fig. 13 Fustelle di plastica per la ricotta.

 

A volte viene introdotto del sale nella caldaia, allo scopo sia di favorire la coagulazione, sia per insaporire il prodotto. La quantità di sale introdotta può variare, ma generalmente è intorno allo   0,5 - 1% in peso, nella ricotta finale asciutta.

Nei locali di produzione della ricotta possono essere presenti le pompe per l’immissione e l’aspirazione del siero ed anche una macchina scrematrice, la quale è usata per estrarre la crema dal siero nel caso in cui non proceda alla produzione della ricotta.

Il siero residuo che resta dopo l’ottenimento della ricotta, prende il nome di scotta.

La scotta viene prelevata dalle caldaie doppio fondo tramite pompe e stoccato in cisterne, dalle quali viene  prelevata da autocisterne ed inviata alla sua destinazione finale, in genere per l’alimentazione dei suini, ma anche verso industrie di trasformazione per la produzione di derivati del latte quali lattosio, ecc.. impiegati nella industria farmaceutica.

Un’azienda del comparto, dispone anche di un allevamento suinicolo adiacente allo stabilimento produttivo. Le deiezioni dei suini sono inviate all’impianto di depurazione delle acque presente presso l’azienda, nel quale confluiscono anche le acque di lavaggio degli impianti.

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

 

Caldaia a doppio fondo

La caldaia a doppio fondo è essenzialmente costituita da una tazza in acciaio inossidabile, dotata di una camicia per il passaggio del vapore utilizzato per il riscaldamento del siero. In alcuni impianti, lo scarico della condensa che si forma internamente alla camicia, viene scaricato direttamente, mentre in altri impianti si ha il recupero verso la centrale termica tramite una apposita tubazione. In questo secondo caso le caldaie a doppio fondo sono collaudate come apparecchi a pressione.

La tazza è dotata di una bocca di uscita sul fondo, utilizzata per lo scarico delle acque di lavaggio nella pulizia quotidiana. In alcuni casi, la tazza è dotata di coperchio incernierato a tenuta, che viene chiuso per le operazioni di lavaggio in ciclo C.I.P. (vedere fase sanificazione). La camiciatura di alcuni tipi di caldaie è coibentata e la coibentazione è rivestita esternamente in acciaio inossidabile.

Scrematrice

Si tratta essenzialmente di un separatore centrifugo in acciaio inossidabile, simile a quello della pulitrice descritta per la fase trattamenti preliminari del latte.

 


Fig. 14 Scrematrice. Sullo sfondo vi sono le vasche di lavaggio degli stampi (fustelle).

 

 

 

 

 

 


FATTORI DI RISCHIO

 

Esposizione a rumore

descrizione

L'immissione di vapore per riscaldare il siero comporta un aumento del livello di rumore a cui sono soggetti gli addetti alla produzione della ricotta.

stima

Si riportano i valori misurati in alcune aziende del comparto.

 

Valori di LAeq misurati espressi in dB(A)

Caseificio

Zona produzione della ricotta

Azienda 1

80.3 - 86.6 (*)

Azienda 2

75.8 - 82.6 (*)

Azienda 3

92.3

Azienda 4

80.7

Azienda 5

80.5 - 93.3 (*)

Azienda 6

78.6 - 85.0 (*)

Azienda 7

79.0 - 86.6 (*)

Azienda 8

88.0

Azienda 10

86.0

Azienda 11

74.0

Azienda 12

86.9 - 90.3 (*)

Azienda 13

83.5

(*) : Il secondo valore corrisponde all'utilizzo del vapore per la produzione della ricotta

 

Valori di LEP,d (livello di esposizione giornaliera) espressi in dB(A)

Caseificio

Addetti alla produzione della ricotta

Azienda 1

83.0

Azienda 2

78.3

Azienda 3

91.1

Azienda 4

78.7

Azienda 5

82.3

Azienda 6

79.4

Azienda 7

80.0

Azienda 8

85.4

Azienda 9

80.8

Azienda 10

72.8

Azienda 11

82.2

Azienda 12

83.5

 

danno atteso

L’esposizione continuativa a livelli di rumore medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure preventive.

Oltre ai disturbi della comunicazione e della prestazione lavorativa, possono insorgere: effetti cardiovascolari (aumento della pressione sanguigna, ecc…); disturbi psichici (astenia, irritabilità, depressione, insonnia); disturbi a carico dell’apparato digerente.

prevenzione

Per ridurre l'esposizione a rumore:

-         L’operazione di immissione di vapore deve essere limitata ai casi strettamente necessari (come, ad esempio, l’immissione di vapore nei doppi fondi) e che occorre una nuova manutenzione all’impianto che porta il vapore dal generatore all’utilizzo per evitare le inutili perdite che comportano un sensibile aumento del livello di rumorosità.

-         Separare la scrematrice dalla zona di lavoro tramite pareti fonoassorbenti o spostarla in altro locale dove non è necessaria la presenza continua dei lavoratori.

Nei casi di livelli di esposizione personale superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs. 277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”, riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di carattere generale”.

riferimenti normativi

-         Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).

 

Esposizione a vapore ed a microclima sfavorevole caldo - umido

descrizione

L'evaporazione derivante dal riscaldamento del siero nelle caldaie a doppio fondo aperte, rende l'ambiente caldo e umido; questa situazione è peggiore quando avvenga l'insufflazione diretta di vapore nella massa liquida, pertanto gli addetti sono esposti a condizioni microclimatiche sfavorevoli. Anche l'utilizzo di idropulitrici a getto d'acqua e vapore in pressione per la pulizia delle attrezzature, contribuisce all'elevato tasso di umidità nell'ambiente di lavoro.

danno atteso

Disturbi da scomfort termico, riduzione della capacità lavorativa, stress psico fisico.

prevenzione

In alcune aziende si è proceduto con varie misure, ad esempio:

-         coibentazione delle caldaie a doppio fondo, in modo da ridurre il calore radiante;

-         recupero della condensa delle caldaie stesse, in modo da eliminare lo scarico diretto con conseguente diffusione di vapore nell'ambiente di lavoro.

-         separazione della zona dove sono ubicate le caldaie a doppio fondo con pannellature che calano dal soffitto fino al di sopra della zona operativa delle caldaie stesse, in modo da favorire la captazione dei vapori i quali vengono aspirati da ventilatori posti sulla parete opposta alla zona dove stazionano gli addetti. Inoltre, l'immissione di aria pulita che entra da apposite bocchette (a valle di un impianto di filtrazione dell'aria per ridurre il rischio di contaminazioni del prodotto da eventuali inquinanti esterni), determina un flusso di aria laminare al di sopra delle caldaie, in modo da impedire che il vapore prodotto si diffonda nell'ambiente di lavoro.   

riferimenti normativi

-         Art. 9 “Ricambio dell’aria”, Art.11 “Temperatura” e Art.13 “Umidità” D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Art. 240 "Protezione delle pareti esterne a temperatura elevata" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 378 "Abbigliamento" e Art. 379 "Indumenti di protezione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Norma UNI EN 563 del 30.06.95 Sicurezza del macchinario. Temperature delle superfici di contatto. Dati ergonomici per stabilire i valori limite di temperatura per le superfici calde. La norma presenta i dati ergonomici e il loro uso per stabilire i valori limite di temperatura per superfici calde e per la valutazione dei rischi di ustione.

 


Fig. 15 caldaie a doppio fondo per la produzione di ricotta, poste sotto aspirazione con flusso d’aria laminare.

 



Fig. 16 Particolare del sistema di aspirazione sopra le caldaie per ricotta, realizzato tramite ventilatori a parete e vetrata utilizzata come cappa.

 


Transito su pavimenti resi scivolosi

descrizione

In tutti i reparti di produzione del caseificio il pavimento tende a bagnarsi e sporcarsi di grasso, ma in questo reparto il problema può essere maggiore rispetto altri reparti, specie quando si verifichino sgocciolamenti durante l'operazione manuale di prelievo della ricotta con mestolo forato, con il quale si trasferisce il prodotto dalla superficie del bagno di siero caldo alle fustelle di raccolta.

In tali situazioni il pavimento può diventare molto scivoloso per la natura grassa del liquido che può sgocciolare sul pavimento.

Si veda a tal proposito quanto riportato alla fase sanificazione, tenendo conto che tra le varie le misure di prevenzione indicate, nel reparto di produzione della ricotta può essere necessario un pavimento che abbia maggiori caratteristiche di antiscivolosità.

 

APPALTI ESTERNI

Questa fase in genere non è appaltata.

 

IMPATTO ESTERNO

 

Diffusione di rumore all’esterno

Le lavorazioni rumorose sopra descritte possono dare luogo ad elevati livelli di rumore e se non è prevista un’adeguata insonorizzazione, possono provocare disturbo alla popolazione eventualmente residente nelle adiacenze dell’impianto produttivo.

 

Scarichi idrici

Per quanto riguarda lo scarico delle soluzioni di lavaggio si veda la fase sanificazione.


MARCHIATURA, CONFEZIONAMENTO ED ETICHETTATURA.

 

 

 

 

1. COMPARTO:

Caseifici

 

 

 

 

2. FASE DI LAVORAZIONE:

Marchiatura, confezionamento ed etichettatura.

 

 

 

 

 

3. COD.INAIL:

 

 

 

 

 

4. FATTORI DI RISCHIO:

Agenti fisici: rumore.

Rischi per la sicurezza.

 

 

 

 

5. CODICE DI RISCHIO:

 

 

    (riservato all’ ufficio)

 

 

 

 

 

6. N. ADDETTI:

50

 

 

 

 

 

 


 

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

 

Alcuni tipi di formaggi a denominazione di origine protetta (D.O.P.) vengono marchiati ad inchiostro (nel caso dei formaggi freschi) o a fuoco (nel caso del formaggio stagionato).

La marchiatura a fuoco avviene manualmente tramite un apposito stampo metallico riscaldato dalla fiamma prodotta da una fiaccola a gas.

Il formaggio maturo viene confezionato a mano o a macchina, talvolta in sacchetti di plastica nei quali viene praticato il vuoto, nei modi richiesti dal mercato (a spicchi, ecc...).


Fig. 17 Formaggi da etichettare ed etichettati pronti per la consegna.

 


Fig. 18 Carrellino per confezionamento ed etichettatura manuale, utilizzato in un piccolo caseificio.

 

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

 

Macchina porzionatrice

Si tratta di una macchina ad azionamento manuale dotata di una lama a discesa verticale, che taglia la forma di formaggio che viene appoggiata sul piano della macchina dall’operatore. Una volta eseguito il taglio, l’operatore ruota la forma ed esegue un altro taglio, ripetendo l’operazione tante volte secondo il numero di spicchi nel quale deve essere tagliata la forma.

 

Macchine confezionatrici

Si tratta di macchine automatiche o semiautomatiche di diversi tipi, utilizzate per confezionare il formaggio in involucri (talvolta sotto vuoto), oppure la ricotta in vaschette di plastica ricoperte con una pellicola plastificata termosaldata.


Fig. 19 Confezionatrice automatica dotata di ripari per la segregazione degli organi in movimento.

 

 


FATTORI DI RISCHIO

I rischi professionali sono fondamentalmente legati al rumore, ad eventuali traumatismi, alle sorgenti energetiche.

 

Lavoro in prossimità di organi meccanici in movimento

descrizione

L’addetto all’azionamento della macchina porzionatrice può essere esposto al rischio di taglio per contatto con la lama tagliente.

Il sistema di avanzamento e confezionamento dei prodotti nelle macchine confezionatrici, può comportare il rischio di presa e trascinamento; nel caso della termosaldatura delle confezioni, può essere presente anche il rischio di contatto con superfici calde.

stima

La probabilità di infortunio si può ritenere molto bassa se vengono attuate le norme di prevenzione sotto indicate.

danno atteso

Lesioni traumatiche quali ferite da taglio ed amputazioni alla macchina porzionatrice; ferite e contusioni per presa e trascinamento, ustioni alle macchine confezionatrici.

prevenzione

Utilizzare macchine porzionatrici di sicurezza, dotate ad esempio di comando a doppi pulsanti distanziati tra loro in modo che, durante il taglio, l’operatore debba necessariamente tenere le mani lontane dalla zona operativa.

La parte affilata della lama, quando non impegnata nell’operazione di taglio, deve essere protetta contro eventuali contatti accidentali, ad esempio durante la pulizia della macchina.

riferimenti normativi

-         Art. 6 “Doveri dei lavoratori” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 41 “Protezione e sicurezza delle macchine”  D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. III, Capo III "Trasmissioni e ingranaggi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 68 “Protezione degli organi lavoratori e delle zone di operazione delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 72 “Blocco degli apparecchi di protezione”  D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 73 “Aperture di alimentazione e di scarico delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 76 e 77 "Organi di comando per la messa in moto delle macchine" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 81 "Comando con dispositivo di blocco multiplo" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 82 "Blocco della posizione di fermo della macchina" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 233 "Organi di comando e di manovra" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. IX "Manutenzione e riparazione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Tit. III “Uso delle attrezzature di lavoro” D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 (Direttiva macchine).

-         Norme UNI EN 291/2, 291/2, 614/1, 294, 349, 811, 418, 1037, 1088, 574, 982, 983, 1012/1, 1012/2.

 

Esposizione a rumore

descrizione

In questa fase il rumore deriva prevalentemente dalle macchine confezionatrici, ove presenti, in particolare quelle che eseguono il sotto vuoto. 

stima

Riportiamo i valori di rumore misurati in alcune aziende del comparto.

 

Valori delle LAeq misurati espressi in dB(A)

Caseificio

Zona confezionamento

Azienda 1

80.1

Azienda 2

69.8 - 81.4(*)

Azienda 3

77.1

Azienda 4

70.0

Azienda 5

70.0

Azienda 6

70.0

Azienda 7

70.0

Azienda 8

84.0

Azienda 10

76.0

Azienda 11

73.0

Azienda 12

70.0

Azienda 13

70.0

(*): Confezionamento sottovuoto

 

Valori di LEP,d (livello di esposizione giornaliera) espressi in dB(A)

Caseificio

Addetti al confezionamento

Azienda 1

75.5

Azienda 2

68.9

Azienda 3

76.5

Azienda 4

-

Azienda 5

-

Azienda 6

-

Azienda 7

-

Azienda 8

84.0

Azienda 9

75.2

Azienda 10

-

Azienda 11

-

Azienda 12

-

 

danno atteso

L’esposizione continuativa a livelli di rumore medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure preventive.

Oltre ai disturbi della comunicazione e della prestazione lavorativa, possono insorgere: effetti cardiovascolari (aumento della pressione sanguigna, ecc…); disturbi psichici (astenia, irritabilità, depressione, insonnia); disturbi a carico dell’apparato digerente.

prevenzione

Nei casi di livelli di esposizione personale superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs. 277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”, riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di carattere generale”.

riferimenti normativi

-         Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).

 

APPALTI ESTERNI

In genere questa fase non è appaltata.

 

 

IMPATTO ESTERNO

 

Produzione di rifiuti

Il principale rifiuto prodotto in questa fase lavorativa è costituito da sfridi di materiale utilizzato per il confezionamento. Si tratta di quantità scarsamente significative. 

 

 

 


STOCCAGGIO PRODOTTI FINITI E CONSEGNA AL CLIENTE.

 

 

                                                                                                             

 

 

 

1. COMPARTO:

Caseifici

 

 

 

 

2. FASE DI LAVORAZIONE:

Stoccaggio prodotti finiti e consegna al Cliente

 

 

 

 

 

3. COD.INAIL:

 

 

 

 

 

4. FATTORI DI RISCHIO:

Agenti fisici: microclima.

Rischi per la sicurezza.

Organizzazione del lavoro

 

 

 

 

5. CODICE DI RISCHIO:

 

 

    (riservato all’ ufficio)

 

 

 

 

 

6. N. ADDETTI:

68

 

 

 

 

 

 

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

I cartoni con il formaggio confezionato vengono tenuti in stoccaggio in celle frigorifere, dove vengono movimentati e caricati sugli automezzi frigoriferi per la consegna finale.

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

 

Carrelli elevatori

Si tratta di carrelli elevatori a trazione elettrica.

 

Furgoni frigoriferi

Si tratta di automezzi commerciali il cui vano di carico è refrigerato.

 

FATTORI DI RISCHIO

I rischi sono fondamentalmente legati al microclima freddo-umido (si rimanda alla fase stagionatura), alla movimentazione manuale e meccanica dei carichi (si rimanda alla fasi confezionamento e movimentazione meccanica dei carichi) e al rischio di incidenti stradali durante la consegna (si rimanda ad altri documenti, essendo oggetto di uno specifico profilo di rischio dedicato agli autotrasportatori).

 

APPALTI ESTERNI

Gli addetti alla consegna possono essere gli stessi lavoratori del caseificio ed in certi casi essi svolgono questa mansione a rotazione, ma talvolta questa fase viene appaltata a ditte esterne.

 

 


LAVAGGIO FUSTELLE.

                                                                                                             

 

 

 

1. COMPARTO:

Caseifici

 

 

 

 

2. FASE DI LAVORAZIONE:

Lavaggio fustelle.

 

 

 

 

 

3. COD.INAIL:

 

 

 

 

 

4. FATTORI DI RISCHIO:

Agenti fisici: microclima, rumore.

Agenti chimici.

Rischi per la sicurezza.

 

 

 

 

5. CODICE DI RISCHIO:

 

 

    (riservato all’ ufficio)

 

 

 

 

 

6. N. ADDETTI:

54

 

 

 

 

 

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

Le operazioni di lavaggio dei contenitori delle forme di formaggio, nei caseifici più piccoli è effettuata manualmente ed in tal caso sono spesso utilizzate idropulitrici a getto d’acqua e di vapore in pressione; nei caseifici a produzione industriale e in alcuni artigianali, invece, il lavaggio si effettua con l’ausilio di un’apposita macchina. Talvolta essa si trova nello stesso locale adibito alla produzione del formaggio, ma spesso è posta in un locale separato (locale lavaggio stampi).

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

 

Macchina per il lavaggio delle fustelle

La macchina è costituita da una caldaia riscaldata a vapore nella quale vengono poste, in apposite gabbie, le fustelle da lavare.


Fig. 20 Macchina lavatrice per fustelle.                                  Fig. 21 Cestelli dove introdurre le fustelle da lavare

           nella macchina.

 

FATTORI DI RISCHIO

 

Per quanto riguarda i rischi relativi all’utilizzo delle idropulitrici manuali, sostanze chimiche, e pavimenti scivolosi si rimanda alla fase sanificazione, mentre qui si affronta il problema del rumore.

 

Esposizione a rumore

descrizione

Nei caseifici in cui il lavaggio delle fustelle viene effettuato in apposite caldaie, questa operazione è senza dubbio la fase che comporta la maggiore esposizione al rumore per i lavoratori addetti.

