I profili di rischio nei comparti produttivi dell’artigianato, delle piccole e medie industrie e pubblici esercizi: Gomma (vulcanizzazione)

 

 

 

 

 

 

 

Hanno partecipato ai lavori

 

ASL di Mantova

 

Sandro Tieghi

Ettore Guarnieri

Vittorino Armani

Giordano Spezia

Cesare Ghizzi

Luigi Zappavigna

 

Università di Verona – Sezione di Farmacologia

 

Prof.ssa  Maria Enrica Fracasso e la sua équipe

 

 

 

 

 

 

 

DESCRIZIONE DEL PROGETTO E GENERALITA’ SUL COMPARTO

 

 

L’industria della gomma è caratterizzata dall’utilizzo di molte sostanze chimiche, alcune delle quali sono state, in passato,  considerate cancerogene per l’uomo o in animali da esperimento.

Le numerose indagini epidemiologiche disponibili hanno evidenziato, negli addetti esposti fino agli anni  ’50, un eccesso di mortalità per neoplasie soprattutto a carico della vescica e del sistema emopoietico. L’aumento di incidenza di queste patologie è stato attribuito all’uso  delle ammine aromatiche di prima classe. Queste considerazioni hanno spinto i paesi industrializzati ad una progressiva regolamentazione dell’uso di tali sostanze che, sommato ad un  costante miglioramento delle condizioni igienico - ambientali dei luoghi di lavoro, sembra abbia portato ad una riduzione dell’incidenza di queste neoplasie.

L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) classifica, tuttavia,  l’industria della gomma come attività a rischio di provocare il cancro sulla base del  sospetto dell’esistenza di prodotti di reazione biologicamente attivi che si sviluppano durante la lavorazione; la doverosa eliminazione dei cancerogeni noti non si è, quindi, ancora rivelata sufficiente per l’eliminazione totale del rischio.

L’ASL di Mantova ha  ritenuto utile indagare sull’esistenza di situazioni ambientali a rischio sia dal punto di vista infortunistico, ma anche  sul versante tossicologico  mediante lo studio approfondito degli ambienti di lavoro e delle attrezzature di 3 aziende della Provincia di Mantova che producono articoli tecnici in gomma : due di queste aziende possiedono un impianto di mescola della gomma e di stampaggio mentre la terza realizza esclusivamente prodotti su stampi (vulcanizzazione). Complessivamente, le 3 aziende assorbono circa 80 dipendenti; due di queste si trovano nella zona industriale del capoluogo, la terza nella zona collinare della provincia. Accomuna le tre aziende il tipo di prodotto (articoli tecnici di gomma specialmente per uso antivibrante). Il lavoro qui presentato costituisce la sintesi degli interventi effettuati nelle tre aziende citate fatti allo scopo di aumentare le conoscenze sulle esposizioni ai prodotti di degradazione della gomma e di migliorare la sicurezza delle macchine e degli impianti. Lo studio tossicologico è stato realizzato con la fondamentale collaborazione dell’Istituto di Farmacologia – Cattedra di Tossicologia dell’Università di Verona; grazie a questa sinergia è stato possibile applicare a scopo sperimentale una nuova metodica di analisi di danno cellulare per evidenziare eventuali effetti degli inquinanti sul DNA degli esposti; il test potrebbe in futuro costituire una valida e più precisa alternativa al PAP-test; le applicazioni di sicurezza sulle macchine derivano dalle ispezioni e dai rilievi degli operatori del Servizio PSAL di Mantova.

Di tutti questi aspetti e delle problematiche della sicurezza nell’industria della gomma si parlerà analiticamente nel documento di fase: l’impostazione data al progetto risente delle diverse epoche e modalità in cui il Servizio di Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro è intervenuto nelle aziende. Pertanto, le diverse fasi del ciclo produttivo (vedi schema a blocchi successivo) sono state approfondite in modo differente nelle aziende. Il lay-out produttivo e la tipologia dei manufatti delle tre aziende è, tuttavia, del tutto similare; ciò autorizza a considerare i rischi derivanti dalla lavorazione come trasversali e generalizzabili, fatte salve alcune specificità aziendali (numero addetti, età media degli impianti, struttura dell’edificio, dati di produttività) di cui si farà menzione nel documento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SCHEMA A BLOCCHI DELLA PRODUZIONE DEI MANUFATTI IN GOMMA STAMPATI

 

 

 

 

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

STOCCAGGIO

 
 

 

 

 

 

 
 

 

 

 

 

 

 

FINITURA E SPEDIZIONE

 
 

 

 

 


DOCUMENTO DI COMPARTO

 

Si riportano di seguito alcune rappresentazioni grafiche che illustrano l’andamento del consumo di materiali e della produzione di articoli in gomma (con esclusione dei pneumatici) in un periodo di circa 20 anni compreso tra il 1979 ed il 2002. Alcuni confronti non richiedono particolari commenti: ad esempio, l’enorme incremento dei consumi della Cina e quello, più contenuto ma altrettanto significativo, dell’India. In generale, si apprezza un maggior consumo di gomma sintetica. I dati relativi all’Italia non mostrano sostanziali differenze negli ultimi 20 anni. Altrettanto stabile la produzione negli ultimi anni.

 

CONSUMO DI GOMMA (NATURALE E SINTETICA) IN ALCUNE NAZIONI NEL 1979

(in migliaia di tonnellate)

                                                             

 

 

                        

 

 

 

CONFRONTO DEL PRECEDENTE CON LA SITUAZIONE NEL 2001

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONFRONTO RIEPILOGATIVO DEL CONSUMO MONDIALE DI GOMMA (NATURALE E SINTETICA) – ANNI 1980 – 2001( migliaia di tonnellate)

 

69%60%

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONSUMO DI MATERIE PRIME IN ITALIA 2001-2002                                  (migliaia di tonnellate)- Distinzione tra diversi tipi di gomma sintetica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PRODUZIONE DI ARTICOLI TECNICI IN ITALIA – CONFRONTO 2002-2003

(in migliaia di tonnellate)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rischio esterno

 

Si segnala che il problema degli scarichi delle cabine di soluzionatura e delle vasche di sgrassaggio delle ditte che assemblano materiali in metallo-gomma è stato contenuto con l’adozione progressiva di prodotti esenti da solventi organici (tricloroetilene, percloroetilene, toluene e xileni); le rimanenti emissioni sono da ritenersi irrilevanti ai fini dell’inquinamento verso l’esterno.

 

Tecnologia della produzione

 

Le aziende esaminate producono articoli tecnici in gomma e metallo-gomma utilizzati prevalentemente come supporti antivibranti e antiurto per macchine movimento terra, carri ferroviari, edilizia (per opere ferroviarie e civili), ascensori. Si precisa che due delle aziende possiedono un reparto di incollaggio della gomma su metallo che richiede l’utilizzo di solventi; tale fase di lavoro non è stata approfondita nel documento di fase in quanto esula dalle questioni specifiche del rischio della produzione della gomma. Tuttavia, l’analisi del funzionamento delle presse approfondirà alcune problematiche di rischio connesse all’accoppiamento della gomma su metallo (vedi doc. di fase)

 

Descriveremo brevemente il  il ciclo tecnologico della mescola e della vulcanizzazione che rappresentano le fasi – cardine della produzione; le operazioni del ciclo si svolgono in stretta successione:

1)      dosatura degli additivi: si basa su ricette formulate dai tecnologi della produzione. Da un distributore (che può essere automatico) gli ingredienti sono prelevati e pesati su bilancia impostata elettronicamente; successivamente la ricetta è completata dall’aggiunta di elastomeri grezzi, naturali o sintetici (gomma policloroprenica, gomma stirene-butadiene, gomma butilica) in quantità predeterminata.

2)      La mescolatura è effettuata per mezzo di un mescolatore a camera chiusa (Banbury) caricato con apposita tramoggia con i materiali precedentemente dosati. Viene così prodotta una balla di gomma alla temperatura di circa 110°C-130°C.

 

Scarico della balla di gomma dal banbury

 

3)      La calandratura consiste nel ripetuto passaggio della balla di gomma tra due cilindri aperti al fine di realizzare un foglio di gomma.

 

Operazione di calandratura

 

 

 

4)      Il foglio di gomma così ottenuto viene raffreddato, ridotto a spessore definito e tagliato a misura per l’invio alla vulcanizzazione.

5)      Vulcanizzazione: il foglio di gomma viene foggiato nella forma voluta e contemporaneamente vulcanizzato. Questa operazione avviene mediante presse oleodinamiche costituite da due piastre metalliche che accolgono i pezzi da vulcanizzare in uno stampo. Le due piastre sono sospinte a pressione l’una contro l’altra (con spinta fino ad un massimo di 400 tonnellate) e mantengono nello stampo per il tempo e la temperatura necessarie i pezzi di gomma da vulcanizzare. 

 

ELENCO NORME DI RIFERIMENTO

 

 

Oltre agli artt. 41, 68, 115, 133 del D.P.R 27 aprile 1955 ed al D.P.R. 24/71996, n° 459, si segnalano di seguito  le norme UNI di riferimento per la sicurezza della macchine per la lavorazione della gomma:

 

UNI EN 292-1 Sicurezza del macchinario. Concetti fondamentali, principi generali di progettazione. Terminologia, metodologia di base. - novembre 92

1D

UNI EN 292-2 Sicurezza del macchinario. Concetti fondamentali, principi generali di progettazione. Specifiche e principi tecnici. - novembre 92

1D

UNI EN 292-2 FA 1-95 Sicurezza del macchinario. Concetti fondamentali, principi generali di progettazione. Specifiche e principi tecnici. - dicembre 95

1D

UNI EN 294 Sicurezza del macchinario. Distanze di sicurezza per impedire il raggiungimento di zone pericolose con gli arti superiori. - luglio 93

13

UNI EN 349 Sicurezza del macchinario. Spazi minimi per evitare lo schiacciamento di parti del corpo. - giugno 94

1D

UNI EN 414 Sicurezza del macchinario. Regole per la stesura e la redazione di norme di sicurezza. - gennaio 93

1D

UNI EN 418 Sicurezza del macchinario. Dispositivi di arresto d'emergenza, aspetti funzionali. Principi di progettazione. - giugno 94

1D

UNI EN 457 Sicurezza del macchinario. Segnali acustici di pericolo.  Requisiti generali, progettazione e prove. - gennaio 93

17

UNI EN 547-1 Sicurezza del macchinario - Misure del corpo umano - Principi per la determinazione delle dimensioni richieste per le aperture per l'accesso di - settembre 98

7

UNI EN 547-2 Sicurezza del macchinario - Misure del corpo umano - Principi per la determinazione delle dimensioni richieste per le aperture di accesso - settembre 98

7

UNI EN 547-3 Sicurezza del macchinario - Misure del corpo umano - Dati antropometrici - settembre 98

7

UNI EN 563 Sicurezza del macchinario. temperature delle superfici di contatto. Dati ergonomici per stabilire i valori limite di temperatura per le superfici calde. -  giugno 95

10

UNI EN 574 Sicurezza del macchinario - Dispositivi di comando a due mani – Aspetti funzionali - Principi per la progettazione. - dicembre 98

13

UNI EN 201 Macchine per gomma e materie plastiche - Macchine a iniezione - Requisiti di sicurezza - novembre 98

5

UNI EN 289 Macchine per gomma e materie plastiche. Presse a  compressione e per trasferimento (transfer). Requisiti di sicurezza per la progettazione. settembre 94

5

UNI EN 422 Macchine per gomma e materie plastiche - Sicurezza. Macchine per soffiaggio per la produzione di corpi cavi. Requisiti per la progettazione e la marzo 97

13

UNI EN 1114-1 Macchine per gomma e materie plastiche - Estrusori e linee di estrusione - Requisiti di sicurezza per estrusori - febbraio 98

5

UNI EN 1114-2 Macchine per gomma e materie plastiche - Estrusori e linee di estrusione - Requisiti di sicurezza per unità di taglio in testa - febbraio 00

7

UNI EN 1417 Macchine per gomma e materie plastiche. Mescolatori a cilindri. Requisiti di sicurezza. - ottobre 97

5

UNI EN 1612-1 Macchine per gomma e materie plastiche - Macchine per stampaggio a reazione - Requisiti di sicurezza per unita' di dosaggio e miscelazione. - aprile 99

5

UNI 8713 Macchine per vulcanizzazione di pneumatici, copertoni e camere d' aria. Dispositivi e sistemi di sicurezza. - settembre 86

5

UNI 9506 Calandre per gomma e materie plastiche. Misure e dispositivi di sicurezza. - novembre 89

 

1D

1D

1E

1D

13

10

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Infortuni e m.p.

 

Dati INAIL nazionali

 

Infortuni indennizz.

1998

1999

2000

2001

2002

Gomma

10791

10846

11433

12936

12898

Malattie profess.

 

 

 

 

1999-2002

Gomma e plastica

 

 

 

 

233

 

Dati aziendali: nel periodo 1999-2002 non sono state denunciate malattie professionali nelle aziende oggetto dello studio, ad eccezione di una segnalazione di neoplasia vescicale nel 2002 in un lavoratore ex - esposto. Il lavoratore era pensionato dal 31-12-1989 ed aveva lavorato nella stessa azienda per 21 anni (1968-1989); non è stato possibile stabilire eventuali nessi di causa tra il lavoro e la patologia.

