ARPAT
Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana
Settore Tecnico CEDIF
Comunicazione Educazione
Documentazione Informazione Formazione
"Profili di rischio per comparto produttivo"
CASEIFICI
Nell'area di
Grosseto, Siena e Firenze
Responsabile del procedimento la ricerca: Stefano Beccastrini
Autori della ricerca: Giuseppe Banchi, Claudio Nobler, Danila
Scala.
Con la collaborazione di: Mariella Fantacci, Rodolfo Amati,
Alessandro Giomarelli, Lucia Bastianini, Sonia Savini, Alberto Lolini.
Ricerca aggiornata al Novembre 2000
1.
- GENERALITA’ SUL COMPARTO.
Nella presente ricerca si prende in esame il
comparto produttivo dei caseifici per la produzione dei formaggi, in
particolare nelle province di Firenze, Siena e Grosseto, nelle quali si ha la
maggiore produzione della Regione Toscana.
Tabella 1.1 - Consistenza del comparto nel periodo 1996/1999 Comparto produttivo: CASEIFICI nella Regione Toscana - Fonte: INAIL |
||
ANNO |
TOTALE AZIENDE |
TOTALE ADDETTI |
1996 |
68 |
899 |
1997 |
66 |
867 |
1998 |
70 |
925 |
1999 |
74 |
861 |
Da una nostra ricerca effettuata nell'anno 2000,
attraverso Pagine Gialle On-line Ò, si sono censite in Toscana
58 aziende (delle quali alcune con più di uno stabilimento produttivo), così
distribuite nelle varie province:
Tabella 1.2 - Distribuzione per provincia delle aziende censite in
una nostra ricerca Comparto produttivo: CASEIFICI nella Regione Toscana (anno 2000) |
|
Provincia |
N° di aziende |
Arezzo |
5 |
Firenze |
6 |
Grosseto |
13 |
Livorno |
4 |
Lucca |
10 |
Massa Carrara |
1 |
Pisa |
5 |
Pistoia |
2 |
Prato |
1 |
Siena |
11 |
Totale |
58 |
Nella regione Toscana la quantità di latte destinata
alla caseificazione, in base a stime del 1995 è di circa 100 milioni di litri
di cui oltre il 55% di origine ovicaprina. Le province che maggiormente
contribuiscono alla produzione del latte e alla sua successiva trasformazione
casearia sono Grosseto, Siena e Firenze.
I formaggi tipici prodotti in Toscana sono molto
apprezzati e nel Giugno 1996 si è avuto il riconoscimento ufficiale da parte
della Comunità Europea della Denominazione di Origine Protetta (D.O.P.) per il
formaggio pecorino Toscano, come giàper il pecorino Romano ed altri.
Diverse sono le tipologie dei caseifici presenti in
Toscana: sono presenti piccolissimi laboratori artigianali nei quali si lavora
solo il latte prodotto in azienda; aziende tecnologicamente avanzate che, per
dimensioni e quantità prodotte, sono caratterizzate da una produzione di tipo
industriale rivolta al mercato nazionale ed estero; aziende di dimensione medie
rispetto alle precedenti.
Per quanto riguarda gli infortuni e le malattie
professionali riportiamo i dati ufficiali INAIL dell'ultimo quinquennio per
tutto il comparto:
Tabella 1.3 - Infortuni e malattie professionali periodo 1995/2000: casi denunciati all'INAIL, riconosciuti, indennizzati Comparto produttivo Caseifici
nella Regione Toscana |
|||||
INFORTUNI |
|||||
ANNO |
DENUNCIATI |
INDENNIZZATI |
TOTALE INDENNIZZATI |
||
TIPO CONSEGUENZA |
|||||
TEMPORANEA |
PERMANENTE |
||||
1995 |
50 |
47 |
- |
47 |
|
1996 |
63 |
50 |
3 |
53 |
|
1997 |
49 |
46 |
1 |
47 |
|
1998 |
59 |
51 |
4 |
55 |
|
1999 |
51 |
45 |
1 |
46 |
|
2000 (@) |
34 |
24 |
1 |
25 |
|
Totale 1995/2000 |
306 |
263 |
10 |
273 |
|
MALATTIE
PROFESSIONALI |
|||||
ANNO |
DENUNCIATE (#) |
INDENNIZZATE (#) |
TOTALE INDENNIZZATE |
||
TIPO CONSEGUENZA |
|||||
TEMPORANEA |
PERMANENTE |
||||
1995 |
- |
- |
- |
- |
|
1996 |
1 |
- |
- |
- |
|
1997 |
- |
- |
- |
- |
|
1998 |
4 |
- |
- |
- |
|
1999 |
2 |
- |
- |
- |
|
2000 (@) |
2 |
- |
1 |
1 |
|
Totale
1995/2000 |
9 |
|
1 |
1 |
Fonte: INAIL. - (#): tutte le malattie
professionali (denunciate e indennizzate) presentano il codice: 99 - non tabellate.
(@): dati parziali, fino a Settembre 2000
Tabella delle percentuali
di addetti esposti al rumore (per valori di esposizione
e grandezza del caseificio) |
|||||
Azienda
|
Addetti (%) |
LEPd<80(%) |
80<
LEPd<85
(%) |
85<
LEPd<90
(%)
|
LEPd>90
(%) |
Caseifici piccoli (numero addetti < 10) |
23 |
83 |
17 |
- |
- |
Caseifici medi (numero addetti <20) |
33 |
- |
94 |
- |
6 |
Caseifici grandi (numero addetti >20) |
44 |
6 |
51 |
43 |
- |
Totale (%) dei caseifici |
100 |
21 |
57 |
20 |
2 |
Fonte: Atti del convegno nazionale “ Lavoro e salute in agricoltura”, Punta Ala, ottobre 1993.
2. - DESCRIZIONE GENERALE
DEL CICLO DI LAVORAZIONE
Il ciclo lavorativo dei caseifici in studio presenta
alcune differenze nelle diverse aziende del comparto
dell'area di riferimento, sia in funzione del prodotto finito che della
tecnologia impiegata.
In particolare nei caseifici a produzione
industriale l'utilizzo di alcune macchine rende certe fasi lavorative
completamente o parzialmente automatizzate, mentre nelle aziende artigianali
esse continuano ad essere svolte con operazioni manuali.
Nella figura seguente si riporta uno schema a
blocchi sintetico del ciclo lavorativo dei caseifici nella nostra area di
riferimento.
Le principali fasi lavorative dell’industria
casearia in Toscana sono le seguenti:
Approvvigionamento
e stoccaggio del latte: il latte giunge a mezzo autobotti e viene stoccato in serbatoi inox
refrigerati.
Trattamento
preliminare del latte: il latte prelevato automaticamente dai serbatoi di stoccaggio passa
alla fase di debatterizzazione
(chiamata anche pulitura) e di pastorizzazione. In alcuni caseifici il
pastorizzatore e la pulitrice sono situati nello stesso ambiente adibito alla
produzione; in altri, specie quelli a produzione industriale, sono in un locale
separato.
Cagliatura del
latte: il
latte passa in vasche polivalenti che sono contenitori in acciaio inox muniti di
pale per rimescolare. Al latte vengono aggiunti il caglio ed i fermenti lattici
vivi che lo trasformano in un coagulo compatto.
Preparazione
del formaggio:
nei caseifici a produzione industriale un formatore automatico distribuisce e
dosa la cagliata in opportune forme, mentre nei caseifici a produzione
artigianale questa operazione è manuale: la cagliata viene immessa in carrelli
sui quali poggiano i cestelli; al di sopra dei cestelli viene messo un piano
munito di fori dello stesso diametro di quello dei cestelli; gli addetti
pressano la cagliata nei cestelli per ottenere la forma voluta di formaggio.
Produzione
della ricotta:
il siero proveniente dalla lavorazione del formaggio viene immesso in caldaie a
doppio fondo, nelle quali passa del vapore che viene riscaldato alla
temperatura di 80°C. La ricotta inizia a salire in superficie, viene raccolta e
depositata nei cestelli.
Stufatura del
formaggio:
avviene in camera calda termostatata, oppure in contenitori riscaldati con
vapore; nei caseifici industriali è automatica: avviene in camera calda, dove
la movimentazione delle forme tra la
camera calda e il locale di produzione avviene con robot.
Salatura del
formaggio:
il sale viene cosparso sulle forme in
forma solida, oppure le stesse vengono immerse in una soluzione salina
(salamoia).
Stoccaggio e
stagionatura del formaggio: le forme vengono trasportate in celle frigorifere con movimentazione
manuale. Viene periodicamente effettuato il ribaltamento e pulita delle forme.
Lavaggio
fustelle:
nei caseifici a produzione industriale e in alcuni non industriali questa
operazione richiede l’impiego di una macchina; la macchina si trova in locale
separato oppure nello stesso locale adibito alla produzione del formaggio. La
macchina è costituita da una caldaia nella quale vengono poste, in apposite
gabbie, le fustelle da lavare. Negli altri caseifici, più piccoli, il lavaggio
è manuale.
Etichettatura
e confezionamento: il formaggio maturo viene confezionato a mano o a
macchina; talvolta, prima del confezionamento, il formaggio viene porzionato.
Stoccaggio
prodotti finiti e consegna ai clienti: i cartoni con il formaggio confezionato vengono
temporanemente stoccati in celle frigorifere, in attesa di venire movimentati
per essere caricati sugli automezzi frigoriferi che effettuano la consegna.
Sanificazione: si effettua
quotidianamente la detergenza e la disinfezione degli impianti.
Laboratorio: si effettuano analisi
chimiche e batteriologiche, volte sia al monitoraggio dei parametri
fondamentali per un corretto controllo di qualità delle materie prime e del
prodotto finito.
Depurazione
acque di scarico: le acque di lavaggio degli impianti, vengono depurate in un apposito
impianto prima di essere scaricate.
2.1 - SCHEMA A
BLOCCHI
Come esempio, non generalizzabile a tutte le aziende
del comparto, ma comunque
significativo per una certa tipologia di prodotto, riportiamo qui la sequenza
temporale delle varie fasi di lavorazione corrispondente ad uno dei caseifici
della provincia di Firenze:
Produzione formaggio
ORE 06:00
Ha inizio il trattamento del
latte (pastorizzazione) e il riempimento delle caldaie.
ORE 06:30
Il lavoratore che svolge la mansione detta Casaro dei formaggi aggiunge al latte una miscela di fermenti, ceppi di batteri lattici selezionati, formulata diversamente per ogni tipo di formaggio da ottenere; di li a poco aggiungerà anche il caglio.
ORE 07:00
Il latte accagliato è ormai trasformato in un grande budino che il Casaro taglia, per mezzo di una lira a fili d'acciaio fino a sminuzzarla alla grossezza desiderata (noce, nocciola, chicco di mais, chicco di riso, etc..).
ORE 07:30
Tutto è pronto per il riempimento degli stampi dove il siero si separa dalla cagliata e il formaggio prende la forma voluta: più grosso da stagionare, più piccolo da consumarsi appena abbucciato, e poi stondato, marzolino, canestrato e cosi via.
ORE 11:00
Senza mai fermarsi vengono
riempiti tutti gli stampi necessari e trasferiti nella camera calda dove i
formaggi sono rivoltati una, due, tre, quattro, cinque volte negli stampi
aspettando di raggiungere la maturazione necessaria ad opera del fermento.
ORE 16:00
Ormai tutto il formaggio è stato trasferito dalla camera calda alla camera fredda dove staziona per un tempo più o meno lungo prima di essere tolto dagli stampi ed immerso nella salamoia.
ORE 16:00 (del giorno dopo)
Il formaggio ha raggiunto il giusto grado di salatura, viene tolto dal bagno di salamoia, sgocciolato ed avviato alle celle di stagionatura dove lo aspetta un lungo periodo di maturazione e di cura sotto l'attento controllo degli Stagionatori e del Casaro che ne preleva il migliore per quella che viene chiamata la sua riserva.
Produzione mozzarella
ORE 23:00
Si inizia il processo che porta alla produzione delle mozzarelle, ed anche in questo caso si comincia con il trattamento del latte (pastorizzazione) ed il riempimento delle caldaie.
ORE 00:30
Il Casaro delle mozzarelle, dopo aver immerso nel latte i fermenti selezionati, aggiunge il caglio per la coagulazione.
ORE 01:30
La cagliata viene tagliata prima a mano, con una lama, in grosse fette, poi con la lira a fili d'acciaio fino a ridurla a piccoli pezzi grossi come una nocciola.
ORE 03:30
E' finita l'operazione di scarico, la cagliata, separata dal siero, riposa adesso al caldo su grandi carrelli; inizia il periodo di maturazione abbastanza lungo per consentire al fermento di terminare il suo lavoro.
ORE 05:00
Iniziano le prove di filatura: con una tecnica vecchia di secoli, il Casaro prova e riprova a filare la pasta ottenuta con un mastellino pieno d'acqua bollente ed una bacchetta a forma di forcella.
ORE 06:30
E' tutto pronto per la filatura, il Casaro delle mozzarelle può finalmente andare a dormire lasciando al Filatore il compito di trasformare il suo lavoro nei prodotti che conosciamo.
ORE 07:30
Si formano i primi bocconi di mozzarella.
ORE 09:00
Mani esperte e veloci iniziano ad annodare la treccia; esperte perché annodare la treccia non è facile, veloci perché la pasta filata scotta.
Produzione prodotti speciali
ORE 10:30
E' la volta dei cosiddetti prodotti speciali. Sempre a mano si inietta dentro l'involucro di pasta filata il ripieno della Tenerella, un impasto di mozzarella e panna che può essere aromatizzato anche al tartufo o al salmone.
ORE 11:30
Le sfoglie di mozzarella sono spianate, si riempiono di prosciutto cotto, olive, o carciofini sott'olio e si arrotolano a mano per formare i silani farciti.
ORE 13:00
La produzione è terminata e tutta riposta nella cella frigorifera a 4 °C. Nel pomeriggio si procederà al carico dei camion per la consegna ai clienti. Rimangono gli addetti alle ricotte, anche loro avevano iniziato al mattino presto la cottura del siero, e continuano, come vuole la tradizione, a riempire col mestolo le fustelle troncoconiche di fumante ricotta.
3.
ANALISI DEI
RISCHI E DELLE SOLUZIONI
APPROVVIGIONAMENTO E STOCCAGGIO DEL LATTE
All. 3
|
|
|
|
1. COMPARTO: |
Caseifici |
|
|
|
|
|
|
2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
Approvvigionamento e stoccaggio del latte |
|
|
|
|
|
|
3. COD.INAIL: |
|
|
|
|
|
|
|
4. FATTORI DI
RISCHIO: |
Agenti biologici. Rischi per la sicurezza. |
|
|
|
|
|
|
5. CODICE DI
RISCHIO: |
|
|
|
(riservato all’ ufficio) |
|
|
|
|
|
|
|
6. N. ADDETTI: |
60 |
|
|
|
|
|
|
DESCRIZIONE DELLA FASE
La refrigerazione del latte
inizia alla stalla, allo scopo di contenere al massimo la contaminazione
microbica. Questo consente al caseificio di non dover necessariamente lavorare
il latte immediatamente all'arrivo nello stabilimento.
Al ricevimento latte
proveniente dalle varie stalle o dai centri di raccolta, nel caseificio si
compiono operazioni importantissime, in particolare il controllo di qualità del
latte conferito e il prelievo dei campioni di latte da destinare alle analisi
chimico-microbiologiche (si veda la fase laboratorio).
Il latte giunge al
caseificio in autocisterne refrigerate (il ricevimento del latte in bidoni è
ormai pressoché abbandonato) ed una volta effettuate le suddette verifiche, può
essere smistato dall'autocisterna direttamente alle varie lavorazioni, ma più
frequentemente viene stoccato in silos refrigerati (chiamati anche tanks) attraverso una serie di pompe e
tubazioni in acciaio inossidabile.
L'addetto
al trasporto del latte con autocisterna compie in genere anche il prelievo di
campioni di latte, da inviare al laboratorio, e la pulizia dell'autocisterna
una volta che essa è stata svuotata. Per compiere tali operazioni l'addetto
accede alla sommità dell'autocisterna.
Per quanto riguarda le caratteristiche del latte, si
può riferimento alle seguenti tabelle (C.M. Bourgeois, J.F.Mescle, J. Zucca, “Microbiologie alimentaire”, tome 1,
Paris, Technique et Documentation – Lavoisier, Apria, 1990):
CONVERSIONE VOLUME / PESO |
|
1 litro di latte |
1.032 grammi |
CARATTERISTICHE FISICHE DEL LATTE |
|
pH (20°C) |
6,5 – 6,7 |
Acidità
titolabile |
15 – 18 °D |
Densità |
1,028 – 1,036 |
Temperatura di
congelamento |
-0,51 – -0,55 °C |
COMPOSIZIONE CHIMICA GLOBALE DEL LATTE [grammi / litro] |
|
Acqua |
902 |
Glucidi
(lattosio) |
49 |
Lipidi Fosfolipidi Composti liposolubili Totale materie grasse |
38 0,5 0,5 39 |
Caseina Proteine non solubili Totale proteine Azoto
non proteico Totale
materie azotate |
28 4,4 32,7 0,3 33 |
Sali minerali |
9 |
Vitamine, enzimi |
Tracce |
Gas
disciolti |
5%
del volume del latte |
Materia
secca totale |
130 |
MICRORGANISMI AEROBICI
MESOFILI PRESENTI NEL LATTE* |
|
||
Micrococchi |
Micrococcus,
Staphylococcus. |
30 – 99 % |
|
Streptococchi |
Enterococcus, Streptococchi del gruppo N,
Streptococchi delle mastiti. |
0 - 50 % |
|
Batteri asporigeni Gram positivi |
Microbacterium, Coryneabacterium, Arthrobacter, Kurthia. |
< 10 % |
|
Spore di Bacillus |
Bacillus. |
< 10 % |
|
Batteri Gram negativi |
Pseudomonas,
Acinetobacter, Flavobacterium, Enterobacter, Klebsiella, Escherichia,
Serratia, Alcaligens, Brucella. |
< 10 % |
|
Altri tipi |
Streptomiceti, Lieviti, Muffe. |
< 10 % |
|
*microrganismi sensibili ai trattamenti di sanificazione
ALCUNI MICRORGANISMI TERMORESISTENITI E PSICROTROFI* |
|
Termoresistenti |
Microbacterium, micrococcus, spore di Bacillus (B. licheniformis, B. cereus), spore di Clostridium. |
Psicrotrofi |
Pseudomonas, Acinetobacter, Flavobactoter, Enterobacter, Alcaligens. |
*microrganismi che possono sopravvivere ai trattamenti di sanificazione
Il latte prelevato da un animale sano ed in
condizioni igieniche adeguate contiene pochi microrganismi (meno di 5000 germi
per ml), fra cui non si trovano germi patogeni per l’uomo (Mycobacterium bovis,
Mycobacterium tubercolosis, Brucella abortus, Streptococcus agalactiae,
escherichia coli, salmonella, Leptospira, listeria monocytogenes, Bacillus
cereus, Pasteurella multicida, Clostridium perfringens, Coxiella burnettii,
campylobacter, Yersinia, staphylococcus aureus).
ATTREZZATURE E
MACCHINE
Impianto di
ricevimento del latte
Il latte proveniente dall'autocisterna può seguire
un percorso attraverso vari impianti quali:
-
degasatore in linea, che ha lo scopo di
eliminare odori e gas estranei al latte e rendere più accurata la sua
misurazione;
-
filtro a maglie, per l'eliminazione di eventuale sporcizia grossolana dal latte;
-
misuratore volumetrico del
latte di
tipo meccanico o elettromagnetico;
-
serbatoio intermedio (opzionale), che ha lo scopo
di fare da polmone per il silos;
-
scambiatore termico (opzionale), che ha lo scopo di effettuare il
trattamento termico e/o la refrigerazione del latte;
-
cisterne di stoccaggio del
latte, che possono essere una o più.
Misuratore
volumetrico del latte
Il misuratore della quantità di latte introdotto
nell'impianto, viene effettuata attraverso una misura di volume. Il principio
di funzionamento del misuratore può essere meccanico o elettromagnetico.
Il misuratore
meccanico è essenzialmente costituito da una camera cilindrica nella quale
ruota un cilindro cavo eccentrico e che nel suo movimento lascia un
predeterminato spazio vuoto che viene riempito di latte. Il numero di rotazioni
del cilindro determina pertanto il volume del latte che entra nell'impianto.
Tale numero viene convertito direttamente nell'equivalente valore in litri e
reso disponibile sullo strumento di lettura. Questo tipo di misuratore è
affidabile fino a quando resta integro e pulito, pertanto necessita di essere
periodicamente smontato per una accurata pulizia.
Il misuratore
elettromagnetico è essenzialmente costituito da una tratto di tubo a
diametro costante circondato da un elettromagnete; il latte che entra
nell'impianto passando dal misuratore, attraversa le linee di forza del campo
magnetico generato dall'elettromagnete, perturbandole; questo determina una
differenza di potenziale ai capi di una spira montata intorno al tubo,
proporzionale alla velocità del flusso di latte che lo attraversa (1).
Grazie alla formula di Bernoulli (2), il valore della differenza di
potenziale misurata, viene convertita in litri e resa disponibile sul pannello
di lettura dello strumento. Questo tipo di misuratore ha il vantaggio di poter
essere pulito facilmente con un ciclo C.I.P. (vedere la fase sanificazione) senza dover essere
smontato.
Cisterne di
stoccaggio del latte
Si tratta di serbatoi di acciaio inox
termicamente isolati e refrigerati, aventi la forma di silos verticali o
orizzontali. Per quanto riguarda la capacità dei serbatoi del latte, si cita
come esempio il caso di una azienda del comparto
a produzione industriale, che nell'anno 1999 ha lavorato circa 3.100.000 litri
di latte di vacca e 2.000.000 litri di latte di pecora, dispone dei seguenti
serbatoi: n.6 da 25.000 litri; n.1 da 20.000 litri; n.2 da 10.000 litri.
Di regola i serbatoi sono ubicati all'esterno dello
stabilimento produttivo, nelle immediate adiacenze del reparto dove avviene il
trattamento preliminare del latte. Le moderne cisterne sono dotate di un
dispositivo di agitazione (lenta ma continua) che previene la separazione per
gravità della parte cremosa dal plasma del latte. La temperatura del latte viene
mantenuta inferiore a 6 °C grazie ad un sistema di raffreddamento collegato ad
un termostato. I silos sono dotati di strumentazione per il controllo di
livello, pressione interna, temperatura. La quantità di latte stoccata in un
caseificio è in genere circa tre volte il volume di latte lavorato in un
giorno.
Fig. 1 Serbatoi di stoccaggio del latte.
FATTORI DI
RISCHIO
In
questa fase lavorativa, i principali rischi professionali potenzialmente
presenti sono i seguenti:
Esposizione ad agenti biologici
descrizione
Nel
caso di latte contaminato alla stalla o durante il trasporto è possibile
la presenza di batteri patogeni. Per la
maggior parte di tali germi la via di infezione per l’uomo è a seguito di
ingestione di latte contaminato, pertanto esiste un rischio trascurabile per i
lavoratori. Inoltre la sorveglianza veterinaria delle stalle ha
sgnificativamente ridotto le principali infezioni animali che si propagavano
all’uomo attraverso il latte, cioè la tubercolosi e la brucellosi. E’ comunque
necessaria una attenta manipolazione del latte allo scopo di evitare che il
lavoratore apporti una contaminazione aggiuntiva, e/o avvenga un contatto con
eventuali germi attraverso lesioni cutanee
e attraverso le mani con possibile ingestione.
Stima
Il
rischio di contatto con il latte non debatterizzato
è molto basso, essendo limitato al caso di eventuali fuoriuscite accidentali
oppure per operazioni di manutenzione che richiedano lo smontaggio di parti
dell'impianto. Questo perché normalmente tutte le operazioni di
ricevimento/stoccaggio del latte avvengono automaticamente a ciclo chiuso.
danno atteso
Sono possibili infezioni da microrganismi patogeni che possono essere presenti nel latte, specie in caso di soggetti predisposti o in condizione di immuno-depressione, se non vengono rispettate le norme igieniche.
danno rilevato
Una
indagine sierologica trasversale eseguita qualche anno fa sul personale di 7
caseifici situati in provincia di Siena e Grosseto (scelti sulla base della
rappresentatività dei caseifici nell'ambito del territorio considerato) su 159
lavoratori e 217 controlli, ha dato risultati negativi circa la presenza di
anticorpi anti-brucella. Ciò conferma la bassa probabilità di contrarre
infezioni dalla manipolazione del latte.
prevenzione
La
meccanizzazione del ciclo a partire dalla raccolta fino alla pastorizzazione del latte può essere
considerata una misura di prevenzione contro alcuni rischi derivanti dal
contatto del latte come quelli infettivi ed in particolare contro la
brucellosi.
Per
quanto è possibile sono da preferire soluzioni impiantistiche che permettano la
pulizia tramite un ciclo C.I.P. (vedere la fase sanificazione), senza necessità di smontaggio. In caso di necessità
di interventi di manutenzione che richiedano lo smontaggio di parti di
impianto, è opportuno che gli addetti indossino D.P.I. (grembiuli, guanti,
mascherina).
Deve
essere fatto divieto di mangiare e fumare durante le operazioni che possono
comportare l’imbrattamento delle mani.
-
Norme
igienico-sanitarie per la produzione e commercializzazione del latte e suoi
derivati (D.P.R. n. 155/1997 e D.P.R. n. 54/1997).
-
D.Lgs.
626/1994 e successive modifiche e integrazioni.
Transito di mezzi pesanti
descrizione
Il
transito delle autocisterne per il rifornimento del latte nei piazzali esterni
dello stabilimento produttivo (dal cancello di ingresso fino al punto di
riempimento dei serbatoi e viceversa), può comportare il rischio di
investimento dei lavoratori del caseificio.
danno atteso
Lesioni
traumatiche per investimento da automezzi.
prevenzione
Predisporre
e segnalare percorsi separati per pedoni ed automezzi.
- Art. 8 “Vie di circolazione, zone di pericolo, pavimenti e passaggi” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
-
D.Lgs.
626/1994 e successive modifiche e integrazioni.
Lavoro in postazioni
sopraelevate
descrizione
Le
eventuali operazioni di manutenzione agli impianti ed ai serbatoi di stoccaggio
possono comportare la necessità di raggiungere postazioni in altezza, con
conseguente rischio di caduta dall'alto. Anche per le operazioni di prelievo di
campioni di prodotto e la successiva pulizia, ove l'addetto acceda alla sommità della autocisterna, è presente il
rischio di caduta dall'alto.
danno atteso
Lesioni
traumatiche per caduta dall'alto (rischio di infortunio mortale).
prevenzione
Predisporre
accessi sicuri alle postazioni in altezza ai serbatoi di stoccaggio con gradini
stabili e antiscivolo, parapetti, fascia fermapiedi, ecc… come prescritto dalle
norme vigenti.
Anche
l'accesso alla parte superiore della autocisterna deve essere reso sicuro, ad
esempio con una scaletta robusta dotata di gradini stabili e antiscivolo, e
dotando il camminamento lungo la cisterna di corrimano e parapetto reclinabili,
che l'operatore possa alzare prima di accedere al camminamento, anch'esso
antiscivolo realizzato ad esempio tramite un grigliato.
A
seconda delle situazioni possono essere necessari D.P.I. (scarpe antiscivolo,
imbracatura con sistema di trattenuta che impedisca la caduta d'alto).
- Art. 386 “Cinture di sicurezza” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. II “Ambienti, posti di lavoro e di passaggio” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
-
Norme UNI EN
361, 363, 795
- All. IV, part B, sez. II Direttiva CEE/CEEA/CE n. 57 del 24.06.1992: "Direttiva del Consiglio del 24 giugno 1992 riguardante le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili (ottava direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE)."
APPALTI ESTERNI
Talvolta il servizio di rifornimento del latte è
affidato a ditte esterne, ma spesso viene affidato agli stessi addetti al
caseificio, magari a turno, specie quando le aziende casearie sono società
costituite degli stessi allevatori che producono il latte.
La manutenzione dell'impianto di ricevimento del
latte, specie quella straordinaria, è generalmente appaltata a ditte esterne.
IMPATTO ESTERNO
In questa fase lavorativa può essere presente il
seguente fattore di impatto ambientale:
Impianti antiestetici
e di altezza elevata
La dimensione dei silos e la forma delle tubazioni e
delle varie parti dell'impianto di ricevimento e stoccaggio del latte, può
determinare un impatto negativo sul paesaggio, specie se l'azienda è ubicata in
aree particolarmente sensibili sotto questo aspetto. Per ridurre l'impatto può
essere prevista una limitazione in altezza (ad esempio utilizzando silos
orizzontali anziché verticali) e/o prevedere una copertura degli impianti.
Impianti e
tubazioni contenenti grandi quantità di latte
L'impianto di stoccaggio
può contenere fino a qualche centinaio di ettolitri di latte. In caso di
cedimenti strutturali o perdite da pompe e tubazioni, può avvenire lo
sversamento del latte sul terreno.
Il tal caso il danno per l'ambiente è limitato, dato
che il latte è un alimento naturale, normalmente non nocivo.
La prevenzione consiste nel dotare i serbatoi di sistemi di contenimento e conformare la pavimentazione delle zone dove sono installati i serbatoi e le tubazioni del latte, compreso i piazzali esterni, in modo tale da convogliare gli eventuali sversamenti verso una vasca di raccolta e l’impianto di depurazione acque.
Trasporto su
strada di latte in autocisterne
In caso di incidente stradale si possono verificare
sversamenti di latte sul suolo.
Il tal caso il danno per l'ambiente è limitato, dato
che il latte è un alimento naturale, normalmente non nocivo. È anche possibile
che lo sversamento di latte su strada renda l’asfalto sdrucciolevole, pertanto
ciò può essere causa di incidenti stradali.