Nei caseifici artigianali, la cui produzione è quantitativamente minore, il fatto che il lavaggio viene eseguito a mano senza l’utilizzo di vapore, comporta una drastica riduzione del rumore durante questa fase lavorativa.

stima

Riportiamo i valori misurati in alcune aziende del comparto nel locale di lavaggio delle fustelle.

 

Valori delle LAeq misurati espressi in dB(A)

Caseificio

Zona lavaggio fustelle

Azienda 1

87.3

Azienda 2

88.2

Azienda 3

86.1

Azienda 4

70.0

Azienda 5

74.2 - 82.8 (*)

Azienda 6

77.3 - 85.0 (**)

Azienda 7

77.3

Azienda 8

91.0

Azienda 10

87.0

Azienda 11

68.0

Azienda 12

75.0

Azienda 13

75.6 - 87.5 (**)

(*) Centrifuga della pastorizzazione accesa.

(**) Utilizzo di macchine per lavaggio fustelle

 

Valori di LEP,d (livello di esposizione giornaliera) espressi in dB(A)

Caseificio

Addetti al lavaggio delle fustelle

Azienda 1

86.2

Azienda 2

84.7

Azienda 3

-

Azienda 4

-

Azienda 5

-

Azienda 6

-

Azienda 7

-

Azienda 8

86.1

Azienda 9

-

Azienda 10

-

Azienda 11

-

Azienda 12

-

 

danno atteso

L’esposizione continuativa a livelli di rumore medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure preventive.

Oltre ai disturbi della comunicazione e della prestazione lavorativa, possono insorgere: effetti cardiovascolari (aumento della pressione sanguigna, ecc…); disturbi psichici (astenia, irritabilità, depressione, insonnia); disturbi a carico dell’apparato digerente.

prevenzione

Nei caseifici di maggiore capacità produttiva, dove vengono utilizzate caldaie alimentate a vapore per il lavaggio delle fustelle, una delle possibili soluzioni per diminuire l’esposizione al rumore degli addetti, è quella di ridurre i tempi di esposizione automatizzando il più possibile tutto il processo, fermo restando che si rende necessario un continuo controllo e manutenzione dell’impianto.

Nei casi di livelli di esposizione personale superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs. 277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”, riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di carattere generale”.

riferimenti normativi

-         Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).

 

 

APPALTI ESTERNI

Questa fase non viene appaltata.

 

 

IMPATTO ESTERNO

Lo scarico delle acque di lavaggio deve avvenire secondo le norme vigenti, rispettando i limiti di Legge per gli inquinanti contenuti nello scarico e, ove necessario, depurare le acque reflue tramite specifici impianti.


SANIFICAZIONE (SANITAZIONE)

 

 

 

 

1. COMPARTO:

Caseifici

 

 

 

 

2. FASE DI LAVORAZIONE:

Sanificazione

 

 

 

 

 

3. COD.INAIL:

 

 

 

 

 

4. FATTORI DI RISCHIO:

Agenti fisici: microclima, rumore.

Agenti chimici.

Rischi per la sicurezza.

 

 

 

 

5. CODICE DI RISCHIO:

 

 

    (riservato all’ ufficio)

 

 

 

 

 

6. N. ADDETTI:

74

 

 

 

 

 

 

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

Per sanificazione (anche detta sanitazione) si intendono due importanti operazioni: la detergenza e la disinfezione degli impianti, in particolare di tubazioni, pompe e serbatoi di stoccaggio del latte, precedentemente descritti al paragrafo relativo all'approvvigionamento, stoccaggio e trattamento preliminare del latte.

Queste operazioni hanno l’obiettivo fondamentale di mantenere le volute caratteristiche del prodotto, non solo per ovvi motivi di difesa del consumatore, ma anche per evitare che la qualità del prodotto sia compromessa per la presenza di microbi indesiderati capaci di provocare alterazioni dei caratteri organolettici (aspetto, aroma, sapore).

Per la sanificazione si usano specifici prodotti (detergenti acidi o alcalini; disinfettante a base di cloro; sali d’ammonio quaternario).

Più in generale, la fase sanificazione riguarda anche la pulizia dei pavimenti e pareti dei vari reparti, i quali devono essere facilmente lavabili, il lavaggio delle assi di legno dove sono poste a stagionare le forme, il lavaggio dei cestelli utilizzati per il trasporto dei prodotti, ecc…, pertanto si tratta di una fase trasversale a tutti i reparti di produzione.

Operazioni di lavaggio manuale di recipienti, serbatoi, caldaie e tubazioni precedentemente smontate, stanno cedendo il passo a moderne tecniche di lavaggio.

In particolare, la procedura chiamata C.I.P. (dalla terminologia anglosassone Cleaning in Place o anche Cleaning Integrated  Process), consiste in un lavaggio a ciclo chiuso ed automatico, utilizzando soluzioni di lavaggio che, inviate sotto pressione nelle tubazioni e nei serbatoi, tolgono lo sporco: in tal modo non è necessario alcuno smontaggio.

In genere i lavaggi C.I.P. sono eseguiti con la seguente metodologia operativa:

1.      risciacquo con acqua della tubazione sporca di latte;

2.      passaggio di una soluzione di soda caustica alla concentrazione dell'1,5% (per saponificare i grassi ed allontanare la maggior parte possibile di sostanza organica presente);

3.      risciacquo;

4.      passaggio di soluzione di acido nitrico alla concentrazione dell'1,5% (per eliminare la cosiddetta pietra del latte, cioè i sali inorganici insolubili);

5.      risciacquo;

Talvolta seguono altre due fasi:

6.      passaggio di soluzione disinfettante o di acqua quasi bollente;

7.      risciacquo.

Nei caseifici più moderni, la tendenza è quella di dotare di coperchi le caldaie polivalenti e quelle di produzione della ricotta, in modo da poterle pulire in C.I.P.

Le operazioni di sanificazione giornaliera, quando non sono realizzate attraverso il C.I.P., sono svolte manualmente e talvolta possono richiedere lo smontaggio di alcune parti dell'impianto.

In ogni caso, anche quando la pulizia avviene in C.I.P., alcune macchine e attrezzature vengono sottoposte ad una prima pulizia grossolana, avente lo scopo di rimuovere eventuali coaguli di latte che potrebbero rimanere attaccati alle macchine da pulire. Questa pulizia preliminare è svolta manualmente con l’ausilio di lunghe spazzole e di idropulitrici a getto d’acqua e vapore in pressione.

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

 

Impianto di pulizia C.I.P.

L'impianto è costituito essenzialmente da una o più pompe per la circolazione delle soluzioni detergenti, dai serbatoi dove esse sono contenute, dagli scambiatori termici dove esse vengono riscaldate e dalle linee di ritorno che vengono fatte seguire ad ogni linea di processo produttivo.

Ad esempio, ad una linea di flusso del processo produttivo, costituita da serbatoio - tubazione - caldaia, si fa seguire una tubazione dalla caldaia ritorni al serbatoio, in modo da realizzare un circuito chiuso continuo.

Il tutto è corredato di un sistema di controllo e comando automatico elettronico o computerizzato.

 


Fig. 22 Contenitori delle soluzioni per il lavaggio in ciclo C.I.P.

 



Fig. 23 Impianto di distribuzione e controllo automatico delle soluzioni di lavaggio.


Macchina per lavare le assi di legno degli scaffali di stagionatura

Nei caseifici più piccoli sono utilizzate macchine semiautomatiche dove le assi sono sottoposte a lavaggio con acqua calda e opportuni detergenti; le assi sono introdotte manualmente da un lato della macchina da un operatore, mentre un altro riceve la tavola dall’altra parte.

Nei caseifici più grandi, ove si faccia uso di tavole di legno, questa operazione avviene in macchine automatiche di maggiori dimensioni.   

 

Fig. 24 Macchina per lavaggio delle assi di legno utilizzate per la stagionatura delle forme.

 

 

 

Idropulitrice a getto d’acqua e vapore in pressione

Si tratta di un’apparecchiatura mobile ad azionamento manuale dotata di lancia per il getto a pressione, alimentata tramite tubazione flessibile collegata all’impianto d’acqua calda attraverso punti di presa dislocati in diverse zone dei reparti produttivi. 

 

 

FATTORI DI RISCHIO

 

In questa fase lavorativa, i principali fattori di rischio sono i seguenti:

 

Manipolazione di sostanze chimiche pericolose

descrizione

La preparazione e l’impiego di soluzioni di soda caustica, acido fosforico, acido nitrico, ipoclorito di sodio ed altri prodotti nocivi, possono comportare gravi rischi per gli addetti.

danno atteso

Il contatto con soda caustica può provocare gravi ustioni alla pelle e agli occhi; per inalazione: intensa irritazione del naso e della gola, broncopolmonite chimica ed edema polmonare; per ingestione: lesioni gravi con pericolo di morte.

Il contatto con ipoclorito di sodio  può provocare gravi ustioni alla pelle e agli occhi; per inalazione: intensa irritazione del naso e della gola, broncopolmonite chimica ed edema polmonare; per ingestione: lesioni gravi con pericolo di morte. L’odore pungente del prodotto rende meno probabile il rischio di ingestione accidentale.

Il contatto con acido nitrico può provocare ustioni alla pelle e agli occhi; per inalazione può provocare grave irritazione alle membrane e alle mucose; per ingestione:  ustioni.  

Il contatto con acido fosforico può provocare irritazione della pelle e degli occhi; per inalazione: irritazione delle membrane e delle mucose; per ingestione: moderatamente tossico.

Le parti del corpo maggiormente esposte al contatto con le suddette sostanze possono essere: occhi, volto, mani, piedi.

stima

Il rischio è maggiore durante l’utilizzo di acido nitrico, ipoclorito di sodio e soda caustica tal quali. Ciò può avvenire nel caso in cui la preparazione - diluizione delle soluzioni sia effettuata manualmente.

L’acido fosforico non è in genere utilizzato tal quale, ma solo come componente presente in bassa concentrazione in alcuni prodotti utilizzati per il lavaggio.

prevenzione

E’ opportuno utilizzare apparecchiature automatiche di dosaggio e miscelazione dei componenti chimici delle soluzioni e di controllo automatico dei corretti rapporti di diluizione, evitando la preparazione manuale, come già attuato in alcune aziende del comparto.

Ove la preparazione delle soluzioni di lavaggio avvenga ancora manualmente, come ci si può attendere nei piccoli caseifici artigianali, tali prodotti pericolosi devono essere sostituiti con altri meno pericolosi. Ad esempio, nel corso di alcune visite effettuate dalla ASL, è stato sostituito un prodotto irritante per le vie respiratorie (contenente acido nitrico in elevata percentuale), impiegato come disincrostante per il lavaggio di caldaie, con un altro preparato a base di acido ortofosforico neutralizzato in bassa concentrazione.

È necessario indossare i D.P.I. quali visiere, guanti, stivali con suola antiscivolo, grembiuli (quest’ultimi devono essere lunghi fino a coprire il bordo superiore degli stivali, in modo da evitare l’ingresso di liquidi nelle calzature).

Devono essere rispettate le norme sulla colorazione delle tubazioni e l’etichettatura di tutti i contenitori, anche quelli utilizzati per travasi. In altri comparti produttivi sono accaduti infortuni mortali per ingestione accidentale di prodotti tossici.

Devono essere utilizzati serbatoi di sicurezza (ad esempio con doppio involucro) e/o bacini di contenimento separati per evitare possibili sversamenti e consentire il recupero o la neutralizzazione dei prodotti.

Eventuali travasi di prodotti pericolosi in piccoli contenitori devono essere effettuati in sicurezza senza possibilità di sgocciolamento, ed i contenitori stessi devono essere di sicurezza (a tenuta, con tappo dotato di molla di richiusura, etichettati). 

E’ fondamentale l’esame da parte del responsabile della sicurezza aziendale, delle schede di sicurezza dei prodotti utilizzati, che il fornitore è tenuto a consegnare al caseificio utilizzatore, e la relativa opera di informazione e formazione degli addetti.

E’ anche opportuno che i lavoratori esposti ai diversi rischi vengano sottoposti a controlli sanitari preventivi per accertarne l’idoneità, tali controlli vanno ripetuti con periodicità da stabilire sulla base dei rischi specifici.

riferimenti normativi

-         Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. II, Art. 9 “Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi” e Capo II “Difesa dagli agenti nocivi” del D.P.R. n.303 del 19.03.1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”.

-         Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.

-         Norme UNI EN 626/1, 626/2, 1093/4, UNI  9293.

-         DPR n. 336 del 1994 (Malattie professionali).

 

Utilizzo di attrezzature ad acqua calda o vapore in pressione

descrizione

Per la pulizia di contenitori o parti di impianto, è frequente l’utilizzo di idropulitrici manuali a getto di acqua calda e vapore, con possibilità di bagnarsi e di scottarsi. Si possono verificare rischi di investimento di schizzi di acqua calda, anche per fuoriuscire accidentali da rubinetti allentati e mal rimontati dopo la pulizia manuale.

danno atteso

Ustioni da acqua calda e vapore in pressione.

prevenzione

Durante l’utilizzo di idropulitrici manuali è necessario che gli addetti si proteggano dagli schizzi di acqua calda, indossando D.P.I. quali stivali a tenuta con suola antiscivolo, grembiuli impermeabili lunghi fino sopra gli stivali, guanti.

Un particolare accenno merita il diffuso uso degli stivali di gomma tra gli addetti al caseificio, anche durante lo svolgimento di mansioni per le quali non sono strettamente necessari; questa pratica è da sconsigliare non solo per l’impedimento della traspirazione e la conseguente macerazione con facilitazioni di eventuali infezioni, anche micotiche (piede del vecchio Casaro).

Pertanto è bene limitare l’uso degli stivali in gomma, ai casi in cui siano strettamente necessari per evitare di bagnarsi, e cambiare calzature non appena terminata l’operazione.

È fondamentale una corretta organizzazione del lavoro e l’informazione e formazione degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 547/1955 e s.m.i

-         D.Lgs. n. 303/1956 e s.m.i

-         D.Lgs. n. 626/1994 e s.m.i

 

Lavoro in postazioni sopraelevate

descrizione

Talvolta è necessario smontare e rimontare parti di macchine ed impianti posti in altezza, per effettuare la loro pulizia, pertanto può esistere per gli addetti il rischio di cadute dall’alto.

danno atteso

Lesioni traumatiche per cadute dall’alto.

prevenzione

Per evitare il rischio di cadute dall’alto, è necessario che gli addetti evitino di arrampicarsi su macchine e impianti quando sia necessario smontare parti di essi, ma invece utilizzare scale carrellate che possono essere facilmente spostate, dotate di gradini antiscivolo e parapetti – corrimano. E’ fondamentale l’informazione e la formazione degli addetti.

riferimenti normativi

-         Tit. II “Ambienti, posti di lavoro e di passaggio” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Norme UNI EN 361, 363, 795.

-         D.Lgs. n. 626/1994 e s.m.i

 

Transito su pavimenti resi scivolosi

descrizione

In tutti i reparti del caseificio, specialmente quelli di produzione, il pavimento tende costantemente a bagnarsi, determinando il rischio di cadute per scivolamento. A tale rischio contribuisce anche il quotidiano uso di soluzioni saponate utilizzate per la pulizia dei pavimenti e l’impiego di idropulitrici a getto d’acqua e vapore in pressione.

danno atteso

Lesioni traumatiche per cadute da scivolamento.

prevenzione

-         pavimentazione realizzata con materiali antiscivolo le cui mattonelle siano montate a fuga larga per permettere un migliore deflusso del liquido, eventualmente grigliata e/o di pendenza adeguata con sistemi di raccolta dei liquidi che cadono sul pavimento.

-         frequente pulizia del pavimento con prodotti detergenti.

-         indossare calzature con suola antiscivolo.

riferimenti normativi

-         Art. 7, comma 2 e comma 4 "Pavimenti" D.P.R. n. 303 del 19.03.1956.

-         Norme British Ceramic Research Association

-         Norme DIN 51098

-         D.Lgs. n. 626/1994 e s.m.i

 

Esposizione a microclima sfavorevole caldo - umido

descrizione

L’utilizzo di idropulitrici manuali a getto di acqua calda e vapore, può comportare la determinazione di un microclima sfavorevole caldo - umido nell'ambiente di lavoro.

danno atteso

Disturbi da scomfort termico, riduzione della capacità lavorativa, stress psico fisico.

prevenzione

Nelle situazioni di maggior esposizione a stress termico, è utile prevedere l’uso di abbigliamento idoneo specifico, in relazione al rischio da esposizione ad elevata temperatura, oltre a prevedere, nell’organizzazione del lavoro, idonei periodi di acclimatamento.

È altresì opportuno valutare la possibilità di confinare in locali appositi le macchine che determinano il microclima caldo-umido, in modo da separarle dagli altri reparti di lavorazione, al fine di evitare l'esposizione indiretta degli addetti.

È fondamentale una corretta organizzazione del lavoro e l’informazione e formazione degli addetti.

riferimenti normativi

-         Art. 9 “Ricambio dell’aria”, Art.11 “Temperatura” e Art.13 “Umidità” D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Art. 240 "Protezione delle pareti esterne a temperatura elevata" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 378 "Abbigliamento" e Art. 379 "Indumenti di protezione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Norma UNI EN 563 del 30.06.95 Sicurezza del macchinario. Temperature delle superfici di contatto. Dati ergonomici per stabilire i valori limite di temperatura per le superfici calde. La norma presenta i dati ergonomici e il loro uso per stabilire i valori limite di temperatura per superfici calde e per la valutazione dei rischi di ustione.

-         D.Lgs. n. 626/1994 e s.m.i

 

Esposizione a rumore

descrizione

In questa fase lavorativa il rumore dovuto essenzialmente a:

-         impatto del getto d'acqua (o delle soluzioni utilizzate per la pulizia) sulle attrezzature e macchine in lavaggio.

-         utilizzo di idropulitrici manuali a getto d'acqua o vapore in pressione.

danno atteso

L’esposizione continuativa a livelli di rumore medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure preventive.

Oltre ai disturbi della comunicazione e della prestazione lavorativa, possono insorgere: effetti cardiovascolari (aumento della pressione sanguigna, ecc…); disturbi psichici (astenia, irritabilità, depressione, insonnia); disturbi a carico dell’apparato digerente.

prevenzione

Informazione e formazione degli addetti, indossare tappi antirumore.

Nei casi di livelli di esposizione personale superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs. 277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”, riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di carattere generale”.

riferimenti normativi

-         Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).