L’analisi infortunistica è condizionata dall’esiguità del numero di addetti studiato; prevalgono negli ultimi 4 anni due tipologie di infortunio: i traumi da schiacciamento (in particolare sulle presse da stampo) e le ferite da taglio per uso di coltelli sulle calandre o per le sbavature. Non si sono verificati infortuni mortali.

 

Natura della lesione

 

 

2000

2001

2002

2003

Totale ultimi 4 anni

 

 

 

 

 

 

Schiacciamenti

5

3

5

4

17

Ustioni

3

0

0

3

6

Lacero -contusioni

0

2

3

0

5

Corpi estranei

1

2

0

0

3

Tagli

6

5

1

1

13

In itinere

2

1

2

0

5

 

 

 

 

 

 

Totale per anno

17

13

11

8

49

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli infortuni di durata >40 giorni sono stati 9, pari al 19% del totale. 

 

 

 

La sorveglianza sanitaria

 

Il controllo sullo stato di salute dei lavoratori viene esercitato dal datore di lavoro attraverso l’attività del medico competente: di fatto,  questa tipologia di aziende era, per la natura delle sostanze utilizzate, già compresa nella tabella allegata al DPR 303/1956. L’utilizzo delle amine aromatiche ha assoggettato l’industria della gomma alle indicazioni comprese dapprima nella Circolare del Ministero del Lavoro n° 46 del 12 giugno 1979 e, successivamente, nel D. L. vo 77 del 25 gennaio 1992; infine, con l’inserimento nel D. L. vo 626/94 dei titoli relativi alle sostanze cancerogene e alle sostanze chimiche si stabilisce la discrezionalità del medico competente nella predisposizione del protocollo di sorveglianza sanitaria mirando soprattutto agli interventi di sostituzione/riduzione dell’utilizzo dei prodotti pericolosi.

Tutti i lavoratori oggetto dello studio erano da tempo sottoposti a visite mediche  con esami strumentali e laboratoristici integrativi; si riportano di seguito questi accertamenti:

 

1)      Visita medica

2)      Spirometria basale

3)      Emocromo con formula

4)      Esame funzionalità renale (azotemia, creatininemia)

5)      Esame funzionalità epatica (transaminasemia, bilirubinemia, gammagt, fosfatasi alcalina)

6)      Esame urine completo + PAP test su tre campioni

7)      Dosaggio idrossipirene urinario

8)      Esame audiometrico a richiesta (tutte le mansioni espongono i lavoratori a valori  <85 dB A)

 

Il rischio da esposizione a sostanze chimiche/cancerogene

 

Nel 1982 la IARC pubblicava la monografia n°28 dedicata all’industria della gomma che rappresentava la seconda esperienza dell’Agenzia sulla valutazione di rischio oncogeno da esposizioni complesse di tipo occupazionale. Una consistente parte dei dati epidemiologici al riguardo indicavano un eccesso di rischio per certi tumori particolari (vescica, stomaco, sangue e polmone) accumulato nei decenni precedenti. L’esistenza di un rischio genotossico per i lavoratori è sospettabile sia per l’elevata varietà di sostanze chimiche, spesso ricche di impurezze, impiegate nei cicli lavorativi sia per le complesse interazioni tra composti che si verificano durante le lavorazioni a caldo delle mescole, con conseguente formazione di nuove molecole conosciute e non.

L’esiguità dei numeri relativi alle m.p. segnalate negli ultimi anni sembra deporre a favore di un netto regresso del rischio oncogeno; resta, tuttavia, valida la necessità del controllo delle “basse esposizioni”, problema sul quale è stata focalizzata l’attenzione del presente progetto e che trova puntuale riscontro nell’applicazione dei D. L.vi  66/00 e 25/02.

Il D. L.vo 66/00: “Attuazione delle Direttive 1997/42/CE e 1999/38/CE, che modificano la Direttiva 90/394/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro” modifica ed integra in varie parti il Titolo VII del D. L.vo 626/94; il D. L.vo 25/02: “Attuazione della Direttiva 98/24/CE sulla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici durante il lavoro” (Titolo VII-bis D. L:vo 626/94), si applica anche agli agenti cancerogeni e/o mutageni ad esclusione degli aspetti per i quali sono previste delle misure specifiche nell’ambito del Titolo VII del D. L.vo 626/94.

 

 

 

Una lettura del D. L.vo 626/94 dopo queste modifiche ed integrazioni porta a considerare la trattazione della protezione contro i rischi da agenti cancerogeni e/o mutageni (Titolo VII del D. L.vo 626/94) una condizione specifica della protezione contro i rischi da agenti chimici pericolosi (Titolo VII-bis D. L.vo 626/94).

Le linee-guida del Coordinamento Tecnico per la Sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Province Autonome sottolinea alcuni passaggi-chiave del D.L.vo 25/02 in merito alla valutazione del rischio.

I parametri da prendere in considerazione sono il tipo e la quantità dell’agente chimico e le modalità di frequenza di esposizione all’agente chimico. Il datore di lavoro deve assolvere a due compiti principali:

 

 

1)      determinare preliminarmente la presenza eventuale di agenti chimici pericolosi sul luogo di lavoro;

2)      valutare i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori derivanti dalla presenza di tali agenti.

Il processo valutativo comprende, innanzitutto, l’identificazione di tutti gli agenti chimici utilizzati, stilando una lista completa di tutte le sostanze e preparati (prodotti chimici) utilizzati a qualunque titolo in un’azienda. Per ognuno di questi deve essere poi associata la classificazione CE se esistente o, in assenza di questa, deve essere identificato se l’agente chimico utilizzato, pur non essendo classificato, possa comportare comunque un rischio per la salute e la sicurezza (art. 72 ter comma 1 lettera b punto 3 D.L.vo 626/94).

Inoltre, nella identificazione dei pericoli il datore di lavoro deve tener conto delle attività produttive che vengono svolte al fine di identificare se nel corso di tali attività vi siano processi o lavorazioni in cui si sviluppano agenti chimici pericolosi.

Nella valutazione del rischio vanno tenute in considerazione:

1)      le proprietà pericolose dell’agente (Frasi R)

2)      le informazioni contenute nella scheda di sicurezza

3)      il livello, il tipo e la durata dell’esposizione

4)      le circostanze di svolgimento del lavoro e le quantità in uso della sostanza o del preparato

5)      i valori limite professionali e/o biologici dell’agente (se esistono)

6)      gli effetti delle misure preventive e protettive adottate

7)      le conclusioni, se disponibili, delle azioni di sorveglianza sanitaria.

Consideriamo ora le sostanze e i preparati impiegati nelle aziende esaminate (comparto produttivo della gomma – articoli tecnici)  relativamente alle mescole e alle vulcanizzazioni, suddivise per gruppi:

 

ELASTOMERI

 

NUMERO DI CAS

 

Gomma naturale solida

9006-04-6

 

Policloroprene

9010-98-4

 

Copolimero stirene-butadiene

9005-55-8

 

Gomma polibutadienica

9003-17-2

 

Copolimero isobutene e isoprene bromurato

68441-14-5

 

Terpolimero etilene propilene diene monomero

25038-36-2

 

 

CARICHE

 

NUMERO DI CAS

 

Carbonato di calcio

1317-65-3

 

Ossido di magnesio

1309-48-4

 

Silicato di magnesio

14807-96-6

 

Idrossido di alluminio

121645-51-2

 

Silicato di alluminio

1332-58-7

 

Nero di carbonio

1333-86-4

 

 

PLASTIFICANTI – OLI

 

NUMERO DI CAS

 

Olio di origine paraffinica

64741-88-4

 

Ftalato di ottile

117-81-7

 

ATTIVANTI

 

NUMERO DI CAS

 

Ossido di zinco

1314-13-2

                                                                                                                       

 

 

 

                                                                              ACCELERANTI, VULCANIZZANTI, RITARDANTI, ANTIOSSIDANTI

 

FRASI R*

NUMERO DI CAS

 

Monosolfuro di tetrametiltiurame

R 22-43-51/53

97-74-5

 

Disolfuro di tetrametiltiourame

R 36/37-43-68

137-26-8

 

Tetrabutiltiuramedisolfuro

 

1634-02-2

 

Dibenzotiaziledisolfuro (MBTS)

 

120-78-5

 

4,4’ ditiomorfolina

 

103-34-4

 

Zolfo oleato

 

7704-34-9

 

2-mercaptobenzotiazolo

R 43-50/53

149-30-4

 

2-metilmercaptobenzimmidazolo

 

53988-10-6

 

Benzotiazolo-2-cicloesilsulfenamide

 

95-33-0

 

Etilentiourea

R 61-22

96-45-7

 

N-isopropil-N’-fenil-p-fenilendiammina

R 22-43

101-72-4

 

Miscela di diaril-p-fenilendiammina

R 43-52/53

68953-84-4

 

2,2,4 trimetil 1,1 diidrochinolina

 

67780-96-1

 

Difenilammina diottilata

 

101-67-7

 

Difenilammina alchilata

 

68411-46-1

 

Esametilentetrammina

R 11- 42/43

100-97-00

 

*delle sostanze pericolose                                                                             

                             

 

L’elenco non esaustivo delle sostanze citate porta ad una considerazione immediata: la necessità che nel comparto produzione gomma sia effettuata una valutazione maggiormente dettagliata dei rischi, cioè che non sia in nessun caso applicabile il principio di giustificazione contenuto nell’art. 72 quater comma 2 D.L.vo 626/94.

E’ quindi indispensabile passare ad un secondo livello di approfondimento che consenta di misurare il rischio. Riteniamo che questo passaggio sia particolarmente critico, poiché si tende ad attribuire alle misure ambientali un valore di cut-off tra il rischio moderato e non moderato. In realtà, occorre ritenere il rischio moderato come equivalente di rischio “irrilevante per la salute” e questo non solo per una corretta traduzione del testo originale inglese (slight) ma anche in forza di quanto previsto dall’art. 35 del 303/56.

Il recepimento della Direttiva Comunitaria non può, in ogni caso, comportare un’attenuazione delle attuali norme sulla protezione dei lavoratori per cui il rischio si può considerare moderato solo quando sia irrilevante per la salute degli stessi.

La presenza dell’industria della gomma nella lista IARC delle attività classificate come cancerogene (classe 1) ancorché non definisca  un elenco di sostanze o preparati peculiari di tale comparto produttivo, fa rientrare in linea di principio le attività lavorative dove si produce e/o si vulcanizza la gomma tra quelle in cui il rischio non dovrebbe essere classificato come “irrilevante” (moderato).

Si deve qui brevemente accennare al fatto che le produzioni, mansioni  e lavorazioni classificate dalla IARC come cancerogene con diversi livelli di evidenza e che la CE non considera risultano essere 21 , tra queste, appunto l’industria della gomma.

Si riscontra, di fatto, come  l’attuale normativa crei alcuni problemi di ordine pratico. Infatti, le schede di sicurezza e le etichette delle sostanze e dei prodotti commerciali sono tenute a riportare la presenza e la concentrazione delle sole sostanze classificate come “pericolose” sulla base della Direttiva 67/548/CEE, e può accadere che alcune sostanze valutate come certe o sospette cancerogene dalla IARC o dalla CCTN non siano state classificate dalla CEE in nessuna categoria di pericolo. Per altro verso, la CEE nel suo XXI adeguamento ha valutato, per la prima volta, gli effetti cancerogeni di ben 862 miscele idrocarburiche ottenute con i processi di distillazione dal petrolio e dal carbone; tali sostanze vengono ricomprese dalla IARC in “famiglie” di composti, prevalentemente gli IPA. A solo titolo esemplificativo, abbiamo verificato l’appartenenza alle categorie classificative CE e IARC di alcuni composti idrocarburici utilizzati nelle industrie della gomma da noi esaminate:

 

NOME COMMERCIALE

COMPOSIZIONE CHIMICA

NUMERO DI CAS

CATEGORIA CE

FRASE R

CLASSIFICAZIONE IARC

ESAR 40

Miscela complessa di idrocarburi

64742-03-6

2

R 45

1

PROCESS OIL 460/P

Olio di origine paraffinica

64741-88-4

2

R 45

-

PROCESS OIL 100/N

Olio minerale di origine naftenica

64742-34-3

1

R 45

-

 

 

 

 

 

Studio tossicologico

 

Come anticipato in premessa e come risulta evidente da quanto appena discusso, esiste in questo comparto un potenziale rischio oncogeno; le aziende partecipanti allo studio sono state indagate anche attraverso la misura dei più significatici inquinanti ambientali e sulle loro eventuali conseguenze sui lavoratori. Sono stati effettuati campionamenti ambientali in tempi successivi accoppiati a determinazioni della mutagenicità su campioni di urina degli addetti (vedi questionario allegato) e su aria ambientale. Queste metodiche sono state ritenute le più idonee per stimare il rischio genotossico in questo tipo di industria, poiché l’elevato numero di materie prime utilizzate  e di prodotti intermedi di lavorazione rendono inadatte le tradizionali misure di monitoraggio biologico.

 

Si riportano nelle successive tabelle i risultati dei prelievi effettuati; si precisa che non è stato possibile determinare con esattezza quali sostanze abbiano proprietà mutagene; non si può, inoltre, escludere che altri prodotti della pirolisi, sfuggiti alla gas-cromatografia in spettrometria di massa (GCMS), siano responsabili della mutagenicità. Si può, tuttavia, supporre che la frazione inquinante più importante siano le amine ed i nitroderivati piuttosto che gli IPA, questi ultimi dosati ripetutamente a valori molto bassi o ai limiti della rilevabilità strumentale. I saggi sono stati effettuati su ceppi di salmonella typhimurium, mentre il dosaggio degli IPA è stato ottenuto con cromatografia liquida HPLC.