La prevenzione consiste essenzialmente nel prevedere
una procedura di emergenza e nella relativa formazione dell’addetto al
trasporto.
Il recepimento della normativa nazionale ed
internazionale relativa al trasporto di merci pericolose su strada - Direttive
96/86/CE e 1999/47/CE del Consiglio
dell’Unione Europea, quali adeguamenti al progresso tecnico della Direttiva
94/55/CE concernente il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al trasporto di
merci pericolose su strada, nonché i Decreti del Ministero dei Trasporti del
4/11/96, del 15/05/97 e del 28/09/99 attuativi
delle suddette Direttive Comunitarie - impone a ricercatori, medici, biologi
operanti in campo scientifico l’osservanza di precisi criteri per l’imballaggio
ed il trasporto dei materiali appartenenti alla classe 6.2, che, in quanto
potenzialmente infettanti, comportano rischi per la collettività e per gli
operatori addetti alla loro movimentazione. Oltre a regolamentare il trasporto
dei biologici pericolosi, la normativa comunitaria interviene a disciplinarne
la manipolazione e la movimentazione all’interno delle strutture lavorative, al
fine di tutelare gli operatori che sono quotidianamente esposti al loro
contatto: con il Decreto Legislativo del
19/09/94 n. 626 ed il successivo D.L.
19/03/96 n. 242 trovano infatti attuazione in Italia le Direttive
Comunitarie 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE,
90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE (ultimo adeguamento al progresso tecnico:
97/59/CE e 97/65/CE ) riguardanti il miglioramento della sicurezza e della
salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. Il Titolo VIII di tale Decreto è
proprio relativo alla protezione da agenti biologici, in quanto il personale ad
essi esposto deve essere informato dei rischi e protetto da eventuali
contaminazioni.
________________________________________________________________________________
Note
(1): in accordo con la Legge di Faraday sulla induzione elettromagnetica, nella spira si genera una forza elettromotrice indotta che tende ad opporsi alla variazione del flusso magnetico concatenato con la spira stessa.
(2): con la formula di Bernoulli, a partire dalla conoscenza della velocità di flusso del liquido, è possibile calcolarne la quantità che passa in un tratto di tubo di diametro fisso.
TRATTAMENTO PRELIMINARE DEL LATTE
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1. COMPARTO: |
Caseifici |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
Trattamento preliminare del latte |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORI DI
RISCHIO: |
Agenti fisici: rumore, microclima. Rischi per la sicurezza. |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
60 |
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DESCRIZIONE DELLA FASE
Una
volta che il latte è stato analizzato e stoccato, prima della sua
trasformazione si procede ad una sua parziale o totale debatterizzazione che consiste nella eliminazione di microrganismi
indesiderati nel latte, che possono assumere sia un significato anticaseario
(possono causare diversi inconvenienti, tra i quali: facile rammollimento,
gonfiori anormali, sapori amari), sia igienico sanitario per la eventuale
presenza di microrganismi patogeni per l'uomo.
Per
il latte destinato alla produzione di formaggi duri a lunga stagionatura, la debatterizzazione avviene talvolta
tramite una parziale scrematura del latte realizzata per affioramento, mentre
in altri casi la debatterizzazione
viene effettuata attraverso procedimenti diversi come la bactofugazione oppure la moderna microfiltrazione.
Nelle
aziende del comparto che sono state
oggetto della presente indagine, il trattamento preliminare del latte consiste
essenzialmente in due processi:
-
pulitura del latte: eliminazione dello sporco
eventualmente presente nel latte, tramite centrifugazione in una apposita
macchina chiamata pulitrice.
-
pastorizzazione del latte: particolare tipo di
trattamento termico che consente una benefica distruzione della flora
anti-casearia, al quale il latte viene sottoposto dopo la pulitura.
Il
processo chiamato pastorizzazione,
prende il nome dal grande studioso francese Louis
Pasteur, e consiste in un particolare tipo di trattamento termico che
consente una benefica distruzione della flora anti-casearia. In particolare, le
muffe, i lieviti, i coliformi ed i microbi cromogeni, oltre ai patogeni,
vengono facilmente distrutti da una razionale pastorizzazione a 72°C per 15 secondi.
La pastorizzazione permette anche la
standardizzazione del prodotto finale e un maggior rendimento complessivo della
produzione.
Ovviamente
il risultato ottenuto con la pastorizzazione
dovrà essere mantenuto, garantendo una adeguata igiene delle linee produttive,
macchine e attrezzi (si veda la fase sanificazione).
La pastorizzazione
talvolta viene omessa quando si desideri trasformare latte crudo debatterizzato tramite bactofugazione,
allo scopo di produrre formaggi duri a lunga stagionatura.
ATTREZZATURE E
MACCHINE
Pulitrice
Si
tratta di una centrifuga ermetica ad alta velocità, realizzata in acciaio
inossidabile, che ha lo scopo di separare le impurità dal latte, basandosi
sull’allontanamento delle particelle di dimensioni superiori a globulo di
grasso (il cui diametro per la maggior parte va da 1 a 8 micron anche se il range va da valori inferiori a 0,2
micron fino a 15 micron). In caso vengano effettuate produzioni industriali di
derivati del siero, la macchina viene anche utilizzata per debatterizzare il siero (dopo la scrematura).
Macchine pastorizzatrici
Sono particolari apparecchiature in acciaio
inossidabile dove avviene la pastorizzazione
del latte tramite scambiatori termici a piastre, che riscaldano il latte ad una
temperatura di 71°-72°C per 30 secondi.
Fig. 3 Pastorizzatore
FATTORI DI
RISCHIO
I
rischi professionali risultano fondamentalmente legati al microclima e al
rumore. Per altri rischi si veda la fase sanificazione.
Esposizione a rumore
descrizione
Il rumore in questa fase lavorativa deriva
principalmente dalle macchine pulitrici (centrifughe),
le quali si trovano nelle immediate vicinanze delle macchine pastorizzatrici,
e dalle pompe che fanno circolare il latte nell'impianto. Altra operazione
rumorosa è il ciclo di lavaggio in C.I.P. dell'impianto (si veda la fase sanificazione). Il locale (o la porzione
del locale), dove si trovano entrambe le macchine, viene chiamato in genere zona pastorizzazione.
stima
L’analisi dei dati di esposizione a rumore ha messo
in evidenza il fatto che, nei caseifici in cui le macchine pulitrici hanno un valore di LAeq elevato e
l'operazione di pulitura-pastorizzazione
avviene nello stesso locale in cui avviene anche la produzione del formaggio,
l’esposizione dei lavoratori impegnati nella produzione è maggiore di quella
dei lavoratori che operano alla produzione nei caseifici con macchine pulitrici a LAeq
basso.
Nelle tabelle seguenti sono riportati alcuni valori
misurati in alcune aziende del comparto.
Valori delle LAeq misurati espressi in dB(A) |
|
Caseificio
|
Zona pulitura - pastorizzazione |
Azienda 1 |
90.7 |
Azienda 2 |
80.2 |
Azienda 3 |
88.0 |
Azienda 4 |
86.7 |
Azienda 5 |
90.3 |
Azienda 6 |
74.5 |
Azienda 7 |
83.0 |
Azienda 8 |
90.0 |
Azienda 10 |
87.0 |
Azienda 11 |
76.0 |
Azienda 12 |
- |
Azienda 13 |
- |
Valori di LEP,d, livello di esposizione giornaliera,
espressi in dB(A) |
|
Caseificio
|
Addetto alla mansione di Casaro |
Azienda 1 |
85.0 |
Azienda 2 |
80.4 |
Azienda 3 |
84.2 |
Azienda 4 |
81.5 |
Azienda 5 |
78.8 |
Azienda 6 |
79.4 |
Azienda 7 |
79.3 |
Azienda 8 |
84.4 |
Azienda 9 |
82.7 |
Azienda 10 |
72.8 |
Azienda 11 |
82.2 |
Azienda 12 |
80.3 |
danno atteso
L’esposizione continuativa a livelli di rumore
medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni
extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli
inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure
preventive.
prevenzione
Le principali misure di prevenzione sono le
seguenti:
-
utilizzare
macchine pulitrici - pastorizzatrici del tipo meno rumoroso.
-
segregazione
delle macchine rumorose tramite pannellature fonoisolanti - fonoassorbenti.
-
evitare
la possibilità di esposizione indiretta degli addetti ad altre lavorazioni,
confinando le macchine rumorose in locali separati, oppure (nel caso di
caseifici in cui la zona di pastorizzazione sia nello stesso locale della
produzione del formaggio) confinandole in una zona specifica delimitata da
pareti fonoassorbenti e separata dalla zona di produzione del formaggio.
-
quando
sia necessario intervenire entro la zona chiusa e delimitata da pareti
fonoassorbenti, è necessario indossare D.P.I. (cuffie, tappi).
-
informazione,
formazione e sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti.
Nei casi di livelli di esposizione personale
superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs.
277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”,
riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di
carattere generale”.
- Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.
- Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.
- D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).
Esposizione a
microclima caldo-umido
descrizione
Le operazioni di pastorizzazione
e sterilizzazione del latte, possono
determinare l'esposizione degli addetti a microclima caldo-umido.
stima
Da uno studio su 12 caseifici del sud la Toscana,
svolto da le A.S.L. n. 19 "Alta Val d'Elsa", n. 27 "Colline
Metallifere" e n. 28 "Area Grossetana" non sono risultate
situazioni di elevato stress da calore.
danno atteso
Disturbi da scomfort termico, riduzione della
capacità lavorativa, stress psico fisico.
prevenzione
Nelle situazioni di maggior esposizione a stress
termico, è utile prevedere l’uso di abbigliamento idoneo specifico, in
relazione al rischio da esposizione ad elevata temperatura, oltre a prevedere,
nell’organizzazione del lavoro, idonei periodi di acclimatamento.
È altresì opportuno valutare la possibilità di confinare
in locali appositi le macchine che determinano il microclima caldo-umido, in
modo da separarle dagli altri reparti di lavorazione, al fine di evitare
l'esposizione indiretta degli addetti.
È
fondamentale una corretta organizzazione del lavoro e l’informazione e
formazione degli addetti.
riferimenti normativi
- Art. 9 “Ricambio dell’aria”, Art.11 “Temperatura” e Art.13 “Umidità” D.P.R. n.303 del 19.03.1956.
- Art. 240 "Protezione delle pareti esterne a temperatura elevata" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 378 "Abbigliamento" e Art. 379 "Indumenti di protezione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Norma UNI EN 563 del 30.06.95 Sicurezza del macchinario. Temperature delle superfici di contatto. Dati ergonomici per stabilire i valori limite di temperatura per le superfici calde. La norma presenta i dati ergonomici e il loro uso per stabilire i valori limite di temperatura per superfici calde e per la valutazione dei rischi di ustione.
Transito su
pavimenti resi scivolosi
Si veda la fase sanificazione.
APPALTI ESTERNI
Il trattamento preliminare del latte generalmente
non viene appaltata a ditte esterne.
IMPATTO ESTERNO
I principali fattori di impatto ambientale in questa
fase sono i seguenti:
Le impurità presenti nel latte che sono state
separate dalla pulitrice centrigufa, vengono avviate all’impainto di
depurazione delle acque.
Per quanto riguarda lo scarico delle soluzioni di
lavaggio si veda la fase sanificazione.
La pulitrice centrifuga e le pompe del latte possono
dare luogo ad elevati livelli di rumore e se non è prevista una adeguata
insonorizzazione, possono provocare disturbo alla popolazione eventualmente
residente nelle adiacenze dell’impianto produttivo.
________________________________________________________________________________
Note:
(1): 1 micron = un millesimo di
millimetro (1 m
= 10-6 m).
FERMENTATURA,
CAGLIATURA, TAGLIO, PRESSATURA, FORMATURA, STUFATURA,
RIVOLTAMENTO.
|
|
|
|
1. COMPARTO: |
Caseifici |
|
|
|
|
|
|
2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
Fermentatura, cagliatura, taglio, pressatura, stufatura, formatura, stufatura, rivoltamento. |
|
|
|
|
|
|
3. COD.INAIL: |
|
|
|
|
|
|
|
4. FATTORI DI
RISCHIO: |
Agenti fisici: rumore, microclima. Rischi per la sicurezza. |
|
|
|
|
|
|
5. CODICE DI
RISCHIO: |
|
|
|
(riservato all’ ufficio) |
|
|
|
|
|
|
|
6. N. ADDETTI: |
78 |
|
|
|
|
|
|
DESCRIZIONE DELLA FASE
Una
classica lavorazione per la produzione del formaggio, prevede un processo che
può essere sintetizzato come segue.
Si
inizia con la preparazione di una miscela di latte e fermenti lattici (starter).
Gli starter sono fondamentali nella
caseificazione, in quanto servono a dare acidità al latte per favorire l’azione
coagulante del caglio e in quanto nella maturazione svolgono un’azione
proteolitica, lipolitica e aromatizzante. Esistono fermenti specifici per ogni
tipo di formaggi. In genere i fermenti lattici vengono acquistati in forma di
liofilizzati (di lunga conservazione). Essi vengono mescolati con il latte in
apposite apparecchiature dette fermentiere
e lasciati in riposo a temperatura predeterminata per qualche ora, in modo che
la miscela raggiunga il valore di acidità (2) richiesto prima di
venire aggiunta (in misura dell’1 - 2%) al latte in lavorazione.
Nel frattempo il latte,
precedentemente trattato come descritto alla fase trattamento preliminare del latte, viene riscaldato (1)
ed immesso entro vasche di lavorazione; nei caseifici più moderni, il
riscaldamento e la lavorazione avvengono in una stessa macchina chiamata caldaia polivalente.
Si procede quindi aggiungendo
gli starter
al latte riscaldato e, per fare coagulare il latte in ambiente acido, si
aggiunge un enzima: il caglio (rennina o lab-fermento o chimosina o chimasi) (3).
Il caglio si ottiene dalla mucosa gastrica (pelletta)
di giovani ruminanti (4); le
preparazioni di caglio possono essere allo stato liquido, in polvere o in
pasta. La forza coagulante del caglio è espressa da un valore chiamato titolo (5). Ad esempio, una
azienda del comparto a produzione
industriale, consuma al giorno da 1 Kg. a
1,5 Kg. di caglio in polvere, in rapporto rispetto al latte di 1:100.000.
Quando l’azione del caglio è
ultimata (dopo circa 20 - 25 minuti), la massa ottenuta prende il nome di cagliata. Essa viene quindi tagliata in
cubetti (delle dimensioni di una nocciola o poco più), mediante apposite taglierine incorporate nella vasca
stessa. Le taglierine sono
essenzialmente delle griglie che ruotano all'interno della vasca; talvolta esse
presentano un profilo affilato da un solo lato, in modo che, se fatte ruotare
dalla parte affilata funzionano da taglierine,
mentre se fatte ruotare nell'altro senso funzionano da agitatori.
Dopo il taglio, la massa viene agitata per
facilitare l’eliminazione del siero (spurgatura),
ed a questo punto si effettua la cosiddetta formatura:
i cubetti di cagliata vengono
scaricati entro stampi della forma voluta. Talvolta l'operazione di scarico
della cagliata è meccanizzata tramite
un sistema pneumatico.
In alcuni casi, prima del riempimento degli stampi,
viene eseguito un pre-drenaggio del
siero dalla cagliata facendola cadere su un tamburo rotante
perforato: la velocità di rotazione del tamburo e il diametro delle
perforazioni determinano l'intensità di drenaggio del siero e, di conseguenza,
la quantità di siero che scola negli stampi.
Per la produzione di molte
famiglie di formaggi, una delle operazioni fondamentali consiste nella pressatura della cagliata sotto siero. Un tempo questa operazione era realizzata
lasciando depositare la cagliata sul fondo della caldaia aperta di
coagulazione e poi ricoprendola con tavole, invece oggi vengono utilizzati tavoli pressa porzionatori.
Una volta riempiti gli stampi, entro di essi avviene
un ulteriore spurgo del siero ed in genere, per favorire lo spurgo, le forme
vengano più volte ribaltate. Il ribaltamento
della forma può avvenire o nello stesso stampo (e in tal caso è spesso prevista
la sostituzione del telo che riveste internamente lo stampo) oppure si
utilizzano stampi di plastica talvolta rivestiti internamente da un materiale
anch'esso plastico poroso (che essendo impermeabile non necessita di essere
sostituito) e si ribalta direttamente lo stampo. Nel secondo caso l'operazione
è spesso meccanizzata.
Per la produzione di alcuni tipi di formaggi, la cagliata negli stampi viene sottoposta a
stufatura che ha lo scopo di ottenere uno spurgo
secondario del siero, in cui l’azione dei fermenti lattici viene aiutata dal
calore. La stufatura si realizza
ponendo la cagliata negli stampi in
un ambiente mantenuto a temperatura costante e umidità relativa costanti e
determinate a seconda del tipo di formaggio. Valori tipici di temperatura di
stufatura sono intorno ai 58 °C per il formaggio pecorino intorno a 51 °C per
le caciotte di latte misto (pecora e vacca). La stufatura dura in genere da 2 a 8 ore. Sempre allo scopo di
favorire lo spurgo, la stufatura è
talvolta abbinata ad un sistema automatico di avanzamento, impilamento e
ribaltamento degli stampi. Nelle aziende del comparto, la stufatura
avviene in due diverse modalità tra loro alternative:
-
entro
cassoni chiusi condizionati tramite vapore e posti nella stessa sala di
produzione della cagliata, in tal caso il ribaltamento delle forme avviene in
genere manualmente, a cura di un operatore esperto che la esegue con movimenti
molto veloci e ripetitivi.
-
in
un apposito locale (camera di stufatura), nel quale gli stampi pieni entrano ed
escono, tramite un sistema di movimentazione automatizzato, il quale è
collegato ad un ribaltatore automatico degli stampi contenenti le forme, posto
all'esterno della camera di stufatura: dopo un certo tempo prestabilito, le
forme vengono estratte dalla camera, ribaltate e reimmesse nello stessa.
L'operazione viene ripetuta un numero di volte variabile a seconda del tipo di
formaggio prodotto.
Il siero derivante dalle varie operazioni sopra
descritte (agitatura, pre-drenaggio, pressatura, stufatura, ribaltamento, sgrondo
dagli stampi) viene raccolto e aspirato tramite apposite pompe per poi
essere utilizzato nella produzione della ricotta.
Per quanto riguarda le
quotidiane operazioni di pulizia si veda la fase sanificazione.
ATTREZZATURE E
MACCHINE
Caldaie polivalenti
Sono vasche realizzate in
acciaio inox, aventi capacità variante da 30 a 200 quintali, dotate di un
sistema di riscaldamento del latte, ed di agitatori
- taglierine. Il funzionamento
della macchina viene controllato da un addetto, tramite comandi manuali, oppure
tramite un sistema di controllo computerizzato.
Il riscaldamento del latte nelle caldaie polivalenti
avviene per mezzo di un sistema di serpentine dove viene fatta scorrere acqua
calda; esse sono poste entro una camiciatura della vasca e distribuite in modo
tale da rendere più uniforme possibile il riscaldamento del latte.
Un tempo queste macchine erano aperte, ma nei
caseifici moderni è in atto una tendenza alla loro sostituzione con caldaie polivalenti chiuse nelle quali
tutte le operazioni (in particolare coagulo, cagliatura e taglio) avvengono in
maniera meccanizzata ed automatica. Nonostante lo svantaggio di rendere meno
agevole un controllo visivo e tattile della massa in lavorazione, le caldaie
polivalenti chiuse presentano numerosi vantaggi, rispetto a quelle aperte: maggiore igiene delle operazioni, facilità
di lavaggio in ciclo C.I.P. (vedere la fase sanificazione),
minore consumo energetico, possibilità di lavorare grandi volumi di latte.
Esiste una grande varietà di caldaie polivalenti
chiuse, tra le quali:
-
caldaie
cilindriche piane, a forma di cilindri affiancati, dette tipo "00"
(doppio zero);
-
caldaie
cilindriche orizzontali, dette tipo "OST".
-
caldaie
a semicilindro orizzontale e movimenti alternati, dette tipo "MKT".
-
caldaie
a culla ribaltabile.
Si noti che il tipo di caldaia polivalente impiegata può cambiare a seconda del tipo di formaggio
prodotto, ad esempio quella per formaggi molli (quali ad esempio lo stracchino
e il ravaggiolo) la caldaia polivalente si differenzia soprattutto per il fatto
che al posto delle taglierine (non
più necessarie), gli utensili agitatori sono costituiti da pale di acciaio
inossidabile.
Sistema
pneumatico per lo scarico della cagliata.
Lo scarico della cagliata
è una delle operazioni più critiche per la buona riuscita di un formaggio,
pertanto specie per certi tipi di formaggi, se l'operazione non avviene con la
sufficiente delicatezza è possibile compromettere la definitivamente la
riuscita del prodotto. In tal caso non è possibile utilizzare un semplice
sistema di scarico a gravità, né tramite pompe volumetriche.
Uno dei sistemi di scarico automatizzato che può
essere impiegato anche in tali situazioni, è basato sull'impiego di pompe a
vuoto e serbatoi polmone che funzionano alternativamente: creando il vuoto in
un serbatoio si risucchia la massa siero-cagliata dalla caldaia polivalente e
poi, pressurizzando si ottiene l'espulsione della massa dal serbatoio per
riempire così lo stampo in modo rapido e delicato.
Una azienda del comparto utilizza invece un sistema
a gravità, coadiuvato però da un dispositivo automatico che provvede, tramite
un meccanismo pneumatico, a sollevare la caldaia quando il livello del suo
contenuto diminuisce, in modo da mantenere costante la pressione dello scarico.
Sistema
automatico per il ribaltamento degli stampi
Il rivoltamento automatizzato degli stampi prevede
in genere un sistema di impilatura degli stessi uno sull'altro (e/o
posizionamento degli stampi su appositi vassoi anch'essi sovrapponibili), e dei
ribaltatori meccanici che, una volta raccolta e racchiusa l'intera pila entro
ganasce, provvedono al ribaltamento della stessa.
Tavoli pressa
porzionatori
Si tratta di tavoli rettangolari dotati di pareti di
altezza sufficientemente elevata e di un fondo sul quale scorre un nastro
trasportatore perforato. L'alimentazione dei tavoli con la cagliata
proveniente dalla caldaia di coagulazione, può avvenire con accorgimenti diversi ad esempio a
spruzzo o tramite maniche distributrici mobili che corrono lungo il tavolo.
Sopra il tavolo è posizionato un coperchio che,
tramite un meccanismo pneumatico, cala sopra la massa in lavorazione pressandola. Il siero viene raccolto sul fondo del
tavolo e convogliato attraverso uno
scarico al sistema di raccolta. Lo scarico sul fondo del tavolo è dotato di un sistema di chiusura per permettere di
regolare la quantità di siero residuo sulla cagliata
depositata, in modo da poterla mantenere umida e/o coperta dal siero. Tramite
il movimento del nastro, la cagliata
che è stata pressata viene quindi convogliata da una estremità del tavolo,
nella quale è posizionato il porzionatore.
Quest'ultimo è costituito da taglierine
mobili realizzate come un sistema di fili metallici orizzontali e verticali,
regolabili e azionate meccanicamente per tagliare il manto di cagliata in porzioni delle dimensioni
volute.
FATTORI DI
RISCHIO
I rischi sono fondamentalmente legati al microclima
caldo-umido, al rumore, alla possibilità di infortuni specie per scivolamento.
I fermenti utilizzati per la caseificazione comprendono una flora microbica
altamente selezionata che non rappresenta un rischio infettivo per l’uomo.
Transito su
pavimenti resi scivolosi
Si veda la fase sanificazione.
Esposizione a
rumore
descrizione
Il rumore deriva prevalentemente da pompe, macchina
formatrice, sistema automatico di avanzamento, impilamento e ribaltamento degli
stampi meccanico o manuale (ribaltamento manuale delle forme, che avviene
battendo lo stampo sul bordo del cassone di stufatura).
Inoltre, nei piccoli caseifici a produzione
artigianale, talvolta le varie macchine utilizzate per le diverse lavorazioni
(pulitrice, polivalente, ecc…) si trovano nello stesso locale, pertanto possono
costituire una fonte di esposizione indiretta anche per i lavoratori addetti a
questa fase.
stima
I valori di rumore rilevati in alcune aziende del
comparto sono riportati nelle tabelle seguenti:
Valori delle LAeq misurati espressi in dB(A) |
||
Caseificio
|
Zona formatura dei formaggi |
Zona caldaie polivalenti |
Azienda 1 |
84.2 |
85.4 |
Azienda 2 |
80.9 |
79.6 |
Azienda 3 |
85.3 |
85.0 |
Azienda 4 |
83.6 |
82.3 |
Azienda 5 (*) |
74.2 (82.3) |
74.2 (82.8) |
Azienda 6 |
77.3 |
77.3 |
Azienda 7 |
83.6 |
73.6 |
Azienda 8 |
88.0 |
89.0 |
Azienda 9 |
85.0 |
84.0 |
Azienda 10 |
68.0 |
68.0 |
Azienda 11 |
76.9 |
76.9 |
Azienda 12 |
80.7 |
80.7 |
(*) Il valore tra parentesi è relativo ad una misura effettuata con la centrifuga del reparto pastorizzazione accesa.
Valori di LEP,d,
livello di esposizione giornaliera, espressi in dB(A) |
|
Caseificio
|
Addetti alla formatura dei formaggi |
Azienda 1 |
82.6 |
Azienda 2 |
80.0 |
Azienda 3 |
84.1 |
Azienda 4 |
78.7 |
Azienda 5 |
76.3 |
Azienda 6 |
79.4 |
Azienda 7 |
79.3 |
Azienda 8 |
85.4 |
Azienda 9 |
82.7 |
Azienda 10 |
72.8 |
Azienda 11 |
82.2 |
Azienda 12 |
80.3 |
danno atteso
L’esposizione continuativa a livelli di rumore
medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni
extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli
inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure
preventive.
danno rilevato
In generale, i risultati sanitari sulla esposizione
al rumore non hanno messo in evidenza una situazione di particolare rischio:
l’audiogramma medio di settore è risultato nei limiti della variabilità
normale. Tuttavia per i caseifici studiati, limitatamente a certe mansioni
specifiche, come “addetto alla produzione”, dove l’audiogramma medio è
risultato di classe 1 Merluzzi tipo “trauma sonoro iniziale”, è auspicabile
generalizzare gli interventi di prevenzione che sono già stati attuati in
alcuni caseifici, sotto indicati.
prevenzione
-
Portare
all'esterno del locale di produzione le pompe che aspirano il siero.
-
Effettuare
una regolare manutenzione delle valvole di sfiato dell'aria compressa del
formatore.
-
Insonorizzare
le macchine più rumorose e separarle dagli altri locali di lavoro.
-
Sostituire
le macchine più vecchie e rumorose con altre nuove meno rumorose.
-
Organizzare
il lavoro in modo da ridurre i tempi di esposizione dei lavoratori.
-
Informazione,
formazione e sorveglianza sanitaria degli esposti.
Nei casi di livelli di esposizione personale
superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs.
277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”,
riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di
carattere generale”.
- Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.
- Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.
- D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).
Esposizione a
microclima caldo-umido
descrizione
Gli addetti possono essere
esposti ad un microclima caldo-umido, dovuto alle lavorazioni sopra descritte,
in particolare a causa del calore derivante dalle caldaie polivalenti e dalla
operazione di stufatura specie quando essa si realizza nella stessa sala in cui
compiono le altre operazioni. Inoltre a determinare l'elevatissimo tasso di
umidità, concorre anche l'impiego di idropulitrici a getto d'acqua e vapore in
pressione durante la fase di pulizia delle apparecchiature.
Quando la stufatura avviene
in una apposita camera, eventualmente abbinata ad un sistema automatico di
movimentazione degli stampi e apertura / chiusura automatica delle paratie, può
essere presente il rischio per gli addetti di rimanere accidentalmente chiusi
dentro la camera di stufatura.
stima
Da uno studio su 12 caseifici del sud la Toscana,
svolto da le A.S.L. n. 19 "Alta Val d'Elsa", n. 27 "Colline
Metallifere" e n. 28 "Area Grossetana" non sono risultate né situazioni di elevato stress da calore.
danno atteso
Disturbi da scomfort termico, riduzione della
capacità lavorativa, stress psico fisico.
prevenzione
Nel locale di lavorazione, specie dove sono presenti
le caldaie polivalenti, è bene prevedere un continuo ricambio di aria così da
operare in sovrapressione rispetto all'esterno del reparto, nel quale si fa
entrare solo aria depurata tramite opportuni filtri; ciò favorisce tra l'altro
la prevenzione contro la contaminazione del prodotto da parte eventuali
inquinanti esterni.
Nelle situazioni di maggior esposizione a stress
termico, è utile prevedere l’uso di abbigliamento idoneo specifico, in
relazione al rischio da esposizione ad elevata temperatura, oltre a prevedere,
nell’organizzazione del lavoro, idonei periodi di acclimatamento. Quanto sopra
è stato è stato attuato in quasi tutti i caseifici controllati.
È altresì opportuno valutare la possibilità di
confinare in locali appositi le macchine che determinano il microclima
caldo-umido, in modo da separarle dagli altri reparti di lavorazione, al fine
di evitare l'esposizione indiretta degli addetti.
Per la camera di stufatura è necessario prevedere un
sistema di apertura sicuro delle paratie anche dall’interno, tramite maniglie
di sicurezza, in modo che qualora un addetto vi acceda, non possa accadere che
vi rimanga accidentalmente chiuso all’interno.
È
fondamentale una corretta organizzazione del lavoro e l’informazione e
formazione degli addetti.
riferimenti normativi
- Art. 9 “Ricambio dell’aria”, Art.11 “Temperatura” e Art.13 “Umidità” D.P.R. n.303 del 19.03.1956.