 

Installazioni elettriche in locali soggetti a spruzzi d'acqua

descrizione

L'utilizzo di idropulitrici a getto d'acqua e vapore in pressione durante la fase di pulizia delle apparecchiature, comporta il rischio di cortocircuiti e contatti indiretti con parti in tensione.

danno atteso

Elettrocuzione.

prevenzione

Le apparecchiature elettriche e gli impianti elettrici devono essere idonei al luogo nei quali sono installati, in particolare i quadri elettrici e di comando delle macchine devono essere a tenuta stagna.

riferimenti normativi

-         Legge n. 791 del 18.10.1977 "Attuazione della direttiva del consiglio delle Comunità europee (n. 72/23/CEE) relativa alle garanzie di sicurezza che deve possedere il materiale elettrico destinato ad essere utilizzato entro alcuni limiti di tensione".

-         Titolo VII del D.P.R. n. 547/1955 "Impianti macchine ed apparecchi vari"

-         D.M.Ind. del 13.03.1987 "Pubblicazione della lista riassuntiva di norme armonizzate unitamente al recepimento e pubblicazione di ulteriori (4° gruppo) testi italiani di norme C.E.I. armonizzate corrispondenti, di cui all'Art. 3 della legge 18 ottobre 1977, n. 791, sull'attuazione della direttiva n. 73/23/CEE relativa alle garanzie di sicurezza del materiale elettrico"

-         D.M. (Industria) 12.02.1996 "Pubblicazione della lista riassuntiva di norme armonizzate unitamente al recepimento e pubblicazione di ulteriori (4° gruppo) testi italiani di norme C.E.I. armonizzate corrispondenti, di cui all'Art. 3 della legge 18 ottobre 1977, n. 791, sull'attuazione della direttiva n. 73/23/CEE relativa alle garanzie di sicurezza del materiale elettrico".

-         D.Lgs. n. 626 del 25.11.1996 "Attuazione della direttiva 93/68/CEE, in materia di marcatura CE del materiale elettrico destinato ad essere utilizzato entro taluni limiti di tensione".

-         Legge n. 46 del 05.03.1990 "Norme per la sicurezza degli impianti "

 

 

APPALTI ESTERNI

In genere questa fase lavorativa non viene appaltata.

 

 

IMPATTO ESTERNO

Lo scarico delle acque di lavaggio deve avvenire secondo le norme vigenti, rispettando i limiti di Legge per gli inquinanti contenuti nello scarico e, ove necessario, depurare le acque reflue tramite specifici impianti.

 

 


LABORATORIO DI ANALISI

 

 

 

 

1. COMPARTO:

Caseifici

 

 

 

 

2. FASE DI LAVORAZIONE:

Laboratorio analisi

 

 

 

 

 

3. COD.INAIL:

 

 

 

 

 

4. FATTORI DI RISCHIO:

Agenti biologici

Agenti chimici.

Rischi per la sicurezza.

 

 

 

 

5. CODICE DI RISCHIO:

 

 

    (riservato all’ ufficio)

 

 

 

 

 

6. N. ADDETTI:

58

 

 

 

 

 

 

 

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

La prima cosa a cui viene sottoposto il latte una volta giunto nel Caseificio è l'analisi di laboratorio, che ne certifica l'idoneità microbiologica per la trasformazione in formaggio.

Il latte viene valutato sulla base delle sua caratteristiche organolettiche, chimiche, igieniche, microbiologiche. Il latte destinato alla trasformazione casearia deve provenire da animali sani e deve essere esente da sostanze antifermentative (residui di antibiotici e disinfettanti), poiché la presenza di piccoli quantitativi di antibiotici sarebbe sufficiente per bloccare la moltiplicazione dei batteri lattici lasciando spazio ad altri microrganismi indesiderati. Di conseguenza, avverrebbe una insufficiente acidificazione con le relative implicazioni di ordine tecnologico. E' importante anche che il latte sia dotato di un buon residuo secco. Il rendimento in formaggio di una determinata quantità di latte dipende in gran parte dalla proporzione di caseina, materia grassa e sali minerali che partecipano alla formazione della cagliata.

Al di sotto di una determinata percentuale si hanno problemi di coagulazione, crescita limitata dei batteri lattici, scarse rese.

Il laboratorio di analisi nelle aziende del comparto è diviso in due settori:

-         chimico, che ha lo scopo di determinare il grasso del latte e dei formaggi, gli antibiotici nel latte, le proteine e tutti quegli altri parametri fondamentali per un corretto controllo di qualità.

-         microbiologico, che ha lo scopo di effettuare le analisi microbiologiche del latte e dei formaggi, l’eventuale ricerca di germi patogeni e di controllare che la sanificazione sia stata eseguita correttamente.

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

 

Cappe di aspirazione

Per l’analisi microbiologica sono utilizzate cappe di aspirazione a flusso d’aria laminare, mentre per le altre analisi in genere sono utilizzate cappe aspiranti di tipo tradizionale. 

 

Crioscopio

 

Microscan a raggi infrarossi

 

Termostati

 

Termobilance

 

Centrifuge

 

Micropipette

 

Attrezzature in vetro

 

 

FATTORI DI RISCHIO

 

I principali fattori di rischio potenzialmente presenti in questa fase lavorativa sono i seguenti:

 

 

 

Esposizione ad agenti chimici e biologici

descrizione

Durante l’analisi è possibile il contatto con gli agenti patogeni eventualmente presenti nei campioni e con i vari reagenti chimici utilizzati.

stima

Il rischio bologico è limitato per le minime quantità e dalla buona qualità attesa dei prodotti in analisi. Il rischio di contatto con agenti chimici è limitato per le minime quantità dei reagenti e per la scarsa variabilità delle analisi eseguite.

danno atteso

Possibili infezioni da agenti patogeni che possono essere presenti nei campioni in esame.

Possibili irritazioni della pelle e degli occhi in caso di contatto accidentale con reagenti.

prevenzione

Utilizzare micropette automatiche al fine di evitare l’ingestione accidentale di sostanze e prodotti utilizzati durante l’analisi.

Effettuare la frequente pulizia e disinfezione (ad esempio con alcool e/o soluzioni a base di ipoclorito di sodio).

Indossare D.P.I. (guanti, maschere, occhiali, camici), rispettare le norme igieniche.

Informazione, formazione e sorveglianza sanitaria degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.Lgs. 626/1994 e successive modifiche e integrazioni.

 

Utilizzo di attrezzature in vetro, lavoro in prossimità di superfici calde

descrizione

Durante l’analisi sono spesso utilizzate attrezzature in vetro che, in caso di rottura,  possono esporre gli addetti al rischio di tagliarsi.

Sono anche utilizzati termostati, stufe ed altre attrezzature che possono presentare superfici calde.

danno atteso

Possibili ferite da taglio, ustioni.

prevenzione

Valutare la possibilità di sostituire le attrezzature in vetro con altre costituite da materiali infrangibili.

Coibentazione delle superifici calde.

Indossare D.P.I. (guanti, camici).

Informazione e formazione degli addetti.

riferimenti normativi

-         Art. 240 "Protezione delle pareti esterne a temperatura elevata" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         D.Lgs. 626/1994 e successive modifiche e integrazioni.

 

 

APPALTI ESTERNI

Talvolta la ricerca della eventuale presenza di germi patogeni o altre analisi complesse sono appaltate a laboratori esterni.

 

 

IMPATTO ESTERNO

Non sono presenti significativi impatti esterni dovuti a questa fase lavorativa, per le scarse quantità in gioco. In ogni caso è necessario che gli scarichi idrici del lavaggio delle attrezzature siano inviati all’impianto di depurazione delle acque.

 

 


CENTRALE TERMICA - PRODUZIONE DI VAPORE

 

 

 

 

1. COMPARTO:

Caseifici

 

 

 

 

2. FASE DI LAVORAZIONE:

Centrale termica

 

 

 

 

 

3. COD.INAIL:

 

 

 

 

 

4. FATTORI DI RISCHIO:

Agenti fisici: rumore, microclima

Agenti chimici.

Rischi per la sicurezza.

 

 

 

 

5. CODICE DI RISCHIO:

 

 

    (riservato all’ ufficio)

 

 

 

 

 

6. N. ADDETTI:

52

 

 

 

 

 

 

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

La produzione del vapore che viene utilizzato nelle varie fasi dell'impianto come sopra descritto, avviene tramite centrali termiche di rilevante potenzialità produttiva, alimentate con vari combustibili (gas metano oppure olio combustibile) e poste in locali appositi.

Ad esempio una delle aziende del comparto, caratterizzata da una produzione di tipo industriale, dispone di n. 2 caldaie ognuna con le seguenti caratteristiche:

-         Alimentazione: gasolio

-         Produzione di vapore: 3 t./h

-         Pressione: 12 bar

-         KW al focolare: 2.470

-         Kcal/h = 1.950.000

Fino ad alcune decine di anni fa erano installati solo generatori di vapore alimentati ad olio combustibile denso. Successivamente, tenendo presenti le problematiche derivanti dall'inquinamento atmosferico (D.P.R. 203/88), i generatori di vapore sono stati alimentati a olio combustibile fluido 3-5 °E, e adesso si tende a convertirle a metano.

Tuttavia diversi caseifici sono ubicati in zone dove la rete del gas metano non è presente, pertanto in tali casi permangono le centrali termiche alimentate a gasolio.  

Tenute presenti le potenzialità in gioco e la pressione massima necessaria del vapore, tali generatori di vapore possono essere di due tipi: a tubi di fumo o a tubi d'acqua.

I più moderni generatori di vapore sono dotati dei vari sistemi di recupero del calore (pressurizzazione della camera di combustione delle caldaie, preriscaldatori d'aria e/o economizzatori nel giro fumi dei generatori, degasatori per il recupero delle condense).

Dal momento che i citati generatori di vapore necessitano della presenza continua dei conduttori patentati, secondo le norme di cui al D.M. 01.03.1974, si è estesa sempre più l'installazione di generatori ad olio diatermico dotati di scambiatori - evaporatori in grado di produrre, a loro volta, vapore alla pressione richiesta. Il crescente successo di tali tipi di generatori di calore è dovuto al fatto che gli stessi non richiedono la presenza del conduttore patentato.

 

L’acqua utilizzata nell’impianto termico necessita di essere preventivamente demineralizzata mediante un apposito impianto. Questo trattamento può essere ottenuto tramite due sistemi diversi: osmosi inversa oppure attraverso resine scambiatrici di ioni.

 

Il principio dell'osmosi inversa consiste nell'estrarre i sali minerali contenuti nell'acqua, facendola passare ad una pressione di circa 20 bar attraverso membrane semipermeabili che lasciano passare acqua demineralizzata trattenendo i sali che vi erano disciolti. L'impianto a osmosi inversa è essenzialmente costituito da una pompa che alza la pressione dell'acqua, dal modulo contenente le membrane semipermeabili e da due misuratori di flusso, uno sul concentrato (liquido contenente i sali che vengono trattenuti dalle membrane) e l'altro sul permeato (acqua demineralizzata). I misuratori di flusso hanno lo scopo di controllare che la produzione sia quella desiderata. Normalmente, sulla linea del permeato viene installato un rilevatore di salinità costituito da un conduttivimetro che segnala immediatamente una eventuale rottura della membrana perché in questo caso l'acqua in uscita avrebbe caratteristiche pressoché uguali a quella in entrata mettendo a rischio il buon funzionamento della caldaia. Il concentrato viene scaricato verso l'impianto di depurazione delle acque.

 

Gli impianti a resine scambiatrici di ioni, hanno lo scopo di trasformare tutti i sali contenuti in nell'acqua da demineralizzare, mediante successivi scambi ionici. Tali scambi ionici avvengono, di norma, in due colonne contenenti resina cationica forte la prima e resina anionica forte la seconda. Nelle colonne avvengono le seguenti reazioni chimiche:

Ø      Colonna cationica:                    NaCl  +  H - R    ®    HCl   +  Na - R

Ø      Colonna anionica:                     HCl  +  R - OH   ®    H2O  +   R -  Cl

(dove con  R  è indicata la resina scambiatrice).

La rigenerazione delle colonne avviene con lavaggi in controcorrente con una soluzione acida (di solito a base di acido cloridrico) per quella cationica e con una soluzione alcalina (di solito a base di soda caustica) per quella anionica, sfruttando così le reazioni inverse a quelle descritte sopra.

In certi casi, specie per grossi impianti termici, tra le due colonne è posta una torre di decarbonatazione.

Per ottimizzare la demineralizzazione talvolta viene aggiunta una terza colonna con il compito di eliminare la silice.

L’acido cloridrico e l’idrossido di sodio (soda) utilizzati per la rigenerazione delle resine vengono stoccati in serbatoi che alimentano l’impianto tramite tubazioni.

 

Gli impianti ad osmosi inversa si stanno affermando rispetto a quelli a resine scambiatrici di ioni perché, nonostante che i primi presentino costi maggiori, essi sono di più facile gestione ed evitano gli scarichi idrici dovuti al lavaggio delle resine scambiatrici.

 

La centrale termica richiede interventi di manutenzione periodica ordinaria e straordinaria, anche in corrispondenza delle verifiche obbligatorie previste per Legge.

 

FATTORI DI RISCHIO

 

I principali fattori di rischio potenzialmente presenti in questa fase lavorativa sono i seguenti:

 

Esposizione a prodotti chimici

descrizione e danno atteso

Il trattamento di demineralizzazione dell’acqua, talvolta prelevata da pozzi artesiani e immessa nell'impianto produzione calore in elevati quantitativi medi giornalieri, comporta l'impiego di vari prodotti chimici che possono essere causa di danni alla salute dei lavoratori. In particolare:

-         Soda: il contatto con soluzioni di soda, essendo un prodotto caustico, può provocare lesioni alla cute ed agli occhi. Il rischio di contatto è maggiore nelle operazioni di travaso dalle autocisterne ai serbatoi. L’esposizione ai vapori può provocare irritazione per occhi e prime vie aeree.

-         Acido cloridrico: il contatto con soluzioni di acido cloridrico, può provocare lesioni alla cute ed agli occhi. L’esposizione ai vapori può provocare irritazione per occhi e prime vie aeree.

-         Idrazine: vengono utilizzate allo scopo di ridurre l’acidità dell’acqua di caldaia ed evitare la corrosione delle tubazioni ed altre superfici metalliche dell’impianto. Alcune idrazine sono classificare dalla CEE come cancerogene (R45). Inoltre possono esercitare un’azione epato-nefrotossica e irritante sulle persone esposte. Si tratta di prodotti molto infiammabili capaci di formare miscele esplosive con l'aria.

prevenzione

L’azienda deve richiedere ai propri fornitori le schede di sicurezza dei prodotti chimici utilizzati, renderle rapidamente disponibili per i lavoratori e valutare attentamente la possibilità di sostituire i prodotti più pericolosi con formulati meno tossici. I serbatoi e le tubazioni devono essere dotati della prescritta etichettatura.

Per eventuale prelievo, trasporto e dosaggio manuale dei suddetti prodotti possono essere utilizzate attrezzature atte ad evitare sgocciolamenti, sversamenti e diffusione di vapori, quali ad esempio rubinetti autochiudenti, pompe di travaso dotate di valvole di ritegno, contenitori di sicurezza a chiusura ermetica con tappo provvisto di molla autochiudente e beccuccio di scarico flessibile.

 

I serbatoi dei prodotti chimici diversi devono essere dotati di bacini di contenimento separati, per evitarne la possibilità di miscelazione.

E’ necessario che gli addetti indossino Dispositivi di Protezione Individuali (D.P.I.) quali guanti, grembiuli, maschere, ecc… nelle fasi di preparazione e impiego, che vengano informati circa i rischi ed i danni potenziali a seguito dell’esposizione, che vengano formati alle corrette procedure di lavoro in sicurezza e che siano messi a loro disposizione servizi igienico assistenziali: armadietti con doppio scomparto per separare gli indumenti da lavoro da quelli civili, lavabi, docce, lavaocchi, ecc…. I lavoratori devono essere sottoposti ad opportuna sorveglianza sanitaria.

riferimenti normativi

-         Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. II, Art. 9 “Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi” e Capo II “Difesa dagli agenti nocivi” del D.P.R. n.303 del 19.03.1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”.

-         D.M.Ind. del 01.03.1989 "Recepimento della direttiva CEE/88/571, sull'aggiornamento al progresso tecnico dei metodi di protezione del materiale elettrico antideflagrante"

-         Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.

-         Norme UNI EN 626/1, 626/2, 1093/4, UNI  9293.

-         DPR n. 336 del 1994 (Malattie professionali).

 

Esposizione a gas di combustione

descrizione

La centrale termica può rilasciare i prodotti della combustione (NOx, CO, ecc.) nell'aria del locale.

danno atteso

L'esposizione ai prodotti di combustione che ristagnano nell'ambiente di lavoro può comportare fenomeni di intossicazione da ossido di carbonio (CO), irritazione delle mucose congiuntivali, delle prime vie aeree e broncopneumopatie.

prevenzione

Nei locali delle caldaie, per evitare il rischio di inalazione di gas tossici, occorre verificare che il tiraggio della caldaia sia mantenuto in perfetta efficienza e non debbano verificarsi fuoriuscite dei gas di combustione nell’ambiente di lavoro e comunque garantire l’arieggiamento costante dei locali caldaia.

In caso di interventi straordinari di manutenzione, devono essere messi a disposizione degli addetti idonei DPI.

riferimenti normativi

-         Art. 236 "Lavori entro tubazioni, canalizzazioni, recipienti e simili nei quali possono esservi gas e vapori tossici o asfissianti" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. II, Art. 9 “Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi” e Capo II “Difesa dagli agenti nocivi” del D.P.R. n.303 del 19.03.1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”.

-         Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.

-         Tit. VII del D.Lgs. n.626/94 “Protezione da agenti cancerogeni”, così come modificato dal D.Lgs. n. 66 del 25.02.2000.

-         Norme UNI EN 626/1, 626/2, 1093/4, UNI  9293  (vedere 6.1.37).

-         DPR n. 336 del 1994 (Malattie professionali).

-         D.Lgs. n. 66 del 25.02.2000 “Attuazione delle direttive 1997/42/CE e 1999/38/CE, che modificano la direttiva  90/394/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i  rischi  derivanti  da esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro”.

 

Movimentazione manuale dei carichi

descrizione

Nelle operazioni necessarie alla conduzione della centrale termica è presente un rischio da movimentazione carichi, dovuto all’utilizzo di prodotti chimici contenuti in sacchi di carta del peso di circa 25 Kg.

danno atteso

Possibili disturbi muscolo-scheletrici.

prevenzione

Per la movimentazione manuale dei carichi, dove possibile, devono essere impiegati ausili meccanici (apparecchi di sollevamento ecc.).

riferimenti normativi

-         Tit. V e All. 6 del D.Lgs. n.626 del 10.09.1994.

-         Norma UNI ISO 938

 

Esposizione a rumore

descrizione

Il rumore il questa fase lavorativa deriva prevalentemente dai bruciatori delle caldaie, le quali sono collocate in locali separati dagli altri ambienti di lavoro, ma la conduzione dell'impianto può richiedere una presenza continua dell'addetto.

stima

L’impianto di produzione del vapore sviluppa elevati livelli di rumorosità. I valori di livello equivalente (Leq) di rumore prodotto dalla caldaia in dB(A), evidenziano l’entità del problema, come si può vedere nella tabella seguente:

 

 Tabella - Livello equivalente in dB(A) del rumore nel locale caldaia.