E’ stata dimostrata un’azione mutagena diretta sui ceppi di Salmonella sia con i saggi di campionamenti prelevati da aria ambiente (campionatori fissi) sia con i campionamenti personali. Meno evidenti sono gli effetti mutageni ottenuti dai saggi ottenuti dalle urine degli esposti, in particolare degli addetti allo stampaggio.

E’ interessante osservare che l’analisi di tutte le sostanze aerodisperse ha consentito di identificare alcuni composti che non sono noti per essere dotati (da soli) di attività mutagena:

 

 

 

1)1,2-diidro-2,2,4-trimetilchinolina (CAS 147-47-7)

2) Bis (metilpropil) ftalato               (CAS   84-69-5)

3) Difenilammina                             (CAS 122-39-4) FRASI R 23/24/25-33

4) N-metil N-fenilbenzenammina    (CAS 552-82-9)

 

Questi composti sono con ogni probabilità il risultato di trasformazioni dovute alle alte temperature dei prodotti primari usati nelle ricette, come le difenilammine alchilate o l’N-isopropil-N’-fenilendiammina (IPPD).

Altri prodotti individuati in diverse posizioni del reparto mescola sono composti azulenici, composti alifatici, esteri ftalati, fenoli e acidi dicarbossilici. E’ da ricordare che gli esteri ftalati hanno effetti cancerogeni sui ratti e sono ancora in fase di studio nell’uomo, in particolare per la loro azione proliferativa sui perossisomi (con aumento di radicali liberi derivati da H2O2).

Un ulteriore approfondimento della problematica genotossica è stato tentato ricercando a livello di cellule linfocitarie gli eventuali danni al DNA (Comet-test) provocati dall’assorbimento dei tossici e verificando l’accordo con i risultati ottenuti dai saggi di mutagenicità con i campionamenti di aria ambiente. Questo tipo di approccio non può costituire la “routine” della sorveglianza sanitaria ma ne rappresenta un’indagine di livello elevato; si tratta, tuttavia, di test che possono svelare con molto anticipo situazioni di pericolo, ad esempio rispetto al PAP-test su citologia urinaria. Inoltre, esiste una correlazione positiva tra gli effetti mutageni delle urine e i danni al DNA dei lavoratori esposti al rischio da almeno 6 anni consecutivi.      

 Sono di seguito tabellati i dati dei campionamenti relativi ai monitoraggi ambientali e biologici effettuati in tempi diversi (1° - 2° - 3° monitoraggio) nelle aziende dove si effettua sia la mescola che la stampa. Si tratta , nel 1° monitoraggio, di rilievi di idrocarburi policiclici aromatici su campionatori ambientali e personali degli addetti alla calandra, al mescolatore  ed alla pesatura del reparto mescola. A partire dal 2° monitoraggio sono stati riportati anche i valori misurati in reparto vulcanizzazione (in grassetto - per una immediata comprensione il 1° monitoraggio è su  fondo bianco, il 2° su  fondo giallo ed il 3° su fondo verde).

              

 

CONSIDERAZIONI SUI RISULTATI

Allo stato attuale esistono, per miscele di un certo numero di IPA, i valori limite proposti dagli “Intended Changes”  96-97 dell’ACGIH in cui si propone un valore di 5 microgrammi/metro cubo per la miscela di 15 IPA della lista del “National Toxicology Program” statunitense.

E’, comunque, il benzo(a)pirene il composto per il quale esistono un maggior numero di valori guida: 0,15 microgrammi/metro cubo proposto nel 1988 in Francia e 2 microgrammi/metro cubo per il TRK tedesco; l’OSHA propone un TLV-TWA di 0,2 microgrammi/metro cubo.

Trattandosi di cancerogeni l’indicazione di legge e’ la sostituzione con sostanze non (o meno) pericolose o  il raggiungimento del  più basso livello possibile di esposizione. 

Il dosaggio degli IPA sia nel primo che nel secondo monitoraggio ha evidenziato modesti valori di inquinamento sia sui campioni fissi che personali; la valutazione gravimetrica della polverosità ha mostrato valori estremamente contenuti o trascurabili.

Il TLV-TWA per le polveri totali inalabili e’ di 10 milligrammi/metro cubo.

Il terzo monitoraggio e’ stato realizzato dopo l’entrata in vigore del D. L.vo 25/2002 ; i ridotti livelli di polverosità rispetto al secondo monitoraggio sono la conseguenza di interventi di bonifica in tutte le aziende studiate. Si e’ trattato sia di modifiche alla struttura dell’edificio (ampliamento del reparto di vulcanizzazione con aumento della superficie aero-illuminante) sia di miglioramenti tecnologici (sostituzione di presse di vecchia concezione con nuove presse e nuovi impianti di aspirazione).

Si osserva  che il livello di idrossipirene urinario rilevato nel 2° monitoraggio   risente di un assorbimento  cutaneo significativo.

 

 

 

 


TABELLA 1: IPA SU CAMPIONATORI PERSONALI ESPRESSI IN MICROGRAMMI /METRO CUBO

 

 

1° Monitoraggio

2° Monitoraggio

3° Monitoraggio

 

 

Postazioni

Calandra

Mescola

Pesatura

Calandra

Mescola

Stampa I

Stampa II

Calandra

Mescola

Fine linea

Stampa

 

Pirene

0,011

0,05

0,17

0,001

0,002

0,005

I valori di IPA (sommatoria) rilevati da campionatori personali negli addetti alla mescola e alla calandra sono < 0,5 microg/m3;

 campionamenti personali sugli addetti stampa hanno fatto rilevare un valore massimo di 0,7 µg/m3.

 
0,006

Benzo-antracene

0,004

-

0,017

-

-

0,001

0,003

Crisene

0,01

0,02

0,18

 

0,001

0,001

-

Benzo-pirene

0,004

0,009

0,04

0,009

0,008

0,001

0,001

Benzo-ß-fuor

-

-

-

0,002

0,002

0,02

0,022

Benzo-k-fluo

-

-

-

0,003

0,002

0,006

0,007

Dibenzoantra

-

-

-

0,008

0,004

0,003

0,002

Benzoperil

-

-

-

0,006

0,004

0,003

0,003

 

Polveri Totali*

0,18

0,51

-

-

-

-

-

1,2

2,4

3,3

0,4 - 0,6

* in milligrammi /metro cubo

Naftalene

-

-

-

-

11,2

8,6

18,9

Difenil ammina

-

-

-

-

2,4

15,5

21,3

Questi ultimi due rilievi si riferiscono a campioni ambientali (in microgrammi/metro cubo); il TLV-TWA per la

 difenilammina è 10 milligrammi/metro cubo

 

 

 

 

 

TABELLA 2: CAMPIONI AMBIENTALI di IPA (1° e 3° Monitoraggio) espressi in µgrammi/m3

 

POSTAZIONI

CALANDRA

MESCOLA

VULCANIZZAZIONE

(3° Monitoraggio)

PIRENE

0,02

0,213

<0,5 (IPA sommatoria)

 BENZOANTRACENE

0,004

0,005

-

CRISENE

0,05

0,02

-

BENZOPIRENE

-

0,012

-

POLVERI TOTALI                          (in milligrammi/metro cubo)

1,24

2,27

0,7/1,8

 

Il 3° monitoraggio è stato attuato per avere nuove misure ambientali di IPA nel reparto stampa dopo l’entrata in vigore del D.L.vo 25/2002: i valori sono stati <0,5 microg/m3; le polveri totali sono state misurate in concentrazione tra 0,7 ed 1,8 mg/m3 (secondo la postazione).

 

 

 

 

 

 

 

TABELLA 3: RILIEVI DELL’IDROSSIPIRENE URINARIO (MARKER DI DOSE INTERNA DEGLI IPA)

ESPRESSI IN MICROGRAMMI/GRAMMO DI CREATININA

 

 

 

1° Monitoraggio

2° Monitoraggio

 

                       

Inizio turno

Fine turno

Inizio turno

Fine turno

 

 

Calandra

-

0,81

1,2

0,9

Mescola

-

0,69

0,2

1,9

Pesatura

-

0,33

0,2

1,3

Stampa I

-

-

0,3

1,8

Stampa II

-

-

1,55

1,8

 

Il valore “soglia” di idrossipirene urinario è di 2 microgrammi /grammo di creatinina (Casarett & Doull:  “Toxicology”)

 

 

 

 

 

 

 

 

ALTRI RILIEVI AMBIENTALI EFFETTUATI NEL SECONDO MONITORAGGIO (in milligrammi /metro cubo);

 vedi confronto con 3° monitoraggio nel grafico successivo.

REPARTO

PARAMETRO

RISULTATO

Mescola  (Punto prelievo 1)

Polveri totali

5,7

Mescola  (Punto prelievo 2)

Polveri totali

6,4

Mescola  (Punto prelievo 1)

IPA

n.r.

Mescola  (Punto prelievo 2)

IPA

n.r.

Mescola  (Punto prelievo 1)

Ftalati

5,9

Stampa   (Punto prelievo 1)

Polveri totali

3,4

Stampa   (Punto prelievo 2)

Polveri totali

2,5

Stampa   (Punto prelievo 3)

Polveri totali

3,9

Stampa   (Punto prelievo 1-2-3)

IPA

n.r.

Stampa   (Punto prelievo 1)

Ftalati

0,9

Stampa   (Punto prelievo 2)

Ftalati

0,3

Stampa   (Punto prelievo 3)

Ftalati

1,1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3° Monitoraggio2° Monitoraggio

 

 

Gli IPA sono stati sempre dosati a valori <0,5 µgrammi/m3; il TLV per gli IPA (sommatoria) è di 5 µgrammi/m3.

Il TLV per le polveri inalabili totali è di 10 mg/m3 (respirabili 3 mg/m3) e per gli ftalati è di 6,1 mg


I Dispositivi di Protezione Individuale (DPI)

 

 

Detto delle problematiche di origine chimica e rimandando al Documento di Fase per ciò che riguarda l’applicazione dei dispositivi di aspirazione a tutela collettiva, resta da trattare la questione dei DPI con particolare attenzione alle vie respiratorie. Questi DPI vanno utilizzati solo come integrazione degli altri sistemi di prevenzione a partire dalla eliminazione dei rischi alla fonte; infatti, come specifica l’art. 41 del D. L. vo 626/94, i DPI devono essere impiegati quando l’esposizione agli agenti di rischio non può essere evitata o convenientemente ridotta con misure tecniche preventive, mezzi di protezione collettiva, metodi organizzativi (valutazione del rischio residuo). Bisogna tener conto della classificazione di pericolo e delle proprietà pericolose delle sostanze utilizzate, delle caratteristiche degli impianti e del luogo di lavoro e delle modalità di esposizione. Come emerge dai dati ambientali tabulati in precedenza, le concentrazioni di polveri nei reparti possono rappresentare un rischio residuo; per questo è indicato l’utilizzo di respiratori antipolvere che sono anche idonei alla protezione da fibre, fumi e nebbie. Le norme europee di riferimento per i respiratori antipolvere sono la EN 149 per i facciali filtranti antipolvere e la EN 143 per i filtri antipolvere. Queste norme definiscono 3 diverse classi di protezione ad efficienza filtrante totale crescente:

 

Classe

Efficienza filtrante totale minima

FFP1/P1

78%

FFP2/P2

92%

FFP3/P3

98%

 

Nella scelta del respiratore idoneo la norma UNI 10720 (si veda anche il DM 2 maggio 2001) definisce un valore realistico del fattore di protezione associato a ciascun dispositivo denominato fattore di protezione operativo FPO. Ad esempio, per i facciali filtranti FFP1 il FPO è pari a 4: ciò significa che il dispositivo è in grado di ridurre di 4 volte la concentrazione esterna e quindi che l’utilizzatore può esporsi a concentrazioni fino a 4 volte il TLV. Nel comparto in esame le misurazioni ambientali consigliano in particolari situazioni l’utilizzo di filtri FFP1 o semimaschere + filtri P1. Tali indicazioni rappresentano il minimo livello di protezione che deve essere impiegato. 

In relazione al rischio da contatto con prodotti o parti di macchina ad alta temperatura è altresì necessario dotare i lavoratori di idonei guanti contro rischi termici (calore e/o fuoco) i cui requisiti sono indicati dalla norma EN 407.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PROBLEMATICHE INERENTI IL RISCHIO DI INCENDIO/ ESPLOSIONE PER LA PRESENZA DI POLVERI COMBUSTIBILI NEL CICLO DI LAVORAZIONE DELLA GOMMA

 

 

Questo capitolo prende in esame l’intero ciclo produttivo dei prodotti in gomma e metallo/gomma; si è ritenuto di considerare come inscindibile l’analisi del rischio nei vari reparti

 

 

Reparto confezione mescole di gomma

 

Le lavorazioni del reparto in oggetto sono imperniate nella preparazione di misture tra polimeri di gomma e additivi vari,  o più propriamente una mescola di gomma adatta ad essere polimerizzata o vulcanizzata.