- Art. 240 "Protezione delle pareti esterne a temperatura elevata" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 378 "Abbigliamento" e Art. 379 "Indumenti di protezione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Norma UNI EN 563 del 30.06.95 Sicurezza del macchinario. Temperature delle superfici di contatto. Dati ergonomici per stabilire i valori limite di temperatura per le superfici calde. La norma presenta i dati ergonomici e il loro uso per stabilire i valori limite di temperatura per superfici calde e per la valutazione dei rischi di ustione.
Lavoro in
prossimità di organi meccanici in movimento
descrizione
In questo reparto gli addetti possono essere esposti
al rischio di impigliamento, presa e trascinamento, schiacciamento dovuto a
varie parti dell’impianto, principalmente:
-
agitatori-taglierine
delle caldaie polivalenti ed i relativi bracci meccanici e organi di
trasmissione del moto.
-
organi
di trasmissione del moto al tamburo rotante perforato, utilizzato per il
pre-drenaggio del siero dalla cagliata prima della formatura.
-
sistema
automatico di avanzamento, impilamento e ribaltamento degli stampi pieni.
-
sistemi
automatici per la movimentazione degli stampi entro e fuori dalla camera di stufatura, ad esempio trenini elettrici
(robot).
-
sistemi
automatici per l’apertura e chiusura delle porte della camera di stufatura.
danno atteso
Lesioni traumatiche quali ferite e contusioni.
prevenzione
Per quanto riguarda gli agitatori-taglierine e gli
organi di trasmissione del moto, è opportuno prevedere protezioni fisse (o
munite di dispositivo di blocco); ove sia necessario mantenere la visibilità,
possono essere eventualmente realizzate con griglie, o barre distanziatrici
idonee ad impedire che gli arti degli addetto possano raggiungere le parti
meccaniche in movimento.
Fig. 5 caldaie polivalenti con griglie
di protezione degli organi mobili.
Fig. 6 Griglia di protezione al sistema di impilamento degli stampi
pieni di cagliata.
Fig. 7 Moderna macchina per l’impilamento degli stampi pieni di
cagliata. Si notino le protezioni degli organi in movimento realizzate tramite
sportelli grigliati dotati di dispositivo di interblocco.
Durante eventuali manutenzioni, tutto
l’impianto deve posto in sicurezza; in particolare possono essere predisposte
procedure di sicurezza che impediscano la possibilità che, mentre un lavoratore
esegue la manutenzione, un altro possa avviare la macchina. A tale scopo, prima
di iniziare le operazioni di manutenzione, si può attuare una procedura di tipo
“Blocca e Segnala”, che può consistere, ad esempio, nel bloccare tutte le forme
di energia che possono fare muovere le varie parti della macchina,
impossessarsi della chiave del quadro di controllo e apporre su quest’ultimo un
cartello con una scritta del tipo “Non azionare la macchina – manutenzione in
corso”.
Le paratie ad apertura e chiusura automatica della
camera di stufatura, ove presenti,
devono essere protette contro il rischio di schiacciamento, ad esempio:
-
per
la fase di chiusura, la paratia può essere dotata di barra sensibile sul bordo
che, in caso di urto, ne blocchi la corsa.
-
per
la fase di apertura, se la paratia va ad occupare una porzione di spazio
accessibile ai lavoratori, può essere utilizzato un sistema analogo al
precedente, oppure la zona operativa può essere resa inaccessibile ad esempio
tramite una adeguata recinzione, conformata in modo tale che non sia possibile
che un arto resti a contrasto tra la paratia mobile e la protezione fissa.
Fig. 8 Barra sensibile sul bordo delle paratie delle camere a
microclima controllato.
- Art. 6 “Doveri dei lavoratori” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 41 “Protezione e sicurezza delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. III, Capo III "Trasmissioni e ingranaggi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 68 “Protezione degli organi lavoratori e delle zone di operazione delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 72 “Blocco degli apparecchi di protezione” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 73 “Aperture di alimentazione e di scarico delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 76 e 77 "Organi di comando per la messa in moto delle macchine" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 81 "Comando con dispositivo di blocco multiplo" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 82 "Blocco della posizione di fermo della macchina" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 233 "Organi di comando e di manovra" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. IX "Manutenzione e riparazione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Tit. III “Uso delle attrezzature di lavoro” D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- D.P.R. n.459 del 24.07.1996 (Direttiva macchine).
Norme UNI EN 291/2,
291/2, 614/1, 294, 349, 811, 418, 1037, 1088, 574, 982, 983, 1012/1, 1012/2
APPALTI ESTERNI
In genere questa fase non viene appaltata, in quanto
lavorazione centrale del processo produttivo.
IMPATTO
ESTERNO
Le lavorazioni rumorose sopra descritte possono dare
luogo ad elevati livelli di rumore e se non è prevista un’adeguata
insonorizzazione, possono provocare disturbo alla popolazione eventualmente
residente nelle adiacenze dell’impianto produttivo.
Per quanto riguarda lo scarico delle soluzioni di
lavaggio si veda la fase sanificazione.
________________________________________________________________________________
Note:
(1) La temperatura alla quale viene portato il latte nelle caldaie, è predeterminata a seconda del tipo di formaggio che si intende produrre. Nelle aziende del comparto, tale temperatura è 25 - 38 °C.
(2) L'acidità deriva dalla trasformazione del lattosio in acido lattico operata dai fermenti lattici.
(3) In questo modo il caseinogeno viene trasformato in paracaseina la quale, in presenza di ioni calcio, precipita come paracaseinato di calcio.
(4) Il caglio è l'insieme degli enzimi coagulanti che si
aggiunge al latte per ottenere la precipitazione della caseina. Il caglio può
essere aggiunto al latte attraverso preparata in pasta, in polvere o liquidi.
Con questa miscelazione prendono il via i fenomeni di coagulazione enzimatica
che danno poi origine alla cagliata. Un tempo, la coagulazione del latte veniva
fatta avvenire utilizzando anche il succo di alcuni vegetali, dei quali il
lattice di fico era il più utilizzato. Attualmente, con il termine
"caglio" o "presame" si intende il prodotto enzimatico
estratto dallo stomaco (più precisamente dall'abomaso) di bovini lattanti o in
età giovanile. Questo estratto è molto ricco di un enzima, la chimasi o
rennina, ottimale per la realizzazione della coagulazione del latte. Per la
produzione di formaggi tipici come pecorino e caprino, viene invece usato il
caglio di agnello o di capretto.
(5) Il titolo del caglio è la quantità di latte, espressa in millilitri (o in grammi), che viene coagulata da 1 millilitro (o da 1 grammo) di caglio, alla temperatura di 35°C in un tempo di 40 minuti.
|
|
|
|
1. COMPARTO: |
Caseifici |
|
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|
|
|
2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
Salatura |
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|
|
3. COD.INAIL: |
|
|
|
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|
4. FATTORI DI
RISCHIO: |
Rischi per la sicurezza; agenti fisici: rumore; agenti chimici. |
|
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|
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|
5. CODICE DI
RISCHIO: |
|
|
|
(riservato all’ ufficio) |
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|
|
|
|
6. N. ADDETTI: |
76 |
|
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|
|
|
DESCRIZIONE
DELLA FASE
La salatura (anche detta
salagione) è l’operazione di aggiunta di sale sulle forme che viene
compiuta dopo la stufatura.
I formaggi vengono salati
per diverse ragioni: aiutare per osmosi la rimozione del siero ancora da
spurgare (spurgo terziario della cagliata);
condensare la cagliata; rallentare lo
sviluppo acido; conservare il formaggio rallentando ogni sviluppo batterico;
indurre una leggera solubilizzazione delle proteine; impartire al formaggio il
gusto desiderato; aumentare il valore nutritivo del formaggio.
La salatura può essere fatta a secco, cioè mediante distribuendo il
sale direttamente sulle forme, ovvero a umido, cioè mediante immersione del
formaggio per un certo tempo in apposite vasche riempite con soluzione salina (salamoia) mantenuta ad una temperatura
di 11-12 °C.
La salatura può
essere completamente manuale, ma spesso, specie quando viene effettuata ad
umido, è una operazione automatizzata.
La cura e la depurazione delle salamoie, un tempo realizzata mediante
periodiche bolliture, oggi può essere effettuata con procedimenti diversi:
filtrazione su farina fossile; microfiltrazione continua o intermittente;
debatterizzazione con raggi ultravioletti (facendo passare la salamoia in un tubo
di vetro trasparente). Ad esempio, in
una azienda del comparto, la
soluzione viene prima filtrata e poi pastorizzata.
Le forme di formaggio, dopo che sono rimaste in salamoia per un certo tempo, possono
venire inviate al trattamento antimuffa,
tramite una serie di trasportatori a rulli.
Nel locale può anche essere presente un ventilatore
per il ricambio dell'aria.
ATTREZZATURE E MACCHINE
Vasche di
salamoia
Si tratta di vasche, che
possono essere anche di grandi dimensioni, riempite di acqua e sale. Esse sono
dotate di carroponte per il sollevamento delle gabbie a ripiani multipli, nei
quali vengono introdotte le forme da
tenere in salamoia. L’introduzione delle forme nei ripiani della gabbia (calata
all’interno della vasca), avviene manualmente da un lato della vasca, mentre la
movimentazione delle forme dai
ripiani della gabbia fino verso l’uscita, avviene grazie all’azione della
corrente che si determina nel fluido tramite un sistema di pompaggio.
Fig. 9 Vasca di salamoia con gabbia multilivello per il posizionamento
delle forme da salare.
Si tratta di carroponte di tipo convenzionale, il
cui scorrimento avviene nel senso longitudinale della vasca, cioè lungo lo
stesso percorso che compiono le forme
per attraversarla.
FATTORI DI RISCHIO
I rischi professionali sono
legati all’impiego del sale da cucina, rischi di caduta per scivolamento su
pavimenti bagnati, esposizione a rumore.
Esposizione al
rumore
descrizione
Il rumore in questa fase deriva principalmente dalle
pompe e dal movimento della soluzione attraverso la vasca, e da eventuali
ventilatori per il ricambio dell’aria.
stima
Riportiamo a titolo di esempio i dati misurati in
una azienda del comparto.
Valori di LAeq misurati espressi in dB(A) |
|
Caseificio
|
Zona salamoia |
Azienda A |
76 - 86(*) |
(*) Misura eseguita con ventilatore acceso
danno atteso
L’esposizione continuativa a livelli di rumore
medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni
extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli
inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure
preventive.
interventi prevenzionistici
I ventilatori per il ricambio dell'aria devono
essere del tipo meno rumoroso possibile oppure eliminati ed attuati altri
sistemi per il ricambio dell'aria.
Nei casi di livelli di esposizione personale
superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs.
277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”,
riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di
carattere generale”.
- Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.
- Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.
- D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).
Movimentazione
manuale dei carichi.
descrizione
Il sale da cucina viene in genere fornito in sacchi;
la movimentazione di gruppi di sacchi avviene tramite transpalletts, mentre i
singoli sacchi vengono movimentati manualmente. Nel caso di salatura in
salamoia, la soluzione viene periodicamente reintegrata di sale.
Talvolta le forme di formaggio vengono introdotte
manualmente nella vasca di salamoia.
danno atteso
Disturbi muscolo-scheletrici per la movimentazione
manuale dei carichi.
interventi prevenzionistici
Per la movimentazione manuale è necessario che
l’azienda richieda al fornitore che il sale sia confezionato in sacchi piccoli in modo da ridurne il peso.
Il limite massimo stabilito dal D.Lgs.n.626/1994 e s.m. è pari a 30 Kg per gli
uomini e 20 Kg per le donne, altrimenti la movimentazione manuale deve essere
effettuata da due persone per ogni sacco. Tali limiti possono essere ridotti,
se il sacco deve essere tenuto o maneggiato ad una certa distanza dal tronco o
con torsione inclinazione del
tronco.
- Tit. V e All. 6 del D.Lgs. n.626 del 10.09.1994.
- Norma UNI ISO 938
Manipolazione
di sale da cucina.
descrizione
Nel caso della salatura manuale a secco, l’addetto
prende una manciata di sale dal sacco e la cosparge sulla singola forma.
danno atteso
Irritazione della pelle per contatto cutaneo
prolungato con sale da cucina. In caso di schizzi di acqua salata si può
verificare irritazione degli occhi.
interventi prevenzionistici
Per evitare il contatto prolungato della pelle con
il sale da cucina, gli addetti alla salatura manuale devono indossare
guanti.
-
D.P.R.
n. 303/1956
-
D.Lgs.
626/1994 e s.m.i.
descrizione
Durante l’introduzione delle forme all’interno della
vasca di salamoia, quando l’operazione avviene manualmente, gli addetti possono
essere esposti al rischio di caduta dentro la vasca stessa.
danno atteso
Lesioni traumatiche per caduta dall’alto;
irritazione della cute e degli occhi per contatto con soluzione salina.
interventi prevenzionistici
Parapetti regolamentari, pavimentazione antiscivolo,
indossare scarpe antiscivolo. Informazione e formazione degli addetti, in
particolare sulle procedure corrette di lavorazione.
-
Tit.
II del D.P.R. n.547 del 27.04.1955 “Norme per la prevenzione degli infortuni”
- Tit. VI, Capo III "Vasche, canalizzazioni, tubazioni, serbatoi, recipienti, silos" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
-
D.Lgs.
626/1994 e s.m.i.
Transito su
pavimenti resi scivolosi
Si veda la fase sanificazione.
APPALTI ESTERNI
In genere questa fase, ove sia necessaria, non viene
appaltata.
IMPATTO
ESTERNO
La soluzione salina della salamoia viene periodicamente rigenerata tramite filtratura e pastorizzazione. Il filtrato se scaricato tal quale potrebbe essere causa di inquinamento, pertanto deve essere inviato all’impianto di depurazione delle acque.
Per quanto riguarda lo scarico delle soluzioni di
lavaggio si veda la fase sanificazione.
|
|
|
|
1. COMPARTO: |
Caseifici |
|
|
|
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|
|
2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
Stagionatura. |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORI DI
RISCHIO: |
Agenti fisici: rumore, microclima. Agenti biologici. Rischi per la sicurezza. |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
|
|
|
(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
58 |
|
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DESCRIZIONE
DELLA FASE
La stagionatura dei formaggi consiste nel creare le condizioni esterne
necessarie per controllare il processo di maturazione di un formaggio nei
limiti dell'ottimale. Per ciascun tipo di formaggio, una combinazione specifica
di temperatura e umidità deve essere mantenuta (o variata), durante
l'invecchiamento per favorire la maturazione.
Un tempo questo si
realizzava in speciali zone geografiche, grotte naturali o in ambienti che, a
causa del clima locale risultavano ottimali per il verificarsi delle condizioni
volute.
Oggi la maturazione si
compie su scaffali posti entro apposite celle o magazzini dotati un completo
sistema di condizionamento, dove temperatura, umidità e ventilazione sono
tenuti costantemente sotto controllo da una centralina elettronica; valori
tipici sono: temperatura di 6 - 10 °C, umidità relativa del 75-90%. Nella produzione di formaggio tipica della
zona in esame la stagionatura dura 10 - 15 giorni per i formaggi freschi, circa
120 giorni per i formaggi stagionati ottenuti
con latte misto (di vacca e di
pecora) e 180 giorni per i formaggi pura pecora in locali a 6-10°C e 90% di umidità relativa.
Le forme poste a stagionare
vengono periodicamente pulite, ribaltate e movimentate. Il ribaltamento delle
forme avviene manualmente nelle celle frigorifere di tipo tradizionale e con
l'ausilio di carrelli elevatori elettrici e ribaltatori automatici nelle celle
frigorifere più moderne.
Periodicamente viene anche
effettuato il lavaggio delle assi di legno sulle quali vengono appoggiate le
forme a stagionare (si veda la fase sanificazione).
ATTREZZATURE E MACCHINE
Celle
di stagionatura dei formaggi
Tenendo conto che dai
formaggi evapora umidità, l'aria circolante nell'ambiente di stagionatura deve essere deumidificata e
refrigerata, controllando poi una successiva umidificazione e/o riscaldamento
per mantenere costanti i parametri microclimatici.
Per garantire una maggiore
uniformità spaziale dei parametri microclimatici, specie per locali di una
certa grandezza e per grandi quantità di formaggi in stagionatura, l'impianto di condizionamento è talvolta dotato di
numerosi condotti per convogliare l'aria in punti specifici, tali da assicurare
un’adeguata circolazione tra gli scaffali dove sono stoccate le forme.
Fig. 10 Stagionatura delle forme di formaggio su assi di legno.
Scaffali per
la stagionatura delle forme di formaggio nelle celle frigorifere
Nelle celle frigorifere di tipo tradizionale, la
sistemazione dei formaggi avviene su assi di legno poste su scaffali fissi; di
conseguenza la movimentazione è svolta manualmente per ogni singolo formaggio,
ma oggi questa procedura in diversi casi è stata sostituita con metodi di
magazzinaggio e movimentazione delle forme
entro gabbie o pallets i quali sono
poi movimentati su appositi carrelli elevatori a trazione elettrica. In molti
casi è presente un sistema di ribaltamento meccanizzato delle gabbie contenenti
le forme.
Talvolta vengono anche utilizzati scaffali mobili
posti su rotaie in modo che essi, una volta riempiti, possono essere avvicinati
tra loro permettendo così, rispetto agli scaffali fissi, la stagionatura di un
maggior numero di forme nello stesso spazio.
Si tratta di piccole
macchine spazzolatrici, nelle quali l’operatore introduce la forma da pulire, allo scopo di rimuovere
i depositi superficiali. In certi casi, durante l’operazione, la forma deve
essere mantenuta in posizione di pulitura dall’operatore. La pulitura può avvenire
a secco o a umido.
Fig. 11 Macchina per la pulitura delle forme di formaggio.
FATTORI DI RISCHIO
I principali fattori di rischio potenzialmente
presenti in questa fase lavorativa sono i seguenti:
Esposizione a
microclima freddo-umido
Durante la permanenza nelle celle di stagionatura,
gli addetti che effettuano il ribaltamento e la pulizia delle forme e loro
movimentazione, sono esposti a microclima freddo-umido. È anche da considerare
il rischio che l’addetto rimanga accidentalmente chiuso all'interno.
stima
Da uno studio su 12 caseifici del sud la Toscana,
svolto dalle A.S.L. n. 19 "Alta Val d'Elsa", n. 27 "Colline
Metallifere" e n. 28 "Area Grossetana", non sono risultate
situazioni di notevole rischio per il lavoro nelle celle frigorifere.
danno atteso
L’esposizione prolungata a microclima freddo – umido può essere causa di: disordini cardiovascolari, metabolici; disturbi muscolo – scheletrici; atrocianosi; stress psicologico; orticaria da freddo; criopatie. Alcuni di questi effetti si aggravano se l’esposizione a freddo è abbinata a fatica fisica e/o alla movimentazione manuale dei carichi.
prevenzione
Nel caso di permanenze prolungate nelle celle
frigorifero sono consigliabili pause nell’esposizione.
In genere, nelle situazioni di maggior esposizione a
stress termico, è utile prevedere anche l’uso di abbigliamento idoneo specifico
in relazione al rischio da esposizione a bassa temperatura (indumenti di
protezione contro il freddo), oltre a prevedere, nell’organizzazione del
lavoro, idonei periodi di acclimatamento.
Naturalmente la migliore misura di prevenzione
consiste nell'evitare l'esposizione. Oggi questo è tecnologicamente possibile
utilizzando sistemi di automazione del magazzino basati sull'impiego di gabbie
da riempire di formaggi della stessa partita, e che quindi devono subire le
stesse vicende di stagionatura. Questi sistemi permettono infatti di
movimentare meccanicamente i formaggi ai vari livelli del magazzino tramite guidovie completamente automatiche, in
moda da poter spostare i formaggi all'interno del magazzino nelle sue diverse
parti che presentano condizioni microclimatiche diverse e più confacenti al
grado di stagionatura raggiunto.
Tali sistemi possono raggiungere
un levato grado di meccanizzazione, anche con l'ausilio di computers tali da governare l'intero magazzino senza o con il
minimo intervento da parte degli addetti.
Per le celle frigorifere è necessario prevedere un
sistema di apertura sicuro delle paratie anche dall’interno, tramite maniglie
di sicurezza, in modo che qualora un addetto vi acceda, non possa accadere che
vi rimanga accidentalmente chiuso all’interno.
riferimenti normativi
- Art. 9 “Ricambio dell’aria”, Art.11 “Temperatura” e Art.13 “Umidità” D.P.R. n.303 del 19.03.1956.
- Art. 378 "Abbigliamento" e Art. 379 "Indumenti di protezione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
Lavoro in
prossimità di organi meccanici in movimento
descrizione
Le porte delle celle frigorifere, quando sono costituite da paratie mobili a comando pneumatico, comportano il rischio di schiacciamento dell'addetto che dovesse trovarsi a passare in quel momento.
Gli organi di trasmissione del moto delle macchine spazzolatrici utilizzate per pulire le forme possono costituire un rischio di presa e trascinamento.
danno atteso
Lesioni traumatiche, quali ferite e contusioni.
prevenzione
Le paratie ad apertura e chiusura automatica delle
celle frigorifere, devono essere protette contro il rischio di schiacciamento,
ad esempio:
-
per
la fase di chiusura, la paratia può essere dotata di barra sensibile sul bordo
che, in caso di urto, ne blocchi la corsa.
-
per
la fase di apertura, quando la paratia vada ad occupare uno porzione di spazio
accessibile ai lavoratori, può essere utilizzato un sistema analogo al
precedente, oppure la zona operativa può essere resa inaccessibile tramite una
adeguata recinzione.
Gli organi di trasmissione del moto delle macchine spazzolatrici devono essere protetti tramite riparo fisso o munito di dispositivo di blocco.
- Art. 6 “Doveri dei lavoratori” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 41 “Protezione e sicurezza delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. III, Capo III "Trasmissioni e ingranaggi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 68 “Protezione degli organi lavoratori e delle zone di operazione delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 72 “Blocco degli apparecchi di protezione” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 73 “Aperture di alimentazione e di scarico delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 76 e 77 "Organi di comando per la messa in moto delle macchine" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 81 "Comando con dispositivo di blocco multiplo" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 82 "Blocco della posizione di fermo della macchina" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 233 "Organi di comando e di manovra" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. IX "Manutenzione e riparazione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Tit. III “Uso delle attrezzature di lavoro” D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- D.P.R. n.459 del 24.07.1996 (Direttiva macchine).
-
Norme UNI EN
291/2, 291/2, 614/1, 294, 349, 811, 418, 1037, 1088, 574, 982, 983, 1012/1,
1012/2.
Esposizione ad
agenti biologici
descrizione
All'inizio della fase di stagionatura, sulla superficie del
formaggio si impiantano delle muffe che si possono definire primarie, come certi Aspergilli, ben
presto raggiunte ed utilizzate a fini trofici dagli acari fungivori stretti
detti acari primari tra cui il Glycyphagus domesticus. Nel lavoro di distruzione del feltro fungino, gli acari
possono danneggiare la crosta e determinare delle caverne nel formaggio, dove
si impiantano altri acari detriticoli,
quali l'acarus Siro e il Tyrolochus casei, o saprofiti detti
acari terziari. Durante la maturazione del formaggio si modificano le
condizioni ecologiche favorendo l'impianto di nuove specie fungine e,
contemporaneamente, l'enorme numero di acari diventa cibo per specie
predatrici, come il Cheyletus eruditus;
si tratta dei cosiddetti acari secondari
i quali hanno la capacità di formare uno stadio ulteriore, detto ipopiale, che ne favorisce la
sopravvivenza anche in condizioni sfavorevoli, compresa la mancanza nutrimento,
anche per più di un anno. Questa particolare forma può essere trasportata da
insetti e quindi può colonizzare nuovi ambienti. La densità di acari e muffe
che si raggiunge in poche settimane, richiede interventi periodici di pulizia
delle forme in maturazione di significato sia merceologico che
igienico-sanitario. La pulizia evita infatti l'accumulo di guanina (principale sottoprodotto del metabolismo azotato degli
acari e presente nelle loro particelle fecali), che determinerebbe
l'alterazione del prodotto, lo sviluppo di microrganismi e la alterazione del
valore biologico dell'alimento e della sua digeribilità. Dal punto di vista
sanitario la pulitura delle forme riduce la quantità di acari nell'ambiente e
quindi il rischio di sensibilizzazione degli addetti. Gli acari si depositano
anche sulle assi degli scaffali dove vengono posti i formaggi a stagionare.
Le tubazioni ed i canali di convogliamento dell'aria
condizionata dei locali di stagionatura dei formaggi, possono facilmente
diventare un ricettacolo di muffe ed altri contaminati, specie in caso siano
presenti numerosi punti di convogliamento dell'aria.
stima
Un'indagine sulle specie di acari infeudati nei pecorini prodotti in provincia di Grosseto
realizzata nell'anno 1993 ha dato i seguenti risultati:
-
sui
formaggi pecorini in stagionatura si ritrovano tipicamente due specie, Acarus siro L. e Glycyphagus domesticus;
-
il
numero di acari per grammi di polvere è molto elevato, da 200 a 4000.
-
le
due specie acarine sono sicuramente allergizzanti.
La presenza di specie fungine è stata altresì
studiata effettuando prelievi di aria in tutti i locali ed in particolare in quelli di stagionatura
di 12 caseifici di Siena e Grosseto, nell'anno 1993. Come evidenziato in altre
indagini, il genere Penicillum è
sempre presente ed alta è anche la presenza di lieviti, specialmente nei generi
Candida, Geotricum, e Rhodotorula.
Quantitativamente si sono ottenuti dalla semina dei campioni dati molto
variabili sia fra sedi diverse (le unità formanti colonia per metro cubo vanno
da 0 a 3200 ufc/m3) che fra caseifici.
danno atteso
La presenza di polveri allergizzanti nel caseificio
può comportare l'insorgenza di sensibilizzazione nei lavoratori e la comparsa
di patologie allergiche (asma, rinite). Nell'anno 1993 è stata valutata la
prevalenza di questi effetti (test spirometrici, allergometrici, immunologici e
questionario anamnestico) in 140 lavoratori di età compresa fra 18 e 65 anni
addetti a varie mansioni in 10 caseifici dell'area grossetana e senese. E'
stata evidenziata una bassa prevalenza di alterazioni respiratorie di tipo
bronchitico ostruttivo, nessun quadro di tipo restrittivo e 10 casi di
patologia allergica di non chiara attribuzione lavorativa. Piuttosto elevata
risulta invece la prevalenza di sensibilizzazione ad acari e miceti presenti
nell'ambiente di lavoro (intorno al 34% dei soggetti studiati), senza
differenze significative fra gruppi di mansioni (caseificazione e salamoia,
magazzino frigorifero e lavaggio formaggi, etichettatura e spedizione,
preparazione ricotta, autista). Occorre quindi approfondire questo dato in
rapporto all'insorgenza di patologie allergiche respiratorie.
È ipotizzabile che la presenza di allergeni nell’ambiente
di lavoro, sensibilizzando i lavoratori, possa aver costretto alcuni di loro
all’allontanamento per la manifestazione di patologie a sintomatologia acuta e
di entità rilevante; del resto l’anzianità lavorativa media piuttosto bassa,
della popolazione esaminata, rafforzerebbe questa ipotesi.
prevenzione
Per evitare che nell'impianto di condizionamento si
sviluppino e si accumulino muffe ed altri agenti contaminanti, è opportuno che
l'impianto sia progettato in modo da permettere una facile e frequente pulizia
e disinfezione all'interno dei condotti.
La periodica pulizia delle forme evita l’accumulo
sulle stesse e nell’ambiente di lavoro di acari e miceti; questa operazione
oltre ad essere necessaria per la qualità del prodotto, può essere vista come
misura di prevenzione per ridurre il rischio di sensibilizzazione degli addetti
alla fase stagionatura. Tuttavia
l’operazione di pulizia può comportare, specie per chi la esegue, un maggior
rischio di esposizione a tali agenti allergizzanti, i quali si possono
diffondere nell’ambiente di lavoro in forma di polveri derivanti dalla
spazzolatura delle forme; pertanto la postazione di pulizia delle forme deve
essere separata dagli altri reparti di lavorazione, ad esempio mediante
opportune pannellature, aerata e le macchine spazzolatrici devono essere dotate
di un sistema di captazione e aspirazione localizzata il più vicino possibile
alla fonte di emissione e realizzato in modo tale che il flusso d’aria aspirata
non investa l’operatore, il quale deve comunque indossare D.P.I. (grembiule,
guanti, maschera di protezione delle vie respiratorie).
-
Norme
igienico-sanitarie per la produzione e commercializzazione del latte e suoi
derivati (D.P.R. n. 155/1997 e D.P.R. n. 54/1997).
-
D.Lgs.
626/1994 e successive modifiche e integrazioni.
APPALTI ESTERNI
In genere questa fase non
viene appaltata.
IMPATTO
ESTERNO
In questa fase il principale rifiuto è costituito
dalla parte superficiale delle forme
di formaggio che viene asportata dalle macchine spazzolatrici durante la
pulizia; si tratta comunque di bassi quantitativi.
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1. COMPARTO: |
Caseifici |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
Produzione di mozzarella. |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORI DI
RISCHIO: |
Organizzazione del lavoro. Rischi per la sicurezza. |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
10 |
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DESCRIZIONE
DELLA FASE
Il processo che porta alla produzione delle
mozzarelle, anche in questo caso, comincia con il trattamento del latte
(pastorizzazione) ed il riempimento delle macchine polivalenti (come sopra
descritto).