 

Leq max

Leq min

Leq medio

91.4

83.5

89.6

 

danno atteso

L’esposizione continuativa a livelli di rumore medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure preventive.

Oltre ai disturbi della comunicazione e della prestazione lavorativa, possono insorgere: effetti cardiovascolari (aumento della pressione sanguigna, ecc…); disturbi psichici (astenia, irritabilità, depressione, insonnia); disturbi a carico dell’apparato digerente.

prevenzione

Per ridurre il rumore è necessaria una buona coibentazione termico-acustica dell’impianto, e mantenere in buono stato di manutenzione ed efficienza bruciatori, aspiratori e ventilatori. Inoltre devono essere evitati sfiati liberi di vapore. In caso di rumorosità eccessiva l’operatore deve poter disporre di una cabina insonorizzata e climatizzata e di D.P.I. (cuffie, tappi antirumore) per gli interventi di manutenzione.

Nei casi di livelli di esposizione personale superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs. 277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”, riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di carattere generale”.

riferimenti normativi

-         Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).

 

Esposizione a microclima sfavorevole e lavoro in prossimità di superfici calde

descrizione

La caldaia e le condutture dell’impianto termico possono presentare una elevata temperatura; nel locale si può determinare un microclima sfavorevole.

danno atteso

L'esposizione a microclima sfavorevole e a calore radiante può determinare disturbi da scomfort termico, riduzione della capacità lavorativa, stress psico fisico.

In caso di contatto cutaneo con superfici ad elevata temperatura, si possono verificare infortuni per ustioni di vario grado e lesioni cutanee.

prevenzione

E’ necessaria la protezione di tutte le superfici calde mediante coibentazione e indossare guanti anticalore ed indumenti adeguati. Anche per questo fattore di rischio sono consigliabili locali di ristoro e cabine climatizzate.

riferimenti normativi

-         Art. 9 “Ricambio dell’aria”, Art.11 “Temperatura” e Art.13 “Umidità” D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Art. 240 "Protezione delle pareti esterne a temperatura elevata" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 378 "Abbigliamento" e Art. 379 "Indumenti di protezione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Norma UNI EN 563 del 30.06.95 Sicurezza del macchinario. Temperature delle superfici di contatto. Dati ergonomici per stabilire i valori limite di temperatura per le superfici calde. La norma presenta i dati ergonomici e il loro uso per stabilire i valori limite di temperatura per superfici calde e per la valutazione dei rischi di ustione.

 

Esposizione ad amianto

descrizione

Durante l’esecuzione di lavori di manutenzione e coibentazione su guarnizioni, raccordi e condutture dell’impianto termico, nel caso tali interventi vengano effettuati su un vecchio impianto nel quale era stato utilizzato l’amianto prima che questo venisse vietato (D.L. 257/92), gli addetti possono essere esposti a polveri di amianto.

danno atteso

L’inalazione di polveri di amianto può provocare asbestosi, mesoteliomi e tumori polmonari.

prevenzione

In caso di lavori di demolizione – rimozione di parti dell’impianto termico contenenti amianto, è necessario notificare alla Azienda Sanitaria Locale competente per territorio, il relativo piano di lavoro in sicurezza ai sensi dell’Art. 34 del D.Lgs. n. 277/91. Tali operazioni, quando necessarie, vengono di solito affidate a ditte specializzate.

riferimenti normativi

-         Capo III “ Protezione dei lavoratori contro i rischi connessi all'esposizione ad amianto durante il lavoro” del D.Lgs. n.277 del 15.08.1991 “Attuazione delle direttive 80/1107/CEE, 82/605/CEE, 83/477/CEE, 86/188/CEE e 88/642/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro, a norma dell’Art. 7 Legge n.212 del 30.07.1990”.

-         Legge n.257 del 27.03.92 "Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto"

-         D.M. del 06.09.94 "Normative e metodologie tecniche di applicazione dell'Art. 6, comma 3, e dell'Art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto"

-         D.M. del 20.08.99 "Ampliamento delle normative e delle metodologie tecniche per gli interventi di bonifica, ivi compresi quelli per rendere innocuo l'amianto, previsti dall'Art. 5, comma 1, lettera f), della L. 27 marzo 1992, n. 257, recante norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto"

 

Incendio – esplosione

descrizione

In una centrale termica è sempre presente il rischio di incendio - esplosione.

Inoltre le idrazine (vapori) sono in genere prodotti facilmente infiammabili e, in opportune condizioni, esplosivi: devono essere conservate pertanto entro contenitori di sicurezza, in ambienti separati (preferibilmente compartimentati), provvisti di idonea aerazione.

danno atteso

In caso di incendio - esplosione, sono possibili lesioni traumatiche, ustioni, intossicazioni.

prevenzione

È necessario che la centrale termica sia rispondente in tutto alle specifiche norme di sicurezza antincendio, impianti elettrici a norma e predisporre idonei programmi di controlli e manutenzione programmata dell’impianto.

La normativa antincendio per le centrali termiche si differenzia a seconda del tipo di combustibile utilizzato:

-         Olio combustibile fluido 3-5 °E o gasolio: Circolare del M.I. n. 73 del 29/7/71 e successive circolari integrative.

-         Metano: Circolare del M.I. n°68 del 25/11/69 e successive circolari integrative.

Il locale della centrale termica deve essere provvisto almeno di estintori (normalmente del tipo a polvere od anidride carbonica) omologati.

Per la prevenzione di esplosione ed incendio occorre che l’unità produttiva abbia ottenuto il C.P.I. rilasciato dal Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco. Inoltre l’addetto alla conduzione della caldaia deve essere provvisto della autorizzazione prevista dalla Legge, nei casi richiesti.

La presenza degli apparecchi a pressione (generatori di vapore, degasatori) comporta il pericolo di scoppio con conseguente rischio per i lavoratori presenti; il problema può essere ritenuto trascurabile se le caldaie e i recipienti a pressione sono stati regolarmente omologati da ISPESL e subiscono le regolari verifiche periodiche annuali da parte dell'Azienda Sanitaria Locale competente per territorio.

riferimenti normativi

-         D.M. del 31.07.1934 “Approvazione delle norme di sicurezza per la lavorazione, l’immagazzinamento, l’impiego o la vendita di oli minerali, e per il trasporto degli oli stessi”.

-         Tit. II, Art. 13 "Vie d'uscita e di emergenza", Art. 14 "Porte e portoni" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. II, Capo VI “Difesa contro gli incendi e le scariche atmosferiche” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. VII, Capo X “Installazioni elettriche in luoghi dove esistono pericoli di esplosione o incendio” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Parte II della Circolare M.I. n° 74  del 20.09.1956 "D.P.R. 28 giugno 1955, n. 620 - Decentramento competenze al rilascio di concessioni per depositi di oli minerali e gas di petrolio liquefatti - Norme di sicurezza".

-         Circolare M.I. n.73 del 29.07.1971 “Impianti termici ad olio combustibile o a gasolio – Istruzioni per l’applicazione delle norme contro l’inquinamento atmosferico; disposizioni ai fini della prevenzione incendi”.

-         D.M. del 16.02.1982 “Modificazioni del D.M. 27.09.1965, concernente la determinazione delle attività soggette alle visite di prevenzione incendi”.

-         D.P.R. n.577 del 29.07.1982 “Approvazione del regolamento concernente l’espletamento dei servizi antincendio”.

-         D.M.I. del 31.03.1984 "Norme di sicurezza per la progettazione, la costruzione, l'installazione e l'esercizio dei depositi di gas di petrolio liquefatto con capacità complessiva non superiore a 5 m3 ".

-         D.M.I. del 02.08.1984 "Norme e specificazioni per la formulazione del rapporto di sicurezza ai fini della prevenzione incendi nelle attività a rischio di incidenti rilevanti di cui al D.M.I. del 16.11.1983.

-         D.M.I. del 24.11.1984 "Norme di sicurezza antincendio per il trasporto, la distribuzione, l'accumulo e l'utilizzazione del gas naturale con densità non superiore a 0,8".

-         D.M.I. del 08.03.1985 "Direttive sulle misure più urgenti ed essenziali di prevenzione incendi ai fini del rilascio del nullaosta provvisorio di cui alla legge 7 dicembre 1984, n. 818".

-         D.P.C.M. 31.03.1989  "Applicazione dell'Art. 12 del D.P.R. 17 maggio 1988, n. 175, concernente rischi rilevanti connessi a determinate attività industriali."

-         D.M. del 13.10.1994 "Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione, l'installazione e l'esercizio dei depositi di G.P.L. in serbatoi fissi di capacità complessiva superiore a 5 m3 e/o in recipienti mobili di capacità complessiva superiore a 5.000 kg."

-         D.M.A. 14.04.1994 "Criteri di analisi e valutazione dei rapporti di sicurezza relativi ai depositi di gas di petrolio liquefatto ai sensi dell'Art. 12 del D.P.R. 17 maggio 1988, n. 175".

-         D.M. del 12.04.1996 “Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, la costruzione e l’esercizio degli impianti termici alimentati da combustibili gassosi.”

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto", comma 5 lettera a) e lettera q) del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 (con successive modifiche e integrazioni) “Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE,  89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 97/42/CE e 99/38/CE riguardanti il  miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro”.

-         Art. 12 e 13 “Prevenzione incendi ed evacuazione dei lavoratori” D.Lgs. n.626/1994.

-         D.M. del 10.03.1998 “Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro”.

-         Norme UNI-VVF su impianti antincendio, impianti di rivelazione degli incendi, impianti di evacuazione fumo e calore, ecc…

 

 

IMPATTO ESTERNO

 

I principali fattori di impatto ambientale di questa fase sono i seguenti:

 

Emissioni in atmosfera

Si tratta delle emissioni dei gas prodotti dalla combustione in caldaia del metano per produrre il vapore necessario, distribuito poi, mediante apposite linee, ai reparti per l’utilizzazione.

I residui di questa combustione sono facilmente prevedibili: infatti un m3 di metano bruciato, in minimo eccesso di comburente, produce quantità note di residui (anidride carbonica, azoto, ossigeno, ecc...).

Quando la centrale termica è alimentata a gasolio è lecito aspettarsi un peggioramento delle emissioni a causa delle impurità presenti nell’olio combustibile.

Le emissioni sono controllate da ARPAT attraverso la determinazione delle concentrazioni degli ossidi di carbonio, di azoto, di zolfo e delle polveri.

Queste emissioni avvengono a temperature piuttosto elevate (circa 230 °C).

 

Scarichi idrici

Negli impianti a resine scambiatrici di ioni, sono costituiti dai reflui della rigenerazione delle resine utilizzate per la demineralizzazione dell’acqua, nonché dai cosiddetti spurghi di caldaia. Si tratta di soluzioni a pH acido o basico con elevata concentrazione di sali minerali e contenenti acido cloridrico e soda, che scaricate tal quali potrebbero inquinare le acque e il suolo. Pertanto tali reflui devono essere convogliati, tramite canalizzazioni in materiale chimicamente resistente, alla vasca di neutralizzazione nella quale viene corretto il pH mediante soda o acido cloridrico, prima di essere convogliate all’impianto di depurazione delle acque.

Negli impianti ad osmosi inversa, si ha solo lo scarico della soluzione concentrata dei sali trattenuti dalle membrane semipermeabili, pertanto ciò costituisce un impatto ambientale notevolmente minore rispetto a quello derivante dall'impianto a resine.

 

Produzione di rifiuti

Il rifiuto principale prodotto da questa fase del ciclo produttivo è costituito dalle resine esauste utilizzate nell’impianto di demineralizzazione dell’acqua.

 

Consumo delle risorse

Per la produzione del vapore viene utilizzata una notevole quantità di acqua e di combustibile.

Il consumo di acqua può essere minimizzato con sistemi di recupero delle condense. Il consumo di combustibile può essere ridotto mediante l’utilizzo di economizzatori per recuperare il calore e per riscaldare aria comburente e acqua di caldaia. Il consumo di energia elettrica può essere ridotto tramite l’utilizzo di sistemi di cogenerazione.

 

I principali fattori di rischio ambientale di questa fase sono i seguenti:

 

Sversamenti di olio combustile sul suolo

In caso di rottura del serbatoio interrato dell’olio combustibile, utilizzato come carburante della centrale termica secondaria, si possono verificare sversamenti sul terreno circostante, con conseguente inquinamento del suolo e possibile penetrazione nelle falde acquifere. Pertanto è richiesto che i serbatoi interrati siano realizzati secondo la recente emanazione del Ministero dell’Ambiente D.M. del 20.10.98 "Requisiti tecnici per la costruzione, l’installazione e l’esercizio di serbatoi interrati".

 

Sversamenti di prodotti chimici sul suolo

I prodotti chimici utilizzati nell’impianto di demineralizzazione dell’acqua, quali acido cloridrico e idrossido di sodio (soda), possono dare luogo a sversamenti sul suolo, sia durante il rifornimento dei serbatoi da autocisterne, sia in caso di rotture o cedimenti. In caso di sversamento si può verificare inquinamento del suolo, con possibile penetrazione nelle falde acquifere, ed emissione di vapori in atmosfera. Pertanto, per evitare il rischio di dispersione sul suolo, possono essere utilizzati bacini di contenimento in materiale chimicamente resistente e prevedere misure di emergenza per la neutralizzazione dei prodotti chimici.

 

 

 

Incendio - esplosione

In caso di incendio a carico della centrale termica il danno atteso per l’ambiente consiste prevalentemente nella formazione di prodotti parzialmente incombusti immessi nell’atmosfera. L’esplosione può comportare danni strutturali al locale sede della centrale termica ed a locali ed edifici limitrofi.

 

 


TRATTAMENTO SCARICHI IDRICI

 

 

 

 

1. COMPARTO:

Caseifici

 

 

 

 

2. FASE DI LAVORAZIONE:

Trattamento scarichi idrici.

 

 

 

 

 

3. COD.INAIL:

 

 

 

 

 

4. FATTORI DI RISCHIO:

Agenti biologici

Agenti chimici.

Rischi per la sicurezza.

 

 

 

 

5. CODICE DI RISCHIO:

 

 

    (riservato all’ ufficio)

 

 

 

 

 

6. N. ADDETTI:

52

 

 

 

 

 

 

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

La depurazione delle acque riguarda i reflui provenienti dalla centrale termica, dai servizi civili e dal lavaggio delle varie attrezzature, impianti e pavimenti del locali di lavoro. In alcuni casi, abbinato al caseificio, vi è anche un allevamento di suini, pertanto all'impianto di depurazione delle acque confluiscono anche le deiezioni animali.

In genere la depurazione delle acque viene effettuata a piè di fabbrica con un impianto classico aerobico a fanghi attivi, ma talvolta gli scarichi vengono inviati ad impianti di depurazione consortili.

L’impianto è essenzialmente costituito dalle vasche di omogeneizzazione, sedimentazione primaria e secondaria, dalle vasche di aerazione, dal trattamento finale di disidratazione dei fanghi, dall’impianto di dosaggio dei reagenti che generalmente sono posti fuori terra dove si accede alle postazioni sopraelevate tramite scale.

I reagenti generalmente utilizzati nell’impianto di depurazione sono elencati nella tabella seguente:

 

Reagenti utilizzati nell’impianto di trattamento delle acque di scarico

PRODOTTO

STATO  FISICO

MODALITA' DI ALIMENTAZIONE

Policloruro di alluminio 18%

Soluzione acquosa

Da serbatoi, mediante pompe

Solfato di alluminio 27%

Calce bianca superventilata

Polvere

Sacchi aggiunti manualmente

 

FATTORI DI RISCHIO

 

I lavoratori addetti alla conduzione dell’impianto sono soggetti ai rischi derivanti dall’esposizione a polveri, vapori, manipolazione di prodotti chimici, movimentazione manuale dei carichi, lavoro in postazioni sopraelevate e transito in ambiente scivoloso. Particolare attenzione deve essere rivolta durante la manutenzione e pulizia degli impianti, ove sono presenti ulteriori rischi di infortuni e intossicazione per il ristagno di gas tossici o asfissianti e rischi biologici.

 

Esposizione a prodotti chimici

descrizione e danno atteso

In caso di prelievo, trasporto e dosaggio manuale, i lavoratori possono essere esposti a contatto e inalazione dei vari prodotti chimici da aggiungere nelle vasche di trattamento delle acque. In particolare, per i vari prodotti, si possono evidenziare i seguenti danni attesi:

Policloruro di alluminio

Il contatto con soluzioni di policloruro di alluminio può provocare irritazione della cute. Può risultare caustico per contatto con gli occhi.

Solfato di alluminio

Il contatto con soluzioni di concentrate di solfato di alluminio può provocare lesioni agli occhi.

Calce bianca superventilata

L’esposizione a polveri di calce può provocare irritazione di cute, occhi e vie aeree. Può risultare caustico per contatto con la cute e gli occhi.

prevenzione

Per ridurre l'esposizione ai prodotti chimici impiegati, occorre valutare attentamente la possibilità di sostituire i prodotti più pericolosi con formulati meno tossici e l’adozione di impianti automatici a ciclo chiuso di dosaggio e miscelazione.

Per il prelievo, trasporto e dosaggio manuale dei prodotti pericolosi è necessario utilizzare attrezzature atte ad evitare sgocciolamenti, sversamenti e diffusione di vapori, quali ad esempio rubinetti autochiudenti per i fusti, pompe di travaso, contenitori di sicurezza a chiusura ermetica con tappo provvisto di molla autochiudente e beccuccio di scarico flessibile.

Inoltre è necessario che, nelle fasi di preparazione e impiego, gli addetti indossino idonei Dispositivi di Protezione Individuali (D.P.I.) quali guanti, grembiuli, dispositivi di protezione degli occhi e delle vie respiratorie, e che vengano informati circa i rischi ed i danni potenziali a seguito dell’esposizione, formati alle corrette procedure di lavoro in sicurezza e siano messi a loro disposizione idonei servizi igienico assistenziali: armadietti con doppio scomparto per separare gli indumenti da lavoro da quelli civili, lavabi, docce, lavaocchi, ecc…) ed infine che vengano sottoposti ad opportuna sorveglianza sanitaria.

riferimenti normativi

-         Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. II, Art. 9 “Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi” e Capo II “Difesa dagli agenti nocivi” del D.P.R. n.303 del 19.03.1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”.

-         Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.

-         Norme UNI EN 626/1, 626/2, 1093/4, UNI  9293.

-         DPR n. 336 del 1994 (Malattie professionali).