 

Nel reparto vengono eseguite le seguenti operazioni:

 

1.       pesatura degli ingredienti e posizionamento degli stessi entro ceste di plastica;

2.       carico manuale delle ceste su nastro trasportatore;

3.       scarico manuale dei prodotti nel mescolatore chiuso e aggiunta additivi; il principale additivo, nero di carbonio o nerofumo, viene immesso pneumaticamente a mezzo di tubazione collegante i silos esterni.

4.       comando di inizio ciclo di mescolazione (ciclo automatico preimpostato);

5.       al termine del ciclo di prima mescolatura, scarico della mescola su mezzo di trasporto (benna) e introduzione della mescola nel secondo mescolatore aperto a cilindri contrapposti.

6.       distacco manuale della mescola dai cilindri e convogliamento del prodotto a mezzo di nastro trasportatore nel tunnel di raffreddamento, all’interno del quale avviene anche il taglio della gomma in lastre;

7.       carico delle lastre su appositi bancali;

8.       controllo qualità;

9.       deposito temporaneo nel magazzino mescole. Il locale deposito è condizionato alla temperatura costante di circa +4°C.

 

 

Reparto presse e stamperia    

 

 Le mescole di gomma provenienti dal reparto “confezione mescole” vengono trasportate nel reparto presse ove si ottengono articoli di gomma che sono i prodotti finiti del ciclo di lavorazione dell’azienda.

 

Nel reparto vengono eseguite le seguenti operazioni:

 

1.       Trasporto della mescola cruda in prossimità delle presse;

2.       inserimento della mescola cruda nello stampo ed eventuale posizionamento del pezzo metallico da legare con la mescola di gomma;

3.       chiusura stampo, inizio ciclo di vulcanizzazione della gomma alla temperatura di  +160/+180°C.

4.       apertura stampo ed estrazione manuale del pezzo caldo mediante estrattore;

5.       posizionamento del pezzo sotto cappa durante il raffreddamento;

6.       smaterozzamento manuale, conteggio, imballo e trasporto nel magazzini prodotti finiti. 

 

 

 

 

VALUTAZIONE DELLA PERICOLOSITA’ DELLE LAVORAZIONI AI FINI:

-         DELLA VERIFICA  DEL RISCHIO DI ESPLOSIONE DA POLVERI.

-         DELLA VERIFICA CIRCA L’IDONEITA’ DEGLI IMPIANTI ELETTRICI  INSTALLATI NELLE ZONE INTERESSATE DAL RISCHIO DI ESPLOSIONE.

 

 

Premessa

 

Le lavorazioni di cui trattasi sono incluse tra le attività soggette alle norme di prevenzione incendi, ai sensi delle seguenti  Leggi principali :

 

D.P.R. 547/55 “Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”.

 

DM 16.2. 1982 “ Modificazioni del D.M. 27.9. 1965, concernente la determinazione delle attività soggette alle visite di prevenzione incendi”.

 

D.Lgs. 626/94 “ Attuazione delle Direttive CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro “.

 

A seguito di quanto premesso è implicito che l’azienda in questione impiega prodotti e/o effettua lavorazioni che rappresentano un potenziale pericolo di incendio o esplosione.

 

Con il Certificato di Prevenzione Incendi in possesso delle ditte sono state ottemperate le Norme di prevenzione incendi per quanto concerne le attività in esercizio al momento del sopralluogo dei Vigili del Fuoco.

 

 

VERIFICA SULLA CLASSIFICAZIONE DEI LUOGHI DI PERICOLO

 

Premessa

 

Al momento della verifica non era ancora entrato in vigore il D.Lgs. 233/03, relativo al recepimento delle Direttive CEE in materia di protezione dei lavoratori esposti al  rischio di atmosfere esplosive (direttive ATEX).

In riferimento a ciò, le ditte in questione dovranno eseguire la valutazione del rischio esplosione ed eventualmente adeguare le proprie attrezzature  e i propri luoghi di lavoro secondo le  scadenze  previste dalla norma di legge citata; in particolare il datore di lavoro dovrà adempiere alle prescrizioni (minime) relative al rischio esplosione della propria attività esistente alla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo, entro il 30.6.06.

Di seguito verranno esposte le motivazioni per le quali sono state individuate zone 20 e 21 per la presenza di polveri combustibili; qualora l’esistenza di  tali zone fossero confermate dall’applicazione del D.Lgs. 233/03 il datore di lavoro dovrà denunciare all’ASL o all’ARPA territorialmente competenti, l’esistenza di tali zone di pericolo ai fini dell’omologazione degli impianti elettrici ivi installati.

 

 

Dai sopralluoghi sono comunque emerse alcune fonti di pericolo che, se mantenute in essere a causa di cattiva manutenzione degli impianti ovvero di mantenimento di bassi livelli di pulizia di apparecchiature e impianti interessati da strati di polvere depositata durante le fasi di lavorazione, non escludono rischi di incendi o, peggio,  di esplosioni.

 

Il nerofumo costituisce il prodotto più evidente presente nell’ambiente ; non sono da escludersi presenze di altre polveri combustibili quali zolfo,  ossidi metallici, resine acceleranti,  anche se in quantità assai limitate.

In generale si considera la presenza di polveri conduttrici e di polveri non conduttrici, anche se la presenza preponderante di nerofumo accentua le problematiche inerenti le polveri conduttrici di elettricità.

 

 

Zone con la presenza di polveri combustibili

 

 

 

Nel reparto di preparazione delle mescole di gomma  sono presenti alcune sorgenti di emissione le quali possono dare origine a zone per atmosfere esplosive,  In particolare :

 

1.        all’interno del mescolatore chiuso è presente una Zona 20, nella quale un’atmosfera esplosiva sotto forma di una nube di polvere combustibile nell’aria è presente in modo continuativo durante il funzionamento; la stessa zona è presente all’interno della tubazione che immette il nerofumo nel mescolatore e nei silos esterni contenenti il prodotto.

 

 

2.        L’intorno della bocca di carico aperta del mescolatore costituisce Zona 21, nella quale un’atmosfera esplosiva può essere presente a causa di una sporadica nube di polvere combustibile. Dato il particolare luogo di lavoro, costituito da soppalco metallico sul quale è presente anche la consolle di comando e il relativo quadro elettrico di potenza, viene considerata l’estensione della zona oltre il metro all’intorno della bocca di carico e risulta estesa in tal modo a tutto il soppalco di circa 20 metri quadrati (tale luogo è stato trovato in cattive condizioni di pulizia data la presenza di strati di nerofumo e con l’impiantistica elettrica inidonea, come specificato di seguito).

 

 

3.        La zona di pesatura degli ingredienti può costituire Zona 22 in considerazione delle piccole quantità di prodotto pesato (pesatura manuale dei prodotti sotto forma di polveri, recuperati dal magazzino rotante, mediante una sassola di materiale plastico),  in considerazione dell’impianto di aspirazione e allontanamento delle polveri installato nei pressi della bilancia. Si ricorda che la zona 22 caratterizza un luogo in cui un’atmosfera esplosiva sotto forma di una nube di polvere combustibile nell’aria non ha probabilità di essere presente durante il funzionamento normale ma che, se ciò si verifica, persiste solamente per un breve periodo di tempo.

 

 

4.        il magazzino rotante, posizionato nelle vicinanze dell’operatore che preleva gli ingredienti, è costituito da una serie di  cassettiere sovrapposte e affiancate  aventi la possibilità di ruotare orizzontalmente intorno ad un perno centrale; il castello di cassettiere,  installato all’interno di un involucro di lamiera metallica dotato di bocca di accesso, è messo in movimento rotatorio a comando dell’operatore. In base al materiale da prelevare, l’operaio aziona il posizionamento della cassetta voluta  nella zona di prelevamento del prodotto (bocca di carico).    L’interno del magazzino, contenente circa 320 chilogrammi di sostanze     combustibili sotto  forma di polvere e scaglie ( ossidi metallici, zolfo, resine acceleranti, vulcanizzanti, ecc.)   può  costituire Zona 21.

 

 

 

 

 

FONTI DI INNESCO

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      

Le principali fonti di innesco delle polveri combustibili potenzialmente presenti nei reparti, sono di origine elettrostatica,   di origine elettrica( formazione di archi o scintille su parti elettriche, temperature superficiali di autoinnesco su involucri elettrici) e di origine meccanica ( scintille o surriscaldamenti per attrito).

 

 

STATO DELLE POLVERI

 

La presenza di strati di polvere di nerofumo è rilevabile sul soppalco ove avviene l’introduzione degli ingredienti nel mescolatore chiuso. I depositi di polvere, inferiori ai 5 millimetri, sono presenti su tutti gli impianti adiacenti la bocca di carico, con spessori decrescenti rispetto alla distanza dalla bocca.

Non sono state rilevate, da un esame a vista, altri tipi di polvere sulle altre postazioni verificate; in particolare la zona di pesatura degli ingredienti è provvista di impianto di aspirazione delle polveri, ai fini della protezione della salute dell’operatore.

Infine si sottolinea che la maggior parte degli ingredienti presenti nel magazzino rotante sono costituiti da polveri oleate, allo scopo di limitarne la diffusione nell’ambiente.

 

Un elemento di pericolosità notato nei pressi delle postazioni di lavoro con  polveri combustibili, è costituito dalla presenza di pistole soffianti di aria compressa, usate dagli operai per la pulizia personale (soffiaggio degli indumenti a fine turno o al bisogno).

Si ritiene che il soffiaggio con aria compressa non possa escludere il sollevamento di polveri eventualmente presenti nella zona interessata dal getto d’aria (sacchi aperti, soffiaggio eseguito nei pressi del magazzino rotante e nei pressi della bocca di carico del mescolatore chiuso, induzione di falsa convinzione negli operai che l’aria compressa possa costituire un mezzo idoneo per l’eliminazione degli stati di polvere accumulata sugli impianti, ecc.)

Si è ritenuto pertanto necessario obbligare il datore di lavoro alla eliminazione dei punti di soffiaggio e alla esecuzione delle pulizie del nerofumo esclusivamente mediante l’uso di idonei impianti aspiranti. 

 

TEMPERATURE DI ESERCIZIO DEGLI IMPIANTI

 

Le superfici degli impianti con presenza di polveri combustibili nel loro funzionamento ordinario sono naturalmente mantenute a temperatura ambiente, ad esclusione delle superfici del mescolatore chiuso e  degli impianti limitrofi, i quali raggiungono a causa degli attriti meccanici delle sostanze in lavorazione le temperature di +140°C.

Temperatura questa nettamente inferiore alla temperatura di autoinnesco della polvere di nerofumo ( 535 – 690°C).

 

 

STATO DEGLI IMPIANTI ELETTRICI  NEI LUOGHI CON PERICOLO DI ESPLOSIONE PER LA PRESENZA DI POLVERI COMBUSTIBILI.

 

 

Come sopra esplicitato, le zone 20, 21, 22 sono state individuate nei seguenti luoghi:

 

-         silos esterni per il deposito di nerofumo e relativo impianto di trasporto pneumatico al mescolatore chiuso.

-         Zona di pesatura degli ingredienti.

-         Soppalco in zona di alimentazione del miscelatore chiuso.

 

Foto 1: alimentazione miscelatore chiuso (banbury)

 

Negli altri reparti degli stabilimenti, a partire dallo scarico della mescola dal mescolatore chiuso al mescolatore aperto a cilindri sovrapposti, non sono presenti polveri combustibili.

Anche il magazzino delle materie prime, nel quale sono depositate sostanze combustibili allo stato di polvere, si è ritenuto non facente parte delle zone sopra citate in considerazione dello stato delle sostanze ( polveri oleate a bassa emissione), al deposito delle stesse sostanze in contenitori chiusi e in relazione delle modalità di prelievo dei prodotti necessari al  reintegro di quelli già depositati nelle cassettiere del magazzino rotante.

 

Dai sopralluoghi è emerso che all’interno delle zone 20 non erano installati impianti elettrici.

Diversamente, le installazioni elettriche erano presenti nelle zone 21 e 22.

Tali installazioni sono per la maggior parte realizzate a Sicurezza Funzionale a Tenuta (AD-FT); le custodie degli apparecchi, compresi quelli che possono emettere archi o scintille, raramente nelle zone 21 hanno un grado di protezione IP 6X, come previsto dalla norma di riferimento. La maggior parte sono IP 4X; gli stessi impianti difficilmente evitano l’accumulo di polvere all’interno delle custodie,  sia per errori di installazione (mancanza di ingressi alle custodie con sistemi cavo – pressacavo) sia per evidenti effetti di mancate manutenzioni programmate, le cui assenze hanno messo in luce deterioramenti delle custodie e  delle guaine flessibili.

 

Il quadro di comando del mescolatore chiuso non appare idoneo ad escludere l’ingresso di polvere di nerofumo.

 

Gli elaboratori elettronici presenti in Zona 22 ( pesatura degli ingredienti) e in zona 21 (soppalco miscelatore chiuso) e le relative prese a spina hanno gli involucri del tutto inidonei alla rispettiva zona di pericolo a causa del loro scarso grado di protezione contro l’ingresso di polvere.

 

Il datore di lavoro, che ha in essere la ristrutturazione del reparto, è cosciente della necessità di un intervento urgente sull’impiantistica elettrica e sulla necessità di prevedere un locale mantenuto costantemente in leggera sovrappressione  nel quale installare i quadri di comando e controllo del mescolatore chiuso e gli eventuali elaboratori di servizio.