Il Casaro
delle mozzarelle, dopo aver immerso nel latte i fermenti selezionati,
aggiunge il caglio per la coagulazione. Il caglio viene talvolta utilizzato
allo stato liquido e dosato automaticamente. Una volta ottenuta la cagliata,
essa viene trasferita tramite apposite coclee in tavoli di acciaio inossidabile
con piano forato e vasca sottostante di raccolta del siero. Su di essi avviene
il taglio manuale: prima in grosse fette, utilizzando un apposito coltello a
manico lungo e lama non affilata, e successivamente con una lira a fili d'acciaio, fino a ridurre la
cagliata in piccoli pezzi, della dimensione di una nocciola. Il siero che si
raccoglie sul fondo del tavolo viene estratto tramite una pompa per poi essere
utilizzato per la produzione della ricotta.
La cagliata tagliata viene lasciata riposare al
caldo su altri tavoli (simili ai precedenti), per un tempo abbastanza lungo da
consentire al fermento di terminare il suo lavoro, cioè fino alla completa
maturazione. A questo punto iniziano le prove di filatura: con una tecnica
vecchia di secoli, il Casaro prova e
riprova a filare la pasta ottenuta con un mastellino
pieno d'acqua molto calda ed una bacchetta a forma di forcella.
Una volta che il Casaro
ha terminato il suo compito, la mozzarella viene riscaldata con acqua molto
calda, e subentra il Filatore che si
occupa di produrre la treccia di
mozzarella con movimenti delle mani molto veloci perché la pasta filata scotta.
Successivamente, la treccia viene raffreddata con acqua fredda ottenuta tramite
uno scambiatore di calore alimentato a fluido frigorifero. Dopo che il prodotto
si è raffreddato, si procede al confezionamento con l'ausilio di apposite
macchine (si veda la fase confezionamento ed etichettatura).
ATTREZZATURE E MACCHINE
Caldaie
polivalenti
(vedere la fase di cagliatura precedentemente
descritta).
Si tratta di una coclea a doppia elica, che ha la
funzione di fare avanzare la cagliata
in lavorazione.
Fig. 12 Coclea.
Tavoli per il
taglio della cagliata e la formatura della mozzarella
Si tratta di tavoli di acciaio inossidabile, il cui
piano è forato per premettere il drenaggio del siero. Quest'ultimo si raccoglie
sul doppio fondo del tavolo, dal quale viene estratto tramite un’apposita
pompa.
FATTORI DI RISCHIO
I principali fattori di rischio in questa fase sono
dovuti al rischio di scivolamento, microclima sfavorevole, rumore delle pompe quando vengono
azionate per il trasferimento della cagliata e del siero, analogamente a quanto
trattato nelle fasi lavorative precedentemente descritte, cui si rimanda.
In questa fase sono inoltre presenti i seguenti
fattori di rischio:
Manipolazione
di materiali ad elevata temperatura
descrizione
Durante la filatura e formatura manuale della
mozzarella, precedentemente riscaldata, l'addetto è sottoposto al rischio di
scottature.
danno atteso
Possibili scottature cutanee.
interventi prevenzionistici
Indossare guanti e grembiuli in lattice, pause,
informazione e formazione degli addetti.
-
D.Lgs.
n. 626/1994 e s.m.i.
Movimenti
manuali ripetitivi
descrizione
Durante la filatura e formatura manuale della
mozzarella, l'addetto effettua rapidi movimenti ripetitivi con le braccia e le
mani.
danno atteso
Disturbi muscolo – scheletrici.
interventi prevenzionistici
Pause, turnazione, informazione e formazione degli
addetti.
-
D.Lgs.
n. 626/1994 e s.m.i.
Lavoro in
prossimità di organi meccanici in movimento
descrizione
La coclea per l’avanzamento della cagliata, può
comporare rischio di presa e trascinamento.
danno atteso
Lesioni traumatiche quali ferite e contusioni.
interventi prevenzionistici
Segrazione della coclea con ripari fissi o muniti di
dispositivo di interblocco.
- Art. 6 “Doveri dei lavoratori” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 41 “Protezione e sicurezza delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. III, Capo III "Trasmissioni e ingranaggi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 68 “Protezione degli organi lavoratori e delle zone di operazione delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 72 “Blocco degli apparecchi di protezione” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 73 “Aperture di alimentazione e di scarico delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 76 e 77 "Organi di comando per la messa in moto delle macchine" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 81 "Comando con dispositivo di blocco multiplo" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 82 "Blocco della posizione di fermo della macchina" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 233 "Organi di comando e di manovra" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. IX "Manutenzione e riparazione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Tit. III “Uso delle attrezzature di lavoro” D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- D.P.R. n.459 del 24.07.1996 (Direttiva macchine).
-
Norme UNI EN
291/2, 291/2, 614/1, 294, 349, 811, 418, 1037, 1088, 574, 982, 983, 1012/1,
1012/2.
APPALTI ESTERNI
Non tutti i caseifici producono mozzarella; quelli
che invece la producono, eseguono in proprio questa fase lavorativa.
IMPATTO
ESTERNO
Per quanto riguarda lo scarico delle soluzioni di
lavaggio si veda la fase sanificazione.
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1. COMPARTO: |
Caseifici |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
Produzione di ricotta. |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORI DI
RISCHIO: |
Agenti fisici: microclima, rumore. Rischi per la sicurezza. |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
68 |
|
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DESCRIZIONE
DELLA FASE
La ricotta non è un formaggio, ma un latticino
ottenuto per riscaldamento del siero residuo che deriva dalla lavorazione dei
formaggi, come evidenziato nelle fasi produttive sopra descritte. Per
migliorare resa e qualità, talvolta al siero viene aggiunto latte (in una
percentuale variabile dal 5 al 25% in volume) ed anche una minima quantità di
panna di latte (circa l'1%).
In tal caso, generalmente il latte e la panna si
aggiungono dopo aver preriscaldato il siero fino ad una temperatura di 60-70
°C. Il riscaldamento del siero o della miscela procede fino ad una temperatura
di 80 - 90 °C, secondo l’acidità di partenza del siero e gli usi locali.
Il siero utilizzato per la produzione della ricotta,
viene talvolta preventivamente filtrato per rimuovere eventuali residui di
formaggio in esso presenti.
La produzione di ricotta può avvenire in caldaie a
doppi fondi alimentati a vapore. In buona parte dei caseifici, per riscaldare
più velocemente il siero, viene immesso vapore nel liquido stesso.
Per produrre il vapore da utilizzare per
l'insufflazione diretta nel siero in caldaia, si utilizza un apposito
evaporatore alimentato con acqua potabile, riscaldato dal vapore a sua volta
prodotto dalla centrale termica.
Quando il prodotto
coagula tende ad affiorare sul bagno e si produce anche della schiuma che deve
essere eliminata. La massa coagulata che affiora si lascia consolidare,
sospendendo il riscaldamento per qualche minuto; a questo punto si raccoglie la
ricotta con un mestolo forato e si deposita in canestri di vimini o fustelle di
plastica forate, che permettono lo sgrondo della parte liquida in modo da
favorire il consolidamento del prodotto. La ricotta viene lasciata asciugare
per alcune ore in locali freschi e venduta fresca, previo confezionamento.
Fig. 13 Fustelle di plastica per la ricotta.
A volte viene introdotto del sale nella caldaia,
allo scopo sia di favorire la coagulazione, sia per insaporire il prodotto. La
quantità di sale introdotta può variare, ma generalmente è intorno allo 0,5 - 1% in peso, nella ricotta finale
asciutta.
Nei locali di produzione della ricotta possono
essere presenti le pompe per l’immissione e l’aspirazione del siero ed anche
una macchina scrematrice, la quale è
usata per estrarre la crema dal siero nel caso in cui non proceda alla
produzione della ricotta.
Il siero residuo che resta dopo l’ottenimento della
ricotta, prende il nome di scotta.
La scotta
viene prelevata dalle caldaie doppio fondo tramite pompe e stoccato in
cisterne, dalle quali viene prelevata
da autocisterne ed inviata alla sua destinazione finale, in genere per
l’alimentazione dei suini, ma anche verso industrie di trasformazione per la
produzione di derivati del latte quali lattosio, ecc.. impiegati nella
industria farmaceutica.
Un’azienda del comparto, dispone anche di un
allevamento suinicolo adiacente allo stabilimento produttivo. Le deiezioni dei
suini sono inviate all’impianto di depurazione delle acque presente presso
l’azienda, nel quale confluiscono anche le acque di lavaggio degli impianti.
ATTREZZATURE E MACCHINE
Caldaia a
doppio fondo
La caldaia a doppio fondo è essenzialmente
costituita da una tazza in acciaio inossidabile, dotata di una camicia per il
passaggio del vapore utilizzato per il riscaldamento del siero. In alcuni
impianti, lo scarico della condensa che si forma internamente alla camicia,
viene scaricato direttamente, mentre in altri impianti si ha il recupero verso
la centrale termica tramite una apposita tubazione. In questo secondo caso le
caldaie a doppio fondo sono collaudate come apparecchi a pressione.
La tazza è dotata di una bocca di uscita sul fondo,
utilizzata per lo scarico delle acque di lavaggio nella pulizia quotidiana. In
alcuni casi, la tazza è dotata di coperchio incernierato a tenuta, che viene
chiuso per le operazioni di lavaggio in ciclo C.I.P. (vedere fase sanificazione). La camiciatura di alcuni
tipi di caldaie è coibentata e la coibentazione è rivestita esternamente in
acciaio inossidabile.
Scrematrice
Si tratta essenzialmente di un separatore centrifugo
in acciaio inossidabile, simile a quello della pulitrice descritta per la fase trattamenti preliminari del latte.
Fig. 14 Scrematrice. Sullo sfondo vi
sono le vasche di lavaggio degli stampi (fustelle).
FATTORI DI RISCHIO
Esposizione a
rumore
descrizione
L'immissione di vapore per riscaldare il siero comporta
un aumento del livello di rumore a cui sono soggetti gli addetti alla
produzione della ricotta.
stima
Si riportano i valori misurati in alcune aziende del
comparto.
Valori di LAeq misurati espressi in dB(A) |
|
Caseificio
|
Zona produzione della ricotta |
Azienda 1 |
80.3 - 86.6 (*) |
Azienda 2 |
75.8 - 82.6 (*) |
Azienda 3 |
92.3 |
Azienda 4 |
80.7 |
Azienda 5 |
80.5 - 93.3 (*) |
Azienda 6 |
78.6 - 85.0 (*) |
Azienda 7 |
79.0 - 86.6 (*) |
Azienda 8 |
88.0 |
Azienda 10 |
86.0 |
Azienda 11 |
74.0 |
Azienda 12 |
86.9 - 90.3 (*) |
Azienda 13 |
83.5 |
(*) : Il secondo valore corrisponde all'utilizzo del vapore per la produzione della ricotta
Valori di LEP,d
(livello di esposizione giornaliera) espressi in dB(A) |
|
Caseificio
|
Addetti alla produzione della ricotta |
Azienda 1 |
83.0 |
Azienda 2 |
78.3 |
Azienda 3 |
91.1 |
Azienda 4 |
78.7 |
Azienda 5 |
82.3 |
Azienda 6 |
79.4 |
Azienda 7 |
80.0 |
Azienda 8 |
85.4 |
Azienda 9 |
80.8 |
Azienda 10 |
72.8 |
Azienda 11 |
82.2 |
Azienda 12 |
83.5 |
danno atteso
L’esposizione continuativa a livelli di rumore
medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni
extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli
inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure
preventive.
prevenzione
Per ridurre l'esposizione a rumore:
-
L’operazione
di immissione di vapore deve essere limitata ai casi strettamente necessari
(come, ad esempio, l’immissione di vapore nei doppi fondi) e che occorre una
nuova manutenzione all’impianto che porta il vapore dal generatore all’utilizzo
per evitare le inutili perdite che comportano un sensibile aumento del livello
di rumorosità.
-
Separare
la scrematrice dalla zona di lavoro tramite pareti fonoassorbenti o spostarla
in altro locale dove non è necessaria la presenza continua dei lavoratori.
Nei casi di livelli di esposizione personale
superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs.
277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”,
riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di
carattere generale”.
- Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.
- Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.
- D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).
Esposizione a
vapore ed a microclima sfavorevole caldo - umido
descrizione
L'evaporazione derivante dal riscaldamento del siero
nelle caldaie a doppio fondo aperte, rende l'ambiente caldo e umido; questa
situazione è peggiore quando avvenga l'insufflazione diretta di vapore nella
massa liquida, pertanto gli addetti sono esposti a condizioni microclimatiche
sfavorevoli. Anche l'utilizzo di idropulitrici a getto d'acqua e vapore in
pressione per la pulizia delle attrezzature, contribuisce all'elevato tasso di
umidità nell'ambiente di lavoro.
danno atteso
Disturbi da scomfort termico, riduzione della
capacità lavorativa, stress psico fisico.
prevenzione
In alcune aziende si è proceduto con varie misure,
ad esempio:
-
coibentazione
delle caldaie a doppio fondo, in modo da ridurre il calore radiante;
-
recupero
della condensa delle caldaie stesse, in modo da eliminare lo scarico diretto
con conseguente diffusione di vapore nell'ambiente di lavoro.
-
separazione
della zona dove sono ubicate le caldaie a doppio fondo con pannellature che
calano dal soffitto fino al di sopra della zona operativa delle caldaie stesse,
in modo da favorire la captazione dei vapori i quali vengono aspirati da
ventilatori posti sulla parete opposta alla zona dove stazionano gli addetti.
Inoltre, l'immissione di aria pulita che entra da apposite bocchette (a valle
di un impianto di filtrazione dell'aria per ridurre il rischio di
contaminazioni del prodotto da eventuali inquinanti esterni), determina un
flusso di aria laminare al di sopra delle caldaie, in modo da impedire che il
vapore prodotto si diffonda nell'ambiente di lavoro.
riferimenti normativi
- Art. 9 “Ricambio dell’aria”, Art.11 “Temperatura” e Art.13 “Umidità” D.P.R. n.303 del 19.03.1956.
- Art. 240 "Protezione delle pareti esterne a temperatura elevata" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 378 "Abbigliamento" e Art. 379 "Indumenti di protezione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Norma UNI EN 563 del 30.06.95 Sicurezza del macchinario. Temperature delle superfici di contatto. Dati ergonomici per stabilire i valori limite di temperatura per le superfici calde. La norma presenta i dati ergonomici e il loro uso per stabilire i valori limite di temperatura per superfici calde e per la valutazione dei rischi di ustione.
Fig. 15 caldaie a doppio fondo per la
produzione di ricotta, poste sotto aspirazione con flusso d’aria laminare.
Fig. 16 Particolare del sistema di
aspirazione sopra le caldaie per ricotta, realizzato tramite ventilatori a
parete e vetrata utilizzata come cappa.
Transito su
pavimenti resi scivolosi
In tutti i reparti di produzione del caseificio il
pavimento tende a bagnarsi e sporcarsi di grasso, ma in questo reparto il
problema può essere maggiore rispetto altri reparti, specie quando si
verifichino sgocciolamenti durante l'operazione manuale di prelievo della
ricotta con mestolo forato, con il quale si trasferisce il prodotto dalla
superficie del bagno di siero caldo alle fustelle di raccolta.
In tali situazioni il pavimento può diventare molto
scivoloso per la natura grassa del liquido che può sgocciolare sul pavimento.
Si veda a tal proposito quanto riportato alla fase sanificazione, tenendo conto che tra le
varie le misure di prevenzione indicate, nel reparto di produzione della
ricotta può essere necessario un pavimento che abbia maggiori caratteristiche
di antiscivolosità.
APPALTI ESTERNI
Questa fase in genere non è appaltata.
IMPATTO
ESTERNO
Le lavorazioni rumorose sopra descritte possono dare
luogo ad elevati livelli di rumore e se non è prevista un’adeguata
insonorizzazione, possono provocare disturbo alla popolazione eventualmente
residente nelle adiacenze dell’impianto produttivo.
Per quanto riguarda lo scarico delle soluzioni di
lavaggio si veda la fase sanificazione.
MARCHIATURA, CONFEZIONAMENTO ED ETICHETTATURA.
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1. COMPARTO: |
Caseifici |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
Marchiatura, confezionamento ed etichettatura. |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORI DI
RISCHIO: |
Agenti fisici: rumore. Rischi per la sicurezza. |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
50 |
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DESCRIZIONE
DELLA FASE
Alcuni tipi di formaggi a
denominazione di origine protetta (D.O.P.) vengono marchiati ad inchiostro (nel
caso dei formaggi freschi) o a fuoco (nel caso del formaggio stagionato).
La marchiatura a fuoco
avviene manualmente tramite un apposito stampo metallico riscaldato dalla
fiamma prodotta da una fiaccola a gas.
Il formaggio maturo viene
confezionato a mano o a macchina, talvolta in sacchetti di plastica nei quali
viene praticato il vuoto, nei modi richiesti dal mercato (a spicchi, ecc...).
Fig. 17 Formaggi da etichettare ed etichettati pronti per la consegna.
Fig. 18 Carrellino per confezionamento ed etichettatura manuale,
utilizzato in un piccolo caseificio.
ATTREZZATURE E MACCHINE
Macchina
porzionatrice
Si tratta di una macchina ad azionamento manuale
dotata di una lama a discesa verticale, che taglia la forma di formaggio che
viene appoggiata sul piano della macchina dall’operatore. Una volta eseguito il
taglio, l’operatore ruota la forma ed esegue un altro taglio, ripetendo
l’operazione tante volte secondo il numero di spicchi nel quale deve essere
tagliata la forma.
Si tratta di macchine automatiche o semiautomatiche
di diversi tipi, utilizzate per confezionare il formaggio in involucri
(talvolta sotto vuoto), oppure la ricotta in vaschette di plastica ricoperte
con una pellicola plastificata termosaldata.
Fig. 19 Confezionatrice automatica
dotata di ripari per la segregazione degli organi in movimento.
FATTORI DI RISCHIO
I rischi professionali sono
fondamentalmente legati al rumore, ad eventuali traumatismi, alle sorgenti
energetiche.
Lavoro in
prossimità di organi meccanici in movimento
descrizione
L’addetto all’azionamento della macchina porzionatrice
può essere esposto al rischio di taglio per contatto con la lama tagliente.
Il sistema di avanzamento e confezionamento dei
prodotti nelle macchine confezionatrici, può comportare il rischio di presa e
trascinamento; nel caso della termosaldatura delle confezioni, può essere
presente anche il rischio di contatto con superfici calde.
stima
La probabilità di infortunio si può ritenere molto
bassa se vengono attuate le norme di prevenzione sotto indicate.
danno atteso
Lesioni traumatiche quali ferite da taglio ed
amputazioni alla macchina porzionatrice; ferite e contusioni per presa e
trascinamento, ustioni alle macchine confezionatrici.
prevenzione
Utilizzare macchine porzionatrici di sicurezza,
dotate ad esempio di comando a doppi pulsanti distanziati tra loro in modo che,
durante il taglio, l’operatore debba necessariamente tenere le mani lontane
dalla zona operativa.
La parte affilata della lama, quando non impegnata
nell’operazione di taglio, deve essere protetta contro eventuali contatti
accidentali, ad esempio durante la pulizia della macchina.
- Art. 6 “Doveri dei lavoratori” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 41 “Protezione e sicurezza delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. III, Capo III "Trasmissioni e ingranaggi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 68 “Protezione degli organi lavoratori e delle zone di operazione delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 72 “Blocco degli apparecchi di protezione” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 73 “Aperture di alimentazione e di scarico delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 76 e 77 "Organi di comando per la messa in moto delle macchine" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 81 "Comando con dispositivo di blocco multiplo" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 82 "Blocco della posizione di fermo della macchina" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 233 "Organi di comando e di manovra" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. IX "Manutenzione e riparazione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Tit. III “Uso delle attrezzature di lavoro” D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- D.P.R. n.459 del 24.07.1996 (Direttiva macchine).
-
Norme UNI EN
291/2, 291/2, 614/1, 294, 349, 811, 418, 1037, 1088, 574, 982, 983, 1012/1,
1012/2.
Esposizione a
rumore
descrizione
In questa fase il rumore deriva prevalentemente
dalle macchine confezionatrici, ove presenti, in particolare quelle che
eseguono il sotto vuoto.
stima
Riportiamo i valori di rumore misurati in alcune aziende
del comparto.
Valori delle LAeq misurati espressi in dB(A) |
|
Caseificio
|
Zona confezionamento |
Azienda 1 |
80.1 |
Azienda 2 |
69.8 - 81.4(*) |
Azienda 3 |
77.1 |
Azienda 4 |
70.0 |
Azienda 5 |
70.0 |
Azienda 6 |
70.0 |
Azienda 7 |
70.0 |
Azienda 8 |
84.0 |
Azienda 10 |
76.0 |
Azienda 11 |
73.0 |
Azienda 12 |
70.0 |
Azienda 13 |
70.0 |
(*):
Confezionamento sottovuoto
Valori di LEP,d
(livello di esposizione giornaliera) espressi in dB(A) |
|
Caseificio
|
Addetti al confezionamento |
Azienda 1 |
75.5 |
Azienda 2 |
68.9 |
Azienda 3 |
76.5 |
Azienda 4 |
- |
Azienda 5 |
- |
Azienda 6 |
- |
Azienda 7 |
- |
Azienda 8 |
84.0 |
Azienda 9 |
75.2 |
Azienda 10 |
- |
Azienda 11 |
- |
Azienda 12 |
- |
danno atteso
L’esposizione continuativa a livelli di rumore
medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni
extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli
inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure
preventive.
prevenzione
Nei casi di livelli di esposizione personale
superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs.
277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”,
riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di
carattere generale”.
- Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.
- Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.
- D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).
APPALTI ESTERNI
In genere questa fase non è appaltata.
IMPATTO
ESTERNO
Il principale rifiuto prodotto in questa fase
lavorativa è costituito da sfridi di materiale utilizzato per il
confezionamento. Si tratta di quantità scarsamente significative.
STOCCAGGIO PRODOTTI FINITI E CONSEGNA AL CLIENTE.
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1. COMPARTO: |
Caseifici |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
Stoccaggio prodotti finiti e consegna al Cliente |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORI DI
RISCHIO: |
Agenti fisici: microclima. Rischi per la sicurezza. Organizzazione del lavoro |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
68 |
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DESCRIZIONE
DELLA FASE
I cartoni con il formaggio
confezionato vengono tenuti in stoccaggio in celle frigorifere, dove vengono
movimentati e caricati sugli automezzi frigoriferi per la consegna finale.
ATTREZZATURE E MACCHINE
Carrelli
elevatori
Si tratta di carrelli elevatori a trazione
elettrica.
Si tratta di automezzi commerciali il cui vano di
carico è refrigerato.
FATTORI DI RISCHIO
I rischi sono
fondamentalmente legati al microclima
freddo-umido (si rimanda alla fase stagionatura), alla movimentazione manuale e meccanica dei carichi (si rimanda alla
fasi confezionamento e movimentazione meccanica dei carichi) e al rischio di incidenti stradali durante la consegna
(si rimanda ad altri documenti, essendo oggetto di uno specifico profilo di
rischio dedicato agli autotrasportatori).
APPALTI ESTERNI
Gli addetti alla consegna possono essere gli stessi
lavoratori del caseificio ed in certi casi essi svolgono questa mansione a
rotazione, ma talvolta questa fase viene appaltata a ditte esterne.
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1. COMPARTO: |
Caseifici |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
Lavaggio fustelle. |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORI DI
RISCHIO: |
Agenti fisici: microclima, rumore. Agenti chimici. Rischi per la sicurezza. |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
|
|
|
(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
54 |
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DESCRIZIONE
DELLA FASE
Le operazioni di lavaggio dei contenitori delle forme di formaggio, nei caseifici più
piccoli è effettuata manualmente ed in tal caso sono spesso utilizzate
idropulitrici a getto d’acqua e di vapore in pressione; nei caseifici a produzione
industriale e in alcuni artigianali, invece, il lavaggio si effettua con
l’ausilio di un’apposita macchina. Talvolta essa si trova nello stesso locale
adibito alla produzione del formaggio, ma spesso è posta in un locale separato
(locale lavaggio stampi).
ATTREZZATURE E MACCHINE
Macchina per
il lavaggio delle fustelle
La macchina è costituita da una caldaia riscaldata a
vapore nella quale vengono poste, in apposite gabbie, le fustelle da lavare.
Fig. 20 Macchina lavatrice per fustelle. Fig. 21 Cestelli dove introdurre le fustelle da lavare
nella macchina.
FATTORI DI RISCHIO
Per quanto riguarda i rischi relativi all’utilizzo
delle idropulitrici manuali, sostanze chimiche, e pavimenti scivolosi si
rimanda alla fase sanificazione,
mentre qui si affronta il problema del rumore.
Esposizione a
rumore
descrizione
Nei caseifici in cui il lavaggio delle fustelle
viene effettuato in apposite caldaie, questa operazione è senza dubbio la fase
che comporta la maggiore esposizione al rumore per i lavoratori addetti.
Nei caseifici artigianali, la cui produzione è
quantitativamente minore, il fatto che il lavaggio viene eseguito a mano senza
l’utilizzo di vapore, comporta una drastica riduzione del rumore durante questa
fase lavorativa.
stima
Riportiamo i valori misurati in alcune aziende del comparto nel locale di lavaggio delle
fustelle.
Valori delle LAeq misurati espressi in dB(A) |
|
Caseificio
|
Zona lavaggio fustelle |
Azienda 1 |
87.3 |
Azienda 2 |
88.2 |
Azienda 3 |
86.1 |
Azienda 4 |
70.0 |
Azienda 5 |
74.2 - 82.8 (*) |
Azienda 6 |
77.3 - 85.0 (**) |
Azienda 7 |
77.3 |
Azienda 8 |
91.0 |
Azienda 10 |
87.0 |
Azienda 11 |
68.0 |
Azienda 12 |
75.0 |
Azienda 13 |
75.6 - 87.5 (**) |
(*) Centrifuga della pastorizzazione accesa.
(**) Utilizzo di macchine per lavaggio fustelle
Valori di LEP,d
(livello di esposizione giornaliera) espressi in dB(A) |
|
Caseificio
|
Addetti al lavaggio delle fustelle |
Azienda 1 |
86.2 |
Azienda 2 |
84.7 |
Azienda 3 |
- |
Azienda 4 |
- |
Azienda 5 |
- |
Azienda 6 |
- |
Azienda 7 |
- |
Azienda 8 |
86.1 |
Azienda 9 |
- |
Azienda 10 |
- |
Azienda 11 |
- |
Azienda 12 |
- |
danno atteso
L’esposizione continuativa a livelli di rumore
medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni
extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli inferiori
a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure preventive.
prevenzione
Nei caseifici di maggiore capacità produttiva, dove vengono utilizzate caldaie alimentate a vapore per il lavaggio delle fustelle, una delle possibili soluzioni per diminuire l’esposizione al rumore degli addetti, è quella di ridurre i tempi di esposizione automatizzando il più possibile tutto il processo, fermo restando che si rende necessario un continuo controllo e manutenzione dell’impianto.
Nei casi di livelli di esposizione personale
superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs.
277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”,
riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di
carattere generale”.
- Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.
- Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.
- D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).
APPALTI ESTERNI
Questa fase non viene appaltata.
IMPATTO
ESTERNO
Lo scarico delle acque di lavaggio deve avvenire secondo le norme vigenti, rispettando i limiti di Legge per gli inquinanti contenuti nello scarico e, ove necessario, depurare le acque reflue tramite specifici impianti.
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1. COMPARTO: |
Caseifici |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
Sanificazione |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORI DI
RISCHIO: |
Agenti fisici: microclima, rumore. Agenti chimici. Rischi per la sicurezza. |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
74 |
|
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DESCRIZIONE
DELLA FASE
Per sanificazione (anche detta sanitazione)
si intendono due importanti operazioni: la detergenza e la disinfezione degli
impianti, in particolare di tubazioni, pompe e serbatoi di stoccaggio del
latte, precedentemente descritti al paragrafo relativo all'approvvigionamento,
stoccaggio e trattamento preliminare del latte.
Queste operazioni hanno
l’obiettivo fondamentale di mantenere le volute caratteristiche del prodotto,
non solo per ovvi motivi di difesa del consumatore, ma anche per evitare che la
qualità del prodotto sia compromessa per la presenza di microbi indesiderati
capaci di provocare alterazioni dei caratteri organolettici (aspetto, aroma,
sapore).
Per la sanificazione si usano specifici prodotti (detergenti acidi o
alcalini; disinfettante a base di cloro; sali d’ammonio quaternario).
Più in generale, la fase sanificazione riguarda anche la pulizia dei pavimenti e pareti dei
vari reparti, i quali devono essere facilmente lavabili, il lavaggio delle assi
di legno dove sono poste a stagionare le forme,
il lavaggio dei cestelli utilizzati per il trasporto dei prodotti, ecc…,
pertanto si tratta di una fase trasversale a tutti i reparti di produzione.
Operazioni di lavaggio
manuale di recipienti, serbatoi, caldaie e tubazioni precedentemente smontate,
stanno cedendo il passo a moderne tecniche di lavaggio.
In particolare, la procedura
chiamata C.I.P. (dalla terminologia anglosassone Cleaning in Place o anche Cleaning
Integrated Process), consiste in un
lavaggio a ciclo chiuso ed automatico, utilizzando soluzioni di lavaggio che,
inviate sotto pressione nelle tubazioni e nei serbatoi, tolgono lo sporco: in
tal modo non è necessario alcuno smontaggio.
In genere i lavaggi C.I.P.
sono eseguiti con la seguente metodologia operativa:
1.
risciacquo
con acqua della tubazione sporca di latte;
2.
passaggio
di una soluzione di soda caustica alla concentrazione dell'1,5% (per
saponificare i grassi ed allontanare la maggior parte possibile di sostanza
organica presente);
3.
risciacquo;
4.
passaggio
di soluzione di acido nitrico alla concentrazione dell'1,5% (per eliminare la
cosiddetta pietra del latte, cioè i sali inorganici insolubili);
5.
risciacquo;
Talvolta seguono altre due
fasi:
6.
passaggio
di soluzione disinfettante o di acqua quasi bollente;
7.
risciacquo.