 

Movimentazione manuale dei carichi

descrizione e danno atteso

La movimentazione manuale dei sacchi di calce può comportare danni a carico dell’apparato muscolo - scheletrico in particolare alla colonna vertebrale degli addetti.

prevenzione

Per la movimentazione manuale dei carichi, dove possibile, devono essere impiegati opportuni ausili meccanici (apparecchi di sollevamento, ecc...). La soluzione più idonea risulta comunque essere l’adozione di impianti automatizzati per il dosaggio, la miscelazione e il trasporto dei preparati.

riferimenti normativi

-         Tit. V e All. 6 del D.Lgs. n.626 del 10.09.1994.

-         Norma UNI ISO 938

 

Lavoro in postazioni sopraelevate e scivolose

descrizione e danno atteso

Durante la conduzione dell’impianto, i lavoratori accedono talvolta a postazioni di lavoro che comportano il rischio di caduta dall’alto. Il rischio è aggravato dalla scivolosità delle superfici di calpestio.

prevenzione

Le zone transitabili intorno alle vasche devono essere dotate di parapetti per evitare che gli addetti possano caderci dentro e dotate di fascia ferma piede. Inoltre le scale e le passerelle nelle zone di lavoro e transito devono essere antiscivolo e anch’esse dotate di parapetti e di fascia ferma piede. Le scale fisse a pioli devono essere dotate di gabbie di protezione anticaduta. I lavoratori devono indossare calzature adeguate.

riferimenti normativi

-         Tit. II “Ambienti, posti di lavoro e di passaggio” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Norme UNI EN 361, 363, 795

 

 

 

 

Esposizione a gas asfissianti 

descrizione

Durante la manutenzione periodica delle vasche di depurazione delle acque, il fermo degli impianti, anche per breve durata, può provocare il ristagno di anidride carbonica, a cui gli addetti possono essere esposti nel caso entrino dentro le vasche vuote.

danno atteso

Intossicazione da anidride carbonica, rischio di asfissia per mancanza di ossigeno.

prevenzione

Le operazioni di pulizia e manutenzione degli impianti di deposito o trattamento o delle acque talvolta vengono affidate a ditte esterne e in tal caso la sicurezza di tali operazioni deve essere coordinata dal servizio di prevenzione e protezione dell'azienda. In particolare, prima di consentire l’accesso dei lavoratori alle vasche, deve essere verificata l’assenza di gas pericolosi tramite idonea strumentazione (misuratori di ossigeno). Per le operazioni preliminari di svuotamento e lavaggio, nella vasca deve essere soffiata aria esterna tramite soffiatori d’aria, altrimenti gli addetti devono   essere dotati di autorespiratori. In caso di rischio di presenaza di gas pericolosi o mancanza di ossigeno, l’addetto che accede all’interno della vasca, deve essere dotato di apposita imbracatura collegata ad un sistema che garantisca il recupero da parte di altra persona che presidia all’esterno. Se si fa uso di scale, queste devono essere di adeguata lunghezza, ben ancorate, stabili.

E’ fondamentale la formazione degli addetti sui rischi specifici e sulle sequenze operative per lavorare in sicurezza.

riferimenti normativi

-         Art. 236 "Lavori entro tubazioni, canalizzazioni, recipienti e simili nei quali possono esservi gas e vapori tossici o asfissianti" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. II, Art. 9 “Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi” e Capo II “Difesa dagli agenti nocivi” del D.P.R. n.303 del 19.03.1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”.

-         Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.

-         Norme UNI EN 626/1, 626/2, 1093/4, UNI  9293.

-         DPR n. 336 del 1994 (Malattie professionali).

 

Esposizione a rischio biologico

descrizione

Gli addetti alla conduzione e manutenzione dell’impianto di depurazione delle acque possono essere esposti a rischio biologico.

stima

Il rischio maggiore deriva dall’esposizione ad aerosol, specie quelli provenienti dalle vasche aperte relative alle fasi iniziali di trattamento degli scarichi dove essi sono sottoposti ad aerazione per mezzo di organi meccanici in movimento (agitatori).

danno atteso

Possibili infezioni da agenti patogeni.

prevenzione

Vaccinazione degli addetti: antitetanica ed eventualmente antiepatite A, antitifica, antileptospirosi.

Norme igieniche: non mettere in bocca mani sporche; non bere, mangiare o fumare durante il lavoro; cambiarsi gli indumenti di lavoro e farsi la doccia al termine del turno di lavoro; armadietti a doppio scomparto per riporre separatamente gli abiti civile da quelli di lavoro.

Indossare maschere di protezione delle vie respiratorie specifiche per aerosol, in caso di transito o stazionamento in prossimità delle vasche dove si possono produrre aerosol; occhiali protettivi con riparo laterale per la protezione da schizzi.

Informazione, formazione e sorveglianza sanitaria degli esposti.

riferimenti normativi

-         D.Lgs. 626/1994 e successive modifiche e integrazioni.

 

 

IMPATTO ESTERNO

 

I principali fattori di impatto ambientale di questa fase sono i seguenti:

 

Produzione di rifiuti

Il rifiuto principale prodotto da questa fase del ciclo produttivo è costituito dai fanghi disidratati derivanti dall’impianto di depurazione.

 

Diffusione di cattivi odori

Dall’impianto di depurazione acque si può avere la diffusione di cattivi odori nell’ambiente circostante. In particolare, la presenza di notevoli quantità di sostanze altamente degradabili nei fanghi possono essere causa di cattivi odori. Da qui la necessità di un completo e prolungato trattamento di ossidazione, di un corretto ed opportuno stoccaggio provvisorio che impedisca il contatto con il terreno e le acque meteoriche, nonché del frequente invio allo smaltimento definitivo.

 

I principali fattori di rischio ambientale di questa fase sono i seguenti:

 

Scarichi idrici

In caso di cattiva gestione dell’impianto si possono verificare sversamenti sul terreno o nei corpi idrici pertanto deve essere prevista una vasca di emergenza.

 

Sversamenti di prodotti chimici sul suolo

I prodotti chimici utilizzati nell’impianto di trattamento delle acque di scarico, quali calce bianca, policloruro di alluminio e solfato di alluminio, possono dare luogo a sversamenti sul suolo, sia durante il rifornimento dei serbatoi da autocisterne, sia in caso di rotture o cedimenti. In caso di sversamento si può verificare l’inquinamento del suolo con possibile penetrazione nelle falde acquifere e l’emissione di vapori in atmosfera. Pertanto, devono essere previsti bacini di contenimento in materiale chimicamente resistente, tali da evitare la dispersione sul suolo in caso di sversamento e devono essere previste misure di emergenza per la neutralizzazione.


MOVIMENTAZIONE MECCANICA DEI CARICHI

 

 

 

 

1. COMPARTO:

Caseifici

 

 

 

 

2. FASE DI LAVORAZIONE:

Movimentazione meccanica dei carichi

 

 

 

 

 

3. COD.INAIL:

 

 

 

 

 

4. FATTORI DI RISCHIO:

Agenti fisici: vibrazioni

Agenti chimici.

Rischi per la sicurezza.

Organizzazione del lavoro

 

 

 

 

5. CODICE DI RISCHIO:

 

 

    (riservato all’ ufficio)

 

 

 

 

 

6. N. ADDETTI:

56

 

 

 

 

 

 

 

DESCRIZIONE DELLA FASE

 

Nelle varie fasi lavorative precedentemente descritte, si è visto che ricorre spesso l’utilizzo di ausili per la movimentazione meccanica dei carichi, quali carrelli elevatori e carri-ponte.

Le modalità di impiego di queste attrezzature e macchine si sono descritte nelle relative fasi di lavorazione.

 

ATTREZZATURE E MACCHINE

 

Carrelli elevatori

Si tratta di carrelli elevatori a forche ad alimentazione elettrica. Talvolta nei piazzali esterni sono essere utilizzati anche carrelli elevatori a trazione diesel. 

 

Carro ponte

Si tratta di carroponte di tipo tradizionale

 

 

FATTORI DI RISCHIO

 

I principali fattori di rischio potenzialmente presenti in questa fase lavorativa sono i seguenti:

 

Movimentazione meccanica dei carichi con carrelli elevatori.

descrizione

Durante le operazioni di movimentazione può avvenire il ribaltamento del carrello elevatore nel caso in cui il carico non sia bene bilanciato e/o per asperità e dislivelli eccessivi del terreno, raggio di curvatura troppo stretto. In caso di ribaltamento l’addetto può  venire sbalzato fuori dal posto di guida e rimanere schiacciato sotto il carrello.

Può anche avvenire l’investimento di altri lavoratori da parte dei carrelli elevatori o dal materiale trasportato. In una azienda del comparto è recentemente accaduto un infortunio per investimento da parte di un carrello elevatore guidato in retromarcia.

Quando viene accatastato in modo non corretto, il materiale può cadere ed investire gli addetti.

danno atteso

Durante le suddette operazioni, gli addetti possono riportare gravi lesioni traumatiche

danno rilevato

Nei casi di infortunio accaduti in diversi comparti produttivi (cioè anche in aziende diverse dai caseifici), le lesioni riportate per infortuni occorsi durante questa fase lavorativa sono risultate gravi o anche mortali.

prevenzione

I rischi sopra evidenziati possono essere limitati garantendo le seguenti condizioni:

·        sistemare o attrezzare i carrelli elevatori in modo da limitare i rischi di ribaltamento; a tal fine l'art. 7, lettera b),  punto 1.4 del D.Lgs. n. 359 del 04.08.1999, elenca una serie di possibili accorgimenti, come esempi delle possibili soluzioni attuabili, quali:

-       cabina per il conducente;

-       struttura concepita in modo tale da lasciare, in caso di ribaltamento del carrello elevatore, uno spazio sufficiente tra il suolo e talune parti del carrello stesso per il lavoratore o i lavoratori a bordo:

-       struttura che trattenga il lavoratore sul sedile del posto di guida per evitare che, in caso di ribaltamento del carrello elevatore, essi possano essere intrappolati da parti del carrello stesso.

·        dispositivi di trattenuta del conducente al posto di guida dei muletti, per eliminare il rischio di essere sbalzati fuori, in caso di ribaltamento.

·        pavimenti privi di buche, sporgenze o sconnessioni.

·        percorsi dei mezzi senza curve troppo strette, senza pendenze eccessive, preferibilmente a senso unico, oppure ampi a sufficienza per il passaggio di due carrelli caricati.

·        limitazione delle interferenze fra i percorsi dei mezzi e quelli pedonali.

·        percorsi pedonali e luoghi di stazionamento dei lavoratori protetti dal pericolo di investimento da parte di materiali stivati.

·        protezione delle uscite da locali o altri punti frequentati dai lavoratori, quando incrociano i percorsi dei mezzi.

·        buona illuminazione dei percorsi e tinteggiatura con colori chiari delle pareti dei locali di lavoro.

·        specchi parabolici ove occorrenti; in casi particolari valutare la possibilità di installare semafori.

·        segnalazione e, se necessario, protezione di eventuali ostacoli sul percorso dei carrelli elevatori.

·        individuazione di zone di attraversamento delle linee di trasporto che consentano il passaggio delle persone senza pericoli di investimento.

·        organizzazione spaziale e/o temporale del magazzino in modo da limitare al minimo le interferenze fra il carico e lo scarico del magazzino stesso.

·        idonei ancoraggi, funi ed imbracatura in tutti i casi in cui è necessario intervenire in altezza

·        i prodotti in entrata devono riportare l’indicazione del loro peso in modo che l’addetto possa verificare che il carrello ed il sistema di presa sia di adeguata capacità.

·        dispositivi acustici e luminosi di segnalazione di manovra dei mezzi.

·        mantenimento della visibilità dal posto di guida dei mezzi anche mediante opportuno posizionamento del carico trasportato, che comunque deve essere posizionato più in basso possibile in modo da garantire la stabilità del carrello; in casi occasionali in cui l’ingombro del carico sia tale da pregiudicare la visuale, il carrello può essere preceduto da un altro lavoratore che aiuti il carrellista nella manovra e segnali agli altri lavoratori eventualmente presenti nei dintorni, la presenza del trasporto.

·        preferenza dell’acquisto di mezzi con pedaliera analoga a quella degli automezzi.

·        limitazione della velocità dei mezzi in relazione alle caratteristiche del percorso, anche con eventuali dispositivi regolabili che limitano la velocità.

·        protezione degli organi di comando contro l’avviamento accidentale.

·        protezione del posto di guida contro il pericolo di investimento di corpi che possono cadere dall’alto.

·        regolare manutenzione e periodica revisione del mezzo meccanico e delle sue varie componenti.

·        il conducente deve guidare con prudenza senza fare sporgere gambe o braccia dall’abitacolo di guida, prestare particolare attenzione in retromarcia, condurre il carrello all’interno dei percorsi segnalati a terra, interrompere il lavoro se qualcuno si trova nel raggio di azione del mezzo, inserire il freno prima di lasciare il carrello in sosta.

·        disporre il divieto di trasportare persone facendole salire sulle forche di sollevamento.

·        puntuale informazione, formazione, ed addestramento dei lavoratori all’uso corretto e sicuro dei mezzi nelle diverse condizioni di impiego. Ad esempio l’addetto deve essere sapere come comportarsi se il mezzo dovesse accidentalmente ribaltarsi, ovvero: non buttarsi giù dal mezzo, ma tenersi saldamente al volante, puntare i piedi e inclinarsi dalla parte opposta a quella di ribaltamento.

riferimenti normativi

-         Art. 8 “Vie di circolazione, zone di pericolo, pavimenti e passaggi” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 11 “Posti di lavoro e  di passaggio e luoghi di lavoro esterni” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. X, Capo III, Art. 381 "Protezione del capo" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. V “Mezzi ed apparecchi di sollevamento, trasporto e immagazzinamento” (Capo I “Disposizioni generali”, Capo II “Gru, argani, paranchi e simili”, Capo III “Ascensori e montacarichi”, Capo V “Mezzi ed apparecchi di trasporto meccanici”) D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 10 “Illuminazione naturale e artificiale dei luoghi di lavoro”  D.P.R. n. 303 del 19.03.1956.

-         Tit. II, Capo V "Illuminazione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         All. 1 "Requisiti essenziali di sicurezza e di salute relativi alla progettazione e alla costruzione delle macchine e dei componenti di sicurezza" D.P.R. n.459 del 24.07.1996.

-          Norme UNI 9288, 9289, 9290, 9291, 9292, 9293, UNI EN 281, 614/1, UNI ISO 1074, 2328, 2330, 2331, 3287, 3691, 5053, 5767, 6055 (vedere 6.1.37).

 

Lavoro in prossimità di organi meccanici in movimento

descrizione

Gli organi meccanici mobili del carrello elevatore possono essere causa di presa, impigliamento, cesoiamento.

danno atteso

Lesioni temporanee e permanenti per presa, trascinamento, taglio, amputazione, schiacciamento degli arti.

prevenzione

Le parti pericolose devono essere rese inaccessibili tramite adeguati ripari fissi.

riferimenti normativi

-         Art. 6 “Doveri dei lavoratori” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 41 “Protezione e sicurezza delle macchine”  D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. III, Capo III "Trasmissioni e ingranaggi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 68 “Protezione degli organi lavoratori e delle zone di operazione delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 72 “Blocco degli apparecchi di protezione”  D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 73 “Aperture di alimentazione e di scarico delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 76 e 77 "Organi di comando per la messa in moto delle macchine" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 81 "Comando con dispositivo di blocco multiplo" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 82 "Blocco della posizione di fermo della macchina" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 233 "Organi di comando e di manovra" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. IX "Manutenzione e riparazione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Tit. III “Uso delle attrezzature di lavoro” D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 (Direttiva macchine).

Norme UNI EN 291/2, 291/2, 614/1, 294, 349, 811, 418, 1037, 1088, 574, 982, 983, 1012/1, 1012/2

 

Movimentazione manuale dei carichi.

descrizione

L’operazione di sostituzione delle batterie dei muletti richiede la loro movimentazione.

danno atteso

La movimentazione manuale può comportare disturbi e danni muscolo – scheletrici.

prevenzione

I rischi connessi alla movimentazione manuale dei carichi possono essere ridotti utilizzando mezzi meccanici di sollevamento per le batterie.

Si può anche mettere sotto carica la batteria del muletto lasciandola a bordo del mezzo stesso. In questo caso il carica batterie viene posto all’interno di un locale apposito mentre il mezzo sosta sotto una tettoia nel piazzale in prossimità della parete esterna del locale sulla quale sono poste prese e spine per il collegamento elettrico; questa soluzione limita anche l’esposizione agli acidi degli accumulatori elettrici e il rischio di esplosione e incendio.

Nel caso della movimentazione manuale occorre procedere alla valutazione del rischio in sede di misure attuative del D.Lgs. 626/94 ed informare e formare gli addetti.

riferimenti normativi

-         Tit. V e All. 6 del D.Lgs. n.626 del 10.09.1994.

-         Norma UNI ISO 938

 

Esposizione a prodotti della combustione diesel

descrizione

Qualora vengano utilizzati carrelli elevatori diesel, gli addetti possono essere esposti ai prodotti della combustione, costituiti prevalentemente da: particolato da idrocarburi incombusti, ossidi di azoto (NO, NO2), anidride solforosa (SO2), ossido di carbonio (CO), formaldeide (HCHO), idrocarburi aromatici e alifatici, sostanze organiche volatili (S.O.V.).

danno atteso

L’esposizione ai suddetti inquinanti può provocare broncopneumopatie, ossicarbonismo, sindrome irritative delle estremità cefaliche, asma bronchiale, emopatie, epatopatie, neuropatie, nefropatie, miocardiopatie, dermatiti. Inoltre la formaldeide è un sospetto cancerogeno.

danno rilevato

Dalle indagini svolte in altri comparti produttivi, i lavoratori esposti ai gas di combustione dei carrelli diesel hanno lamentato l’irritazione delle congiuntive oculari e delle vie respiratorie.

prevenzione

Per limitare l’esposizione a questo fattore di rischio, è bene che i carrelli elevatori diesel siano provvisti di marmitta catalitica (valida per NO2 e CO) o ad acqua (valida per il particolato) ed il loro impiego deve essere limitato all’esterno dei locali di lavoro (nel piazzale antistante lo stabilimento produttivo), mentre all’interno è necessario utilizzare muletti a trazione elettrica. Tra l’altro sono attualmente disponibili sul mercato carrelli elevatori a trazione elettrica la cui portata è sufficiente per le esigenze di produzione del comparto.

riferimenti normativi

-         Tit. II, Art. 9 “Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi” e Capo II “Difesa dagli agenti nocivi” del D.P.R. n.303 del 19.03.1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”.

-         Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.

-         Tit. VII del D.Lgs. n.626/94 “Protezione da agenti cancerogeni”, così come modificato dal D.Lgs. n. 66 del 25.02.2000.

-         DPR n. 336 del 1994 (Malattie professionali).