 

 

 

 

PROVVEDIMENTI PER EVITARE L’ACCUMULO DI ENERGIA ELETTROSTATICA

 

L’energia elettrostatica è molto importante ai fini dell’innesco di una miscela esplosiva polvere – aria.

Se un corpo elettrizzato elettrostaticamente e isolato da terra,  si trova circondato da conduttori messi a terra, si crea tra questi e la terra una differenza di potenziale; se il livello di D.D.P. è sufficientemente alto da determinare il cedimento dell’isolamento del dielettrico (aria),   può verificarsi  una scarica elettrica tra i due corpi.

La stessa energia elettrostatica messa in gioco tra il corpo umano  elettrostaticamente caricato ( ad es. per sfregamento su materiali isolanti, per contatto con materiali carichi, per contatto con materiali aventi temperatura diversa, ecc.)  e la parte di una struttura, ad esempio un impianto produttivo,  può raggiungere valori dell’ordine di 135 mJ : quindi un uomo elettrostaticamente carico che si avvicina  ad una nube innescabile polvere-aria può fornire in abbondanza la quantità di energia necessaria per l’innesco della miscela stessa ( si ricorda che l’energia di accensione di una nube di polvere  zolfo – aria è di 15 mJ, ed è di 20 mJ  quella per l’accensione di una nube di polvere  legno – aria).

 

Risulta pertanto indispensabile realizzare l’equipotenzialità di tutti gli impianti coinvolti nelle lavorazioni con polveri combustibili; la verifica sulla continuità elettrica deve essere eseguita ad impianti fermi mediante prove strumentali; nel caso di specie è stata acquisito verbale di verifica periodica degli impianti di messa a terra e di protezione contro le scariche atmosferiche, redatto ai sensi degli art. 40 e 328 del DPR 547/55, considerato che nell’ambito di tale verifica è stata anche accertata la continuità elettrica tra i dispersori di terra e le masse metalliche costituenti gli impianti e le strutture ad essi funzionali.

 

Ulteriore provvedimento necessario allo scopo, risulta essere la verifica delle certificazioni di antistaticità delle eventuali cinghie di trasmissione del moto facenti parte di impianti installati in luoghi con pericolo di esplosione e di eventuali materiali plastici isolanti, costituenti contenitori o  tubazioni all’interno dei quali si ha scorrimento di polveri; obbligo previsto per altro già dal lontano 1955 dall’art. 335 del DPR 547.

 

Per ultimo è stato prescritto al datore di lavoro la fornitura di scarpe antinfortunistiche con suola antistatica a tutte le maestranze operanti nei luoghi classificati Zone 20, 21, 22.  

 

 

  PROVVEDIMENTI PER EVITARE L’ACCUMULO DI POLVERE  NEI LUOGHI DI LAVORO

 

Usando la definizione della Norma CEI EN 50281-3 possiamo affermare che il livello di mantenimento della pulizia nel punto più delicato del reparto (soppalco miscelatore chiuso) può essere definito SCARSO, cioè : “ gli strati di polvere non sono trascurabili e perdurano per oltre un turno. Il rischio di incendio può essere significativo……”.

 

L’azienda, pertanto, ha ricevuto prescrizione di aumentare il livello di pulizia a BUONO  : “ gli strati di polvere sono mantenuti a spessori trascurabili, oppure sono assenti, indipendentemente dal grado di emissione ……..”.

 

 

 

RIFERIMENTI LEGISLATIVI

 

-         DPR 547/55

-         D.Lgs 626/94

-         D.L. 233/03

-         Norma CEI EN 50281-1-2

-         Norma CEI EN  50281-3

-         Norma CEI EN 60079-10

-         Atti del Seminario “Impianti Elettrici nei luoghi di Classe 2” – Politecnico di Torino - 1986”.

 

 


 

DOCUMENTO DI FASE

 

DOSATURA/MESCOLATURA/CALANDRATURA

 

Questa fase rappresenta il momento più critico per il raggiungimento del prodotto finale, in quanto la composizione e le caratteristiche della gomma dipendono in gran parte dalla corretta calibrazione della “ricetta” base e dall’equilibrio tra temperatura, tempo di permanenza nel “banbury” e dosi degli elementi che la compongono. Per questi motivi, il personale addetto è particolarmente addestrato ed esperto nella conduzione dell’impianto. Nelle due aziende che sono dotate del reparto mescola i momenti successivi della fase sono sovrapponibili.

Si possono distinguere:

1)      ricevimento e stoccaggio materiale (gomma naturale o SBR e additivi)

2)      preparazione della ricetta

3)      invio dei componenti-base al mescolatore chiuso (banbury)

4)      caricamento del mescolatore chiuso

5)      uscita della balla di gomma e invio al mescolatore aperto (calandra)

6)      formatura della balla nel mescolatore aperto

7)      raffreddamento su nastro trasportatore

 

Descrizione

 

1)      Lo stoccaggio avviene nello stesso reparto tramite carrelli elevatori (muletti) elettrici; i pani di gomma naturale e SBR vengono allineati in adiacenza della zona di invio al mescolatore aperto; si deve rilevare che il nerofumo (carbon black) viene automaticamente inviato nel mescolatore chiuso da un silos di stoccaggio posto all’esterno del reparto; questo sistema è stato adottato in entrambe le aziende;

 

2)     I componenti della ricetta vengono pesati da un operatore su bilancia elettronica dotata di aspiratore; alcuni prodotti giungono predosati evitando così l’esposizione diretta del lavoratore (Metalgomma); nella ditta Mantova Gomma è stato adottato un sistema di pesatura automatica che esclude la presenza dell’operatore;

 

3)     Tutti i componenti della ricetta sono successivamente inviati tramite nastro trasportatore alla postazione dell’operatore addetto al caricamento del banbury;

 

4)     L’impianto di miscelazione è costituito da una piattaforma alta circa 2, 50 metri e di superficie di circa 5 mq, a cui si accede con una rampa di scale, dove si trova il pannello comandi del miscelatore e la bocca di carico dello stesso;

 

5)     L’operatore incaricato getta nella bocca del mescolatore tutti i componenti, partendo dalla gomma naturale o SBR; il caricamento del nerofumo avviene, come già detto, in automatico; la bocca del banbury è dotata di aspiratore e di sportello a chiusura ermetica che viene comandato dall’operatore dopo il caricamento; la durata completa dell’operazione  è di circa 6 minuti;

 

6)     La balla di gomma esce dal banbury ad una temperatura di  circa 130° C e cade dentro una tramoggia montata su guida automatica che ne permette il trasferimento e il successivo svuotamento nel mescolatore aperto; questo momento della fase non è presidiato;

 

7)      Un operatore esperto deve ora omogeneizzare la massa di gomma tra i due cilindri della calandra (o mescolatore aperto); a questo scopo taglia periodicamente il foglio di gomma e lo rimette in lavorazione; il tutto si svolge in circa 20-30 minuti;

 

8)      Terminata la precedente operazione il foglio di gomma viene inviato ad un nastro trasportatore dove ha il tempo di raffreddarsi quasi completamente; infine, i fogli di gomma vengono impilati e trasferiti ad una cella frigo dove vengono conservati in attesa del trasferimento al reparto di vulcanizzazione. Si precisa che in adiacenza al reparto mescola si trova il laboratorio per la verifica di qualità del prodotto, usando campioni prelevati dalla produzione.

 

Attrezzature, macchine, impianti

 

La piattaforma è collegata alla zona di stoccaggio dei materiali da un nastro trasportatore; su di esso i vari componenti della ricetta vengono trasferiti alla zona di caricamento del banbury.

 

Panoramica del reparto mescola

 

Alimentazione miscelatore chiuso (banbury)

 

 

 

I mescolatori chiusi delle aziende esaminate sono macchine di età >15 anni; le loro caratteristiche sono ben conosciute: si tratta di due rotori di sagoma speciale rotanti a diversa velocità in senso inverso all’interno di una robusta cassa; vi è inoltre una tramoggia di carico munita di portello a chiusura pneumatica, un pistone pressatore e una slitta che chiude e apre l’apertura di scarico. Al servizio del banbury sono poi i silos per il dosaggio ed il carico automatico del nerofumo e degli oli e un nastro trasportatore per l’alimentazione degli elastomeri e degli ingredienti. Tutto il sistema è dotato di programmazione automatica del ciclo che provvede alla chiusura automatica del portello, agli azionamenti del pressatore, al carico del nerofumo e degli oli.

 

Fattori di rischio

 

Si rimanda all’ampia trattazione sul rischio chimico per gli aspetti specifici di questo reparto; per quanto riguarda il microclima non è stato possibile effettuare misure puntuali dei parametri principali di confort termico; la lavorazione, tuttavia, ha caratteristiche tali da creare un ambiente percepito come caldo o molto caldo. Non vi sono, peraltro, mansioni che comportino sforzi fisici rilevanti; infatti, la fase è presidiata da quattro - cinque operatori per turno con i seguenti compiti:

1)      addetto allo stoccaggio (uso di muletto elettrico)

2)      addetto pesatura componenti ricetta (postazione eretta con brevi spostamenti per il prelievo del materiale, in alcuni casi già dosato) e invio al nastro trasportatore per il banbury (questa postazione può essere sostituita da sistema automatico)

3)      addetto banbury (postazione eretta fissa): mansione di controllo

4)      addetto mescolatore aperto (calandra): è la mansione più gravosa per la necessità di rivoltare spesso il foglio di gomma tra i cilindri; tra un carico e l’altro vi è un tempo di recupero di circa 5 minuti; c’è rischio di tagli per l’uso di coltello

5)      addetto all’impilamento dei fogli di gomma; il successivo trasferimento avviene con muletto.

E’ presente un rischio rumore compreso tra gli 81 e gli 85 dB A .

Altri fattori di rischio di natura infortunistica sono rappresentati dalla possibilità di scivolamenti e dall’uso di coltello da parte dell’operatore alla calandra. Da segnalare la frequente necessità di ricorrere alla pulizia delle superfici finestrate per migliorare l’ illuminazione naturale; la superficie aero-illuminante del reparto deve rispettare un rapporto minimo di 1/10 sul totale dell’area.

 

Interventi

 

Sono stati introdotti alcuni accorgimenti tecnici mirati alla riduzione dei rischi sopra descritti:

1)      impianto automatico per la dosatura delle polveri;

2)      gli idrocarburi aromatici in forma oleosa vengono addizionati agli altri componenti nel banbury tramite un impianto a circuito chiuso automatizzato, senza intervento diretto degli addetti, mediante pompaggio da un serbatoio esterno che viene riempito direttamente dal fornitore; inoltre, sono stati sostituiti gli oli aromatici precedentemente impiegati (citati nel doc. di comparto) con nuovi prodotti costituiti da miscele di estratti aromatici e oli base leggeri; si tratta di IPA con numero di atomi di carbonio >30. I nuovi preparati non sono etichettabili ai sensi della Direttiva CEE 88/379 e successive modifiche;

3)      al fine di ridurre la movimentazione dei carichi è stata adottata una macchina a ventose per la movimentazione dei pani di gomma naturale e sintetica;

4)      impianto di captazione dei fumi nel passaggio della balla di gomma dal mescolatore chiuso a quello aperto (calandra); i vapori catturati vengono filtrati prima dell’emissione in atmosfera da filtri in tessuto sintetico.

 

 

 

DOCUMENTO DI FASE

 

VULCANIZZAZIONE

 

Descrizione

 

La vulcanizzazione è una reazione chimica peculiare dell’industria della gomma. Durante questo processo gli elastomeri presenti nella mescola passano da uno stato fisico plastico ad uno stato prevalentemente elastico. Ciò è dovuto alla formazione di una serie di legami trasversali tra le varie catene polimeriche, con la formazione di strutture molecolari complesse di tipo tridimensionale; i legami in questione sono irreversibili. Il più comune agente vulcanizzante è lo zolfo; possono essere utilizzati allo stesso modo donatori di zolfo quali la ditiomorfolina ed i tiourami disolfuri. La vulcanizzazione è favorita dal calore; il prodotto finito vulcanizzato acquista una serie di proprietà, oltre all’elasticità, in funzione degli ingredienti utilizzati nella composizione della mescola. Le dimensioni, lo spessore, la sagomatura dei manufatti  vengono affidate a presse a caldo i cui stampi sono riscaldati con vapore o con resistenze (circa 180°C); il tempo di vulcanizzazione varia in funzione della massa dei pezzi in lavorazione ed oscilla tra i 10 e i 100 minuti .

Le presse utilizzate, tutte a movimento oleodinamico, sono di due tipologie:  a compressione o ad iniezione.

Tanto le une quanto le altre possono essere ad asse orizzontale oppure verticale.

Di  queste ultime sono utilizzate sia  macchine a piatto inferiore mobile e superiore fisso, sia macchine con funzionamento inverso.

In rapporto alla dimensione dei pezzi da formare, o del loro numero per ciclo di lavorazione, variano le dimensioni degli stampi e controstampi e della pressione di serraggio degli stessi (da 10 – 20 t per le presse  di dimensioni minori, a oltre 1.000 t per quelle più grandi).

La pressione d’iniezione della mescola nelle presse che usano tale sistema varia in rapporto alle dimensioni dello stampo, della forma dei manufatti e del tipo di mescola.

Il carico della mescola negli stampi, ad esclusione delle presse ad iniezione, avviene manualmente.