Nei caseifici più moderni,
la tendenza è quella di dotare di coperchi le caldaie polivalenti e quelle di
produzione della ricotta, in modo da poterle pulire in C.I.P.
Le operazioni di sanificazione giornaliera, quando non
sono realizzate attraverso il C.I.P., sono svolte manualmente e talvolta
possono richiedere lo smontaggio di alcune parti dell'impianto.
In ogni caso, anche quando
la pulizia avviene in C.I.P., alcune macchine e attrezzature vengono sottoposte
ad una prima pulizia grossolana, avente lo scopo di rimuovere eventuali coaguli
di latte che potrebbero rimanere attaccati alle macchine da pulire. Questa
pulizia preliminare è svolta manualmente con l’ausilio di lunghe spazzole e di
idropulitrici a getto d’acqua e vapore in pressione.
ATTREZZATURE E MACCHINE
Impianto di
pulizia C.I.P.
L'impianto è costituito
essenzialmente da una o più pompe per la circolazione delle soluzioni
detergenti, dai serbatoi dove esse sono contenute, dagli scambiatori termici
dove esse vengono riscaldate e dalle linee di ritorno che vengono fatte seguire
ad ogni linea di processo produttivo.
Ad esempio, ad una linea di
flusso del processo produttivo, costituita da serbatoio - tubazione - caldaia,
si fa seguire una tubazione dalla caldaia ritorni al serbatoio, in modo da
realizzare un circuito chiuso continuo.
Il tutto è corredato di un
sistema di controllo e comando automatico elettronico o computerizzato.
Fig. 22 Contenitori delle soluzioni per
il lavaggio in ciclo C.I.P.
Fig. 23 Impianto di distribuzione e
controllo automatico delle soluzioni di lavaggio.
Macchina per
lavare le assi di legno degli scaffali di stagionatura
Nei caseifici più piccoli
sono utilizzate macchine semiautomatiche dove le assi sono sottoposte a
lavaggio con acqua calda e opportuni detergenti; le assi sono introdotte
manualmente da un lato della macchina da un operatore, mentre un altro riceve
la tavola dall’altra parte.
Nei caseifici più grandi, ove si faccia uso di
tavole di legno, questa operazione avviene in macchine automatiche di maggiori
dimensioni.
Fig. 24 Macchina per lavaggio delle assi di legno utilizzate per la
stagionatura delle forme.
Si tratta di un’apparecchiatura mobile ad
azionamento manuale dotata di lancia per il getto a pressione, alimentata
tramite tubazione flessibile collegata all’impianto d’acqua calda attraverso
punti di presa dislocati in diverse zone dei reparti produttivi.
FATTORI DI RISCHIO
In questa fase lavorativa, i principali fattori di
rischio sono i seguenti:
descrizione
La
preparazione e l’impiego di soluzioni di soda caustica, acido fosforico, acido
nitrico, ipoclorito di sodio ed altri prodotti nocivi, possono comportare gravi
rischi per gli addetti.
danno atteso
Il contatto con soda caustica può provocare gravi ustioni alla pelle e agli occhi; per inalazione: intensa irritazione del naso e della gola, broncopolmonite chimica ed edema polmonare; per ingestione: lesioni gravi con pericolo di morte.
Il contatto con ipoclorito di sodio può provocare gravi ustioni alla pelle e agli occhi; per inalazione: intensa irritazione del naso e della gola, broncopolmonite chimica ed edema polmonare; per ingestione: lesioni gravi con pericolo di morte. L’odore pungente del prodotto rende meno probabile il rischio di ingestione accidentale.
Il contatto con acido nitrico può provocare ustioni alla pelle e agli occhi; per inalazione può provocare grave irritazione alle membrane e alle mucose; per ingestione: ustioni.
Il contatto con acido fosforico può provocare irritazione della pelle e degli occhi; per inalazione: irritazione delle membrane e delle mucose; per ingestione: moderatamente tossico.
Le parti del corpo maggiormente esposte al contatto con le suddette sostanze possono essere: occhi, volto, mani, piedi.
stima
Il rischio è maggiore durante l’utilizzo di acido nitrico, ipoclorito di sodio e soda caustica tal quali. Ciò può avvenire nel caso in cui la preparazione - diluizione delle soluzioni sia effettuata manualmente.
L’acido fosforico non è in genere utilizzato tal quale, ma solo come componente presente in bassa concentrazione in alcuni prodotti utilizzati per il lavaggio.
E’
opportuno utilizzare apparecchiature automatiche di dosaggio e miscelazione dei
componenti chimici delle soluzioni e di controllo automatico dei corretti
rapporti di diluizione, evitando la preparazione manuale, come già attuato in
alcune aziende del comparto.
Ove la preparazione delle soluzioni di lavaggio
avvenga ancora manualmente, come ci si può attendere nei piccoli caseifici
artigianali, tali prodotti pericolosi devono essere sostituiti con altri meno
pericolosi. Ad esempio, nel corso di alcune visite effettuate dalla ASL, è stato
sostituito un prodotto irritante per le vie respiratorie (contenente acido
nitrico in elevata percentuale), impiegato come disincrostante per il lavaggio
di caldaie, con un altro preparato a base di acido ortofosforico neutralizzato
in bassa concentrazione.
È
necessario indossare i D.P.I. quali visiere, guanti, stivali con suola
antiscivolo, grembiuli (quest’ultimi devono essere lunghi fino a coprire il
bordo superiore degli stivali, in modo da evitare l’ingresso di liquidi nelle
calzature).
Devono essere rispettate le norme sulla colorazione
delle tubazioni e l’etichettatura di tutti i contenitori, anche quelli
utilizzati per travasi. In altri comparti
produttivi sono accaduti infortuni mortali per ingestione accidentale di
prodotti tossici.
Devono essere utilizzati serbatoi di sicurezza (ad
esempio con doppio involucro) e/o bacini di contenimento separati per evitare
possibili sversamenti e consentire il recupero o la neutralizzazione dei
prodotti.
Eventuali travasi di prodotti pericolosi in piccoli
contenitori devono essere effettuati in sicurezza senza possibilità di
sgocciolamento, ed i contenitori stessi devono essere di sicurezza (a tenuta,
con tappo dotato di molla di richiusura, etichettati).
E’ fondamentale l’esame da parte del responsabile della
sicurezza aziendale, delle schede di sicurezza dei prodotti utilizzati, che il
fornitore è tenuto a consegnare al caseificio utilizzatore, e la relativa opera
di informazione e formazione degli addetti.
E’ anche opportuno che i lavoratori esposti ai diversi
rischi vengano sottoposti a controlli sanitari preventivi per accertarne
l’idoneità, tali controlli vanno ripetuti con periodicità da stabilire sulla
base dei rischi specifici.
- Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. II, Art. 9 “Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi” e Capo II “Difesa dagli agenti nocivi” del D.P.R. n.303 del 19.03.1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”.
- Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.
descrizione
danno atteso
Ustioni da acqua calda e vapore in pressione.
prevenzione
Durante l’utilizzo di idropulitrici manuali è
necessario che gli addetti si proteggano dagli schizzi di acqua calda,
indossando D.P.I. quali stivali a tenuta con suola antiscivolo, grembiuli
impermeabili lunghi fino sopra gli stivali, guanti.
Un
particolare accenno merita il diffuso uso degli stivali di gomma tra gli
addetti al caseificio, anche durante lo svolgimento di mansioni per le quali
non sono strettamente necessari; questa pratica è da sconsigliare non solo per
l’impedimento della traspirazione e la conseguente macerazione con
facilitazioni di eventuali infezioni, anche micotiche (piede del vecchio Casaro).
Pertanto
è bene limitare l’uso degli stivali in gomma, ai casi in cui siano strettamente
necessari per evitare di bagnarsi, e cambiare calzature non appena terminata
l’operazione.
È
fondamentale una corretta organizzazione del lavoro e l’informazione e
formazione degli addetti.
riferimenti normativi
-
D.P.R.
n. 547/1955 e s.m.i
-
D.Lgs.
n. 303/1956 e s.m.i
-
D.Lgs.
n. 626/1994 e s.m.i
Lavoro in
postazioni sopraelevate
descrizione
Talvolta è necessario smontare e rimontare parti di macchine ed impianti posti in altezza, per effettuare la loro pulizia, pertanto può esistere per gli addetti il rischio di cadute dall’alto.
danno atteso
Lesioni traumatiche per cadute dall’alto.
prevenzione
Per evitare il rischio di cadute dall’alto, è necessario che gli addetti evitino di arrampicarsi su macchine e impianti quando sia necessario smontare parti di essi, ma invece utilizzare scale carrellate che possono essere facilmente spostate, dotate di gradini antiscivolo e parapetti – corrimano. E’ fondamentale l’informazione e la formazione degli addetti.
riferimenti normativi
- Tit. II “Ambienti, posti di lavoro e di passaggio” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
-
Norme UNI EN
361, 363, 795.
-
D.Lgs.
n. 626/1994 e s.m.i
Transito su
pavimenti resi scivolosi
descrizione
In tutti i reparti del caseificio, specialmente
quelli di produzione, il pavimento tende costantemente a bagnarsi, determinando
il rischio di cadute per scivolamento. A tale rischio contribuisce anche il
quotidiano uso di soluzioni saponate utilizzate per la pulizia dei pavimenti e
l’impiego di idropulitrici a getto d’acqua e vapore in pressione.
danno atteso
Lesioni traumatiche per cadute da scivolamento.
prevenzione
-
pavimentazione
realizzata con materiali antiscivolo le cui mattonelle siano montate a fuga
larga per permettere un migliore deflusso del liquido, eventualmente grigliata
e/o di pendenza adeguata con sistemi di raccolta dei liquidi che cadono sul
pavimento.
-
frequente
pulizia del pavimento con prodotti detergenti.
-
indossare
calzature con suola antiscivolo.
riferimenti normativi
- Art. 7, comma 2 e comma 4 "Pavimenti" D.P.R. n. 303 del 19.03.1956.
-
Norme
British Ceramic Research Association
- Norme DIN 51098
-
D.Lgs.
n. 626/1994 e s.m.i
Esposizione a microclima
sfavorevole caldo - umido
descrizione
danno atteso
Disturbi da scomfort termico, riduzione della
capacità lavorativa, stress psico fisico.
prevenzione
Nelle situazioni di maggior esposizione a stress
termico, è utile prevedere l’uso di abbigliamento idoneo specifico, in
relazione al rischio da esposizione ad elevata temperatura, oltre a prevedere,
nell’organizzazione del lavoro, idonei periodi di acclimatamento.
È altresì opportuno valutare la possibilità di
confinare in locali appositi le macchine che determinano il microclima
caldo-umido, in modo da separarle dagli altri reparti di lavorazione, al fine
di evitare l'esposizione indiretta degli addetti.
È
fondamentale una corretta organizzazione del lavoro e l’informazione e
formazione degli addetti.
riferimenti normativi
- Art. 9 “Ricambio dell’aria”, Art.11 “Temperatura” e Art.13 “Umidità” D.P.R. n.303 del 19.03.1956.
- Art. 240 "Protezione delle pareti esterne a temperatura elevata" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 378 "Abbigliamento" e Art. 379 "Indumenti di protezione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Norma UNI EN 563 del 30.06.95 Sicurezza del macchinario. Temperature delle superfici di contatto. Dati ergonomici per stabilire i valori limite di temperatura per le superfici calde. La norma presenta i dati ergonomici e il loro uso per stabilire i valori limite di temperatura per superfici calde e per la valutazione dei rischi di ustione.
-
D.Lgs.
n. 626/1994 e s.m.i
descrizione
In questa fase lavorativa il rumore dovuto essenzialmente a:
- impatto del getto d'acqua (o delle soluzioni utilizzate per la pulizia) sulle attrezzature e macchine in lavaggio.
- utilizzo di idropulitrici manuali a getto d'acqua o vapore in pressione.
danno atteso
L’esposizione continuativa a livelli di rumore
medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni
extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli
inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure
preventive.
prevenzione
Informazione e formazione degli addetti, indossare
tappi antirumore.
Nei casi di livelli di esposizione personale
superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs.
277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”,
riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di
carattere generale”.
- Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.
- Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.
- D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).
Installazioni
elettriche in locali soggetti a spruzzi d'acqua
descrizione
L'utilizzo di idropulitrici a getto d'acqua e vapore
in pressione durante la fase di pulizia delle apparecchiature, comporta il
rischio di cortocircuiti e contatti indiretti con parti in tensione.
danno atteso
Elettrocuzione.
prevenzione
Le apparecchiature elettriche e gli impianti
elettrici devono essere idonei al luogo nei quali sono installati, in
particolare i quadri elettrici e di comando delle macchine devono essere a
tenuta stagna.
-
Legge
n. 791 del 18.10.1977 "Attuazione della direttiva del consiglio delle
Comunità europee (n. 72/23/CEE) relativa alle garanzie di sicurezza che deve
possedere il materiale elettrico destinato ad essere utilizzato entro alcuni
limiti di tensione".
-
Titolo
VII del D.P.R. n. 547/1955 "Impianti macchine ed apparecchi vari"
-
D.M.Ind.
del 13.03.1987 "Pubblicazione della lista riassuntiva di norme armonizzate
unitamente al recepimento e pubblicazione di ulteriori (4° gruppo) testi
italiani di norme C.E.I. armonizzate corrispondenti, di cui all'Art. 3 della
legge 18 ottobre 1977, n. 791, sull'attuazione della direttiva n. 73/23/CEE
relativa alle garanzie di sicurezza del materiale elettrico"
-
D.M.
(Industria) 12.02.1996 "Pubblicazione della lista riassuntiva di norme
armonizzate unitamente al recepimento e pubblicazione di ulteriori (4° gruppo)
testi italiani di norme C.E.I. armonizzate corrispondenti, di cui all'Art. 3
della legge 18 ottobre 1977, n. 791, sull'attuazione della direttiva n.
73/23/CEE relativa alle garanzie di sicurezza del materiale elettrico".
-
D.Lgs.
n. 626 del 25.11.1996 "Attuazione della direttiva 93/68/CEE, in materia di
marcatura CE del materiale elettrico destinato ad essere utilizzato entro
taluni limiti di tensione".
-
Legge
n. 46 del 05.03.1990 "Norme per la sicurezza degli impianti "
APPALTI ESTERNI
In genere questa fase lavorativa non viene
appaltata.
IMPATTO
ESTERNO
Lo scarico delle acque di lavaggio deve avvenire secondo le norme vigenti, rispettando i limiti di Legge per gli inquinanti contenuti nello scarico e, ove necessario, depurare le acque reflue tramite specifici impianti.
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1. COMPARTO: |
Caseifici |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
Laboratorio analisi |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORI DI
RISCHIO: |
Agenti biologici Agenti chimici. Rischi per la sicurezza. |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
58 |
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DESCRIZIONE
DELLA FASE
La prima cosa a cui viene
sottoposto il latte una volta giunto nel Caseificio è l'analisi di laboratorio,
che ne certifica l'idoneità microbiologica per la trasformazione in formaggio.
Il latte viene valutato
sulla base delle sua caratteristiche organolettiche, chimiche, igieniche,
microbiologiche. Il latte destinato alla trasformazione casearia deve provenire
da animali sani e deve essere esente da sostanze antifermentative (residui di
antibiotici e disinfettanti), poiché la presenza di piccoli quantitativi di
antibiotici sarebbe sufficiente per bloccare la moltiplicazione dei batteri
lattici lasciando spazio ad altri microrganismi indesiderati. Di conseguenza,
avverrebbe una insufficiente acidificazione con le relative implicazioni di
ordine tecnologico. E' importante anche che il latte sia dotato di un buon
residuo secco. Il rendimento in formaggio di una determinata quantità di latte
dipende in gran parte dalla proporzione di caseina, materia grassa e sali
minerali che partecipano alla formazione della cagliata.
Al di sotto di una determinata percentuale si hanno problemi di coagulazione, crescita limitata dei batteri lattici, scarse rese.
Il laboratorio di analisi
nelle aziende del comparto è diviso
in due settori:
-
chimico,
che ha lo scopo di determinare il grasso del latte e dei formaggi, gli antibiotici
nel latte, le proteine e tutti quegli altri parametri fondamentali per un
corretto controllo di qualità.
-
microbiologico,
che ha lo scopo di effettuare le analisi microbiologiche del latte e dei
formaggi, l’eventuale ricerca di germi patogeni e di controllare che la sanificazione sia stata eseguita
correttamente.
ATTREZZATURE E MACCHINE
Per l’analisi microbiologica sono utilizzate cappe
di aspirazione a flusso d’aria laminare, mentre per le altre analisi in genere
sono utilizzate cappe aspiranti di tipo tradizionale.
FATTORI DI RISCHIO
I principali fattori di rischio potenzialmente
presenti in questa fase lavorativa sono i seguenti:
descrizione
Durante l’analisi è possibile il contatto con gli agenti patogeni eventualmente presenti nei campioni e con i vari reagenti chimici utilizzati.
stima
Il rischio bologico è limitato per le minime quantità e dalla buona qualità attesa dei prodotti in analisi. Il rischio di contatto con agenti chimici è limitato per le minime quantità dei reagenti e per la scarsa variabilità delle analisi eseguite.
danno atteso
Possibili infezioni da agenti patogeni che possono essere presenti nei campioni in esame.
Possibili irritazioni della pelle e degli occhi in caso di contatto accidentale con reagenti.
prevenzione
Utilizzare micropette automatiche al fine di evitare l’ingestione accidentale di sostanze e prodotti utilizzati durante l’analisi.
Effettuare la frequente pulizia e disinfezione (ad esempio con alcool e/o soluzioni a base di ipoclorito di sodio).
Indossare D.P.I. (guanti, maschere, occhiali, camici), rispettare le norme igieniche.
Informazione, formazione e sorveglianza sanitaria degli addetti.
-
D.Lgs.
626/1994 e successive modifiche e integrazioni.
descrizione
Durante l’analisi sono spesso utilizzate attrezzature in vetro che, in caso di rottura, possono esporre gli addetti al rischio di tagliarsi.
Sono anche utilizzati termostati, stufe ed altre attrezzature che possono presentare superfici calde.
danno atteso
Possibili ferite da taglio, ustioni.
prevenzione
Valutare la possibilità di sostituire le attrezzature in vetro con altre costituite da materiali infrangibili.
Coibentazione delle superifici calde.
Indossare D.P.I. (guanti, camici).
Informazione e formazione degli addetti.
- Art. 240 "Protezione delle pareti esterne a temperatura elevata" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
-
D.Lgs.
626/1994 e successive modifiche e integrazioni.
APPALTI ESTERNI
Talvolta la ricerca della eventuale presenza di
germi patogeni o altre analisi complesse sono appaltate a laboratori esterni.
IMPATTO
ESTERNO
Non
sono presenti significativi impatti esterni dovuti a questa fase lavorativa,
per le scarse quantità in gioco. In ogni caso è necessario che gli scarichi
idrici del lavaggio delle attrezzature siano inviati all’impianto di
depurazione delle acque.
CENTRALE TERMICA - PRODUZIONE DI VAPORE
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1. COMPARTO: |
Caseifici |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
Centrale termica |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORI DI
RISCHIO: |
Agenti fisici: rumore, microclima Agenti chimici. Rischi per la sicurezza. |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
52 |
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DESCRIZIONE DELLA FASE
La produzione del vapore che viene utilizzato nelle
varie fasi dell'impianto come sopra descritto, avviene tramite centrali
termiche di rilevante potenzialità produttiva, alimentate con vari combustibili
(gas metano oppure olio combustibile) e poste in locali appositi.
Ad esempio una delle aziende del comparto, caratterizzata da una produzione di tipo industriale, dispone di n. 2 caldaie ognuna con le seguenti caratteristiche:
- Alimentazione: gasolio
- Produzione di vapore: 3 t./h
- Pressione: 12 bar
- KW al focolare: 2.470
- Kcal/h = 1.950.000
Fino ad alcune decine di
anni fa erano installati solo generatori di vapore alimentati ad olio
combustibile denso. Successivamente, tenendo presenti le problematiche
derivanti dall'inquinamento atmosferico (D.P.R. 203/88), i generatori di vapore
sono stati alimentati a olio combustibile fluido 3-5 °E, e adesso si tende a
convertirle a metano.
Tuttavia diversi caseifici sono ubicati in zone dove la rete del gas metano non è presente, pertanto in tali casi permangono le centrali termiche alimentate a gasolio.
Tenute presenti le
potenzialità in gioco e la pressione massima necessaria del vapore, tali
generatori di vapore possono essere di due tipi: a tubi di fumo o a tubi
d'acqua.
I più moderni generatori di
vapore sono dotati dei vari sistemi di recupero del calore (pressurizzazione
della camera di combustione delle caldaie, preriscaldatori d'aria e/o
economizzatori nel giro fumi dei generatori, degasatori per il recupero delle
condense).
Dal momento che i citati
generatori di vapore necessitano della presenza continua dei conduttori
patentati, secondo le norme di cui al D.M. 01.03.1974, si è estesa sempre più
l'installazione di generatori ad olio diatermico dotati di scambiatori -
evaporatori in grado di produrre, a loro volta, vapore alla pressione
richiesta. Il crescente successo di tali tipi di generatori di calore è dovuto
al fatto che gli stessi non richiedono la presenza del conduttore patentato.
L’acqua utilizzata nell’impianto termico necessita di essere preventivamente demineralizzata mediante un apposito impianto. Questo trattamento può essere ottenuto tramite due sistemi diversi: osmosi inversa oppure attraverso resine scambiatrici di ioni.
Il principio dell'osmosi inversa consiste nell'estrarre i sali minerali contenuti nell'acqua, facendola passare ad una pressione di circa 20 bar attraverso membrane semipermeabili che lasciano passare acqua demineralizzata trattenendo i sali che vi erano disciolti. L'impianto a osmosi inversa è essenzialmente costituito da una pompa che alza la pressione dell'acqua, dal modulo contenente le membrane semipermeabili e da due misuratori di flusso, uno sul concentrato (liquido contenente i sali che vengono trattenuti dalle membrane) e l'altro sul permeato (acqua demineralizzata). I misuratori di flusso hanno lo scopo di controllare che la produzione sia quella desiderata. Normalmente, sulla linea del permeato viene installato un rilevatore di salinità costituito da un conduttivimetro che segnala immediatamente una eventuale rottura della membrana perché in questo caso l'acqua in uscita avrebbe caratteristiche pressoché uguali a quella in entrata mettendo a rischio il buon funzionamento della caldaia. Il concentrato viene scaricato verso l'impianto di depurazione delle acque.
Gli impianti a resine scambiatrici di ioni, hanno lo scopo di trasformare tutti i sali contenuti in nell'acqua da demineralizzare, mediante successivi scambi ionici. Tali scambi ionici avvengono, di norma, in due colonne contenenti resina cationica forte la prima e resina anionica forte la seconda. Nelle colonne avvengono le seguenti reazioni chimiche:
Ø Colonna cationica: NaCl + H - R ® HCl + Na - R
Ø Colonna anionica: HCl + R - OH ® H2O + R - Cl
(dove con R è indicata la resina scambiatrice).
La rigenerazione delle colonne avviene con lavaggi in controcorrente con una soluzione acida (di solito a base di acido cloridrico) per quella cationica e con una soluzione alcalina (di solito a base di soda caustica) per quella anionica, sfruttando così le reazioni inverse a quelle descritte sopra.
In certi casi, specie per grossi impianti termici, tra le due colonne è posta una torre di decarbonatazione.
Per ottimizzare la demineralizzazione talvolta viene aggiunta una terza colonna con il compito di eliminare la silice.
L’acido cloridrico e l’idrossido di sodio (soda) utilizzati per la rigenerazione delle resine vengono stoccati in serbatoi che alimentano l’impianto tramite tubazioni.
Gli impianti ad osmosi inversa si stanno affermando rispetto a quelli a resine scambiatrici di ioni perché, nonostante che i primi presentino costi maggiori, essi sono di più facile gestione ed evitano gli scarichi idrici dovuti al lavaggio delle resine scambiatrici.
La centrale termica richiede interventi di manutenzione periodica ordinaria e straordinaria, anche in corrispondenza delle verifiche obbligatorie previste per Legge.
FATTORI DI RISCHIO
I principali fattori di rischio potenzialmente
presenti in questa fase lavorativa sono i seguenti:
Esposizione a
prodotti chimici
descrizione e danno
atteso
Il trattamento di demineralizzazione dell’acqua, talvolta prelevata da pozzi artesiani e immessa nell'impianto produzione calore in elevati quantitativi medi giornalieri, comporta l'impiego di vari prodotti chimici che possono essere causa di danni alla salute dei lavoratori. In particolare:
- Soda: il contatto con soluzioni di soda, essendo un prodotto caustico, può provocare lesioni alla cute ed agli occhi. Il rischio di contatto è maggiore nelle operazioni di travaso dalle autocisterne ai serbatoi. L’esposizione ai vapori può provocare irritazione per occhi e prime vie aeree.
- Acido cloridrico: il contatto con soluzioni di acido cloridrico, può provocare lesioni alla cute ed agli occhi. L’esposizione ai vapori può provocare irritazione per occhi e prime vie aeree.
- Idrazine: vengono utilizzate allo scopo di ridurre l’acidità dell’acqua di caldaia ed evitare la corrosione delle tubazioni ed altre superfici metalliche dell’impianto. Alcune idrazine sono classificare dalla CEE come cancerogene (R45). Inoltre possono esercitare un’azione epato-nefrotossica e irritante sulle persone esposte. Si tratta di prodotti molto infiammabili capaci di formare miscele esplosive con l'aria.
prevenzione
L’azienda deve richiedere ai propri fornitori le schede di sicurezza dei prodotti chimici utilizzati, renderle rapidamente disponibili per i lavoratori e valutare attentamente la possibilità di sostituire i prodotti più pericolosi con formulati meno tossici. I serbatoi e le tubazioni devono essere dotati della prescritta etichettatura.
Per eventuale prelievo, trasporto e dosaggio manuale dei suddetti prodotti possono essere utilizzate attrezzature atte ad evitare sgocciolamenti, sversamenti e diffusione di vapori, quali ad esempio rubinetti autochiudenti, pompe di travaso dotate di valvole di ritegno, contenitori di sicurezza a chiusura ermetica con tappo provvisto di molla autochiudente e beccuccio di scarico flessibile.
I serbatoi dei prodotti chimici diversi devono essere dotati di bacini di contenimento separati, per evitarne la possibilità di miscelazione.
E’ necessario che gli addetti indossino Dispositivi di Protezione Individuali (D.P.I.) quali guanti, grembiuli, maschere, ecc… nelle fasi di preparazione e impiego, che vengano informati circa i rischi ed i danni potenziali a seguito dell’esposizione, che vengano formati alle corrette procedure di lavoro in sicurezza e che siano messi a loro disposizione servizi igienico assistenziali: armadietti con doppio scomparto per separare gli indumenti da lavoro da quelli civili, lavabi, docce, lavaocchi, ecc…. I lavoratori devono essere sottoposti ad opportuna sorveglianza sanitaria.
- Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. II, Art. 9 “Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi” e Capo II “Difesa dagli agenti nocivi” del D.P.R. n.303 del 19.03.1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”.
-
D.M.Ind.
del 01.03.1989 "Recepimento della direttiva CEE/88/571, sull'aggiornamento
al progresso tecnico dei metodi di protezione del materiale elettrico
antideflagrante"
- Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.
Esposizione a gas
di combustione
descrizione
La centrale termica può rilasciare i prodotti della combustione (NOx, CO, ecc.) nell'aria del locale.
danno atteso
L'esposizione ai prodotti di combustione che ristagnano nell'ambiente di lavoro può comportare fenomeni di intossicazione da ossido di carbonio (CO), irritazione delle mucose congiuntivali, delle prime vie aeree e broncopneumopatie.
prevenzione
Nei locali delle caldaie, per evitare il rischio di inalazione di gas tossici, occorre verificare che il tiraggio della caldaia sia mantenuto in perfetta efficienza e non debbano verificarsi fuoriuscite dei gas di combustione nell’ambiente di lavoro e comunque garantire l’arieggiamento costante dei locali caldaia.
In caso di interventi straordinari di manutenzione, devono essere messi a disposizione degli addetti idonei DPI.
- Art. 236 "Lavori entro tubazioni, canalizzazioni, recipienti e simili nei quali possono esservi gas e vapori tossici o asfissianti" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. II, Art. 9 “Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi” e Capo II “Difesa dagli agenti nocivi” del D.P.R. n.303 del 19.03.1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”.
- Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.
- Tit. VII del D.Lgs. n.626/94 “Protezione da agenti cancerogeni”, così come modificato dal D.Lgs. n. 66 del 25.02.2000.
Movimentazione
manuale dei carichi
descrizione
Nelle operazioni necessarie alla conduzione della centrale termica è presente un rischio da movimentazione carichi, dovuto all’utilizzo di prodotti chimici contenuti in sacchi di carta del peso di circa 25 Kg.
danno atteso
Possibili disturbi muscolo-scheletrici.
prevenzione
Per la movimentazione manuale dei carichi, dove possibile, devono essere impiegati ausili meccanici (apparecchi di sollevamento ecc.).
- Tit. V e All. 6 del D.Lgs. n.626 del 10.09.1994.
- Norma UNI ISO 938
Esposizione a rumore
descrizione
Il rumore il questa fase lavorativa deriva
prevalentemente dai bruciatori delle caldaie, le quali sono collocate in locali
separati dagli altri ambienti di lavoro, ma la conduzione dell'impianto può
richiedere una presenza continua dell'addetto.
stima
L’impianto di produzione del vapore sviluppa elevati
livelli di rumorosità. I valori di livello equivalente (Leq) di rumore prodotto
dalla caldaia in dB(A), evidenziano l’entità del problema, come si può vedere
nella tabella seguente:
Tabella - Livello equivalente
in dB(A) del rumore nel locale caldaia.