-         D.Lgs. n. 66 del 25.02.2000 “Attuazione delle direttive 1997/42/CE e 1999/38/CE, che modificano la direttiva  90/394/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i  rischi  derivanti  da esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro”.

 

 

 

 

 

Esposizione a rumore

descrizione

La guida dei mezzi meccanici (carrello elevatore) può essere causa di esposizione al rumore degli addetti, sia per il rumore generato dai mezzi stessi, sia nel caso esposizione indiretta se il mezzo viene introdotto in reparti voe si svolgono lavorazioni rumorose.

danno atteso

L’esposizione continuativa a livelli di rumore medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure preventive.

Oltre ai disturbi della comunicazione e della prestazione lavorativa, possono insorgere: effetti cardiovascolari (aumento della pressione sanguigna, ecc…); disturbi psichici (astenia, irritabilità, depressione, insonnia); disturbi a carico dell’apparato digerente.

prevenzione

È necessario la valutazione della esposizione e l’adozione delle relative misure di prevenzione, in primo luogo una accurata manutenzione dei mezzi. È opportuno valutare la possibilità di sostituire i carrelli elevatori diesel (talvolta utilizzati nei piazzali esterni), con i carrelli elettrici che sono meno rumorosi.

Nei casi di livelli di esposizione personale superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs. 277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”, riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di carattere generale”.

riferimenti normativi

-         Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).

 

Esposizione a vibrazioni

descrizione

La guida dei mezzi meccanici (carrello elevatore) può essere causa di esposizione a vibrazioni.

danno atteso

L’esposizione continuativa a vibrazioni può causare una malattia professionale detta Sindrome di Raynaud (anche conosciuta come fenomeno del dito bianco). Si tratta di una alterazione vasoplastica della microcircolazione delle mani per esposizione a vibrazioni e favorita da esposizione alle basse temperature e dal fumo di sigaretta. L’insorgenza di questa patologia è correlata ai tempi ed all’entità di esposizione.

prevenzione

Utilizzare mezzi del tipo a bassa vibrazione e minore impatto vibratorio, oltre a effettuare su di essi  una accurata manutenzione.

riferimenti normativi

-         D.M.L. del 18.04.1973 "Elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali"

-         Art. 46, capo I, Tit. III "Scuotimenti e vibrazioni delle macchine" D.P.R. n. 547 del 27.04.1955.

-         Art. 24, capo II, Tit. II "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n. 303 del 19.3.1956

-         9.9.3 Direttiva CEE/CEEA/CE n. 663 del 22.12.1986: "Direttiva del Consiglio del 22 dicembre 1986 per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai carrelli semoventi per movimentazione".

-         1.5.9 Direttiva CEE/CEEA/CE n. 392 del 14.06.1989: "Direttiva del Consiglio del 14 giugno 1989 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine".

-         1.5.9 "Campo di applicazione e definizioni" e 3.2.2 "Norme armonizzate e disposizioni di carattere equivalente"  D.P.R. n. 459 del 24.07.1996

-         Comunicazione CE 22 marzo 1997 (CEN-EN 1032): "Comunicazione della Commissione nel quadro dell'applicazione della direttiva 89/392/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1989, relativa alle macchine, modificata dalle direttive del Consiglio 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE".

-         Norma UNI-EN n. 30326-1 del 01.04.1997 (vedere 6.1.37): "Vibrazioni meccaniche - Metodo di laboratorio per la valutazione delle vibrazioni sui sedili dei veicoli - Requisiti di base".

-         D.M. 30.05.1997 (UNI-EN 1033, 1997) "Elenco delle norme armonizzate adottate ai sensi del comma 2 dell'Art. 3 del D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459 (2): «Regolamento per l'attuazione delle direttive del Consiglio 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle medesime»".

-         Comunicazione CE del 04.06.1997 (CEN-EN 1299, 1997): "Comunicazione della Commissione nel quadro dell'applicazione della direttiva 89/392/CEE del Consiglio del 14 giugno 1989 relativa alle macchine, modificata dalle direttive 91/368/CEE, 93/44/CEE  e 93/68/CEE".

 

Manipolazione di oli minerali

descrizione

I carrelli elevatori, come la generalità delle macchine, necessitano di oli minerali come lubrificanti degli organi meccanici.

danno atteso

Gli oli minerali sono una classe di composti che possono presentare rischi per i lavoratori di danni di tipo acuto (allergie, dermatiti) e di tipo cronico (tumori).

La IARC suddivide gli oli in due grandi categorie:

-         non severamente raffinati: classificati certamente cancerogeni per l’uomo (Gruppo 1).

-         severamente raffinati: classificati tra le sostanze per le quali non è possibile esprimere un giudizio di cancerogenicità (Gruppo 3).

L’Unione Europea, invece, nel classificare i prodotti derivanti dal petrolio e dal carbone (tra cui ovviamente gli oli minerali) ha seguito un diverso criterio da quello della raffinazione ”tal quale”: le miscele di sostanze derivate dal petrolio e dal carbone vengono considerate sostanze a cui è stato attribuito un univoco numero di identificazione CAS ed un univoco numero di indice CE, classificando circa 600 sostanze come cancerogene (R45) a meno che il produttore non possa dimostrare che contengono (D.P.R.n.52/97):

-         meno dello 0,1% peso/peso di 1,3-butadiene

-         meno dello 0,1% peso/peso di benzene

-         meno del 3% di estratto Dmso (Dimetilsolfossido) secondo la misurazione IP 346

-         meno del lo 0,005% peso/peso di benzo (a) pirene

oppure se il produttore, conoscendo l’intero iter di raffinazione, può dimostrare che la sostanza da cui il prodotto è derivato non è cancerogena.

Quindi, anche in questo caso, è fondamentale la lettura dell’etichetta e della scheda dei dati di sicurezza e che questi strumenti siano correttamente compilati.

prevenzione

Utilizzare oli minerali del tipo meno pericoloso (oli severamente raffinati) ed evitare l’imbrattamento, specie durante il prelievo degli oli esausti. È pertanto necessario utilizzare D.P.I. (guanti, tuta, grembiuli, occhiali) ed evitare di tenere in tasca stracci o utilizzare guanti impregnati di olio minerale. È importante una adeguata informazione, formazione, e sorveglianza sanitaria degli esposti.

riferimenti normativi

-         Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.

-         Tit. VII del D.Lgs. n.626/94 “Protezione da agenti cancerogeni”, così come modificato dal D.Lgs. n. 66 del 25.02.2000.

-         DPR n. 336 del 1994 (Malattie professionali).

-         D.Lgs. n. 66 del 25.02.2000 “Attuazione delle direttive 1997/42/CE e 1999/38/CE, che modificano la direttiva  90/394/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i  rischi  derivanti  da esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro”.

 

Esposizione ad acidi di accumulatori elettrici

descrizione

Durante la ricarica delle batterie di carrelli a trazione elettrica, i lavoratori possono essere esposti ad acidi contenuti nelle batterie.

danno atteso

Irritazione e ustione chimica della cute e delle mucose con cui vengono in contatto.

prevenzione

L’inalazione di vapori degli acidi presenti negli accumulatori elettrici viene limitata effettuando la ricarica in locale separato adeguatamente aerato. Se l’aerazione naturale non è sufficiente è necessario un sistema di aspirazione. In alternativa possono essere utilizzati apparecchi di ricarica chiusi e posti sotto aspirazione.

Una ulteriore soluzione può essere quella di mettere sotto carica la batteria del muletto lasciandola a bordo del mezzo stesso. In questo caso il carica batterie viene posto all’interno di un locale apposito mentre il mezzo sosta sotto una tettoia nel piazzale in prossimità della parete esterna del suddetto locale; questa soluzione evita anche il problema della movimentazione dei carichi per la sostituzione delle batterie.

Per evitare il contatto degli acidi con la pelle, durante le operazioni di movimentazione per la sostituzione delle batterie, i tappi devono essere chiusi e i lavoratori devono indossare guanti antiacido. L’aggiunta dell’acqua demineralizzata agli elementi delle batterie può avvenire tramite un sistema automatico, con valvola di ritegno che eviti la fuoriuscita della soluzione acida.

riferimenti normativi

-         Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. II, Art. 9 “Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi” e Capo II “Difesa dagli agenti nocivi” del D.P.R. n.303 del 19.03.1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”.

-         Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.

-         Norme UNI EN 626/1, 626/2, 1093/4, UNI  9293.

-         DPR n. 336 del 1994 (Malattie professionali).

 

Sviluppo di sostanze capaci di creare miscele esplosive con l’aria

descrizione

L’operazione di ricarica degli accumulatori dei carrelli a trazione elettrica comporta il pericolo di incendio – esplosione. Infatti, durante la ricarica, il passaggio della corrente elettrica determina un processo di elettrolisi con sviluppo di idrogeno. Si ha anche una parziale evaporazione degli acidi forti contenuti nella batteria. Pertanto, in assenza di idonea aerazione, si può arrivare ad un livello di saturazione ambientale che può determinare la formazione di una miscela esplosiva.

Se avviene l’esplosione si può anche verificare la proiezione violenta degli acidi forti contenuti nella batteria.

danno atteso

In caso di incendio-esplosione, gli addetti possono riportare gravi ustioni, lesioni traumatiche, intossicazioni. Se investiti da schizzi di acido della batteria, possono riportare anche ustioni cutanee e lesioni agli occhi.

prevenzione

Per ridurre i rischi derivanti dalla ricarica degli accumulatori elettrici è necessario effettuare questa operazione in locale separato dai restanti locali di lavoro, adeguatamente aerato. L’impianto elettrico deve rispondere alle norme per gli ambienti a maggior rischio in caso di incendio (CEI 64-8). È opportuno che in tale locale non siano presenti altri materiali infiammabili.In caso di ricarica sotto aspirazione localizzata, i parametri geometrici dell’impianto di aspirazione devono essere adeguatamente dimensionati in relazione alla velocità di aspirazione per evitare che si formino miscele esplosive con l’aria.

La protezione antincendio deve prevedere la presenza almeno di estintori a polvere, del tipo omologato. Nei casi a rischio più elevato può essere opportuno installare un impianto di spegnimento automatico (ad esempio del tipo a CO2).

È necessaria la valutazione dettagliata del rischio d’incendio in base a quanto previsto dal D.M. del 10.03.98.

riferimenti normativi

-         Art. 19 “Separazione del locali nocivi”  D.P.R. n. 303 del 19.03.1956.

-         Art. 20 “Difesa dell’aria dagli inquinamenti con prodotti nocivi” D.P.R. n. 303/56.

-          Art. 303 “Accumulatori elettrici”  D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         D.M.Ind. del 01.03.1989 "Recepimento della direttiva CEE/88/571, sull'aggiornamento al progresso tecnico dei metodi di protezione del materiale elettrico antideflagrante"

-         D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 e s.m.i.

 

Lavoro in prossimità di carichi sospesi

descrizione

L’utilizzo di argani, gru e carri-ponte comporta il rischio di caduta di carichi dall’alto. Inoltre, specie quando alla manovra partecipa più di un addetto, esiste il rischio di presa delle mani a contrasto tra le catene, e di investimento da parte del carico dovuto ad oscillazioni che esso può compiere durante la sua movimentazione.

danno atteso

Lesioni traumatiche per urto, investimento, schiacciamento.

prevenzione

Per ridurre il rischio di investimento e schiacciamento da parte del carico, è necessario che si manovri in modo da ridurre le oscillazioni. Inoltre, sia chi manovra la gru (gruista), sia chi provvede alla imbracatura del carico, non si deve mai posizionare tra l’oggetto da sollevare ed eventuali ostacoli fissi.

Il gancio della gru deve essere dotato di chiusura di sicurezza o conformato in modo da garantire l’impossibilità della caduta accidentale del carico. In aziende di altri comparti sono accaduti diversi infortuni mortali proprio per la mancanza di questo semplice dispositivo di sicurezza.

Quando non utilizzato, il gancio non va mai lasciato ad altezza d’uomo, per evitare il rischio di urti.

Il binario sul quale scorre il carro ponte deve essere dotato di apposito dispositivo di fine corsa.

È necessario che l’apparecchio di sollevamento abbia portata idonea rispetto al peso pezzo da sollevare e venga sottoposto alle verifiche preventive e periodiche delle apparecchiature nel loro insieme o di loro parti (esempio funi). Gli esiti degli accertamenti vanno riportati sull’apposito registro tenuto dall’azienda. In particolare, se la portata essa è superiore a 200 Kg., l’impianto è soggetto a denuncia e visita preventiva di primo impianto da parte di ISPESL, a controlli annuali da parte della A.S.L. al fine di verificarne le condizioni di efficienza per quanto riguarda i dispositivi meccanici e di scorrimento, e verifiche trimestrali da parte di tecnici incaricati dall’azienda riguardo le funi metalliche impiegate per il sollevamento dei carichi (da registrare sull’apposito libretto).

L’impianto di sollevamento deve essere utilizzato solo da personale appositamente formato e che indossi D.P.I. (scarpe di sicurezza con punta rinforzata, guanti, elmetto).

riferimenti normativi

-         Art. 8 “Vie di circolazione, zone di pericolo, pavimenti e passaggi” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 11 “Posti di lavoro e  di passaggio e luoghi di lavoro esterni” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. X, Capo III, Art. 381 "Protezione del capo" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. V “Mezzi ed apparecchi di sollevamento, trasporto e immagazzinamento” (Capo I “Disposizioni generali”, Capo II “Gru, argani, paranchi e simili”, Capo III “Ascensori e montacarichi”, Capo V “Mezzi ed apparecchi di trasporto meccanici”) D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 10 “Illuminazione naturale e artificiale dei luoghi di lavoro”  D.P.R. n. 303 del 19.03.1956.

-         Tit. II, Capo V "Illuminazione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         All. 1 "Requisiti essenziali di sicurezza e di salute relativi alla progettazione e alla costruzione delle macchine e dei componenti di sicurezza" D.P.R. n.459 del 24.07.1996.

-          Norme UNI 9288, 9289, 9290, 9291, 9292, 9293, UNI EN 281, 614/1, UNI ISO 1074, 2328, 2330, 2331, 3287, 3691, 5053, 5767, 6055.

 

Fig. 25 Gancio di sicurezza.

 

 

IMPATTO ESTERNO

 

I principali fattori di impatto ambientale di questa fase lavorativa sono i seguenti:

 

Emissioni in atmosfera

Sono costituite dalle emissioni dei mezzi a trazione diesel e delle emissioni dei vapori degli acidi emessi durante la ricarica delle batterie. Si tratta di emissioni che hanno un impatto ambientale relativamente basso.

 

Produzione di rifiuti

I principali rifiuti prodotti in questa fase sono gli oli esausti e le batterie esauste dei carrelli elevatori. Tali rifiuti vengono ritirati da ditte specializzate (si veda il paragrafo 4.1).

L’olio esausto va tenuto, prima del conferimento alla ditta incaricata al ritiro, in modo idoneo ed in condizioni di sicurezza per l’ambiente e per gli addetti. Pertanto devono essere utilizzati contenitori adatti ad eliminare i rischi di rottura e sversamento. Contenitori adatti a questo scopo devono rispondere a regole precise. In particolare devono essere provvisti di:

·        idonee chiusure per impedire la fuoriuscita del contenuto;

·        accessori e dispositivi atti ad effettuare in condizioni di sicurezza il riempimento e lo svuotamento;

·        bacini di contenimento in caso di rotture o sversamenti;

·        mezzi di presa per rendere sicure le operazioni di movimentazione.

La sistemazione dei contenitori deve essere studiata per evitare al massimo gli urti accidentali ed altri gravi inconvenienti.

In procinto di raggiungere la capacità massima del contenitore di olio usato chiamare esclusivamente l’incaricato del Consorzio Obbligatorio degli oli usati e conferirgli l’olio in condizioni di sicurezza (il conferimento al Consorzio di olio usato non inquinato avviene a titolo gratuito), ponendo la massima attenzione alla movimentazione dei contenitori ed alla situazione di lavoro intorno alle operazioni di trasferimento del liquido.

Le batterie al piombo esauste sono pericolose per l’uomo e per l’ambiente perché contengono il 60-65% in peso di piombo e il 20-25% di acido solforico diluito. Il piombo interferisce sui processi biochimici vitali e la sua azione attacca fegato, sistema nervoso ed apparato riproduttivo, l’acido solforico provoca ustioni e contamina le acque. Inoltre l’acido solforico è classificato dalla ACGIH come sospetto cancerogeno.

Le batterie esauste devono essere conferite al raccoglitore incaricato COBAT.

 

 

I principali fattori di rischio ambientale di questa fase lavorativa sono i seguenti:

 

 

Sversamenti di acido solforico e contaminazione del suolo con piombo.

In caso di rottura delle batterie durante la loro movimentazione si possono verificare sversamenti della soluzione acida; sversamenti sono possibili anche durante la ricarica delle batterie e durante lo stoccaggio provvisorio delle batterie esauste nell’attesa del ritiro da parte dello smaltitore. In caso di sversamento si può verificare l’inquinamento del suolo e delle acque. La batteria al piombo esausta è pericolosa per l’uomo e per l’ambiente perché contiene il 60-65% in peso di piombo e il 20-25% di acido solforico diluito. Il piombo interferisce sui processi biochimici vitali e la sua azione attacca fegato, sistema nervoso ed apparato riproduttivo, l’acido solforico provoca ustioni e contamina le acque. Inoltre l’acido solforico in nebbie di acidi forti è classificato dalla ACGIH come sospetto cancerogeno.

L’aggiunta dell’acqua demineralizzata agli elementi delle batterie può avvenire tramite un sistema automatico, con valvola di ritegno che eviti la fuoriuscita della soluzione acida; durante le operazioni di movimentazione per la sostituzione delle batterie, i tappi devono essere chiusi.

I luoghi di ricarica devono essere conformati in modo da evitare sversamenti, ad esempio può essere predisposto un apposito canale di raccolta, coperto da grigliato in materiale antiacido, e dotato di pozzetto di accumulo e neutralizzazione; l’acido raccolto nel pozzetto deve essere neutralizzato e rimosso.

I lavoratori devono essere adeguatamente formati per la gestione dell’evento accidentale, sia per quanto riguarda la protezione dell’ambiente, sia per le norme di prevenzione di salute e sicurezza.

In attesa dell’arrivo del raccoglitore incaricato COBAT, le batterie esauste vanno depositate temporaneamente in contenitori mobili costituiti in materiale antiacido e dotati delle seguenti caratteristiche (deliberazione Comitato interministeriale 27 luglio 1984):

·        dotati di idonee chiusure per impedire la fuoriuscita del contenuto;

·        dotati di maniglie per rendere sicure ed agevoli le operazioni di movimentazione;

·        utilizzare accessori e dispositivi atti ad effettuare in condizioni di sicurezza le operazioni di riempimento e svuotamento;

·        le sponde siano più alte di almeno 20 cm dall’altezza massima dell’accumulo previsto;

·        contrassegno con etichetta o targa visibili, apposte sui recipienti stessi o collocate nelle aree di stoccaggio;

·        i recipienti che hanno contenuto le batterie e non reimpiegati per gli stessi tipi di rifiuti, devono essere sottoposti a trattamenti di bonifica appropriati ai nuovi usi. Non possono però essere mai utilizzati per contenere prodotti alimentari.