Il distacco dei pezzi formati dagli  stampi e lo scarico degli stessi può avvenire manualmente, con l’ausilio di attrezzi, oppure  automaticamente come movimento conclusivo (oleodinamico, pneumatico o meccanico) del ciclo di lavorazione.

Gli stampi delle macchine possono essere estraibili dalla loro sede per l’effettuazione del carico, ad inizio ciclo, della materia prima e lo scarico, a fine ciclo, del pezzo formato.

Le fasi del ciclo di una pressa verticale con piano inferiore mobile e stampo estraibile, in via esemplificativa, sono di seguito descritte:

1)      Apertura pressa per carico: a pressa aperta e piano di carico (slitta) in posizione esterna l’addetto alla pressa provvede a posizionare nello stampo il quantitativo di gomma definito nella scheda di lavorazione e precedentemente riscaldato;

2)      Rientro tavolo porta stampo: dal quadro comandi si pilota il rientro della slitta porta stampo ed il suo posizionamento sotto il piano pressa centrale per la fase di stampaggio;

3)      Salita pressa: l’avvio della fase di stampaggio è comandata dall’operatore mediante i selettori posti sul quadro comandi; una volta attivato, il cilindro sospinge lo stampo posto sul piano pressa verso la piastra superiore;

4)      Chiusura a gradiente di pressione: la compressione tra il piano pressa inferiore (mobile) e il piano pressa superiore (fisso) è graduato e la pressione prestabilita in relazione al tipo di stampaggio da effettuare.

5)      Vulcanizzazione: nella fattispecie della lavorazione in esame, i pezzi di gomma devono aderire perfettamente alla parte metallica; tale processo avviene mediante il riscaldamento del piano pressa con vapore tra i 140°C ed i 180°C  e per un tempo definito nella scheda di lavorazione.

6)      Apertura pressa per scarico: al termine del tempo impostato, la pressa emette un segnale acustico ed attiva una segnalazione luminosa che indica la fine del ciclo di lavoro. Automaticamente inizia la lenta discesa del piano porta stampo fino al ritorno nella posizione di inizio ciclo; dopo tale momento, l’addetto comanda con il selettore la fuoriuscita della slitta e scarica il pezzo stampato.

 

Il  riscaldamento della mescola causa la liberazione dei prodotti di degradazione della gomma nel momento in cui gli stampi delle presse, al termine del ciclo di vulcanizzazione,  si aprono diffondendo fumi e vapori dall’odore caratteristico.

I fumi fuoriescono dagli stampi alla temperatura media di 40° C, con tendenza al ristagno nell’ambiente di lavoro, soprattutto nella stagione più calda.

Un’altra fonte di diffusione di fumi nell’ambiente di lavoro può essere costituita dai pezzi lavorati che restano a raffreddare nei cestoni di raccolta collocati in prossimità delle macchine.

La realizzazione di accoppiamenti gomma metallo, per la produzione di giunti elastici, antivibranti, ecc, avviene durante la fase di vulcanizzazione e pressatura della gomma. In questo caso gli stampi delle presse sono opportunamente conformati, in modo da accogliere i supporti metallici, detti “anime” , prima dell’inizio del ciclo.

 

Attrezzature, macchine, impianti

 

Le aziende in esame disponevano complessivamente di 45 presse, di cui solo 9 con marcatura CE; inoltre, ben 35 avevano più di 5 anni di vita ed alcune risalivano ai primi anni ’60.

 

Vecchia pressa a compressione

 

Stampo della pressa

 

 

Fattori di rischio

 

Rischio da schiacciamento

 

La necessità di introdurre le mani nelle zone pericolose delle presse, durante il carico della materia prima e lo scarico dei pezzi lavorati, induce il rischio di schiacciamento.

Ciò può essere in relazione diretta con il funzionamento della macchina, per carenza dei ripari collocati a protezione della zona pericolosa, oppure per difformità o anomalia dei comandi e/o dei dispositivi di sicurezza; in particolare sulle presse entrate in esercizio da più tempo, sulle quali non era prevista in origine la segregazione completa della zona pericolosa, oppure, sullo stesso tipo di macchina, anche dopo interventi di modifica non adeguati, più o meno recenti. Interventi approssimativi, quali la collocazione di schermi fissi contornanti la zona pericolosa, in taluni casi, se può aver escluso il rischio di schiacciamento tra gli stampi, potrebbe aver introdotto rischi di cesoiamento tra alcune parti mobili delle macchine e gli stessi schermi.

Nelle presse verticali a piano inferiore mobile può concretizzarsi  il rischio di infortunio per caduta del pezzo lavorato rimasto “incollato” al controstampo superiore fisso durante l’apertura.

Può, infatti, verificarsi che la piastra fissa superiore della pressa e la piastra metallica porta stampo aderiscano fortemente, al punto da non separarsi al momento dell’ abbassamento del piano mobile base porta stampo. Ciò può accadere, ad esempio, qualora la gomma ed i reagenti/additivi fuoriusciti dallo stampo durante la vulcanizzazione diano luogo, solidificandosi,  alla caratteristica “bava”: la gomma può fungere così da collante tra le due piatre; lo stesso può verificarsi a seguito di modifiche di residui di gomma di precedenti stampaggi; ancora, non si può escludere l’effetto “vuoto” legato alla presenza di sottili veli d’olio tra pressa e stampo. In sostanza, lo stampo con tutto il suo contenuto può rimanere adeso alla piastra fissa superiore della pressa e distaccarsi improvvisamente colpendo l’operatore che tentasse di intervenire manualmente per la sua rimozione.

 

Inserimento dei fogli di gomma negli stampi (nella foto un esempio di stampo multiplo)

Pressa aperta senza stampo

 

 

 

 

Pressa con stampo in uscita

 

 

 

 

Interventi

 

Il rischio descritto si è, di fatto, concretizzato in due gravi infortuni che hanno portato alla prescrizione ed adozione di importanti provvedimenti in ordine alla sicurezza delle presse. Sono perciò state realizzate le seguenti misure:

1)      montaggio sul piano porta stampo di ogni pressa di due staffe di acciaio in grado di garantire, in fase di apertura, la tenuta di tutti i tipi di stampo utilizzati;

2)      posizionamento del comando di apertura e chiusura di ciascuna pressa su pulpito installato ad una distanza di 1,5 m dalla pressa stessa e dotato di dispositivo a due mani con obbligo di simultaneità di azionamento conforme alla norma UNI-EN 574;

3)      colorazione con tinta accesa (arancione ad es.) dei bordi visibili del piano mobile della pressa per distinguerli dai bordi dello stampo e consentire la verifica visiva del corretto posizionamento di quest’ultimo rispetto al piano mobile;

4)      posizionamento di recinzione con pannelli in rete metallica di altezza pari a 2,15 m che impediscono l’accesso ai lati ed alla parte posteriore delle presse; l’ingresso alla zona è consentito tramite porte dotate di microinterruttori che, in caso di apertura, bloccano tutte le funzioni della pressa;

5)      installazione di un sistema di scandaglio laser che copre tutta l’area frontale delle presse a partire da un’altezza da terra di 15 cm e che, rilevando la presenza di persona o oggetto nell’area sotto controllo, blocca il consenso all’apertura o chiusura delle presse.  

Il comando che impegna entrambe le mani, con fattore di contemporaneità, può essere ritenuto sufficiente solo nel caso che la zona di chiusura stampi sia resa assolutamente inaccessibile e sicura nei confronti di  terzi fin dall’inizio del movimento di avvicinamento dei piani di pressatura.

Le presse verticali con piano mobile superiore durante la fase di apertura dei piatti devono essere dotate di fermo assoluto, preferibilmente meccanico, che impedisca la discesa del piano superiore, per qualsiasi anomalia possa verificarsi, oltre che di valvole di sicurezza sul circuito idraulico che impediscano lo svuotamento repentino dello stesso e conseguente discesa per gravità del piatto superiore, talvolta di notevoli dimensioni e peso.

 

 

 

Rischio da taglio

 

Tale rischio non è direttamente connesso con la fase di vulcanizzazione, tuttavia si concretizza nella maggior parte dei casi nello stesso reparto in cui avviene l’operazione principale della lavorazione della gomma, quando l’uso di taglierini e coltelli molto affilati vengono usati per il taglio di strisce di gomma da immettere negli stampi, ovvero al termine della vulcanizzazione, per la sbavatura manuale delle porzioni di gomma debordanti la sagoma degli articoli prodotti.

 

 

Interventi

 

Allo scopo di limitare al minimo indispensabile l’uso dei “cutters” per la preparazione delle strisce di gomma di caricamento degli stampi, in un’azienda, ove il numero di infortuni da taglio era stato in passato elevato, è stata introdotta una cesoia adeguatamente protetta, mentre la sbavatura di certi articoli può avvenire in buratti con immissione di azoto liquido, il cui effetto di raffreddamento sulla gomma porta la stessa alla temperatura di vetrificazione e infragilimento delle bave, da permetterne la rimozione a seguito dello sbattimento dei pezzi gli uni contro gli altri.

 

 

 

Rischio di ustioni

    

Il carico manuale della quantità di mescola da lavorare, lo scarico dei pezzi lavorati, in particolare quelli accoppiati con parti metalliche e la manipolazione dei pezzi ancora caldi per la sbavatura manuale, sono operazioni che possono comportare rischio di scottature dell’epidermide, soprattutto  degli arti superiori.

 

Interventi

 

E’ evidente che gli interventi preventivi per prevenire questo rischio si basano sulla limitazione della necessità di contatto manuale, l’utilizzo di attrezzi  adeguati per lo scarico dei pezzi lavorati, eventualmente conformati in modo specifico in relazione all’articolo, l’uso di DPI (guanti e grembiuli).

  

    

Microclima

 

Anche in questo reparto l’ambiente è percepito come caldo o molto caldo. Un’accurata misura delle condizioni microclimatiche in ambiente lavorativo non potrebbe prescindere dal calcolo di numerosi parametri di fisiologia dei soggetti esposti, quali il metabolismo basale, la sudorazione e, quindi, il bilancio termico globale nonché dalla valutazione di dati altrimenti obiettivabili come l’abbigliamento (Clo) ed il consumo calorico in funzione del lavoro svolto (Met). Gli uni e gli altri sono valori solo “stimabili”, talora con approssimazione quanto mai larga. A ciò si aggiunge il fatto che la sensazione di “benessere termico” è meramente soggettiva e variabile in breve tempo. Gli igienisti industriali, vista l’impossibilità di prevedere la risposta dell’uomo all’ambiente termico come funzione di un singolo parametro dell’ambiente stesso, hanno cercato di elaborare dall’insieme dei parametri fisici e fisiologici misurabili vari indici termici, i più rappresentativi dei quali sono:

1)      Heat Stress Index (HSI)

2)      Predicted Four Hours Sweat Rate (P4SR)

3)      Temperatura Effettiva Corretta (TEC)

4)      Wet Bulb Globe Temperature (WBGT)

Tralasciando gli aspetti matematici e le considerazioni sui limiti e i difetti di questi indici, vediamone i valori-limite consigliati:

1)      HSI = fino a 70 (>70 valori pericolosi in soggetti affetti da cardiovasculopatie o  pneumopatie; in soggetti sani è probabile un decremento dell’attività lavorativa);

2)      P4SR= 3 litri di sudore come limite superiore tollerabile di sudorazione per esposizione giornaliera;

 

 

3)      TEC=                     soggetti non acclimatati                            soggetti acclimatati

 


                   Lavoro

                   Leggero                  30°C                                                       32°C

 


                   Lavoro

                   Medio                    28°C                                                       30°C

 


                   Lavoro

                   Pesante                  26,5°C                                                    28,5°C

 

 


4)      WBGT= per tipo di lavoro continuo leggero   (200 Kcal/h)     - 30,6°C

                                                          medio (<350 Kcal/h)     - 26,7°C

                                                       pesante  (<500 Kcal/h)     - 25°C

 

Nessuno di questi indici è rappresentativo del benessere termico; nella valutazione del carico termico e della sua tollerabilità i diversi indici dovrebbero essere confrontati con le risposte soggettive, dando sempre maggior importanza a queste ultime piuttosto che ai dati fisici.

Gli interventi di natura strutturale (buona aerazione naturale) e tecnologica (aspirazioni localizzate) negli stabilimenti oggetto dello studio determinano condizioni microclimatiche non pregiudizievoli per la salute dei lavoratori.

 

 

 

 

Rischio chimico – vedi doc. di comparto

 

Interventi

 

Gli interventi per migliorare la captazione dei fumi della vulcanizzazione consistono essenzialmente nella predisposizione di aspirazioni localizzate sulle presse.

Le variabili di progetto di tali aspirazioni sono la geometria dell’ingresso di aria, la sua posizione rispetto alla sorgente e la portata di aria aspirata; la velocità di cattura è necessaria per prelevare l’inquinante forzandolo ad entrare nella cappa, contrastando eventuali movimenti d’aria esterna che aumenterebbero inutilmente la portata e disturberebbero la cattura dell’inquinante.