Leq max |
Leq min |
Leq medio |
91.4 |
83.5 |
89.6 |
danno atteso
L’esposizione continuativa a livelli di rumore
medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni
extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli
inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure preventive.
prevenzione
Per ridurre il rumore è necessaria una buona
coibentazione termico-acustica dell’impianto, e mantenere in buono stato di
manutenzione ed efficienza bruciatori, aspiratori e ventilatori. Inoltre devono
essere evitati sfiati liberi di vapore. In caso di rumorosità eccessiva
l’operatore deve poter disporre di una cabina insonorizzata e climatizzata e di
D.P.I. (cuffie, tappi antirumore) per gli interventi di manutenzione.
Nei casi di livelli di esposizione personale
superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs.
277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”,
riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di
carattere generale”.
- Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.
- Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.
- D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).
Esposizione a microclima sfavorevole e lavoro in
prossimità di superfici calde
descrizione
La caldaia e le condutture dell’impianto termico
possono presentare una elevata temperatura; nel locale si può determinare un
microclima sfavorevole.
danno atteso
L'esposizione a microclima sfavorevole e a calore
radiante può determinare disturbi da scomfort termico, riduzione della capacità
lavorativa, stress psico fisico.
In caso di contatto cutaneo con superfici ad elevata
temperatura, si possono verificare infortuni per ustioni di vario grado e
lesioni cutanee.
prevenzione
E’ necessaria la protezione di tutte le superfici
calde mediante coibentazione e indossare guanti anticalore ed indumenti
adeguati. Anche per questo fattore di rischio sono consigliabili locali di
ristoro e cabine climatizzate.
riferimenti normativi
- Art. 9 “Ricambio dell’aria”, Art.11 “Temperatura” e Art.13 “Umidità” D.P.R. n.303 del 19.03.1956.
- Art. 240 "Protezione delle pareti esterne a temperatura elevata" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 378 "Abbigliamento" e Art. 379 "Indumenti di protezione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Norma UNI EN 563 del 30.06.95 Sicurezza del macchinario. Temperature delle superfici di contatto. Dati ergonomici per stabilire i valori limite di temperatura per le superfici calde. La norma presenta i dati ergonomici e il loro uso per stabilire i valori limite di temperatura per superfici calde e per la valutazione dei rischi di ustione.
Esposizione ad
amianto
descrizione
Durante l’esecuzione di lavori di manutenzione e coibentazione su guarnizioni, raccordi e condutture dell’impianto termico, nel caso tali interventi vengano effettuati su un vecchio impianto nel quale era stato utilizzato l’amianto prima che questo venisse vietato (D.L. 257/92), gli addetti possono essere esposti a polveri di amianto.
danno atteso
L’inalazione di polveri di amianto può provocare asbestosi, mesoteliomi e tumori polmonari.
prevenzione
In caso di lavori di demolizione – rimozione di parti
dell’impianto termico contenenti amianto, è necessario notificare alla Azienda
Sanitaria Locale competente per territorio, il relativo piano di lavoro in
sicurezza ai sensi dell’Art. 34 del D.Lgs. n. 277/91. Tali operazioni, quando
necessarie, vengono di solito affidate a ditte specializzate.
riferimenti normativi
- Capo III “ Protezione dei lavoratori contro i rischi connessi all'esposizione ad amianto durante il lavoro” del D.Lgs. n.277 del 15.08.1991 “Attuazione delle direttive 80/1107/CEE, 82/605/CEE, 83/477/CEE, 86/188/CEE e 88/642/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro, a norma dell’Art. 7 Legge n.212 del 30.07.1990”.
- Legge n.257 del 27.03.92 "Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto"
- D.M. del 06.09.94 "Normative e metodologie tecniche di applicazione dell'Art. 6, comma 3, e dell'Art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto"
- D.M. del 20.08.99 "Ampliamento delle normative e delle metodologie tecniche per gli interventi di bonifica, ivi compresi quelli per rendere innocuo l'amianto, previsti dall'Art. 5, comma 1, lettera f), della L. 27 marzo 1992, n. 257, recante norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto"
Incendio – esplosione
descrizione
In una centrale termica è sempre presente il rischio di incendio - esplosione.
Inoltre le idrazine (vapori) sono in genere prodotti facilmente infiammabili e, in opportune condizioni, esplosivi: devono essere conservate pertanto entro contenitori di sicurezza, in ambienti separati (preferibilmente compartimentati), provvisti di idonea aerazione.
danno
atteso
In caso di incendio - esplosione, sono possibili lesioni traumatiche, ustioni, intossicazioni.
prevenzione
È necessario che la centrale termica sia rispondente in tutto alle specifiche norme di sicurezza antincendio, impianti elettrici a norma e predisporre idonei programmi di controlli e manutenzione programmata dell’impianto.
La normativa antincendio per
le centrali termiche si differenzia a seconda del tipo di combustibile
utilizzato:
-
Olio
combustibile fluido 3-5 °E o gasolio: Circolare del M.I. n. 73 del 29/7/71 e
successive circolari integrative.
-
Metano:
Circolare del M.I. n°68 del 25/11/69 e successive circolari integrative.
Il locale della centrale termica deve essere
provvisto almeno di estintori (normalmente del tipo a polvere od anidride
carbonica) omologati.
Per la prevenzione di esplosione ed incendio occorre che l’unità produttiva abbia ottenuto il C.P.I. rilasciato dal Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco. Inoltre l’addetto alla conduzione della caldaia deve essere provvisto della autorizzazione prevista dalla Legge, nei casi richiesti.
La presenza degli apparecchi
a pressione (generatori di vapore, degasatori) comporta il pericolo di scoppio
con conseguente rischio per i lavoratori presenti; il problema può essere
ritenuto trascurabile se le caldaie e i recipienti a pressione sono stati
regolarmente omologati da ISPESL e subiscono le regolari verifiche periodiche
annuali da parte dell'Azienda Sanitaria Locale competente per territorio.
riferimenti normativi
- Tit. II, Art. 13 "Vie d'uscita e di emergenza", Art. 14 "Porte e portoni" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. II, Capo VI “Difesa contro gli incendi e le scariche atmosferiche” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- D.P.R. n.577 del 29.07.1982 “Approvazione del regolamento concernente l’espletamento dei servizi antincendio”.
- D.M.I. del 02.08.1984 "Norme e specificazioni per la formulazione del rapporto di sicurezza ai fini della prevenzione incendi nelle attività a rischio di incidenti rilevanti di cui al D.M.I. del 16.11.1983.
- D.M.I. del 24.11.1984 "Norme di sicurezza antincendio per il trasporto, la distribuzione, l'accumulo e l'utilizzazione del gas naturale con densità non superiore a 0,8".
- D.M.I. del 08.03.1985 "Direttive sulle misure più urgenti ed essenziali di prevenzione incendi ai fini del rilascio del nullaosta provvisorio di cui alla legge 7 dicembre 1984, n. 818".
- D.P.C.M. 31.03.1989 "Applicazione dell'Art. 12 del D.P.R. 17 maggio 1988, n. 175, concernente rischi rilevanti connessi a determinate attività industriali."
- D.M.A. 14.04.1994 "Criteri di analisi e valutazione dei rapporti di sicurezza relativi ai depositi di gas di petrolio liquefatto ai sensi dell'Art. 12 del D.P.R. 17 maggio 1988, n. 175".
- Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto", comma 5 lettera a) e lettera q) del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 (con successive modifiche e integrazioni) “Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 97/42/CE e 99/38/CE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro”.
-
Art.
12 e 13 “Prevenzione incendi ed evacuazione dei lavoratori” D.Lgs. n.626/1994.
IMPATTO ESTERNO
I principali
fattori di impatto ambientale di questa fase sono i seguenti:
Emissioni in atmosfera
Si tratta delle emissioni dei gas prodotti dalla combustione in caldaia del metano per produrre il vapore necessario, distribuito poi, mediante apposite linee, ai reparti per l’utilizzazione.
I residui di questa
combustione sono facilmente prevedibili: infatti un m3 di metano
bruciato, in minimo eccesso di comburente, produce quantità note di residui
(anidride carbonica, azoto, ossigeno, ecc...).
Quando la centrale termica è
alimentata a gasolio è lecito aspettarsi un peggioramento delle emissioni a
causa delle impurità presenti nell’olio combustibile.
Le emissioni sono
controllate da ARPAT attraverso la determinazione delle concentrazioni degli
ossidi di carbonio, di azoto, di zolfo e delle polveri.
Queste emissioni avvengono a
temperature piuttosto elevate (circa 230 °C).
Scarichi idrici
Negli impianti a resine scambiatrici di ioni, sono costituiti dai reflui della rigenerazione delle resine utilizzate per la demineralizzazione dell’acqua, nonché dai cosiddetti spurghi di caldaia. Si tratta di soluzioni a pH acido o basico con elevata concentrazione di sali minerali e contenenti acido cloridrico e soda, che scaricate tal quali potrebbero inquinare le acque e il suolo. Pertanto tali reflui devono essere convogliati, tramite canalizzazioni in materiale chimicamente resistente, alla vasca di neutralizzazione nella quale viene corretto il pH mediante soda o acido cloridrico, prima di essere convogliate all’impianto di depurazione delle acque.
Negli impianti ad osmosi inversa, si ha solo lo scarico della soluzione concentrata dei sali trattenuti dalle membrane semipermeabili, pertanto ciò costituisce un impatto ambientale notevolmente minore rispetto a quello derivante dall'impianto a resine.
Produzione di rifiuti
Il rifiuto principale prodotto da questa fase del ciclo produttivo è costituito dalle resine esauste utilizzate nell’impianto di demineralizzazione dell’acqua.
Consumo delle risorse
Per la produzione del vapore
viene utilizzata una notevole quantità di acqua e di combustibile.
Il consumo di acqua può
essere minimizzato con sistemi di recupero delle condense. Il consumo di combustibile
può essere ridotto mediante l’utilizzo di economizzatori per recuperare il
calore e per riscaldare aria comburente e acqua di caldaia. Il consumo di
energia elettrica può essere ridotto tramite l’utilizzo di sistemi di
cogenerazione.
I principali
fattori di rischio ambientale di questa fase sono i seguenti:
Sversamenti di olio combustile sul suolo
In caso di rottura del
serbatoio interrato dell’olio combustibile, utilizzato come carburante della
centrale termica secondaria, si possono verificare sversamenti sul terreno
circostante, con conseguente inquinamento del suolo e possibile penetrazione
nelle falde acquifere. Pertanto è richiesto che i serbatoi interrati siano
realizzati secondo la recente emanazione del Ministero dell’Ambiente D.M. del
20.10.98 "Requisiti tecnici per la costruzione, l’installazione e
l’esercizio di serbatoi interrati".
Sversamenti di prodotti chimici sul suolo
I prodotti chimici
utilizzati nell’impianto di demineralizzazione dell’acqua, quali acido
cloridrico e idrossido di sodio (soda), possono dare luogo a sversamenti sul
suolo, sia durante il rifornimento dei serbatoi da autocisterne, sia in caso di
rotture o cedimenti. In caso di sversamento si può verificare inquinamento del
suolo, con possibile penetrazione nelle falde acquifere, ed emissione di vapori
in atmosfera. Pertanto, per evitare il rischio di dispersione sul suolo,
possono essere utilizzati bacini di contenimento in materiale chimicamente
resistente e prevedere misure di emergenza per la neutralizzazione dei prodotti
chimici.
Incendio - esplosione
In caso di incendio a carico della centrale termica
il danno atteso per l’ambiente consiste prevalentemente nella formazione di
prodotti parzialmente incombusti immessi nell’atmosfera. L’esplosione può
comportare danni strutturali al locale sede della centrale termica ed a locali
ed edifici limitrofi.
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1. COMPARTO: |
Caseifici |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
Trattamento scarichi idrici. |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORI DI
RISCHIO: |
Agenti biologici Agenti chimici. Rischi per la sicurezza. |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
52 |
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DESCRIZIONE DELLA FASE
La depurazione delle acque riguarda i reflui provenienti dalla centrale termica, dai servizi civili e dal lavaggio delle varie attrezzature, impianti e pavimenti del locali di lavoro. In alcuni casi, abbinato al caseificio, vi è anche un allevamento di suini, pertanto all'impianto di depurazione delle acque confluiscono anche le deiezioni animali.
In genere la depurazione delle acque viene effettuata a piè di fabbrica con un impianto classico aerobico a fanghi attivi, ma talvolta gli scarichi vengono inviati ad impianti di depurazione consortili.
L’impianto è essenzialmente costituito dalle vasche di omogeneizzazione, sedimentazione primaria e secondaria, dalle vasche di aerazione, dal trattamento finale di disidratazione dei fanghi, dall’impianto di dosaggio dei reagenti che generalmente sono posti fuori terra dove si accede alle postazioni sopraelevate tramite scale.
I reagenti generalmente utilizzati nell’impianto di depurazione sono elencati nella tabella seguente:
Reagenti utilizzati nell’impianto di trattamento
delle acque di scarico |
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PRODOTTO |
STATO FISICO |
MODALITA'
DI ALIMENTAZIONE |
Policloruro di alluminio 18% |
Soluzione acquosa |
Da serbatoi, mediante pompe |
Solfato di alluminio 27% |
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Calce bianca superventilata |
Polvere |
Sacchi aggiunti manualmente |
FATTORI DI
RISCHIO
I lavoratori addetti alla conduzione dell’impianto sono soggetti ai rischi derivanti dall’esposizione a polveri, vapori, manipolazione di prodotti chimici, movimentazione manuale dei carichi, lavoro in postazioni sopraelevate e transito in ambiente scivoloso. Particolare attenzione deve essere rivolta durante la manutenzione e pulizia degli impianti, ove sono presenti ulteriori rischi di infortuni e intossicazione per il ristagno di gas tossici o asfissianti e rischi biologici.
Esposizione a prodotti chimici
descrizione e danno
atteso
In caso di prelievo, trasporto e dosaggio manuale, i lavoratori possono essere esposti a contatto e inalazione dei vari prodotti chimici da aggiungere nelle vasche di trattamento delle acque. In particolare, per i vari prodotti, si possono evidenziare i seguenti danni attesi:
Policloruro di alluminio
Il contatto con soluzioni di policloruro di alluminio può provocare irritazione della cute. Può risultare caustico per contatto con gli occhi.
Solfato di alluminio
Il contatto con soluzioni di concentrate di solfato di alluminio può provocare lesioni agli occhi.
Calce bianca superventilata
L’esposizione a polveri di calce può provocare irritazione di cute, occhi e vie aeree. Può risultare caustico per contatto con la cute e gli occhi.
prevenzione
Per ridurre l'esposizione ai prodotti chimici impiegati, occorre valutare attentamente la possibilità di sostituire i prodotti più pericolosi con formulati meno tossici e l’adozione di impianti automatici a ciclo chiuso di dosaggio e miscelazione.
Per il prelievo, trasporto e dosaggio manuale dei prodotti pericolosi è necessario utilizzare attrezzature atte ad evitare sgocciolamenti, sversamenti e diffusione di vapori, quali ad esempio rubinetti autochiudenti per i fusti, pompe di travaso, contenitori di sicurezza a chiusura ermetica con tappo provvisto di molla autochiudente e beccuccio di scarico flessibile.
Inoltre è necessario che, nelle fasi di preparazione e
impiego, gli addetti indossino idonei Dispositivi di Protezione Individuali
(D.P.I.) quali guanti, grembiuli, dispositivi di protezione degli occhi e delle
vie respiratorie, e che vengano informati circa i rischi ed i danni potenziali
a seguito dell’esposizione, formati alle corrette procedure di lavoro in
sicurezza e siano messi a loro disposizione idonei servizi igienico
assistenziali: armadietti con doppio scomparto per separare gli indumenti da
lavoro da quelli civili, lavabi, docce, lavaocchi, ecc…) ed infine che vengano
sottoposti ad opportuna sorveglianza sanitaria.
- Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. II, Art. 9 “Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi” e Capo II “Difesa dagli agenti nocivi” del D.P.R. n.303 del 19.03.1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”.
- Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.
Movimentazione manuale dei carichi
descrizione e danno atteso
La movimentazione manuale dei sacchi di calce può comportare danni a carico dell’apparato muscolo - scheletrico in particolare alla colonna vertebrale degli addetti.
prevenzione
Per la movimentazione manuale dei carichi, dove possibile, devono essere impiegati opportuni ausili meccanici (apparecchi di sollevamento, ecc...). La soluzione più idonea risulta comunque essere l’adozione di impianti automatizzati per il dosaggio, la miscelazione e il trasporto dei preparati.
- Tit. V e All. 6 del D.Lgs. n.626 del 10.09.1994.
- Norma UNI ISO 938
Lavoro in postazioni sopraelevate e scivolose
descrizione e danno atteso
Durante la conduzione dell’impianto, i lavoratori accedono talvolta a postazioni di lavoro che comportano il rischio di caduta dall’alto. Il rischio è aggravato dalla scivolosità delle superfici di calpestio.
prevenzione
Le zone transitabili intorno
alle vasche devono essere dotate di parapetti per evitare che gli addetti
possano caderci dentro e dotate di fascia ferma piede. Inoltre le scale e le
passerelle nelle zone di lavoro e transito devono essere antiscivolo e
anch’esse dotate di parapetti e di fascia ferma piede. Le scale fisse a pioli
devono essere dotate di gabbie di protezione anticaduta. I lavoratori devono
indossare calzature adeguate.
- Tit. II “Ambienti, posti di lavoro e di passaggio” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
-
Norme UNI EN
361, 363, 795
Esposizione a gas asfissianti
descrizione
Durante la manutenzione periodica delle vasche di depurazione delle acque, il fermo degli impianti, anche per breve durata, può provocare il ristagno di anidride carbonica, a cui gli addetti possono essere esposti nel caso entrino dentro le vasche vuote.
danno atteso
Intossicazione da anidride carbonica, rischio di asfissia per mancanza di ossigeno.
prevenzione
Le operazioni di pulizia e manutenzione degli impianti di deposito o trattamento o delle acque talvolta vengono affidate a ditte esterne e in tal caso la sicurezza di tali operazioni deve essere coordinata dal servizio di prevenzione e protezione dell'azienda. In particolare, prima di consentire l’accesso dei lavoratori alle vasche, deve essere verificata l’assenza di gas pericolosi tramite idonea strumentazione (misuratori di ossigeno). Per le operazioni preliminari di svuotamento e lavaggio, nella vasca deve essere soffiata aria esterna tramite soffiatori d’aria, altrimenti gli addetti devono essere dotati di autorespiratori. In caso di rischio di presenaza di gas pericolosi o mancanza di ossigeno, l’addetto che accede all’interno della vasca, deve essere dotato di apposita imbracatura collegata ad un sistema che garantisca il recupero da parte di altra persona che presidia all’esterno. Se si fa uso di scale, queste devono essere di adeguata lunghezza, ben ancorate, stabili.
E’ fondamentale la formazione degli addetti sui rischi specifici e sulle sequenze operative per lavorare in sicurezza.
- Art. 236 "Lavori entro tubazioni, canalizzazioni, recipienti e simili nei quali possono esservi gas e vapori tossici o asfissianti" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. II, Art. 9 “Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi” e Capo II “Difesa dagli agenti nocivi” del D.P.R. n.303 del 19.03.1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”.
- Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.
Esposizione a rischio biologico
descrizione
Gli addetti alla conduzione e manutenzione dell’impianto di depurazione delle acque possono essere esposti a rischio biologico.
stima
Il rischio maggiore deriva dall’esposizione ad aerosol, specie quelli provenienti dalle vasche aperte relative alle fasi iniziali di trattamento degli scarichi dove essi sono sottoposti ad aerazione per mezzo di organi meccanici in movimento (agitatori).
danno atteso
Possibili infezioni da agenti patogeni.
prevenzione
Vaccinazione degli addetti: antitetanica ed eventualmente antiepatite A, antitifica, antileptospirosi.
Norme igieniche: non mettere in bocca mani sporche; non bere, mangiare o fumare durante il lavoro; cambiarsi gli indumenti di lavoro e farsi la doccia al termine del turno di lavoro; armadietti a doppio scomparto per riporre separatamente gli abiti civile da quelli di lavoro.
Indossare maschere di protezione delle vie respiratorie specifiche per aerosol, in caso di transito o stazionamento in prossimità delle vasche dove si possono produrre aerosol; occhiali protettivi con riparo laterale per la protezione da schizzi.
Informazione, formazione e sorveglianza sanitaria degli esposti.
-
D.Lgs.
626/1994 e successive modifiche e integrazioni.
IMPATTO ESTERNO
I principali
fattori di impatto ambientale di questa fase sono i seguenti:
Produzione di rifiuti
Il rifiuto principale prodotto da questa fase del ciclo produttivo è costituito dai fanghi disidratati derivanti dall’impianto di depurazione.
Diffusione di cattivi odori
Dall’impianto di depurazione acque si può avere la diffusione di cattivi odori nell’ambiente circostante. In particolare, la presenza di notevoli quantità di sostanze altamente degradabili nei fanghi possono essere causa di cattivi odori. Da qui la necessità di un completo e prolungato trattamento di ossidazione, di un corretto ed opportuno stoccaggio provvisorio che impedisca il contatto con il terreno e le acque meteoriche, nonché del frequente invio allo smaltimento definitivo.
I principali
fattori di rischio ambientale di questa fase sono i seguenti:
Scarichi idrici
In caso di cattiva gestione dell’impianto si possono verificare sversamenti sul terreno o nei corpi idrici pertanto deve essere prevista una vasca di emergenza.
Sversamenti di prodotti chimici sul suolo
I prodotti chimici utilizzati nell’impianto di trattamento delle acque di scarico, quali calce bianca, policloruro di alluminio e solfato di alluminio, possono dare luogo a sversamenti sul suolo, sia durante il rifornimento dei serbatoi da autocisterne, sia in caso di rotture o cedimenti. In caso di sversamento si può verificare l’inquinamento del suolo con possibile penetrazione nelle falde acquifere e l’emissione di vapori in atmosfera. Pertanto, devono essere previsti bacini di contenimento in materiale chimicamente resistente, tali da evitare la dispersione sul suolo in caso di sversamento e devono essere previste misure di emergenza per la neutralizzazione.
MOVIMENTAZIONE MECCANICA DEI CARICHI
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1. COMPARTO: |
Caseifici |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
Movimentazione meccanica dei carichi |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORI DI
RISCHIO: |
Agenti fisici: vibrazioni Agenti chimici. Rischi per la sicurezza. Organizzazione del lavoro |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
56 |
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DESCRIZIONE
DELLA FASE
Nelle varie fasi lavorative precedentemente descritte, si è visto che ricorre spesso l’utilizzo di ausili per la movimentazione meccanica dei carichi, quali carrelli elevatori e carri-ponte.
Le modalità di impiego di queste attrezzature e macchine si sono descritte nelle relative fasi di lavorazione.
ATTREZZATURE E MACCHINE
Si tratta di carrelli
elevatori a forche ad alimentazione elettrica. Talvolta nei piazzali esterni
sono essere utilizzati anche carrelli elevatori a trazione diesel.
Si tratta di carroponte di
tipo tradizionale
FATTORI DI RISCHIO
I principali fattori di
rischio potenzialmente presenti in questa fase lavorativa sono i seguenti:
Movimentazione
meccanica dei carichi con carrelli elevatori.
descrizione
Durante le operazioni di movimentazione può avvenire
il ribaltamento del carrello elevatore
nel caso in cui il carico non sia bene bilanciato e/o per asperità e dislivelli
eccessivi del terreno, raggio di curvatura troppo stretto. In caso di
ribaltamento l’addetto può venire
sbalzato fuori dal posto di guida e rimanere schiacciato sotto il carrello.
Può anche avvenire l’investimento di altri lavoratori da
parte dei carrelli elevatori o dal materiale trasportato. In una azienda del comparto è recentemente accaduto un infortunio
per investimento da parte di un carrello elevatore guidato in retromarcia.
Quando viene accatastato in modo non corretto, il materiale può cadere ed investire gli
addetti.
danno atteso
Durante le suddette
operazioni, gli addetti possono riportare gravi lesioni traumatiche
danno rilevato
Nei casi di infortunio
accaduti in diversi comparti
produttivi (cioè anche in aziende diverse dai caseifici), le lesioni riportate
per infortuni occorsi durante questa fase lavorativa sono risultate gravi o
anche mortali.
prevenzione
I rischi sopra evidenziati possono essere limitati garantendo le seguenti condizioni:
·
sistemare
o attrezzare i carrelli elevatori in modo da limitare i rischi di ribaltamento;
a tal fine l'art. 7, lettera b), punto
1.4 del D.Lgs. n. 359 del 04.08.1999, elenca una serie di possibili
accorgimenti, come esempi delle possibili soluzioni attuabili, quali:
-
cabina
per il conducente;
-
struttura
concepita in modo tale da lasciare, in caso di ribaltamento del carrello
elevatore, uno spazio sufficiente tra il suolo e talune parti del carrello
stesso per il lavoratore o i lavoratori a bordo:
-
struttura
che trattenga il lavoratore sul sedile del posto di guida per evitare che, in
caso di ribaltamento del carrello elevatore, essi possano essere intrappolati
da parti del carrello stesso.
·
dispositivi
di trattenuta del conducente al posto di guida dei muletti, per eliminare il rischio di essere sbalzati fuori, in caso
di ribaltamento.
·
pavimenti
privi di buche, sporgenze o sconnessioni.
·
percorsi
dei mezzi senza curve troppo strette, senza pendenze eccessive, preferibilmente
a senso unico, oppure ampi a sufficienza per il passaggio di due carrelli
caricati.
·
limitazione
delle interferenze fra i percorsi dei mezzi e quelli pedonali.
·
percorsi
pedonali e luoghi di stazionamento dei lavoratori protetti dal pericolo di
investimento da parte di materiali stivati.
·
protezione
delle uscite da locali o altri punti frequentati dai lavoratori, quando
incrociano i percorsi dei mezzi.
·
buona
illuminazione dei percorsi e tinteggiatura con colori chiari delle pareti dei
locali di lavoro.
·
specchi
parabolici ove occorrenti; in casi particolari valutare la possibilità di
installare semafori.
·
segnalazione
e, se necessario, protezione di eventuali ostacoli sul percorso dei carrelli
elevatori.
·
individuazione
di zone di attraversamento delle linee di trasporto che consentano il passaggio
delle persone senza pericoli di investimento.
·
organizzazione
spaziale e/o temporale del magazzino in modo da limitare al minimo le
interferenze fra il carico e lo scarico del magazzino stesso.
·
idonei
ancoraggi, funi ed imbracatura in tutti i casi in cui è necessario intervenire
in altezza
·
i
prodotti in entrata devono riportare l’indicazione del loro peso in modo che
l’addetto possa verificare che il carrello ed il sistema di presa sia di
adeguata capacità.
·
dispositivi
acustici e luminosi di segnalazione di manovra dei mezzi.
·
mantenimento
della visibilità dal posto di guida dei mezzi anche mediante opportuno
posizionamento del carico trasportato, che comunque deve essere posizionato più
in basso possibile in modo da garantire la stabilità del carrello; in casi
occasionali in cui l’ingombro del carico sia tale da pregiudicare la visuale,
il carrello può essere preceduto da un altro lavoratore che aiuti il
carrellista nella manovra e segnali agli altri lavoratori eventualmente
presenti nei dintorni, la presenza del trasporto.
·
preferenza
dell’acquisto di mezzi con pedaliera analoga a quella degli automezzi.
·
limitazione
della velocità dei mezzi in relazione alle caratteristiche del percorso, anche
con eventuali dispositivi regolabili che limitano la velocità.
·
protezione
degli organi di comando contro l’avviamento accidentale.
·
protezione
del posto di guida contro il pericolo di investimento di corpi che possono
cadere dall’alto.
·
regolare
manutenzione e periodica revisione del mezzo meccanico e delle sue varie
componenti.
·
il
conducente deve guidare con prudenza senza fare sporgere gambe o braccia
dall’abitacolo di guida, prestare particolare attenzione in retromarcia,
condurre il carrello all’interno dei percorsi segnalati a terra, interrompere
il lavoro se qualcuno si trova nel raggio di azione del mezzo, inserire il
freno prima di lasciare il carrello in sosta.
·
disporre
il divieto di trasportare persone facendole salire sulle forche di
sollevamento.
·
puntuale
informazione, formazione, ed addestramento dei lavoratori all’uso corretto e
sicuro dei mezzi nelle diverse condizioni di impiego. Ad esempio l’addetto deve
essere sapere come comportarsi se il mezzo dovesse accidentalmente ribaltarsi,
ovvero: non buttarsi giù dal mezzo, ma tenersi saldamente al volante, puntare i
piedi e inclinarsi dalla parte opposta a quella di ribaltamento.
- Art. 8 “Vie di circolazione, zone di pericolo, pavimenti e passaggi” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 11 “Posti di lavoro e di passaggio e luoghi di lavoro esterni” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. X, Capo III, Art. 381 "Protezione del capo" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. V “Mezzi ed apparecchi di sollevamento, trasporto e immagazzinamento” (Capo I “Disposizioni generali”, Capo II “Gru, argani, paranchi e simili”, Capo III “Ascensori e montacarichi”, Capo V “Mezzi ed apparecchi di trasporto meccanici”) D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 10 “Illuminazione naturale e artificiale dei luoghi di lavoro” D.P.R. n. 303 del 19.03.1956.
- Tit. II, Capo V "Illuminazione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- All. 1 "Requisiti essenziali di sicurezza e di salute relativi alla progettazione e alla costruzione delle macchine e dei componenti di sicurezza" D.P.R. n.459 del 24.07.1996.
Lavoro in prossimità di organi meccanici in movimento
descrizione
Gli organi meccanici mobili
del carrello elevatore possono essere causa di presa, impigliamento,
cesoiamento.
danno atteso
Lesioni temporanee e
permanenti per presa, trascinamento, taglio, amputazione, schiacciamento degli
arti.
prevenzione
Le parti pericolose devono
essere rese inaccessibili tramite adeguati ripari fissi.