 

Sversamenti di oli minerali sul suolo o nelle acque

La sostituzione dell’olio usato dei muletti e le operazioni di rabbocco dell’olio devono essere effettuate in condizioni di massima sicurezza ed igiene per evitare che operazioni approssimative o mezzi tecnici non adeguati producano spandimenti e sversamenti sul suolo o nelle acque, perciò vanno usate tutte le cautele e le professionalità necessarie per eseguire il lavoro a regola d’arte.

È quindi indispensabile che i datori di lavoro impartiscano adeguate istruzioni al personale dipendente e agli apprendisti per la corretta gestione degli oli usati ai fini della protezione ambientale, senza trascurare le disposizioni igieniche e sanitarie a protezione della salute e della sicurezza: gli oli sono fonte di rischi (scivolamenti, incendi, intossicazioni) che vanno valutati e ridotti secondo le norme previste dagli appositi decreti legislativi 626/94 e 242/96.

 

Incendio – esplosione

L’incendio-esplosione del locale ricarica batterie può comportare danni strutturali interessanti anche altre parti dell’edificio, oltre che la propagazione dell’incendio ai locali limitrofi.

 

 

 

 


MANUTENZIONE MECCANICA

 

 

 

 

1. COMPARTO:

Caseifici

 

 

 

 

2. FASE DI LAVORAZIONE:

Manutenzione meccanica

 

 

 

 

3. COD.INAIL:

 

 

 

 

 

4. FATTORI DI RISCHIO:

Rischi per la sicurezza

Agenti chimici

Agenti fisici: rumore, vibrazioni, radiazioni non ionizzanti

Organizzazione del lavoro.

 

 

 

 

 

 

 

 

5. CODICE DI RISCHIO:

 

 

    (riservato all’ ufficio)

 

 

 

 

 

6. N. ADDETTI:

 56

 

 

 

 

 

 

 

 

DESCRIZIONE DELLA FASE LAVORATIVA

 

Ogni azienda del comparto realizza il proprio ciclo produttivo utilizzando macchine, impianti complessi, ed una serie di attrezzature e dispositivi meccanici di varie dimensioni. Nella maggior parte gli impianti sono costituiti da lamiere e tubazioni di acciao inossidabile.

 

FATTORI DI RISCHIO

 

Per la manutenzione meccanica degli impianti dei caseifici vengono svolte operazioni tipiche delle officine  meccaniche. Si riportano qui di seguito alcune informazioni generali, similmente trattate in ricerche relative ad altri comparti produttivi, rimandando per informazioni specifiche e più dettagliate, al profilo di rischio proprio di questa lavorazione. 

 

I principali fattori di rischio potenzialmente presenti in questa fase lavorativa sono i seguenti:

 

Esposizione a rumore

descrizione

Si può avere esposizione al rumore a causa dell’utilizzo di utensili elettrici portatili (trapano, mole, avvitatori, ecc…).

danno atteso

L’esposizione continuativa a livelli di rumore medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure preventive.

Oltre ai disturbi della comunicazione e della prestazione lavorativa, possono insorgere: effetti cardiovascolari (aumento della pressione sanguigna, ecc…); disturbi psichici (astenia, irritabilità, depressione, insonnia); disturbi a carico dell’apparato digerente.

Inoltre l’esposizione a rumore durante gli interventi di manutenzione può essere un fattore concomitante che favorisce l’accadimento di infortuni.

prevenzione

Per ridurre l’esposizione è necessario ridurre il rumore alla fonte ed attuare le misure di prevenzione in base ai livelli di esposizione personale ed ai valori limite; è opportuno effettuare la manutenzione preventiva e programmarla nei giorni o negli orari di fermo impianto per evitare eventuale esposizone indiretta; la scelta degli utensili da utilizzare deve essere indirizzata verso i tipi meno rumorosi; indossare DPI (cuffie, tappi), informare e formare gli addetti e sottoporli a sorveglianza.

Nei casi di livelli di esposizione personale superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs. 277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”, riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di carattere generale”.

riferimenti normativi

-         Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.

-         Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).

 

 

 

 

Esposizione a vibrazioni

descrizione

Le operazioni di manutenzione con utensili portatili (mola, trapano, avvitatori, ecc…) sono causa di esposizione a vibrazioni dell’apparato mano – braccio

danno atteso

L’esposizione continuativa a vibrazioni può causare una malattia professionale detta Sindrome di Raynaud (anche conosciuta come fenomeno del dito bianco). Si tratta di una alterazione vasoplastica della microcircolazione delle mani per esposizione a vibrazioni e favorita da esposizione alle basse temperature e dal fumo di sigaretta.

L’insorgenza di questa patologia è correlata ai tempi ed all’entità di esposizione.

prevenzione

Per ridurre l’esposizione alle vibrazioni localizzate al sistema mano - braccio è necessario utilizzare utensili caratterizzati da bassi livelli di vibrazione o minore impatto vibratorio, utilizzare impugnature smorzanti le vibrazioni, riscaldare l’ambiente di lavoro nei mesi freddi, ridurre i tempi di esposizione alternando le lavorazioni tra più addetti. È importante l’informazione, la formazione e la sorveglianza sanitaria degli addetti.

riferimenti normativi

-         D.M.L. del 18.04.1973 "Elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali"

-         Art. 46, capo I, Tit. III "Scuotimenti e vibrazioni delle macchine" D.P.R. n. 547 del 27.04.1955.

-         Art. 24, capo II, Tit. II "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n. 303 del 19.3.1956

-         9.9.3 Direttiva CEE/CEEA/CE n. 663 del 22.12.1986: "Direttiva del Consiglio del 22 dicembre 1986 per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai carrelli semoventi per movimentazione".

-         1.5.9 Direttiva CEE/CEEA/CE n. 392 del 14.06.1989: "Direttiva del Consiglio del 14 giugno 1989 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine".

-         1.5.9 "Campo di applicazione e definizioni" e 3.2.2 "Norme armonizzate e disposizioni di carattere equivalente"  D.P.R. n. 459 del 24.07.1996

-         Comunicazione CE 22 marzo 1997 (CEN-EN 1032): "Comunicazione della Commissione nel quadro dell'applicazione della direttiva 89/392/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1989, relativa alle macchine, modificata dalle direttive del Consiglio 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE".

-         Norma UNI-EN n. 30326-1 del 01.04.1997 (vedere 6.1.37): "Vibrazioni meccaniche - Metodo di laboratorio per la valutazione delle vibrazioni sui sedili dei veicoli - Requisiti di base".

-         D.M. 30.05.1997 (UNI-EN 1033, 1997) "Elenco delle norme armonizzate adottate ai sensi del comma 2 dell'Art. 3 del D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459 (2): «Regolamento per l'attuazione delle direttive del Consiglio 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle medesime»".

-         Comunicazione CE del 04.06.1997 (CEN-EN 1299, 1997): "Comunicazione della Commissione nel quadro dell'applicazione della direttiva 89/392/CEE del Consiglio del 14 giugno 1989 relativa alle macchine, modificata dalle direttive 91/368/CEE, 93/44/CEE  e 93/68/CEE".

 

Esposizione a polveri

descrizione

Le operazioni di manutenzione sul posto, espongono i meccanici a inalazione di polveri aerodisperse dovute alle operazioni di molatura e di lavori riparazioni / manutenzioni in luoghi particolari con utensili portatili (trapani, mole, ecc…). Tali lavorazioni possono esporre gli addetti alle riparazioni meccaniche alle polveri di metallo e dei materiali abrasivi delle mole.

danno atteso

Irritazione delle vie respiratorie.

prevenzione

È importante esaminare le schede di sicurezza dei composti abrasivi delle mole e valutare la sostituzione dei prodotti più pericolosi con altri meno pericolosi.

Durante interventi con utensili che possono dare luogo a diffusione di polveri, è opportuno utilizzare apparecchi mobili di aspirazione localizzata con braccio flessibile (proboscide) per captare l’inquinante il più vicino possibile alla fonte di emissione, ed eventualmente indossare anche D.P.I. idonei alla protezione delle vie respiratorie dalle polveri (maschere filtranti, occhiali a tenuta) ed indumenti adeguati (tute, guanti).

È importante osservare le norme igieniche, tra le quali non bere, mangiare, fumare durante il lavoro e mettere a disposizione degli addetti adeguati servizi igienico assistenziali: i lavoratori, soci compresi quando effettuano lavorazioni insudicianti o con esposizione a polveri o altri agenti nocivi, devono disporre di armadietti a doppio scomparto per l’alloggiamento distinto degli abiti civili e da lavoro; le installazioni e gli arredi destinati a refettori, spogliatoi, latrine, bagni, locali di riposo devono essere mantenuti puliti, ben aerati e riscaldati durante la stagione fredda; le docce devono essere in quantità sufficiente e ben attrezzate affinché tutti i lavoratori che lo desiderino possano lavarsi appena terminato il proprio turno di lavoro. In considerazione al tipo di attività lavorativa può essere disposto l’obbligo per i lavoratori a fare la doccia per la tutela della propria salute in relazione ai rischi ai quali sono esposti.

È importante l’informazione, la formazione e la sorveglianza sanitaria degli esposti.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 303/1956 e s.m.i.

-         D.P.R. n. 626/1994 e s.m.i.

 

Esposizione a fumi di saldatura

descrizione

Può avvenire che si debbano eseguire saldature di riparazione in luoghi scarsamente aerati.

Le operazioni di saldatura possono esporre gli addetti ai fumi di saldatura, i quali possono essere di diversa natura a seconda del metallo da saldare, del suo eventuale rivestimento, del tipo di saldatrici utilizzate.

danno atteso

L’esposizione può provocare irritazione delle vie respiratorie o danni più gravi a seconda della natura dei fumi.

prevenzione

Durante gli interventi di saldatura è necessario utilizzare apparecchi mobili di aspirazione localizzata con braccio flessibile di captazione (proboscide) e filtri idonei al tipo di inquinante aspirato; indossare D.P.I. (maschere filtranti idonee per la protezione delle vie respiratorie dai fumi di saldatura, tute, occhiali a tenuta). L’aspirazione localizzata deve avvenire in modo che l’operatore non si trovi tra l’aspirazione e il punto di emissione. In caso di saldature effettuate all’aperto è necessario che l’addetto si tenga sopravvento. Prima di effettuare la saldatura è necessario togliere, per quanto possibile, i rivestimenti del materiale da saldare scrostando le pitture. Altre persone non necessarie alla lavorazione devono essere allontanate. È necessario esaminare la scheda di sicurezza del produttore dell’elettrodo, utilizzare elettrodi appropriati al tipo di saldatura e informare gli addetti sulla natura dell’elettrodo e dei pezzi da saldare e sui relativi rischi ai quali sono esposti; è altresì necessario che gli addetti siano formati alle corrette procedure di lavorazione e sottoposti a sorveglianza sanitaria.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 303/1956 e s.m.i.

-         D.P.R. n. 626/1994 e s.m.i.

 

Manutenzioni su impianti e tubazioni del vapore

descrizione

Le manutenzioni nel caseificio possono essere eseguite su tubazioni di adduzione del vapore, e su macchine ed impianti utilizzanti vapore in pressione. Questo può esporre gli addetti a sfiati di vapore e condensa ad elevata temperatura.

danno atteso

Ustioni.

prevenzione

Informazione e formazione degli addetti alle procedure di lavoro corrette, come ad esempio l’intercettazione del vapore chiudendo le valvole sulla tubazione interessata dalla riparazione ed attendere il raffreddamento prima di intervenire. In caso di lavoro appaltato a ditta esterna, è necessario il coordinamento del lavoro e delle procedure di sicurezza con il responsabile della sicurezza aziendale.

riferimenti normativi

-         Art. 240 "Protezione delle pareti esterne a temperatura elevata" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         D.P.R. n. 626/1994 e s.m.i.

 

Esposizione a radiazioni infrarosse e ultraviolette

descrizione

Le operazioni di officina che richiedono la saldatura espongono gli addetti a radiazioni infrarosse ed ultraviolette.

danno atteso

Danneggiamento della vista.

prevenzione

Per le operazioni di manutenzione in questo caso è opportuno schermare la sorgente di emissione e indossare D.P.I. (occhiali scuri specifici per la protezione dalle radiazioni).

È importante l’informazione, la formazione e la sorveglianza sanitaria degli addetti (visita e controlli oculistici).

riferimenti normativi

 

Esposizione a schegge incandescenti

descrizione

I lavori di saldatura possono essere causa di esposizione alla proiezione di materiale incandescente.

danno atteso

Ustioni, lesioni agli occhi.

prevenzione

È necessaria la informazione e formazione degli addetti i quali sono tenuti ad indossare guanti, tuta e visiere protettive.

riferimenti normativi

-         D.P.R. n. 626/1994 e s.m.i.

 

Lavoro in prossimità di organi meccanici in movimento

descrizione

Le operazioni di manutenzione e in genere le mansioni di officina, comprese le mansioni elettromeccaniche, possono comportare rischi di presa, trascinamento, urti e schiacciamento.

danno atteso

Lesioni traumatiche quali contusioni, ferite e amputazioni.

prevenzione

Occorre in primo luogo accertarsi che gli impianti siano conformi alle norme di sicurezza. Le macchine e gli impianti devono essere dotate di dispositivo di arresto di emergenza e di dispositivo che impedisca il riavvio intempestivo della macchina in caso ritorni l’alimentazione elettrica dopo che questa era venuta a mancare.

Gli operatori addetti all’officina meccanica devono conoscere in anticipo la parte di macchina o impianto che vanno a manipolare, attraverso la consultazione del manuale di uso e manutenzione in sicurezza. Pertanto l’azienda deve fornire al personale tutte le informazioni necessarie oltre a quelle dettate dalla pratica di esperienza giornaliera. 

È anche necessario scongiurare il pericolo di avviamento intempestivo della macchina da parte di un addetto mentre un altro sta effettuando l’intervento di manutenzione. A tale scopo, prima di iniziare le operazioni di manutenzione, si può attuare una procedura di tipo “Blocca e Segnala”, che può consistere, ad esempio, nel bloccare tutte le forme di energia che possono fare muovere le varie parti della macchina, impossessarsi della chiave del quadro di controllo e apporre su quest’ultimo un cartello con una scritta del tipo “Non azionare la macchina – manutenzione in corso”.

Devono essere vietati interventi a macchina in moto con protezioni rimosse a meno che non vengano utilizzati dispositivi che garantiscano lo stesso livello di sicurezza (ad esempio pulsantiera ad uomo presente che permetta solo l’avanzamento a impulsi e che, una volta inserita, escluda il quadro di comando  della macchina).

Gli addetti devono indossare indumenti idonei, privi di parti svolazzanti che potrebbero essere causa di impigliamento e conseguente presa e trascinamento da parte degli organi meccanici in movimento. Perciò le tute sono da preferire ai grembiuli ed è bene che le maniche siano chiuse al polso.

riferimenti normativi

-         Art. 6 “Doveri dei lavoratori” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 41 “Protezione e sicurezza delle macchine”  D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. III, Capo III "Trasmissioni e ingranaggi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 68 “Protezione degli organi lavoratori e delle zone di operazione delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 72 “Blocco degli apparecchi di protezione”  D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 73 “Aperture di alimentazione e di scarico delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 76 e 77 "Organi di comando per la messa in moto delle macchine" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 81 "Comando con dispositivo di blocco multiplo" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 82 "Blocco della posizione di fermo della macchina" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 233 "Organi di comando e di manovra" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. IX "Manutenzione e riparazione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Tit. III “Uso delle attrezzature di lavoro” D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         D.P.R. n.459 del 24.07.1996 (Direttiva macchine).

-         Norme UNI EN 291/2, 291/2, 614/1, 294, 349, 811, 418, 1037, 1088, 574, 982, 983, 1012/1, 1012/2

 

Movimentazione meccanica e manuale dei carichi

descrizione

Le fasi di riparazione e manutenzione meccanica possono talvolta richiedere il sollevamento e il trasporto di grandi componenti di impianto (ventilatori, tramogge, parti meccaniche o macchine stesse) con rischi infortunistici per urti e schiacciamenti con conseguenti ferite e contusioni. Può avvenire anche il cedimento di una imbracatura o della struttura imbracata.

danno atteso

Lesioni quali contusioni, ferite e amputazioni.

prevenzione

Si vedano le indicazioni di sicurezza riportate nella fase specifica su “movimentazione meccanica dei carichi”. Si ricorda qui in particolare l’importanza della verifica degli impianti di sollevamento e di indossare scarpe di sicurezza ed elmetto. Quest’ultimo diviene indispensabile per impianti o accessori d’impianto composti, infatti in tali spostamenti, possono cadere parti di impianto di peso considerevole che potrebbero accidentalmente essere non ben fissate.

Durante la movimentazione manuale di lamiere sono inoltre possibili  ferite da taglio, pertanto è necessario indossare guanti adeguatamente resistenti.

La movimentazione manuale delle attrezzature di lavoro (valigie degli attrezzi, saldatrici, ecc...) può causare disturbi muscolo-scheletrici. È pertanto opportuno l'utilizzo di carrelli porta attrezzi e carrellini per le bombole di saldatura.

Sono fondamentali l’organizzazione del lavoro, la formazione e l’informazione degli addetti.

riferimenti normativi

-         Tit. V e All. 6 del D.Lgs. n.626 del 10.09.1994.

-         Norma UNI ISO 938.

-         Art. 8 “Vie di circolazione, zone di pericolo, pavimenti e passaggi” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 11 “Posti di lavoro e  di passaggio e luoghi di lavoro esterni” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. X, Capo III, Art. 381 "Protezione del capo" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. V “Mezzi ed apparecchi di sollevamento, trasporto e immagazzinamento” (Capo I “Disposizioni generali”, Capo II “Gru, argani, paranchi e simili”, Capo III “Ascensori e montacarichi”, Capo V “Mezzi ed apparecchi di trasporto meccanici”) D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Art. 10 “Illuminazione naturale e artificiale dei luoghi di lavoro”  D.P.R. n. 303 del 19.03.1956.

-         Tit. II, Capo V "Illuminazione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         All. 1 "Requisiti essenziali di sicurezza e di salute relativi alla progettazione e alla costruzione delle macchine e dei componenti di sicurezza" D.P.R. n.459 del 24.07.1996.

-          Norme UNI 9288, 9289, 9290, 9291, 9292, 9293, UNI EN 281, 614/1, UNI ISO 1074, 2328, 2330, 2331, 3287, 3691, 5053, 5767, 6055.