Si riportano in tabella i valori di velocità di cattura consigliati in funzione della generazione dell’inquinante e della sua tipologia:

 

Generazione dell’inquinante

Esempi

Velocità di cattura (m/s)

1) L’i. entra, a velocità trascurabile, in aria calma

Sgrassaggio, evaporazione

0,25 – 0,5

2) L’i. entra, a bassa velocità, in aria in leggero movimento

Saldatura, riempimento

0,5 – 1

3) L’i., generato energicamente, entra in aria in rapido movimento

Verniciatura a spruzzo

1 – 2,5

4) L’i. entra, ad alta velocità, in aria in rapido movimento

Smerigliatura, mola abrasiva

2,5 - 10

 

 

Valori inferiori di velocità di cattura

Valori superiori di velocità di cattura

Movimenti di aria ambiente minimi o agevolanti la cattura

Movimenti di aria ambiente avversi la cattura

Inquinanti di bassa tossicità

Inquinanti di elevata tossicità

Uso intermittente o basse velocità di produzione

Uso continuo o velocità di produzione elevate

Cappe larghe o grandi masse di aria mosse

Cappe piccole o piccole quantità di aria mosse

 

 

 

 

 

Le presse in questione sono di tipo oleodinamico per lo sviluppo della forza di spinta, mentre per lo sviluppo dell’energia termica utilizzano vapore alla pressione di 12 Bar.

Lo sviluppo dei vapori di degradazione termica della gomma vulcanizzata dagli stampi delle presse avviene durante la rimozione del prodotto semilavorato dalle sedi degli stampi stessi.

I fumi fuoriescono dagli stampi alla temperatura media di 40°C. Nel periodo invernale l’effetto camino determinato dalla presenza di aperture a soffitto (tipo smoke-out) facilita l’evacuazione dei fumi, mentre in primavera ed estate la stagnazione è evidente. L’impianto di captazione adottato consiste principalmente in una dorsale di canalizzazioni in lamiera di acciaio zincato collocata a soffitto. Sulla dorsale sono installate delle condotte di ripresa aria aspiranti dalle cappe situate sopra ogni pressa, cioè alla fonte inquinante. Le condotte sono dotate di serranda manuale per l’equilibratura dell’aria in estrazione e per la chiusura della cappa ove la pressa sia ferma per manutenzione onde evitare fenomeni di by-pass indesiderati dalle altre presse in funzione.

All’estremo della dorsale di estrazione è stato collegato un elettroventilatore di tipo centrifugo a basso regime di giri (850/min) di rotazione per ridurre l’emissione sonora (81 dB A a 1,5 metri); la velocità di cattura dell’aspiratore su ogni singola pressa è di circa 0,4 m/s.

Lo schema – tipo dell’impianto (adottato in tutte le aziende) è il seguente:

 

 

 

 

Rischio rumore

 

La valutazione del rischio è stata effettuata secondo i criteri del D. L.vo 277/91 ed ha dimostrato un livello di esposizione compreso tra gli 80 e gli 85 dB A per tutti i lavoratori addetti.

 

Si deve riservare un capitolo a parte per l’intervento effettuato sull’amianto che rivestiva i tubi di adduzione del vapore di alcune presse. Questo fattore di rischio è assai rilevante durante le operazioni di manutenzione per la sostituzione di pezzi usurati delle presse ed è infatti stato svelato nel corso di uno di questi interventi.

 

 

 

OPERAZIONI DI MANUTENZIONE STRAORDINARIA

 

PREMESSA

 

L’intervento di bonifica, di seguito riportato, rientra tra le varie operazioni di manutenzione  che le ditte programmano ed effettuano, sia perché il ciclo abbia un andamento costante e lineare senza interruzioni e fermi improvvisi, sia per il mantenimento delle macchine ed apparecchiature utilizzate, a fronte degli investimenti effettuati nel corso del proprio progresso tecnologico dettato dalle logiche di mercato ma anche dalla politica aziendale.

Questi interventi rientrano nelle operazioni di “Manutenzione”, previste e definite dalla Normativa tecnica di riferimento. In particolare la Norma UNI 10147 le definisce come la combinazione di tutte le azioni tecniche ed amministrative, incluse le azioni di supervisione, volte a mantenere o a riportare un’entità in uno stato in cui si possa eseguire la funzione richiesta.

All’interno delle manutenzioni straordinarie richiamate anche dalla NORMA UNI 9910 come manutenzioni preventive eseguite in accordo con un piano temporale stabilito, rientra  l’intervento di bonifica da materiale contenente amianto di matrice friabile presente sulle presse  insite lungo la linea del ciclo produttivo della ditta stessa. In particolare, in considerazione della presenza di materiale contenente amianto la ditta ha programmato delle azioni di bonifica al fine di eliminare la presenza di questo pericolo dalla propria realtà produttiva.

 

 

DESCRIZIONE DEL MATERIALE PRESENTE  E DEGLI INTERVENTI EFFETTUATI

 

L’amianto si presentava come materiale isolante sotto forma di treccia di lunghezza variabile da 30 cm a cm 200, sul sistema delle tubazioni di adduzione del vapore per le operazioni di stampaggio a caldo delle mescole effettuato dalle presse stesse. Nello specifico il materiale fungeva da isolante per permettere ai lavoratori di effettuare le normali operazioni legate al ciclo senza che gli stessi venissero a contatto con le parti caldi della macchina.

 Il materiale era formato da corde per uno sviluppo complessivo di circa 30 metri insistenti su 8 presse.

 Mediante analisi effettuata in laboratorio, previo campionamento di una matrice del materiale presente, è stato appurato, che si trattava di amianto Serpentino della varietà Crisotilo.

La committenza dei lavori, attraverso una ditta autorizzata ha presentato un piano di lavoro, ai sensi dell’art 34 D.Lgs. 277/91, al Servizio di Prevenzione dei Luoghi e degli Ambienti di Lavoro che ha formulato un parere di nulla osta comprensivo di prescrizioni da mettere in atto in fase di esecuzione dei lavori.

I metodi di bonifica, così come indicato nel D.M. 6 settembre 1994, sono tre: incapsulamento, rimozione, e confinamento.

L’incapsulamento risulta poco efficace in quanto il materiale, essendo appunto friabile, tende a sgretolarsi, rendendo inutile il tentativo di evitare l’aerodispersione delle fibre di amianto mediante l’utilizzo dell’incapsulante.

Il confinamento, è una bonifica soggetta a controlli periodici risultando quindi un’operazione di “tamponamento”, in quanto prima o poi, essendo il materiale in questione soggetto ad una notevole usura, dovrà essere rimosso.

La rimozione invece risulta più costosa dal punto di vista del conferimento in discarica ma tale scelta elimina in maniera definitiva il problema di detto materiale. La ditta ha optato per questo tipo di metodologia di bonifica.

Tali operazioni sono state fissate e programmate in periodi tali in cui l’attività risultasse ferma o comunque a cicli di lavorazione ultimati e comunque quando all’interno degli ambienti di lavoro non vi fosse la presenza del personale dipendente della committenza.

La ditta esecutrice dei lavori, quindi, previo accordo con la committenza, ha identificato ed adottato la modalità di rimozione del materiale avvenuta per mezzo della  tecnica del glove-bag sulle tubazioni congiuntamente all’utilizzo di confinamenti statici con teli di polietilene tra le macchine ed le strutture fisse quali pavimenti e muri al fine di operare su ogni singola macchina e poter bonificare i singoli tratti di tubazione; potendo cosi programmare la fermata delle singole macchine e quindi operare in maniera da non coinvolgere l’intero reparto delle presse coinvolte e le eventuali persone presenti.

Questo fermo parziale dell’impianto, su ogni singola macchina, ha permesso all’azienda di programmare temporalmente le normali lavorazioni all’interno dello stabilimento.

Sono state suddivise le operazioni di rimozione mediante glove bag per le tubazioni rigide inclusi gli scaricatori di condensa e la rimozione delle tubazioni e dei tratti di tubazione flessibile.

In pratica per le tubazioni rigide, il materiale è stato asportato e rimosso dalle stesse; mentre per i tratti di tubo e le tubazioni di tipo flessibile si è proceduto alla rimozione dell’intero tubo sia per facilitare e semplificare l’intervento sia per non rompere e/o tagliare le tubazioni e quindi propagare il materiale stesso nell’ambiente.

L’intervento, in relazione al materiale presente e in considerazione dell’elevata temperatura delle tubazioni è avvenuto ad impianto fermo e raffreddato.

Si è proceduto mediante l’installazione dei confinamenti statici per garantire una migliore condizione di sicurezza durante l’esecuzione dei lavori. Detti confinamenti sono stati realizzati con dei teli in polietilene formando dei veri e propri “locali” nei quali sono avvenute le differenti operazioni di bonifica. Nello specifico queste compartimentazioni di zona sono state installate in prossimità delle tubazioni per garantire che le singole operazioni avvenissero in condizioni di sicurezza maggiori ed al fine, nel caso di rotture o inconvenienti durante la rimozione col glove-bag, le fibre di amianto non si propagassero nell’ambiente circostante, ma rimanessero comunque circoscritto ad una piccola “zona confinata”. Va inoltre sottolineato la particolarità dell’ubicazione e della disposizione verticale ed orizzontale delle tubazioni,che non facilitavano le singole operazioni e quindi per garantire uno standard maggiore di sicurezza si è optato per la compartimentazione delle singole zone. All’interno delle singole zone si è operato mediante il glove bag, ovvero mediante dei particolari “sacchi” in nylon dotati di maniche conformati a mani. In pratica questi sacchi avvolgono le tubazioni e l’operatore opera sulle tubazioni attraverso queste maniche artificiali non venendo mai a contatto direttamente con il materiale da bonificare.

Una volta installato il glove-bag seguendo le indicazioni della normativa specifica (D.M. 6/9/94), e, prima della sua sigillatura, sono stati posizionati all’interno gli attrezzi da lavoro, ovvero coltello e forbici, spazzola, stracci bagnati contenuti in un sacchetto di polietilene sigillato.

È stato introdotto, attraverso il foro esistente nella cella glove-bag, il tubo dell'aspiratore a filtri assoluti con il quale è stato posto in depressione il glove-bag a fine lavoro ed è stato inserito, attraverso un secondo foro esistente nella parete della cella, l'ugello erogatore di acqua della pompa, per irrorare il materiale durante la rimozione e per lavare, a  fine intervento, le pareti interne della cella. Il glove-bag è stato, quindi, sigillato per assicurarne la tenuta stagna.

Si è proceduto quindi a trattare la superficie del tubo coibentato irrorandolo una con sostanza fissante, mediante l'impiego di una pompa low-pressure o bassa pressione. Il prodotto fissante è stato lasciato asciugare per il tempo di essiccazione necessario, cosi come indicato sulla scheda tecnica dello stesso.

L'operatore ha proceduto con il taglio della corda coibente, ed è stata sfilata con cautela dal tubo e depositata nel sacco del glove-bag.

L'operatore ha effettuato la pulizia del tubo per eliminare i residui utilizzando una spazzola a setole morbide e stracci umidi. Gli stracci utilizzati sono stati depositati nel sacco glove-bag, mentre la spazzola è stata a conclusione dei lavori lavata accuratamente per eventuali utilizzi futuri.

Sono state aspirate le pareti interne della cella glove-bag e delle maniche con aspiratore a filtri assoluti, ed effettuato il lavaggio con l'acqua erogata dall'ugello della pompa.

A questo punto tutti gli attrezzi manuali impiegati nel glove-bag sono stati afferrati con i guanti e tirati verso l'esterno, rimanendo però contenuti all'interno delle maniche dei guanti; ciascuna manica è stata strozzata in prossimità della sua attaccatura al glove-bag; questa sigillata in due punti e tagliata al centro per staccare la manica dal glove-bag.  Gli attrezzi, contenuti nelle maniche sono state depositate nella cella del glove-bag successivo ed aperte, per poter utilizzare gli utensili solo dopo aver sigillato il nuovo glove-bag alla tubazione da bonificare.

Al termine del lavori di pulizia, la cella del glove-bag è stata posta in depressione mediante l'aspiratore a filtro assoluto, pressata, e strozzata con nastro adesivo alla giunzione cella/sacco e quindi rimossa dalla tubazione per essere posta in un sacco di polietilene a sua volta sigillato. L'intervento è proseguito con la stessa procedura lungo tutti i segmenti da bonificare.

Le maniche contenenti gli attrezzi impiegati nell'ultimo glove-bag sono state depositate in un recipiente colmo d'acqua nel quale sono stati lavati, mentre le maniche riposte in un sacco di polietilene e avviate a smaltimento assieme al restante materiale contaminato con amianto.

Per la bonifica dei tratti di tubo flessibile si è proceduto ad irrorare il tubo coibentato con prodotto incapsulante e lasciato essiccare per alcuni minuti. Esso è stato infilato, in un sacco di polietilene sostenuto sotto il tubo stesso. Le due estremità sono state svitate dai tubi rigidi ai quali si congiungevano ed il tubo flessibile depositato nel sacco che è stato immediatamente chiuso e sigillato e pronto per l’avvio allo smaltimento.

Durante l’esecuzione dei lavori sono stati effettuati dei sopralluoghi di natura ispettivi, da parte del Servizio di Prevenzione, che hanno portato alla verifica delle singole procedure di lavoro, peraltro rispettate, e sono stati effettuati dei campionamenti ambientali al fine di verificare l’eventuale dispersione nell’aria di fibre di amianto.

Inoltre al termine dei lavori sono stati effettuati dei campionamenti ambientali al fine di rilasciare la restituibilità delle zone di lavoro, per permettere ai lavoratori estranei alle operazioni di bonifica di poter tornare ad operare sulle singole presse.

Per avere poi l’effettivo riscontro che il materiale fosse stato rimosso e quindi smaltito presso un sito idoneo, è stato acquisito il formulario di registrazione del rifiuto presso la discarica ad autorizzata ad accogliere tale rifiuto.