- Art. 6 “Doveri dei lavoratori” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 41 “Protezione e sicurezza delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. III, Capo III "Trasmissioni e ingranaggi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 68 “Protezione degli organi lavoratori e delle zone di operazione delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 72 “Blocco degli apparecchi di protezione” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 73 “Aperture di alimentazione e di scarico delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 76 e 77 "Organi di comando per la messa in moto delle macchine" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 81 "Comando con dispositivo di blocco multiplo" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 82 "Blocco della posizione di fermo della macchina" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 233 "Organi di comando e di manovra" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. IX "Manutenzione e riparazione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Tit. III “Uso delle attrezzature di lavoro” D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- D.P.R. n.459 del 24.07.1996 (Direttiva macchine).
Norme UNI EN 291/2, 291/2, 614/1, 294, 349, 811,
418, 1037, 1088, 574, 982, 983, 1012/1, 1012/2
Movimentazione manuale dei carichi.
descrizione
L’operazione di sostituzione delle batterie dei muletti richiede la loro movimentazione.
danno atteso
La movimentazione manuale può comportare disturbi e danni muscolo – scheletrici.
prevenzione
I rischi connessi alla movimentazione manuale dei carichi possono essere ridotti utilizzando mezzi meccanici di sollevamento per le batterie.
Si può anche mettere sotto
carica la batteria del muletto
lasciandola a bordo del mezzo stesso. In questo caso il carica batterie viene
posto all’interno di un locale apposito mentre il mezzo sosta sotto una tettoia
nel piazzale in prossimità della parete esterna del locale sulla quale sono
poste prese e spine per il collegamento elettrico; questa soluzione limita
anche l’esposizione agli acidi degli accumulatori elettrici e il rischio di
esplosione e incendio.
Nel caso della movimentazione manuale occorre procedere alla valutazione del rischio in sede di misure attuative del D.Lgs. 626/94 ed informare e formare gli addetti.
- Tit. V e All. 6 del D.Lgs. n.626 del 10.09.1994.
- Norma UNI ISO 938
Esposizione a prodotti della combustione diesel
descrizione
Qualora vengano utilizzati
carrelli elevatori diesel, gli addetti possono essere esposti ai prodotti della
combustione, costituiti prevalentemente da: particolato da idrocarburi
incombusti, ossidi di azoto (NO, NO2), anidride solforosa (SO2),
ossido di carbonio (CO), formaldeide (HCHO), idrocarburi aromatici e alifatici,
sostanze organiche volatili (S.O.V.).
danno atteso
L’esposizione ai suddetti inquinanti può provocare broncopneumopatie, ossicarbonismo, sindrome irritative delle estremità cefaliche, asma bronchiale, emopatie, epatopatie, neuropatie, nefropatie, miocardiopatie, dermatiti. Inoltre la formaldeide è un sospetto cancerogeno.
danno rilevato
Dalle indagini svolte
in altri comparti produttivi, i lavoratori esposti ai gas di combustione dei
carrelli diesel hanno lamentato l’irritazione delle congiuntive oculari e delle
vie respiratorie.
prevenzione
Per
limitare l’esposizione a questo fattore di rischio, è bene che i carrelli
elevatori diesel siano provvisti di marmitta catalitica (valida per NO2
e CO) o ad acqua (valida per il particolato) ed il loro impiego deve essere
limitato all’esterno dei locali di lavoro (nel piazzale antistante lo
stabilimento produttivo), mentre all’interno è necessario utilizzare muletti a
trazione elettrica. Tra l’altro sono attualmente disponibili sul mercato
carrelli elevatori a trazione elettrica la cui portata è sufficiente per le
esigenze di produzione del comparto.
- Tit. II, Art. 9 “Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi” e Capo II “Difesa dagli agenti nocivi” del D.P.R. n.303 del 19.03.1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”.
- Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.
- Tit. VII del D.Lgs. n.626/94 “Protezione da agenti cancerogeni”, così come modificato dal D.Lgs. n. 66 del 25.02.2000.
Esposizione a rumore
descrizione
La guida dei mezzi meccanici (carrello elevatore) può essere causa di esposizione al rumore degli addetti, sia per il rumore generato dai mezzi stessi, sia nel caso esposizione indiretta se il mezzo viene introdotto in reparti voe si svolgono lavorazioni rumorose.
danno atteso
L’esposizione continuativa a livelli di rumore
medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni
extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli
inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure
preventive.
prevenzione
È necessario la valutazione della esposizione e l’adozione delle relative misure di prevenzione, in primo luogo una accurata manutenzione dei mezzi. È opportuno valutare la possibilità di sostituire i carrelli elevatori diesel (talvolta utilizzati nei piazzali esterni), con i carrelli elettrici che sono meno rumorosi.
Nei casi di livelli di esposizione personale
superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs.
277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”,
riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di
carattere generale”.
- Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.
- Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.
- D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).
Esposizione a vibrazioni
descrizione
La guida dei mezzi meccanici (carrello elevatore) può essere causa di esposizione a vibrazioni.
danno atteso
L’esposizione continuativa a vibrazioni può causare
una malattia professionale detta Sindrome
di Raynaud (anche conosciuta come fenomeno
del dito bianco). Si tratta di una alterazione vasoplastica della
microcircolazione delle mani per esposizione a vibrazioni e favorita da
esposizione alle basse temperature e dal fumo di sigaretta. L’insorgenza di
questa patologia è correlata ai tempi ed all’entità di esposizione.
prevenzione
Utilizzare mezzi del tipo a bassa vibrazione e minore impatto vibratorio, oltre a effettuare su di essi una accurata manutenzione.
-
D.M.L.
del 18.04.1973 "Elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la
denuncia contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali"
-
Art.
46, capo I, Tit. III "Scuotimenti e vibrazioni delle macchine" D.P.R.
n. 547 del 27.04.1955.
-
Art.
24, capo II, Tit. II "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n. 303 del
19.3.1956
-
9.9.3
Direttiva CEE/CEEA/CE n. 663 del 22.12.1986: "Direttiva del Consiglio del 22 dicembre 1986 per il ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri relative ai carrelli semoventi per
movimentazione".
-
1.5.9
Direttiva CEE/CEEA/CE n. 392 del 14.06.1989: "Direttiva del Consiglio del 14 giugno 1989 concernente il ravvicinamento
delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine".
-
1.5.9
"Campo di applicazione e definizioni" e 3.2.2 "Norme armonizzate
e disposizioni di carattere equivalente"
D.P.R. n. 459 del 24.07.1996
-
Comunicazione
CE 22 marzo 1997 (CEN-EN 1032): "Comunicazione
della Commissione nel quadro dell'applicazione della direttiva 89/392/CEE del
Consiglio, del 14 giugno 1989, relativa alle macchine, modificata dalle
direttive del Consiglio 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE".
-
Norma
UNI-EN n. 30326-1 del 01.04.1997 (vedere 6.1.37): "Vibrazioni meccaniche - Metodo di laboratorio per la
valutazione delle vibrazioni sui sedili dei veicoli - Requisiti di base".
-
D.M.
30.05.1997 (UNI-EN 1033, 1997) "Elenco delle norme armonizzate adottate ai
sensi del comma 2 dell'Art. 3 del D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459 (2):
«Regolamento per l'attuazione delle direttive del Consiglio 89/392/CEE,
91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri relative alle medesime»".
-
Comunicazione
CE del 04.06.1997 (CEN-EN 1299, 1997): "Comunicazione della Commissione nel quadro dell'applicazione della
direttiva 89/392/CEE del Consiglio del 14 giugno 1989 relativa alle macchine,
modificata dalle direttive 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE".
Manipolazione di oli minerali
descrizione
I carrelli elevatori, come la generalità delle macchine, necessitano di oli minerali come lubrificanti degli organi meccanici.
danno atteso
Gli oli minerali sono una classe di composti che possono presentare rischi per i lavoratori di danni di tipo acuto (allergie, dermatiti) e di tipo cronico (tumori).
La IARC suddivide gli oli in due grandi categorie:
- non severamente raffinati: classificati certamente cancerogeni per l’uomo (Gruppo 1).
- severamente raffinati: classificati tra le sostanze per le quali non è possibile esprimere un giudizio di cancerogenicità (Gruppo 3).
L’Unione Europea, invece, nel classificare i prodotti derivanti dal petrolio e dal carbone (tra cui ovviamente gli oli minerali) ha seguito un diverso criterio da quello della raffinazione ”tal quale”: le miscele di sostanze derivate dal petrolio e dal carbone vengono considerate sostanze a cui è stato attribuito un univoco numero di identificazione CAS ed un univoco numero di indice CE, classificando circa 600 sostanze come cancerogene (R45) a meno che il produttore non possa dimostrare che contengono (D.P.R.n.52/97):
- meno dello 0,1% peso/peso di 1,3-butadiene
- meno dello 0,1% peso/peso di benzene
- meno del 3% di estratto Dmso (Dimetilsolfossido) secondo la misurazione IP 346
- meno del lo 0,005% peso/peso di benzo (a) pirene
oppure se il produttore, conoscendo l’intero iter di raffinazione, può dimostrare che la sostanza da cui il prodotto è derivato non è cancerogena.
Quindi, anche in questo caso, è fondamentale la lettura dell’etichetta e della scheda dei dati di sicurezza e che questi strumenti siano correttamente compilati.
prevenzione
Utilizzare oli minerali del tipo meno pericoloso (oli severamente raffinati) ed evitare l’imbrattamento, specie durante il prelievo degli oli esausti. È pertanto necessario utilizzare D.P.I. (guanti, tuta, grembiuli, occhiali) ed evitare di tenere in tasca stracci o utilizzare guanti impregnati di olio minerale. È importante una adeguata informazione, formazione, e sorveglianza sanitaria degli esposti.
- Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.
- Tit. VII del D.Lgs. n.626/94 “Protezione da agenti cancerogeni”, così come modificato dal D.Lgs. n. 66 del 25.02.2000.
Esposizione ad
acidi di accumulatori elettrici
descrizione
Durante la ricarica delle batterie di carrelli a trazione elettrica, i lavoratori possono essere esposti ad acidi contenuti nelle batterie.
danno atteso
Irritazione e ustione chimica della cute e delle mucose con cui vengono in contatto.
prevenzione
L’inalazione di vapori degli acidi presenti negli accumulatori elettrici viene limitata effettuando la ricarica in locale separato adeguatamente aerato. Se l’aerazione naturale non è sufficiente è necessario un sistema di aspirazione. In alternativa possono essere utilizzati apparecchi di ricarica chiusi e posti sotto aspirazione.
Una ulteriore soluzione può essere quella di mettere sotto carica la batteria del muletto lasciandola a bordo del mezzo stesso. In questo caso il carica batterie viene posto all’interno di un locale apposito mentre il mezzo sosta sotto una tettoia nel piazzale in prossimità della parete esterna del suddetto locale; questa soluzione evita anche il problema della movimentazione dei carichi per la sostituzione delle batterie.
Per evitare il contatto degli acidi con la pelle, durante le operazioni di movimentazione per la sostituzione delle batterie, i tappi devono essere chiusi e i lavoratori devono indossare guanti antiacido. L’aggiunta dell’acqua demineralizzata agli elementi delle batterie può avvenire tramite un sistema automatico, con valvola di ritegno che eviti la fuoriuscita della soluzione acida.
- Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. II, Art. 9 “Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi” e Capo II “Difesa dagli agenti nocivi” del D.P.R. n.303 del 19.03.1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”.
- Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.
Sviluppo
di sostanze capaci di creare miscele esplosive con l’aria
descrizione
L’operazione di ricarica degli accumulatori dei
carrelli a trazione elettrica comporta il pericolo di incendio – esplosione.
Infatti, durante la ricarica, il passaggio della corrente elettrica determina
un processo di elettrolisi con sviluppo di idrogeno. Si ha anche una parziale
evaporazione degli acidi forti contenuti nella batteria. Pertanto, in assenza
di idonea aerazione, si può arrivare ad un livello di saturazione ambientale
che può determinare la formazione di una miscela esplosiva.
Se avviene
l’esplosione si può anche verificare la proiezione violenta degli acidi forti
contenuti nella batteria.
danno atteso
In caso di
incendio-esplosione, gli addetti possono riportare gravi ustioni, lesioni
traumatiche, intossicazioni. Se investiti da schizzi di acido della batteria,
possono riportare anche ustioni cutanee e lesioni agli occhi.
prevenzione
Per ridurre i rischi derivanti dalla ricarica degli
accumulatori elettrici è necessario effettuare questa operazione in locale
separato dai restanti locali di lavoro, adeguatamente aerato. L’impianto
elettrico deve rispondere alle norme per gli ambienti a maggior rischio in caso
di incendio (CEI 64-8). È opportuno che in tale locale non siano presenti altri
materiali infiammabili.In caso di ricarica sotto aspirazione localizzata, i
parametri geometrici dell’impianto di aspirazione devono essere adeguatamente
dimensionati in relazione alla velocità di aspirazione per evitare che si formino
miscele esplosive con l’aria.
La protezione antincendio deve prevedere la presenza
almeno di estintori a polvere, del tipo omologato. Nei casi a rischio più
elevato può essere opportuno installare un impianto di spegnimento automatico
(ad esempio del tipo a CO2).
È necessaria la valutazione dettagliata del rischio
d’incendio in base a quanto previsto dal D.M. del 10.03.98.
-
Art.
19 “Separazione del locali nocivi”
D.P.R. n. 303 del 19.03.1956.
-
Art.
20 “Difesa dell’aria dagli inquinamenti con prodotti nocivi” D.P.R. n. 303/56.
- Art. 303 “Accumulatori elettrici” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
-
D.M.Ind.
del 01.03.1989 "Recepimento della direttiva CEE/88/571, sull'aggiornamento
al progresso tecnico dei metodi di protezione del materiale elettrico
antideflagrante"
- D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 e s.m.i.
Lavoro in prossimità di carichi sospesi
descrizione
L’utilizzo di argani, gru e
carri-ponte comporta il rischio di caduta di carichi dall’alto. Inoltre, specie
quando alla manovra partecipa più di un addetto, esiste il rischio di presa
delle mani a contrasto tra le catene, e di investimento da parte del carico
dovuto ad oscillazioni che esso può compiere durante la sua movimentazione.
danno atteso
Lesioni traumatiche per urto, investimento, schiacciamento.
prevenzione
Per ridurre il rischio di
investimento e schiacciamento da parte del carico, è necessario che si manovri
in modo da ridurre le oscillazioni. Inoltre, sia chi manovra la gru (gruista),
sia chi provvede alla imbracatura del carico, non si deve mai posizionare tra
l’oggetto da sollevare ed eventuali ostacoli fissi.
Il gancio della gru deve
essere dotato di chiusura di sicurezza o conformato in modo da garantire
l’impossibilità della caduta accidentale del carico. In aziende di altri
comparti sono accaduti diversi infortuni mortali proprio per la mancanza di
questo semplice dispositivo di sicurezza.
Quando non utilizzato, il
gancio non va mai lasciato ad altezza d’uomo, per evitare il rischio di urti.
Il binario sul quale scorre
il carro ponte deve essere dotato di apposito dispositivo di fine corsa.
È necessario che l’apparecchio di sollevamento abbia
portata idonea rispetto al peso pezzo da sollevare e venga sottoposto alle
verifiche preventive e periodiche delle apparecchiature nel loro insieme o di
loro parti (esempio funi). Gli esiti degli accertamenti vanno riportati
sull’apposito registro tenuto dall’azienda. In particolare, se la portata essa
è superiore a 200 Kg., l’impianto è soggetto a denuncia e visita preventiva di
primo impianto da parte di ISPESL, a controlli annuali da parte della A.S.L. al
fine di verificarne le condizioni di efficienza per quanto riguarda i
dispositivi meccanici e di scorrimento, e verifiche trimestrali da parte di
tecnici incaricati dall’azienda riguardo le funi metalliche impiegate per il
sollevamento dei carichi (da registrare sull’apposito libretto).
L’impianto di sollevamento deve essere
utilizzato solo da personale appositamente formato e che indossi D.P.I. (scarpe
di sicurezza con punta rinforzata, guanti, elmetto).
- Art. 8 “Vie di circolazione, zone di pericolo, pavimenti e passaggi” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 11 “Posti di lavoro e di passaggio e luoghi di lavoro esterni” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. X, Capo III, Art. 381 "Protezione del capo" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. V “Mezzi ed apparecchi di sollevamento, trasporto e immagazzinamento” (Capo I “Disposizioni generali”, Capo II “Gru, argani, paranchi e simili”, Capo III “Ascensori e montacarichi”, Capo V “Mezzi ed apparecchi di trasporto meccanici”) D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 10 “Illuminazione naturale e artificiale dei luoghi di lavoro” D.P.R. n. 303 del 19.03.1956.
- Tit. II, Capo V "Illuminazione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- All. 1 "Requisiti essenziali di sicurezza e di salute relativi alla progettazione e alla costruzione delle macchine e dei componenti di sicurezza" D.P.R. n.459 del 24.07.1996.
Fig. 25 Gancio di sicurezza.
IMPATTO ESTERNO
I principali fattori di impatto ambientale di questa
fase lavorativa sono i seguenti:
Emissioni
in atmosfera
Sono costituite dalle
emissioni dei mezzi a trazione diesel e delle emissioni dei vapori degli acidi
emessi durante la ricarica delle batterie. Si tratta di emissioni che hanno un
impatto ambientale relativamente basso.
Produzione di rifiuti
I principali rifiuti
prodotti in questa fase sono gli oli esausti e le batterie esauste dei carrelli
elevatori. Tali rifiuti vengono ritirati da ditte specializzate (si veda il
paragrafo 4.1).
L’olio esausto va tenuto,
prima del conferimento alla ditta incaricata al ritiro, in modo idoneo ed in
condizioni di sicurezza per l’ambiente e per gli addetti. Pertanto devono
essere utilizzati contenitori adatti ad eliminare i rischi di rottura e
sversamento. Contenitori adatti a questo scopo devono rispondere a regole
precise. In particolare devono essere provvisti di:
·
idonee
chiusure per impedire la fuoriuscita del contenuto;
·
accessori
e dispositivi atti ad effettuare in condizioni di sicurezza il riempimento e lo
svuotamento;
·
bacini
di contenimento in caso di rotture o sversamenti;
·
mezzi
di presa per rendere sicure le operazioni di movimentazione.
La sistemazione dei
contenitori deve essere studiata per evitare al massimo gli urti accidentali ed
altri gravi inconvenienti.
In procinto di raggiungere
la capacità massima del contenitore di olio usato chiamare esclusivamente
l’incaricato del Consorzio Obbligatorio
degli oli usati e conferirgli l’olio in condizioni di sicurezza (il
conferimento al Consorzio di olio usato non inquinato avviene a titolo
gratuito), ponendo la massima attenzione alla movimentazione dei contenitori ed
alla situazione di lavoro intorno alle operazioni di trasferimento del liquido.
Le batterie al piombo esauste
sono pericolose per l’uomo e per l’ambiente perché contengono il 60-65% in peso
di piombo e il 20-25% di acido solforico diluito. Il piombo interferisce sui
processi biochimici vitali e la sua azione attacca fegato, sistema nervoso ed
apparato riproduttivo, l’acido solforico provoca ustioni e contamina le acque.
Inoltre l’acido solforico è classificato dalla ACGIH come sospetto cancerogeno.
Le batterie esauste devono
essere conferite al raccoglitore incaricato COBAT.
I principali fattori di rischio ambientale di questa
fase lavorativa sono i seguenti:
Sversamenti di
acido solforico e contaminazione del suolo con piombo.
In caso di rottura delle
batterie durante la loro movimentazione si possono verificare sversamenti della
soluzione acida; sversamenti sono possibili anche durante la ricarica delle
batterie e durante lo stoccaggio provvisorio delle batterie esauste nell’attesa
del ritiro da parte dello smaltitore. In caso di sversamento si può verificare
l’inquinamento del suolo e delle acque. La batteria al piombo esausta è
pericolosa per l’uomo e per l’ambiente perché contiene il 60-65% in peso di
piombo e il 20-25% di acido solforico diluito. Il piombo interferisce sui
processi biochimici vitali e la sua azione attacca fegato, sistema nervoso ed
apparato riproduttivo, l’acido solforico provoca ustioni e contamina le acque.
Inoltre l’acido solforico in nebbie di acidi forti è classificato dalla ACGIH
come sospetto cancerogeno.
L’aggiunta dell’acqua
demineralizzata agli elementi delle batterie può avvenire tramite un sistema
automatico, con valvola di ritegno che eviti la fuoriuscita della soluzione
acida; durante le operazioni di movimentazione per la sostituzione delle
batterie, i tappi devono essere chiusi.
I luoghi di ricarica devono
essere conformati in modo da evitare sversamenti, ad esempio può essere
predisposto un apposito canale di raccolta, coperto da grigliato in materiale
antiacido, e dotato di pozzetto di accumulo e neutralizzazione; l’acido
raccolto nel pozzetto deve essere neutralizzato e rimosso.
I lavoratori devono essere
adeguatamente formati per la gestione dell’evento accidentale, sia per quanto
riguarda la protezione dell’ambiente, sia per le norme di prevenzione di salute
e sicurezza.
In attesa dell’arrivo del
raccoglitore incaricato COBAT, le batterie esauste vanno depositate
temporaneamente in contenitori mobili costituiti in materiale antiacido e dotati
delle seguenti caratteristiche (deliberazione Comitato interministeriale 27
luglio 1984):
·
dotati
di idonee chiusure per impedire la fuoriuscita del contenuto;
·
dotati
di maniglie per rendere sicure ed agevoli le operazioni di movimentazione;
·
utilizzare
accessori e dispositivi atti ad effettuare in condizioni di sicurezza le
operazioni di riempimento e svuotamento;
·
le
sponde siano più alte di almeno 20 cm dall’altezza massima dell’accumulo
previsto;
·
contrassegno
con etichetta o targa visibili, apposte sui recipienti stessi o collocate nelle
aree di stoccaggio;
·
i
recipienti che hanno contenuto le batterie e non reimpiegati per gli stessi
tipi di rifiuti, devono essere sottoposti a trattamenti di bonifica appropriati
ai nuovi usi. Non possono però essere mai utilizzati per contenere prodotti
alimentari.
Sversamenti di oli minerali sul suolo o nelle acque
La sostituzione dell’olio usato dei muletti e le operazioni di rabbocco dell’olio devono essere effettuate in condizioni di massima sicurezza ed igiene per evitare che operazioni approssimative o mezzi tecnici non adeguati producano spandimenti e sversamenti sul suolo o nelle acque, perciò vanno usate tutte le cautele e le professionalità necessarie per eseguire il lavoro a regola d’arte.
È quindi indispensabile che i datori di lavoro impartiscano adeguate istruzioni al personale dipendente e agli apprendisti per la corretta gestione degli oli usati ai fini della protezione ambientale, senza trascurare le disposizioni igieniche e sanitarie a protezione della salute e della sicurezza: gli oli sono fonte di rischi (scivolamenti, incendi, intossicazioni) che vanno valutati e ridotti secondo le norme previste dagli appositi decreti legislativi 626/94 e 242/96.
Incendio – esplosione
L’incendio-esplosione del locale ricarica batterie può comportare danni strutturali interessanti anche altre parti dell’edificio, oltre che la propagazione dell’incendio ai locali limitrofi.
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1. COMPARTO: |
Caseifici |
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2. FASE DI
LAVORAZIONE: |
Manutenzione meccanica |
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3. COD.INAIL: |
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4. FATTORI DI
RISCHIO: |
Rischi per la sicurezza Agenti chimici Agenti fisici: rumore, vibrazioni, radiazioni non ionizzanti Organizzazione del lavoro. |
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5. CODICE DI
RISCHIO: |
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(riservato all’ ufficio) |
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6. N. ADDETTI: |
56 |
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DESCRIZIONE DELLA FASE LAVORATIVA
Ogni azienda del comparto realizza il proprio ciclo produttivo utilizzando macchine, impianti complessi, ed una serie di attrezzature e dispositivi meccanici di varie dimensioni. Nella maggior parte gli impianti sono costituiti da lamiere e tubazioni di acciao inossidabile.
FATTORI DI RISCHIO
Per la manutenzione meccanica degli impianti dei
caseifici vengono svolte operazioni tipiche delle officine meccaniche. Si riportano qui di seguito
alcune informazioni generali, similmente trattate in ricerche relative ad altri
comparti produttivi, rimandando per
informazioni specifiche e più dettagliate, al profilo di rischio proprio di
questa lavorazione.
I principali fattori di rischio potenzialmente
presenti in questa fase lavorativa sono i seguenti:
Esposizione a rumore
descrizione
Si può avere esposizione al rumore a causa dell’utilizzo di utensili elettrici portatili (trapano, mole, avvitatori, ecc…).
danno atteso
L’esposizione continuativa a livelli di rumore
medio-alti, può essere causa di danni uditivi (ipoacusia da rumore) e di danni
extrauditivi che si possono manifestare anche per esposizione ai livelli
inferiori a quelli per i quali la normativa prescrive particolari musure
preventive.
Inoltre l’esposizione a rumore durante gli interventi di manutenzione può essere un fattore concomitante che favorisce l’accadimento di infortuni.
Per ridurre l’esposizione è necessario ridurre il
rumore alla fonte ed attuare le misure di prevenzione in base ai livelli di
esposizione personale ed ai valori limite; è opportuno effettuare la
manutenzione preventiva e programmarla nei giorni o negli orari di fermo
impianto per evitare eventuale esposizone indiretta; la scelta degli utensili
da utilizzare deve essere indirizzata verso i tipi meno rumorosi; indossare DPI
(cuffie, tappi), informare e formare gli addetti e sottoporli a sorveglianza.
Nei casi di livelli di esposizione personale
superiori a 80 dB(A) si applicano le misure di prevenzione stabilite dal D.Lgs.
277/91, riassunte nella tabella “Valori limite di esposizione al rumore”,
riportata nel presente documento al Capitolo “Riferimenti normativi di
carattere generale”.
- Art. 24 "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n.303 del 19.03.1956.
- Capo IV “Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro” D.Lgs. n.277 del 15.08.1991.
- D.P.R. n.459 del 24.07.1996 “Regolamento per l’attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli stati membri relativa alle macchine” (Direttiva macchine).
Esposizione a
vibrazioni
descrizione
Le operazioni di manutenzione con utensili portatili
(mola, trapano, avvitatori, ecc…) sono causa di esposizione a vibrazioni
dell’apparato mano – braccio
danno atteso
L’esposizione continuativa a vibrazioni può causare una malattia professionale detta Sindrome di Raynaud (anche conosciuta come fenomeno del dito bianco). Si tratta di una alterazione vasoplastica della microcircolazione delle mani per esposizione a vibrazioni e favorita da esposizione alle basse temperature e dal fumo di sigaretta.
L’insorgenza di questa patologia è correlata ai
tempi ed all’entità di esposizione.
Per ridurre l’esposizione alle vibrazioni localizzate al
sistema mano - braccio è necessario utilizzare utensili caratterizzati da bassi
livelli di vibrazione o minore impatto vibratorio, utilizzare impugnature
smorzanti le vibrazioni, riscaldare l’ambiente di lavoro nei mesi freddi,
ridurre i tempi di esposizione alternando le lavorazioni tra più addetti. È
importante l’informazione, la formazione e la sorveglianza sanitaria degli
addetti.
-
D.M.L.
del 18.04.1973 "Elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la
denuncia contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali"
-
Art.
46, capo I, Tit. III "Scuotimenti e vibrazioni delle macchine" D.P.R.
n. 547 del 27.04.1955.
-
Art.
24, capo II, Tit. II "Rumori e scuotimenti" D.P.R. n. 303 del
19.3.1956
-
9.9.3
Direttiva CEE/CEEA/CE n. 663 del 22.12.1986: "Direttiva del Consiglio del 22 dicembre 1986 per il ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri relative ai carrelli semoventi per
movimentazione".
-
1.5.9
Direttiva CEE/CEEA/CE n. 392 del 14.06.1989: "Direttiva del Consiglio del 14 giugno 1989 concernente il ravvicinamento
delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine".
-
1.5.9
"Campo di applicazione e definizioni" e 3.2.2 "Norme armonizzate
e disposizioni di carattere equivalente"
D.P.R. n. 459 del 24.07.1996
-
Comunicazione
CE 22 marzo 1997 (CEN-EN 1032): "Comunicazione
della Commissione nel quadro dell'applicazione della direttiva 89/392/CEE del
Consiglio, del 14 giugno 1989, relativa alle macchine, modificata dalle
direttive del Consiglio 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE".
-
Norma
UNI-EN n. 30326-1 del 01.04.1997 (vedere 6.1.37): "Vibrazioni meccaniche - Metodo di laboratorio per la
valutazione delle vibrazioni sui sedili dei veicoli - Requisiti di base".
-
D.M.
30.05.1997 (UNI-EN 1033, 1997) "Elenco delle norme armonizzate adottate ai
sensi del comma 2 dell'Art. 3 del D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459 (2):
«Regolamento per l'attuazione delle direttive del Consiglio 89/392/CEE,
91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri relative alle medesime»".
-
Comunicazione
CE del 04.06.1997 (CEN-EN 1299, 1997): "Comunicazione della Commissione nel quadro dell'applicazione della
direttiva 89/392/CEE del Consiglio del 14 giugno 1989 relativa alle macchine,
modificata dalle direttive 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE".
Esposizione a
polveri
descrizione
Le operazioni di manutenzione sul posto, espongono i meccanici a inalazione di polveri aerodisperse dovute alle operazioni di molatura e di lavori riparazioni / manutenzioni in luoghi particolari con utensili portatili (trapani, mole, ecc…). Tali lavorazioni possono esporre gli addetti alle riparazioni meccaniche alle polveri di metallo e dei materiali abrasivi delle mole.
danno atteso
È importante esaminare le schede di sicurezza dei composti abrasivi delle mole e valutare la sostituzione dei prodotti più pericolosi con altri meno pericolosi.