 

Lavoro in prossimità di parti elettriche

descrizione

Durante le manutenzioni è possibile che l’intervento riguardi parti elettriche, pertanto può esistere il rischio di contatti diretti e indiretti con parti sotto tensione elettrica.

danno atteso

Folgorazione per elettrocuzione.

prevenzione

Occorre in primo luogo accertarsi che gli impianti rispettino le norme di sicurezza. Gli interventi devono essere eseguiti su macchine / impianti disinseriti ed esclusivamente da parte di personale specializzato e formato ad intervenire in sicurezza nei casi specifici che il lavoro richiede.

Per gli apparecchi elettrici portatili (trapano, mola flessibile, saldatrici elettriche), ad ogni utilizzo è anche necessario controllare il buono stato dei cavi di alimentazione.

riferimenti normativi

-         Legge n. 791 del 18.10.1977 "Attuazione della direttiva del consiglio delle Comunità europee (n. 72/23/CEE) relativa alle garanzie di sicurezza che deve possedere il materiale elettrico destinato ad essere utilizzato entro alcuni limiti di tensione".

-         Titolo VII del D.P.R. n. 547/1955 "Impianti macchine ed apparecchi vari"

-         D.M.Ind. del 13.03.1987 "Pubblicazione della lista riassuntiva di norme armonizzate unitamente al recepimento e pubblicazione di ulteriori (4° gruppo) testi italiani di norme C.E.I. armonizzate corrispondenti, di cui all'Art. 3 della legge 18 ottobre 1977, n. 791, sull'attuazione della direttiva n. 73/23/CEE relativa alle garanzie di sicurezza del materiale elettrico"

-         D.M. (Industria) 12.02.1996 "Pubblicazione della lista riassuntiva di norme armonizzate unitamente al recepimento e pubblicazione di ulteriori (4° gruppo) testi italiani di norme C.E.I. armonizzate corrispondenti, di cui all'Art. 3 della legge 18 ottobre 1977, n. 791, sull'attuazione della direttiva n. 73/23/CEE relativa alle garanzie di sicurezza del materiale elettrico".

-         D.Lgs. n. 626 del 25.11.1996 "Attuazione della direttiva 93/68/CEE, in materia di marcatura CE del materiale elettrico destinato ad essere utilizzato entro taluni limiti di tensione".

-         D.Lgs. n. 277 del 31.07.1997 "Modificazioni al D.Lgs. 25 novembre 1996, n. 626 (2), recante attuazione della direttiva 93/68/CEE in materia di marcatura CE del materiale elettrico destinato ad essere utilizzato entro taluni limiti di tensione".

-         D.M.Ind.  del 13.06.1989 "Liste degli organismi e dei modelli di marchi di conformità, pubblicazione della lista riassuntiva di norme armonizzate, unitamente al recepimento ed alla pubblicazione di ulteriori (5° gruppo) testi italiani di norme C.E.I., in applicazione della L. 18 ottobre 1977, n. 791, sull'attuazione della direttiva n. 73/23/CEE, relativa alla garanzia di sicurezza del materiale elettrico".

-         Art. 5, 6, 7 sez. II; Art. 9 sez. III, della Direttiva CEE/CEEA/CE n. 656 del 30.11.1989: " Direttiva del Consiglio del 30 novembre 1989 relativa alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e salute per l'uso da parte dei lavoratori di attrezzature di protezione individuale durante il lavoro (D.P.I.) (terza direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE)".

-         Legge n. 46 del 05.03.1990 "Norme per la sicurezza degli impianti "

 

Utilizzo del cannello ossiacetilenico

descrizione

L’utilizzo del cannello ossiacetilenico per la saldatura, può essere causa per gli addetti di esposizione a vari rischi.

danno atteso

Ustioni per contatto con la fiamma o superfici calde; lesioni traumatiche, in caso di scoppio delle bombole, le cui conseguenze per gli addetti potrebbero essere fatali; danni alla vista per esposizione a calore radiante e radiazioni luminose; intossicazioni e danni all’apparato respiratorio per esposizione ai fumi di combustione.

prevenzione

L’attrezzatura ossiacetilenica deve essere dotata di valvole di sicurezza applicate quanto più possibile vicine ai cannelli, in modo tale da impedire il ritorno di fiamma e l’afflusso dell’ossigeno o dell’aria nelle tubazioni del gas combustibile, permettere un sicuro controllo in ogni momento del suo stato di efficienza, impedire la possibilità che avvenga uno scoppio per ritorno di fiamma.

Per ridurre l’esposizione ai fumi di combustione sono necessari impianti di aspirazione localizzata, fissi o portatili.

Gli addetti devono essere adeguatamente informati e formati alle corrette modalità di lavoro e all’utilizzo dei D.P.I. (tuta, guanti, maschere filtranti, occhiali o visiere) e sottoposti a sorveglianza sanitaria.

riferimenti normativi

-         Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.

-         Tit. II, Art. 9 “Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi” e Capo II “Difesa dagli agenti nocivi” del D.P.R. n.303 del 19.03.1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”.

-         Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.

-         Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.

 

 

 

Stoccaggio e movimentazione bombole per cannello ossiacetilenico

descrizione

Lo stoccaggio delle bombole per il cannello ossiacetilenico può comportare il rischio di fughe di gas e di scoppio, quest'ultimo dovuto in particolare al fatto che l'acetilene disciolto può decomporsi in idrogeno e carbonio. L'energia di attivazione della reazione di decomposizione dell'acetilene è relativamente bassa,  ad esempio può essere sufficiente una esposizione prolungata al calore, e/o un forte urto della bombola. La reazione di composizione può durare anche diverse ore, tanto che l'esplosione può avvenire anche il giorno successivo a quello in cui il contenitore ha subito l'insulto; in altri comparti produttivi, si sono verificati infortuni mortali a causa dell'esplosione di bombole di acetilene, pertanto è necessaria la massima attenzione nello stoccaggio, movimentazione ed utilizzo di bombole di acetilene. Depositi con quantitativi maggiori o uguali a 75 Kg., sono soggetti a controllo obbligatorio di prevenzione incendi (D.M.I. del 16.02.1982).

danno atteso

Lesioni traumatiche, in caso di scoppio delle bombole; possibili disturbi muscolo – scheletrici in caso di movimentazione manuale. 

prevenzione

Le bombole devono essere dotate della prescritta etichettatura ed essere stoccate in luogo separato, ventilato, al riparo dalle intemperie e lontane da fonti di calore. Nel locale di stoccaggio deve essere disposto e segnalato il divieto di fumare e usare fiamme libere. L’impianto elettrico deve essere idoneo alla classificazione di pericolosità del luogo secondo le norme CEI e deve essere rispettata la normativa generale antincendio. É opportuno predisporre una procedura di emergenza in caso si sospetti che le bombole di acetilene abbiano subìto un insulto tale che possa dare luogo ad esplosione.

Per la prevenzione dai disturbi muscolo scheletrici è opportuno l’utilizzo di appositi carrelli (si veda anche il paragrafo relativo alla movimentazione manuale).

Gli addetti devono essere informati e formati.

riferimenti normativi

-         vedere il paragrafo relativo a “esplosione - incendio”.

-         D.Lgs. n. 626/1994 e s.m.i.

 

 

APPALTI ESTERNI

In genere, tutte le opere di manutenzione preventiva e non, vengono programmate dall’azienda ed eseguite da apposite squadre di manutenzione, le quali talvolta sono costituite da ditte esterne che lavorano presso la sede del caseificio.

 

IMPATTO ESTERNO

 

I principali fattori di impatto ambientale in questa fase lavorativa sono i seguenti:

 

Emissioni in atmosfera

Polveri, fumi e vapori che si sviluppano durante le riparazioni meccaniche sugli impianti possono diffondere nell’ambiente esterno. Si tratta di emissioni saltuarie in quanto dovute a manutenzioni e riparazioni e non direttamente connesse con il ciclo produttivo; in genere sono emissioni diffuse (cioè non convogliate) e, quando vengono utilizzati dispositivi mobili di aspirazione localizzata, l’aria filtrata viene nuovamente immessa nell’ambiente di lavoro. 

 

Diffusione di rumore all’esterno

Alcune lavorazioni, specie quelle che necessitano l’utilizzo di attrezzature manuali (quali ad esempio martelli) e utensili elettrici (mole, trapani, ecc…) possono provocare diffusione di rumore nell’ambiente esterno con conseguente disturbo della popolazione. La soluzione consiste in primo luogo nel cercare di ridurre il rumore alla fonte, effettuare le lavorazioni più rumorose in orari diurni, utilizzare schermature fonoisolanti - fonoassorbenti.

 

Produzione di rifiuti

I principali rifiuti prodotti in questa fase sono:

-         lamiere e parti meccaniche derivate dalla sostituzione e/o demolizione di parti di macchine e impianti meccanici.

-         oli minerali esausti utilizzati per la lubrificazione delle macchine, sostituiti durante la manutenzione.

 

Consumo delle risorse

I consumi principali in questa fase riguardano oli minerali per la lubrificazione delle macchine, materiali per saldatura (elettrodi, gas per cannello ossiacetilenico), lamiere e parti metalliche. Inoltre si ha consumo di energia elettrica per l’alimentazione delle macchine utensili fisse o portatili.

 

I principali fattori di rischio ambientale in questa fase lavorativa sono i seguenti:

 

Sversamenti

Durante le operazioni di manutenzione, in particolare di smontaggio e sostituzione di parti meccaniche, possono avvenire sversamenti di eventuali prodotti chimici utilizzati negli impianti (soluzioni per il lavaggio, ecc…). Inoltre possono avvenire sversamenti di oli minerali durante la sua sostituzione in macchine e impianti.

Lo sversamento di tali inquinanti può provocare l’inquinamento del suolo e delle acque, pertanto sono necessarie misure organizzative, procedurali ed impiantistiche, atte a contenere e raccogliere eventuali sversamenti, e per lo smaltimento corretto dei prodotti recuperati.   

 

Esplosione – Incendio

Lo stoccaggio di bombole ossiacetileniche e l’attività di saldatura possono determinare rischi di esplosione ed incendio che può estendersi a tutta l’azienda, con conseguente inquinamento dovuto alla emissione in atmosfera dei prodotti di combustione ed il rischio di spargimento delle acque utilizzate per lo spegnimento dell’incendio.

 


RIFERIMENTI NORMATIVI DI CARATTERE GENERALE

 

-         D.P.R. n. 547 del 27.04.1955 (G.U. n. 158 del 02.07.1955) – Norme generali per la prevenzione degli infortuni. Norme per prevenzione degli infortuni sul lavoro.

-         D.P.R. n. 302 del 19.03.1956 – Norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro integrative di quelle generali emanate con D.P.R. n. 547/1955.

-         D.P.R. n. 303 del 19.03.1956 – Norme generali per l’igiene del lavoro.

-         D.M.L. del 28.07.1958 – Presidi chirurgici e farmaceutici aziendali.

-         D.M.L. del 12.09.1958 – Istituzione del registro degli infortuni.

-         D.P.R. n. 1124 del 30.06.1965 – Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

-         Legge n. 977 del 17.10.1967 – Tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti.

-         Legge n. 300 del 20.05.1970 – Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento.

-         Legge n. 1204 del 30.12.1971 – Tutela delle lavoratrici madri.

-         D.M.L. del 18 aprile 1973 - Elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia contro gli infortuni sul lavoro e la malattie professionali.

-         D.P.R. n. 1026 del 25.11.1976 – Regolamento di esecuzione della Legge n. 1204 del 30.12.1971 sulla tutela delle lavoratrici madri.

-         Legge n. 833 del 23.12.1978 – Istituzione del servizio sanitario nazionale.

-         Legge n. 46 del 05.03.1990 – Norme per la sicurezza degli impianti

-         D.Lgs. n. 277 del 15.08.1991 – Attuazione delle direttive n. 80/1107/CEE, n. 82/605/CEE, n. 83/477/CEE, n. 86188/CEE e n. 88/642/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizioni ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro a norma dell’Art. 7 della Legge n. 212 del 30.07.1990.

-         D.Lgs. n. 77 del 25.01.1992 – Attuazione della direttiva 88/364/CEE in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici.

-         D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 (con successive modifiche e integrazioni) “Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE,  89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 97/42/CE e 99/38/CE riguardanti il  miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro”.

-         D.Lgs. n. 242 del 19.03.1996 – Modifiche ed integrazioni al D.Lgs. n. 626/1994, recante attuazione di direttive comunitarie riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro.

-         Circolare Ministero del Lavoro n. 89 del 27.06.1996 – Direzione generale dei rapporti di lavoro Divisione VII - D.Lgs. n. 242/1996, , contenente modificazioni ed integrazioni al D.Lgs. n. 626/1994, in materia di sicurezza e salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. Direttive per l’applicazione.

-         D.P.R. n. 459 del 24.07.1996 – Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 81/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento degli stati membri relative alle macchine.

-         D.Lgs. n. 493 del 14.08.1996 – Attuazione della Direttiva 92/58/CEE concernente le prescrizioni minime per la segnaletica di sicurezza e/o di salute sui luoghi di lavoro.

-         D.Lgs. n. 494 del 14.08.1996 – Attuazione della Direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e/o di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili.

-         D.Lgs. n. 645 del 25.11.1996 – Recepimento della Direttiva 92/85/CEE concernente il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.

-         Circolare n. 172 del 20.12.1996 – Ulteriori indicazioni in ordine di applicazione del D.Lgs. n. 626/1994, come modificato dal D.Lgs. n. 242/1996.

-         D.M.L. del 16.01.1997 – Individuazione dei contenuti minimi della formazione dei lavoratori, dei rappresentanti per la sicurezza e dei datori di lavoro che possono svolgere direttamente i compiti propri del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione.

-         D.Lgs. n. 359 del 04.08.1999 “Attuazione della Direttiva 95/63/CE, che modifica la Direttiva  89/394/CEE, relativa ai requisiti minimi di sicurezza e salute per l'uso di attrezzature di lavoro da parte dei lavoratori”.

-         D.Lgs. n. 66 del 25.02.2000 “Attuazione delle Direttive 97/42/CE e 99/38/CE, che modificano la Direttiva  90/394/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i  rischi  derivanti  da esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro”.

 

Tabella riassuntiva

VALORI LIMITE DI ESPOSIZIONE AL RUMORE

e relative misure di prevenzione ai sensi del D.Lgs. n. 277/1991.

Valori limite

Principali misure da attuare al superamento dei valori limite

Lep,d 80 dB(A)

-          Informare i lavoratori su:

-          rischi per l'udito derivanti  dall'esposizione al rumore;

-          le misure adottate in applicazione delle norme vigenti;

-          le misure di protezione cui i lavoratori debbono conformarsi;

-          la funzione dei mezzi individuali di protezione, le circostanze in cui ne è previsto l'uso e le modalità di uso;

-          il significato ed il ruolo del controllo sanitario per mezzo del medico competente;

-          i risultati ed il significato della valutazione del rumore.

-          Sottoporre a controllo sanitario i lavoratori interessati che ne facciano richiesta ed il medico competente ne confermi l'opportunità, anche al fine di individuare eventuali effetti extrauditivi.

-          Privilegiare all'atto dell'acquisto di nuovi utensili, macchine, apparecchiature, quelli che producono, nelle normali condizioni di funzionamento, il più basso livello di rumore.

Lep,d 85 dB(A)

-          Formare i lavoratori su:

-          uso corretto dei mezzi individuali di protezione dell'udito;

-          uso corretto, ai fini della riduzione al minimo dei rischi per l'udito, degli utensili, macchine, apparecchiature che, utilizzate in modo continuativo, producono un Lep,d pari o superiore a 85 dB(A);

-         Sottoporre a controllo sanitario i lavoratori esposti (indipendentemente dall'uso di D.P.I.). La frequenza delle visite successive è stabilita dal medico competente comunque ad intervalli non superiori a due anni.

-         Corredare da un'adeguata informazione relativa al rumore prodotto nelle normali condizioni di utilizzazione ed ai rischi che questa comporta, i nuovi utensili, macchine e apparecchiature destinati ad essere utilizzati durante il lavoro che possono provocare ad un lavoratore che li utilizzi in modo appropriato e continuativo un'esposizione quotidiana personale al rumore pari o superiore al limite.

Lep,d 90 dB(A)

 

oppure

 

Pressione acustica istantanea non ponderata

140 dB

(200 Pa)

-          Esporre una segnaletica appropriata, perimetrare e limitare l’accesso ai luoghi di lavoro.

-          Fornire ai lavoratori i D.P.I per la protezione dell'udito.

-          Consultare i lavoratori per la scelta dei modelli dei D.P.I.

-          I lavoratori la cui esposizione quotidiana personale supera 90 dB(A) sono tenuti ad utilizzare i D.P.I.

-          Sottoporre a controllo sanitario i lavoratori esposti (indipendentemente dall'uso di D.P.I.). La frequenza delle visite successive è stabilita dal medico competente comunque ad intervalli non superiori ad un anno.

-          Adottare misure preventive e protettive per singoli lavoratori, in conformità al parere del medico competente, al fine di favorire il recupero audiologico. Tali misure possono comprendere la riduzione dell'esposizione quotidiana personale del lavoratore, conseguita mediante opportune misure organizzative.

-          Tenuta del registro degli esposti.

-          Comunicare all'organo di vigilanza, informando i lavoratori, le misure tecniche ed organizzative applicate, qualora l'esposizione quotidiana personale di un lavoratore al rumore risulti superiore ai limiti nonostante l'adozione delle misure preventive.

 


BIBLIOGRAFIA:

 

-         Atti del convegno nazionale Lavoro e salute in agricoltura tenutosi a Punta Ala 5-8 ottobre 1993, volume II, a cura di E. Desideri, edito da Regione Toscana - ASL n° 28 Area Grossetana.

-         A.R.S.I.A. - Regione Toscana,  Video n. 17 "L'igiene e la sicurezza del lavoro nell'industria casearia".

-         A.R.S.I.A. - Regione Toscana, Quaderno n. 7/99 "Il formaggio pecorino toscano".

-         Ottavio Salvadori Del Prato, Trattato di tecnologia casearia, Edagricole, Settembre 1998.

-         Giancarlo Del Bono, Alfredo Stefani, Latte e derivati, Edizioni ETS, Pisa, 1997.

-         C.M. Bourgeois, J.F.Mescle, J. Zucca, “Microbiologie alimentaire”, tome 1, Paris, Technique et Documentation – Lavoisier, Apria, 1990 – Collection sciences et techniques agro-alimentaires.

-         Caseificio Sociale Manciano s.c.r.l. - CD-ROM "Il caseificio sociale di Manciano".

-         ENEA “Manuale per l’uso razionale dell’energia nell’industria casearia”

Dr.ssa Funaro Tel. 06 30481