Durante interventi con utensili che possono dare luogo a diffusione di polveri, è opportuno utilizzare apparecchi mobili di aspirazione localizzata con braccio flessibile (proboscide) per captare l’inquinante il più vicino possibile alla fonte di emissione, ed eventualmente indossare anche D.P.I. idonei alla protezione delle vie respiratorie dalle polveri (maschere filtranti, occhiali a tenuta) ed indumenti adeguati (tute, guanti).
È importante osservare le norme igieniche, tra le quali non bere, mangiare, fumare durante il lavoro e mettere a disposizione degli addetti adeguati servizi igienico assistenziali: i lavoratori, soci compresi quando effettuano lavorazioni insudicianti o con esposizione a polveri o altri agenti nocivi, devono disporre di armadietti a doppio scomparto per l’alloggiamento distinto degli abiti civili e da lavoro; le installazioni e gli arredi destinati a refettori, spogliatoi, latrine, bagni, locali di riposo devono essere mantenuti puliti, ben aerati e riscaldati durante la stagione fredda; le docce devono essere in quantità sufficiente e ben attrezzate affinché tutti i lavoratori che lo desiderino possano lavarsi appena terminato il proprio turno di lavoro. In considerazione al tipo di attività lavorativa può essere disposto l’obbligo per i lavoratori a fare la doccia per la tutela della propria salute in relazione ai rischi ai quali sono esposti.
È importante l’informazione, la formazione e la sorveglianza sanitaria degli esposti.
- D.P.R. n. 303/1956 e s.m.i.
- D.P.R. n. 626/1994 e s.m.i.
Esposizione a fumi
di saldatura
descrizione
Può avvenire che si debbano eseguire saldature di riparazione in luoghi scarsamente aerati.
Le operazioni di saldatura possono esporre gli addetti ai fumi di saldatura, i quali possono essere di diversa natura a seconda del metallo da saldare, del suo eventuale rivestimento, del tipo di saldatrici utilizzate.
danno atteso
L’esposizione può provocare irritazione delle vie respiratorie o danni più gravi a seconda della natura dei fumi.
prevenzione
Durante gli interventi di saldatura è necessario utilizzare apparecchi mobili di aspirazione localizzata con braccio flessibile di captazione (proboscide) e filtri idonei al tipo di inquinante aspirato; indossare D.P.I. (maschere filtranti idonee per la protezione delle vie respiratorie dai fumi di saldatura, tute, occhiali a tenuta). L’aspirazione localizzata deve avvenire in modo che l’operatore non si trovi tra l’aspirazione e il punto di emissione. In caso di saldature effettuate all’aperto è necessario che l’addetto si tenga sopravvento. Prima di effettuare la saldatura è necessario togliere, per quanto possibile, i rivestimenti del materiale da saldare scrostando le pitture. Altre persone non necessarie alla lavorazione devono essere allontanate. È necessario esaminare la scheda di sicurezza del produttore dell’elettrodo, utilizzare elettrodi appropriati al tipo di saldatura e informare gli addetti sulla natura dell’elettrodo e dei pezzi da saldare e sui relativi rischi ai quali sono esposti; è altresì necessario che gli addetti siano formati alle corrette procedure di lavorazione e sottoposti a sorveglianza sanitaria.
- D.P.R. n. 303/1956 e s.m.i.
- D.P.R. n. 626/1994 e s.m.i.
Manutenzioni su
impianti e tubazioni del vapore
descrizione
Le manutenzioni nel caseificio possono essere eseguite su tubazioni di adduzione del vapore, e su macchine ed impianti utilizzanti vapore in pressione. Questo può esporre gli addetti a sfiati di vapore e condensa ad elevata temperatura.
danno atteso
Ustioni.
prevenzione
Informazione e formazione degli addetti alle procedure di lavoro corrette, come ad esempio l’intercettazione del vapore chiudendo le valvole sulla tubazione interessata dalla riparazione ed attendere il raffreddamento prima di intervenire. In caso di lavoro appaltato a ditta esterna, è necessario il coordinamento del lavoro e delle procedure di sicurezza con il responsabile della sicurezza aziendale.
- Art. 240 "Protezione delle pareti esterne a temperatura elevata" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- D.P.R. n. 626/1994 e s.m.i.
Esposizione a
radiazioni infrarosse e ultraviolette
descrizione
Le operazioni di officina che richiedono la saldatura espongono gli addetti a radiazioni infrarosse ed ultraviolette.
danno atteso
Danneggiamento della vista.
prevenzione
Per le operazioni di manutenzione in questo caso è opportuno schermare la sorgente di emissione e indossare D.P.I. (occhiali scuri specifici per la protezione dalle radiazioni).
È importante l’informazione, la formazione e la sorveglianza sanitaria degli addetti (visita e controlli oculistici).
Esposizione a
schegge incandescenti
descrizione
I lavori di saldatura possono essere causa di esposizione alla proiezione di materiale incandescente.
danno atteso
Ustioni, lesioni agli occhi.
prevenzione
È necessaria la informazione e formazione degli addetti i quali sono tenuti ad indossare guanti, tuta e visiere protettive.
- D.P.R. n. 626/1994 e s.m.i.
Lavoro in
prossimità di organi meccanici in movimento
descrizione
Le operazioni di manutenzione e in genere le mansioni di officina, comprese le mansioni elettromeccaniche, possono comportare rischi di presa, trascinamento, urti e schiacciamento.
danno atteso
Lesioni traumatiche quali contusioni, ferite e amputazioni.
prevenzione
Occorre in primo luogo accertarsi che gli impianti siano conformi alle norme di sicurezza. Le macchine e gli impianti devono essere dotate di dispositivo di arresto di emergenza e di dispositivo che impedisca il riavvio intempestivo della macchina in caso ritorni l’alimentazione elettrica dopo che questa era venuta a mancare.
Gli operatori addetti all’officina meccanica devono conoscere in anticipo la parte di macchina o impianto che vanno a manipolare, attraverso la consultazione del manuale di uso e manutenzione in sicurezza. Pertanto l’azienda deve fornire al personale tutte le informazioni necessarie oltre a quelle dettate dalla pratica di esperienza giornaliera.
È anche necessario scongiurare il pericolo di avviamento intempestivo della macchina da parte di un addetto mentre un altro sta effettuando l’intervento di manutenzione. A tale scopo, prima di iniziare le operazioni di manutenzione, si può attuare una procedura di tipo “Blocca e Segnala”, che può consistere, ad esempio, nel bloccare tutte le forme di energia che possono fare muovere le varie parti della macchina, impossessarsi della chiave del quadro di controllo e apporre su quest’ultimo un cartello con una scritta del tipo “Non azionare la macchina – manutenzione in corso”.
Devono essere vietati interventi a macchina in moto con protezioni rimosse a meno che non vengano utilizzati dispositivi che garantiscano lo stesso livello di sicurezza (ad esempio pulsantiera ad uomo presente che permetta solo l’avanzamento a impulsi e che, una volta inserita, escluda il quadro di comando della macchina).
Gli addetti devono indossare indumenti idonei, privi di parti svolazzanti che potrebbero essere causa di impigliamento e conseguente presa e trascinamento da parte degli organi meccanici in movimento. Perciò le tute sono da preferire ai grembiuli ed è bene che le maniche siano chiuse al polso.
- Art. 6 “Doveri dei lavoratori” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 41 “Protezione e sicurezza delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. III, Capo III "Trasmissioni e ingranaggi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 68 “Protezione degli organi lavoratori e delle zone di operazione delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 72 “Blocco degli apparecchi di protezione” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 73 “Aperture di alimentazione e di scarico delle macchine” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 76 e 77 "Organi di comando per la messa in moto delle macchine" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 81 "Comando con dispositivo di blocco multiplo" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 82 "Blocco della posizione di fermo della macchina" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 233 "Organi di comando e di manovra" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. IX "Manutenzione e riparazione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Tit. III “Uso delle attrezzature di lavoro” D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- D.P.R. n.459 del 24.07.1996 (Direttiva macchine).
-
Norme UNI EN
291/2, 291/2, 614/1, 294, 349, 811, 418, 1037, 1088, 574, 982, 983, 1012/1,
1012/2
Movimentazione
meccanica e manuale dei carichi
descrizione
Le fasi di riparazione e manutenzione meccanica possono talvolta richiedere il sollevamento e il trasporto di grandi componenti di impianto (ventilatori, tramogge, parti meccaniche o macchine stesse) con rischi infortunistici per urti e schiacciamenti con conseguenti ferite e contusioni. Può avvenire anche il cedimento di una imbracatura o della struttura imbracata.
danno atteso
Lesioni quali contusioni, ferite e amputazioni.
prevenzione
Si vedano le indicazioni di sicurezza riportate nella fase specifica su “movimentazione meccanica dei carichi”. Si ricorda qui in particolare l’importanza della verifica degli impianti di sollevamento e di indossare scarpe di sicurezza ed elmetto. Quest’ultimo diviene indispensabile per impianti o accessori d’impianto composti, infatti in tali spostamenti, possono cadere parti di impianto di peso considerevole che potrebbero accidentalmente essere non ben fissate.
Durante la movimentazione manuale di lamiere sono inoltre possibili ferite da taglio, pertanto è necessario indossare guanti adeguatamente resistenti.
La movimentazione manuale delle attrezzature di lavoro (valigie degli attrezzi, saldatrici, ecc...) può causare disturbi muscolo-scheletrici. È pertanto opportuno l'utilizzo di carrelli porta attrezzi e carrellini per le bombole di saldatura.
Sono fondamentali l’organizzazione del lavoro, la formazione e l’informazione degli addetti.
- Tit. V e All. 6 del D.Lgs. n.626 del 10.09.1994.
- Norma UNI ISO 938.
- Art. 8 “Vie di circolazione, zone di pericolo, pavimenti e passaggi” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 11 “Posti di lavoro e di passaggio e luoghi di lavoro esterni” D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. X, Capo III, Art. 381 "Protezione del capo" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. V “Mezzi ed apparecchi di sollevamento, trasporto e immagazzinamento” (Capo I “Disposizioni generali”, Capo II “Gru, argani, paranchi e simili”, Capo III “Ascensori e montacarichi”, Capo V “Mezzi ed apparecchi di trasporto meccanici”) D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Art. 10 “Illuminazione naturale e artificiale dei luoghi di lavoro” D.P.R. n. 303 del 19.03.1956.
- Tit. II, Capo V "Illuminazione" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- All. 1 "Requisiti essenziali di sicurezza e di salute relativi alla progettazione e alla costruzione delle macchine e dei componenti di sicurezza" D.P.R. n.459 del 24.07.1996.
Lavoro in
prossimità di parti elettriche
descrizione
Durante le manutenzioni è possibile che l’intervento riguardi parti elettriche, pertanto può esistere il rischio di contatti diretti e indiretti con parti sotto tensione elettrica.
danno atteso
Folgorazione per elettrocuzione.
prevenzione
Occorre in primo luogo accertarsi che gli impianti rispettino le norme di sicurezza. Gli interventi devono essere eseguiti su macchine / impianti disinseriti ed esclusivamente da parte di personale specializzato e formato ad intervenire in sicurezza nei casi specifici che il lavoro richiede.
Per gli apparecchi elettrici portatili (trapano, mola flessibile, saldatrici elettriche), ad ogni utilizzo è anche necessario controllare il buono stato dei cavi di alimentazione.
-
Legge
n. 791 del 18.10.1977 "Attuazione della direttiva del consiglio delle
Comunità europee (n. 72/23/CEE) relativa alle garanzie di sicurezza che deve
possedere il materiale elettrico destinato ad essere utilizzato entro alcuni
limiti di tensione".
-
Titolo
VII del D.P.R. n. 547/1955 "Impianti macchine ed apparecchi vari"
-
D.M.Ind.
del 13.03.1987 "Pubblicazione della lista riassuntiva di norme armonizzate
unitamente al recepimento e pubblicazione di ulteriori (4° gruppo) testi
italiani di norme C.E.I. armonizzate corrispondenti, di cui all'Art. 3 della
legge 18 ottobre 1977, n. 791, sull'attuazione della direttiva n. 73/23/CEE
relativa alle garanzie di sicurezza del materiale elettrico"
-
D.M.
(Industria) 12.02.1996 "Pubblicazione della lista riassuntiva di norme
armonizzate unitamente al recepimento e pubblicazione di ulteriori (4° gruppo)
testi italiani di norme C.E.I. armonizzate corrispondenti, di cui all'Art. 3
della legge 18 ottobre 1977, n. 791, sull'attuazione della direttiva n.
73/23/CEE relativa alle garanzie di sicurezza del materiale elettrico".
-
D.Lgs.
n. 626 del 25.11.1996 "Attuazione della direttiva 93/68/CEE, in materia di
marcatura CE del materiale elettrico destinato ad essere utilizzato entro
taluni limiti di tensione".
-
D.Lgs.
n. 277 del 31.07.1997 "Modificazioni al D.Lgs. 25 novembre 1996, n. 626
(2), recante attuazione della direttiva 93/68/CEE in materia di marcatura CE
del materiale elettrico destinato ad essere utilizzato entro taluni limiti di
tensione".
-
D.M.Ind. del 13.06.1989 "Liste
degli organismi e dei modelli di marchi di conformità, pubblicazione della
lista riassuntiva di norme armonizzate, unitamente al recepimento ed alla
pubblicazione di ulteriori (5° gruppo) testi italiani di norme C.E.I., in
applicazione della L. 18 ottobre 1977, n. 791, sull'attuazione della direttiva
n. 73/23/CEE, relativa alla garanzia di sicurezza del materiale
elettrico".
-
Art.
5, 6, 7 sez. II; Art. 9 sez. III, della Direttiva CEE/CEEA/CE n. 656 del
30.11.1989: " Direttiva del Consiglio
del 30 novembre 1989 relativa alle prescrizioni minime in materia di sicurezza
e salute per l'uso da parte dei lavoratori di attrezzature di protezione
individuale durante il lavoro (D.P.I.) (terza direttiva particolare ai sensi
dell'articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE)".
-
Legge
n. 46 del 05.03.1990 "Norme per la sicurezza degli impianti "
Utilizzo del
cannello ossiacetilenico
descrizione
L’utilizzo del cannello ossiacetilenico per la saldatura, può essere causa per gli addetti di esposizione a vari rischi.
danno atteso
Ustioni per contatto con la fiamma o superfici calde; lesioni traumatiche, in caso di scoppio delle bombole, le cui conseguenze per gli addetti potrebbero essere fatali; danni alla vista per esposizione a calore radiante e radiazioni luminose; intossicazioni e danni all’apparato respiratorio per esposizione ai fumi di combustione.
prevenzione
L’attrezzatura ossiacetilenica deve essere dotata di valvole di sicurezza applicate quanto più possibile vicine ai cannelli, in modo tale da impedire il ritorno di fiamma e l’afflusso dell’ossigeno o dell’aria nelle tubazioni del gas combustibile, permettere un sicuro controllo in ogni momento del suo stato di efficienza, impedire la possibilità che avvenga uno scoppio per ritorno di fiamma.
Per ridurre l’esposizione ai fumi di combustione sono necessari impianti di aspirazione localizzata, fissi o portatili.
Gli addetti devono essere adeguatamente informati e formati alle corrette modalità di lavoro e all’utilizzo dei D.P.I. (tuta, guanti, maschere filtranti, occhiali o visiere) e sottoposti a sorveglianza sanitaria.
- Tit. VIII "Materie e prodotti pericolosi o nocivi" D.P.R. n.547 del 27.04.1955.
- Tit. II, Art. 9 “Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi” e Capo II “Difesa dagli agenti nocivi” del D.P.R. n.303 del 19.03.1956 “Norme generali per l’igiene del lavoro”.
- Art. 3 “Misure generali di tutela” del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Art. 4 "Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto" D.Lgs. n.626 del 19.09.1994.
- Tit. IV del D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 “Uso dei Dispositivi di Protezione Individuale”.
Stoccaggio e movimentazione bombole per cannello ossiacetilenico
descrizione
Lo stoccaggio delle bombole
per il cannello ossiacetilenico può comportare il rischio di fughe di gas e di
scoppio, quest'ultimo dovuto in particolare al fatto che l'acetilene disciolto
può decomporsi in idrogeno e carbonio. L'energia di attivazione della reazione
di decomposizione dell'acetilene è relativamente bassa, ad esempio può essere sufficiente una esposizione
prolungata al calore, e/o un forte urto della bombola. La reazione di
composizione può durare anche diverse ore, tanto che l'esplosione può avvenire
anche il giorno successivo a quello in cui il contenitore ha subito l'insulto;
in altri comparti produttivi, si sono
verificati infortuni mortali a causa dell'esplosione di bombole di acetilene,
pertanto è necessaria la massima attenzione nello stoccaggio, movimentazione ed
utilizzo di bombole di acetilene. Depositi con quantitativi maggiori o uguali a
75 Kg., sono soggetti a controllo obbligatorio di prevenzione incendi (D.M.I.
del 16.02.1982).
danno atteso
Lesioni traumatiche, in caso di scoppio delle bombole; possibili disturbi muscolo – scheletrici in caso di movimentazione manuale.
prevenzione
Le bombole devono essere
dotate della prescritta etichettatura ed essere stoccate in luogo separato,
ventilato, al riparo dalle intemperie e lontane da fonti di calore. Nel locale
di stoccaggio deve essere disposto e segnalato il divieto di fumare e usare
fiamme libere. L’impianto elettrico deve essere idoneo alla classificazione di
pericolosità del luogo secondo le norme CEI e deve essere rispettata la
normativa generale antincendio. É opportuno predisporre una procedura di
emergenza in caso si sospetti che le bombole di acetilene abbiano subìto un
insulto tale che possa dare luogo ad esplosione.
Per la prevenzione dai
disturbi muscolo scheletrici è opportuno l’utilizzo di appositi carrelli (si
veda anche il paragrafo relativo alla movimentazione manuale).
Gli addetti devono essere
informati e formati.
- vedere il paragrafo relativo a “esplosione - incendio”.
- D.Lgs. n. 626/1994 e s.m.i.
APPALTI ESTERNI
In genere, tutte le opere di manutenzione preventiva
e non, vengono programmate dall’azienda ed eseguite da apposite squadre di
manutenzione, le quali talvolta sono costituite da ditte esterne che lavorano
presso la sede del caseificio.
IMPATTO ESTERNO
I principali fattori di impatto ambientale in questa
fase lavorativa sono i seguenti:
Emissioni in atmosfera
Polveri, fumi e vapori che si sviluppano durante le
riparazioni meccaniche sugli impianti possono diffondere nell’ambiente esterno.
Si tratta di emissioni saltuarie in quanto dovute a manutenzioni e riparazioni
e non direttamente connesse con il ciclo produttivo; in genere sono emissioni
diffuse (cioè non convogliate) e, quando vengono utilizzati dispositivi mobili
di aspirazione localizzata, l’aria filtrata viene nuovamente immessa
nell’ambiente di lavoro.
Diffusione di rumore all’esterno
Alcune lavorazioni, specie quelle che necessitano
l’utilizzo di attrezzature manuali (quali ad esempio martelli) e utensili
elettrici (mole, trapani, ecc…) possono provocare diffusione di rumore
nell’ambiente esterno con conseguente disturbo della popolazione. La soluzione
consiste in primo luogo nel cercare di ridurre il rumore alla fonte, effettuare
le lavorazioni più rumorose in orari diurni, utilizzare schermature
fonoisolanti - fonoassorbenti.
Produzione di rifiuti
I principali rifiuti prodotti in questa fase sono:
-
lamiere
e parti meccaniche derivate dalla sostituzione e/o demolizione di parti di
macchine e impianti meccanici.
-
oli
minerali esausti utilizzati per la lubrificazione delle macchine, sostituiti
durante la manutenzione.
Consumo delle risorse
I consumi principali in questa fase riguardano oli
minerali per la lubrificazione delle macchine, materiali per saldatura
(elettrodi, gas per cannello ossiacetilenico), lamiere e parti metalliche.
Inoltre si ha consumo di energia elettrica per l’alimentazione delle macchine utensili
fisse o portatili.
I principali fattori di rischio ambientale in questa fase lavorativa sono i seguenti:
Durante le operazioni di manutenzione, in particolare di smontaggio e sostituzione di parti meccaniche, possono avvenire sversamenti di eventuali prodotti chimici utilizzati negli impianti (soluzioni per il lavaggio, ecc…). Inoltre possono avvenire sversamenti di oli minerali durante la sua sostituzione in macchine e impianti.
Lo sversamento di tali inquinanti può provocare l’inquinamento del suolo e delle acque, pertanto sono necessarie misure organizzative, procedurali ed impiantistiche, atte a contenere e raccogliere eventuali sversamenti, e per lo smaltimento corretto dei prodotti recuperati.
Esplosione – Incendio
Lo stoccaggio di bombole ossiacetileniche e l’attività di saldatura possono determinare rischi di esplosione ed incendio che può estendersi a tutta l’azienda, con conseguente inquinamento dovuto alla emissione in atmosfera dei prodotti di combustione ed il rischio di spargimento delle acque utilizzate per lo spegnimento dell’incendio.
RIFERIMENTI
NORMATIVI DI CARATTERE GENERALE
-
D.P.R. n. 547 del 27.04.1955 (G.U. n. 158 del
02.07.1955) – Norme generali per la prevenzione degli infortuni. Norme per
prevenzione degli infortuni sul lavoro.
-
D.P.R.
n. 302 del 19.03.1956 – Norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro
integrative di quelle generali emanate con D.P.R. n. 547/1955.
-
D.P.R.
n. 303 del 19.03.1956 – Norme generali per l’igiene del lavoro.
-
D.M.L.
del 28.07.1958 – Presidi chirurgici e farmaceutici aziendali.
-
D.M.L.
del 12.09.1958 – Istituzione del registro degli infortuni.
-
D.P.R.
n. 1124 del 30.06.1965 – Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
-
Legge
n. 977 del 17.10.1967 – Tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti.
-
Legge
n. 300 del 20.05.1970 – Norme sulla tutela della libertà e dignità dei
lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro
e norme sul collocamento.
-
Legge
n. 1204 del 30.12.1971 – Tutela delle lavoratrici madri.
-
D.M.L.
del 18 aprile 1973 - Elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la
denuncia contro gli infortuni sul lavoro e la malattie professionali.
-
D.P.R.
n. 1026 del 25.11.1976 – Regolamento di esecuzione della Legge n. 1204 del
30.12.1971 sulla tutela delle lavoratrici madri.
-
Legge
n. 833 del 23.12.1978 – Istituzione del servizio sanitario nazionale.
-
Legge
n. 46 del 05.03.1990 – Norme per la sicurezza degli impianti
-
D.Lgs.
n. 277 del 15.08.1991 – Attuazione delle direttive n. 80/1107/CEE, n.
82/605/CEE, n. 83/477/CEE, n. 86188/CEE e n. 88/642/CEE, in materia di
protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizioni ad agenti
chimici, fisici e biologici durante il lavoro a norma dell’Art. 7 della Legge
n. 212 del 30.07.1990.
-
D.Lgs.
n. 77 del 25.01.1992 – Attuazione della direttiva 88/364/CEE in materia di
protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione ad agenti chimici,
fisici e biologici.
- D.Lgs. n.626 del 19.09.1994 (con successive modifiche e integrazioni) “Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 97/42/CE e 99/38/CE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro”.
-
D.Lgs.
n. 242 del 19.03.1996 – Modifiche ed integrazioni al D.Lgs. n. 626/1994,
recante attuazione di direttive comunitarie riguardanti il miglioramento della
sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro.
-
Circolare
Ministero del Lavoro n. 89 del 27.06.1996 – Direzione generale dei rapporti di
lavoro Divisione VII - D.Lgs. n. 242/1996, , contenente modificazioni ed
integrazioni al D.Lgs. n. 626/1994, in materia di sicurezza e salute dei
lavoratori sul luogo di lavoro. Direttive per l’applicazione.
-
D.P.R.
n. 459 del 24.07.1996 – Regolamento per l’attuazione delle direttive
89/392/CEE, 81/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento
degli stati membri relative alle macchine.
-
D.Lgs.
n. 493 del 14.08.1996 – Attuazione della Direttiva 92/58/CEE concernente le
prescrizioni minime per la segnaletica di sicurezza e/o di salute sui luoghi di
lavoro.
-
D.Lgs.
n. 494 del 14.08.1996 – Attuazione della Direttiva 92/57/CEE concernente le
prescrizioni minime di sicurezza e/o di salute da attuare nei cantieri
temporanei o mobili.
-
D.Lgs.
n. 645 del 25.11.1996 – Recepimento della Direttiva 92/85/CEE concernente il
miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici
gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.
-
Circolare
n. 172 del 20.12.1996 – Ulteriori indicazioni in ordine di applicazione del
D.Lgs. n. 626/1994, come modificato dal D.Lgs. n. 242/1996.
-
D.M.L.
del 16.01.1997 – Individuazione dei contenuti minimi della formazione dei
lavoratori, dei rappresentanti per la sicurezza e dei datori di lavoro che
possono svolgere direttamente i compiti propri del Responsabile del Servizio di
Prevenzione e Protezione.
Tabella riassuntiva VALORI LIMITE DI ESPOSIZIONE AL RUMOREe relative misure di prevenzione ai sensi del D.Lgs. n. 277/1991. |
|
Valori limite |
Principali misure da
attuare al superamento
dei valori limite |
Lep,d
80 dB(A) |
- Informare i lavoratori su: - rischi per l'udito derivanti dall'esposizione al rumore; - le misure adottate in applicazione delle norme vigenti; - le misure di protezione cui i lavoratori debbono conformarsi; - la funzione dei mezzi individuali di protezione, le circostanze in cui ne è previsto l'uso e le modalità di uso; - il significato ed il ruolo del controllo sanitario per mezzo del medico competente; - i risultati ed il significato della valutazione del rumore. - Sottoporre a controllo sanitario i lavoratori interessati che ne facciano richiesta ed il medico competente ne confermi l'opportunità, anche al fine di individuare eventuali effetti extrauditivi. - Privilegiare all'atto dell'acquisto di nuovi utensili, macchine, apparecchiature, quelli che producono, nelle normali condizioni di funzionamento, il più basso livello di rumore. |
Lep,d
85 dB(A) |
- Formare i lavoratori su: - uso corretto dei mezzi individuali di protezione dell'udito; - uso corretto, ai fini della riduzione al minimo dei rischi per l'udito, degli utensili, macchine, apparecchiature che, utilizzate in modo continuativo, producono un Lep,d pari o superiore a 85 dB(A); -
Sottoporre a controllo sanitario i lavoratori esposti
(indipendentemente dall'uso di D.P.I.). La frequenza delle visite successive
è stabilita dal medico competente comunque ad intervalli non superiori a due
anni. -
Corredare da un'adeguata informazione relativa al rumore
prodotto nelle normali condizioni di utilizzazione ed ai rischi che questa
comporta, i nuovi utensili, macchine e apparecchiature destinati ad essere
utilizzati durante il lavoro che possono provocare ad un lavoratore che li
utilizzi in modo appropriato e continuativo un'esposizione quotidiana
personale al rumore pari o superiore al limite. |
Lep,d
90 dB(A) oppure Pressione acustica istantanea non ponderata 140
dB (200 Pa) |
- Esporre una segnaletica appropriata, perimetrare e limitare l’accesso ai luoghi di lavoro. - Fornire ai lavoratori i D.P.I per la protezione dell'udito. - Consultare i lavoratori per la scelta dei modelli dei D.P.I. - I lavoratori la cui esposizione quotidiana personale supera 90 dB(A) sono tenuti ad utilizzare i D.P.I. - Sottoporre a controllo sanitario i lavoratori esposti (indipendentemente dall'uso di D.P.I.). La frequenza delle visite successive è stabilita dal medico competente comunque ad intervalli non superiori ad un anno. - Adottare misure preventive e protettive per singoli lavoratori, in conformità al parere del medico competente, al fine di favorire il recupero audiologico. Tali misure possono comprendere la riduzione dell'esposizione quotidiana personale del lavoratore, conseguita mediante opportune misure organizzative. - Tenuta del registro degli esposti. - Comunicare all'organo di vigilanza, informando i lavoratori, le misure tecniche ed organizzative applicate, qualora l'esposizione quotidiana personale di un lavoratore al rumore risulti superiore ai limiti nonostante l'adozione delle misure preventive. |
BIBLIOGRAFIA:
-
Atti
del convegno nazionale Lavoro e salute in
agricoltura tenutosi a Punta Ala 5-8 ottobre 1993, volume II, a cura di E.
Desideri, edito da Regione Toscana - ASL n° 28 Area Grossetana.
-
A.R.S.I.A.
- Regione Toscana, Video n. 17
"L'igiene e la sicurezza del lavoro nell'industria casearia".
-
A.R.S.I.A.
- Regione Toscana, Quaderno n. 7/99 "Il formaggio pecorino toscano".
-
Ottavio
Salvadori Del Prato, Trattato di
tecnologia casearia, Edagricole, Settembre 1998.
-
Giancarlo
Del Bono, Alfredo Stefani, Latte e
derivati, Edizioni ETS, Pisa, 1997.
-
C.M. Bourgeois, J.F.Mescle, J. Zucca, “Microbiologie alimentaire”, tome 1,
Paris, Technique et Documentation – Lavoisier, Apria, 1990 – Collection
sciences et techniques agro-alimentaires.
-
Caseificio
Sociale Manciano s.c.r.l. - CD-ROM "Il caseificio sociale di
Manciano".
-
ENEA
“Manuale per l’uso razionale dell’energia nell’industria casearia”
Dr.ssa Funaro Tel. 06 30481