 A tal proposito alleghiamo di seguito un rilievo fotografico delle zone oggetto dei lavori per rendere più chiaro l’intervento effettuato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Zona delle Presse da bonificare durante l’allestimento delle zone Confinate:

 

 

 

Zona delle Presse da bonificare, sulla parte posteriore è visibile la zona confinata, mentre la singola pressa, in primo piano risulta chiaramente isolata:

 

Pressa isolata

 

Zona confinata

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Zona delle Presse durante la bonifica, l’operatore all’interno della zona confinata mentre effettua la rimozione con la tecnica del glove-bag:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Primo piano delle tubazioni da bonificare e (in basso) particolare di una di queste

 

 

 

 

 

Il Servizio competente per la prevenzione e la Sicurezza dei Luoghi di lavoro ha espresso anche delle prescrizioni “supplementari” al fine di poter garantire uno standard di sicurezza che oltre a riguardare le procedure durante la rimozione potesse estendersi anche agli ambienti nei quali il materiale era insito.

La prima è stata quella di far effettuare una compartimentazione statica nei pressi del materiale presente. Inoltre come prescrizioni il Servizio ha vietato l’uso di utensili  alimentati elettricamente (flessibili, martelli demolitori, ecc) ma esclusivamente quello di attrezzi manuali, al fine di limitare il più possibile il rilascio di fibre ma anche per prevenire potenziali incendi dovuti ad inneschi di natura elettrica. Sono stati inoltre fatti eseguire dei campionamenti personali sugli operatori al fine di verificare la presenza e la relativa esposizione dei lavoratori al materiale contenente amianto. L’esito delle analisi sono state fatte pervenire al Servizio in relazione all’avanzamento dei lavori per “monitorare” e tener sotto controllo la situazione delle condizioni di lavoro ma soprattutto per eventuali provvedimenti da impartire in corso di esecuzione dei lavori nel caso in cui tali analisi avessero fornito risultati indesiderati dal punto di vista dell’esposizione all’amianto.

 


L’APPALTO A DITTA ESTERNA

 

Quando una azienda, come nel ns. caso specifico, deve affidare una serie di operazioni o lavorazioni, da effettuarsi all’interno dei propri luoghi di lavoro, ad una ditta esterna deve poter avere la garanzia che gli stessi lavori vengano eseguiti sia dal punto di vista dell’efficacia del risultato da ottenere, che dal punto di vista del rispetto delle norme in materia di sicurezza ed igiene del lavoro al fine della salvaguardia delle figure coinvolte e dei propri addetti presenti nelle zone circostanti l’area interessata ed oggetto dei lavori.

Per avere queste garanzie le due ditte si devono confrontare, specie se l’una è sconosciuta all’altra e viceversa, attraverso una serie di informazioni che le due figure responsabili coinvolte si devono trasmettere per poter valutare la professionalità, le competenze e soprattutto le tecniche adottate durante gli interventi da realizzare. Come nel ns. caso specifico, prima dell’inizio dei lavori sono avvenuti degli incontri mirati a fornire reciprocamente aspetti, rischi, metodologie procedure ed avvertenze specifiche.

 In questi incontri ha trovato applicazione, quindi, l’art. 7 del D.Lgs. 626/94, ovvero quando  il committente sia un datore di lavoro e quando il lavoro venga svolto all’interno dell’impresa committente. Questi rapporti di lavoro richiedono l’implementazione di un sistema di affidamento dei lavori e degli appalti mettendone a capo il datore di lavoro fino ai preposti.

L’art. 7 D.Lgs. 626/94 nel caso di affidamento dei lavori, all’interno dell’ambiente dei lavori, ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi introduce di fatto obblighi precisi sia a carico dei datori di lavoro che delle ditte incaricate dell’esecuzione dei lavori aggiudicati.

In base a tale disposizione l’appaltatore ha l’obbligo, di porre in essere quattro azioni che dovrebbero contribuire a generare più attenzione alla sicurezza e quindi meno infortuni:

1)Verificare l’idoneità tecnico-professionale del sub-appaltatore;

2)Fornire adeguate informazioni sui rischi specifichi esistenti nell’azienda e sulle misure d’emergenza adottate;

3)Cooperare, insieme al subappaltatore o al lavoratore autonomo, attivando delle misure di prevenzione e protezione;

4)Promuovere il coordinamento, insieme al subappaltatore o al lavoratore autonomo, degli interventi di prevenzione e protezione informandosi reciprocamente al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i diversi lavori.

Da queste azioni quindi ne deriva che la gestione della sicurezza è fondata non soltanto sulla informazione fornita dall’appaltatore al subappaltatore ma anche e soprattutto sulla cooperazione e sul coordinamento delle azioni preventive.

In altri termini si può affermare che la sicurezza nel subappalto è la risultante delle azioni poste in essere dall’appaltatore e dal suo subappaltatore opportunamente coordinate.

La particolarità dei lavori descritti in precedenza e le particolari procedure di lavoro, hanno determinato una serie di operazioni preliminari atte a preparare le zone d’intervento e del cantiere. Oltre  a ciò sono stati effettuati  degli incontri tra la ditta e la committenza per conoscere i rischi dell’una e dell’altra e per far in modo che questi non venissero a sovrapporsi. In tal modo le due aziende si sono coordinate relativamente alle proprie lavorazioni in modo da poter effettuare tutte le operazioni in sicurezza, in funzione dei rischi che le medesime comportavano anche in virtù degli ambienti di lavoro in cui erano inserite. In sostanza la committenza ha fornito all’impresa esecutrice dei lavori di bonifica la tipologia dei rischi, le persone coinvolte e le esigenze legate al proprio ciclo produttivo, mentre l’impresa esecutrice ha indicato i rischi, le procedure operative legate alle lavorazioni che dovevano avvenire per poter eliminare definitivamente il problema legato alla presenza di amianto.

Questi incontri sono necessari al fine di appurare la qualifica tecnico professionale della ditta appaltatrice; in quanto la prevenzione degli infortuni passa necessariamente attraverso la valutazione di capacità di risorse e di modelli organizzativi posseduti, recepiti e intrapresi come procedure di lavoro assimilate all’interno del proprio modo di effettuare le varie lavorazioni.

L’art. 7 D.Lgs. 626/94 richiede infatti che il Datore di lavoro committente verifichi l’idoneità tecnico professionale dei soggetti che intervengono alla realizzazione dell’opera o della prestazione affidata. Questa “nuova” concezione della sicurezza passa per il concetto che la prevenzione non è più come una semplice applicazione di norme ma come l’acquisizione di capacità organizzative e gestionali per la programmazione delle prevenzione negli ambiti lavorativi in senso lato.

Quindi l’accertamento dell’idoneità e della qualifica (iscrizione alla “Camera di commercio, industria e artigianato” del luogo presso cui ha sede, per la specifica attività, idoneità tecniche e qualifiche e/o specializzazioni specifiche acquisite nel tempo) non si conclude con l’accertamento del possesso delle capacità tecniche ad eseguire determinati lavori, ma comporta anche il possesso e l’impiego di risorse, mezzi e personale, formati ed organizzati, per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori stessi che di quelli coinvolti o presenti nelle zone limitrofe oggetto dei lavori.

Dall’accertamento dell’appaltatore si passa all’obbligo del committente di fornire informazioni alla ditta appaltatrice. In questo l’art. 7 D.Lgs. 626/94 ha ripreso e approfondito, estendendolo a tutte le tipologie di appaltatori, un concetto già espresso dall’art. 5 del D.P.R 547/55. Le informazioni che devono essere fornite, sono quelle sufficienti, per permettere all’appaltatore di poter valutare i propri rischi rispetto all’ambiente di lavoro ed ai relativi rischi in modo da poter attuare e predisporre le misure di prevenzione più appropriate. Quest’obbligo di legge, deve intendersi in linea con la “filosofia che ha dettato e recepito il D.Lgs. 626/94” ovvero in continua evoluzione ed aggiornamento rispetto alla situazione che si crea o si viene a modificare nel corso dell’esecuzione dei lavori ed in relazione, quindi, con i “nuovi rischi creatisi”. È logico pensare che questi nuovi rischi comportano delle misure da adottare differenti e modificabili rispetto a quello concordate preliminarmente l’inizio dei lavori; ne consegue quindi direttamente dunque la revisione e l’aggiornamento del documento di valutazione dei rischi. Scelta obbligata perché, rispetto alla situazione di processo modificata, come scopo primario resta comunque la salvaguardia della salute e della sicurezza di tutti lavoratori, ai vari livelli, coinvolti.

Per quanto riguarda il nostro caso specifico è comunque rimasto a carico della ditta committente, che, se si fossero  modificate le condizioni concordate, il compito di ripromuovere il coordinamento e la cooperazione al fine dell’eliminazione dei rischi che la nuova situazione creatasi avrebbe potuto comportare. Quindi lo stesso committente avrebbe dovuto riproporre tale coordinamento e la cooperazione con cadenza periodica per un’analisi ed una verifica continua.

In questo sistema si pretende quindi una maggiore responsabilizzazione dei due soggetti coinvolti (committente-appaltatore) i quali non devono intromettersi  nelle valutazioni e nelle scelte effettuate reciprocamente. In sostanza non viene chiesta un’ingerenza dei ruoli ma solo una reale collaborazione ed un effettivo coordinamento  finalizzato a garantire la sicurezza durante l’esecuzione dei lavori.

Quindi un efficace coordinamento presuppone che ognuno degli attori coinvolti segua e “sottostia” a delle efficaci regole di comportamento affinché l’avanzamento dei lavori vada di pari passo con la programmazione degli interventi di prevenzione, ed sia inserita in un processo in evoluzione ma costantemente verificabile, attraverso l’attuazione delle misure di sicurezza, concretamente fattibili, precedentemente valutate, ma che comunque sono state concordate con tutte le figure coinvolte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

RIFERIMENTI LEGISLATIVI

 

Per quanto riguarda gli argomenti trattati si riferiscono alle problematiche connesse con i materiali che contengono amianto:

 

D.Lgs. 277/91       Norme per la protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici, biologici.

Legge 257/92 Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto

D.M. 6/9/94   Norme e metodologie tecniche relative alla cessazione dell’amianto

D.M. 14 /05/96          Normative e metodologie tecniche per gli interventi di bonifica, ivi compresi quelli per rendere innocuo l’amianto

D.M. 12/02/97           Criteri per l’omologazione dei prodotti sostitutivi dell’amianto

 

Non da ultime sono tutte le norme tecniche di riferimento legate a particolari attività o tematiche e che comunque sono specifiche e che indicano e dettano parametri da seguire per poter effettuare una determinata lavorazione.

Tutti questi riferimenti si fondono in maniera integrale l’un con l’altro poiché dettano principi specifici di riferimento ma soprattutto coniugano l’azione della sicurezza con i comportamenti e le azioni personali che ogni figura coinvolta nei vari processi devono adottare e seguire al fine della salvaguardia della salute intesa come bene comune da difendere e tutelare.

Per detti motivi, tanto più un’azienda o comunque più aziende che si ritrovano a “collaborare” per risolvere dei problemi legati alle manutenzioni, tendono ad avere una strutturazione completa e specifica della propria organizzazione del lavoro e dei lavoratori stessi, tanto più si produrranno effetti e benefici che non devono essere subiti ma devono essere interpretati come dei metodi di lavoro e che solo a medio e lungo termine potranno dare dei risultati effettivi e comunque finalizzati ad una riqualificazione professionale nella quale si colloca e si sviluppa un benessere di tutti gli operatori dell’impresa.

 

 

 

D.P.R. 547/55

D.P.R. 303/56

D.P.R. 164/56

D.Lgs. 277/91

Legge 257/92       

D.M. 6/9/94         

D.Lgs. 626/94

D.M. 14 /05/96    

D.M. 12/02/97

D.Lgs. 494/96 e modifiche D.Lgs. 528/99

Norma UNI 10147

Norma UNI 9910

 

 

 

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

1)      “Rischi, patologia e prevenzione nell’industria della gomma” – Atti del 46° Congresso Nazionale della SIMLII – Acireale, 1983.

 

2)      “Tossici ambientali ed industriali” – Atti del Congresso di Igiene Industriale – Torino, 1985.

 

3)      IARC Monographs on the evaluation of the carcinogenic risk of chemical to humans – The Rubber Industry – Volume 28 – IARC, Lyon 1982.

 

4)      Coordinamento Tecnico per la Sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Province autonome – Titolo VII-bis Decreto Legislativo 626/94 – Protezione da agenti chimici – LINEE GUIDA 2002.

 

5)      Coordinamento Tecnico per la Sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Province autonome – Titolo VII Decreto Legislativo 626/94 – Protezione da agenti cancerogeni e/o mutageni – LINEE GUIDA 2002.

 

6)      Fracasso M.E., Franceschetti P., Mossini E., Tieghi S., Perbellini L., Romeo L.: “Exposure to mutagenic airborne particulate in a rubber manufacturing plant”. Mut. Res. 441: 43-51; 1999.

 

7)      Fracasso M.E., Franceschetti P., Perbellini L., Romeo L., Mossini E., Tieghi S.: “Evaluation of genotoxic hazard in workers of a rubber factory: comparison of the Comet assay in lymphocytes with the mutagenic activity in the urine”. Abstract presentato al Convegno “Cancer Detection and Prevention” – Vienna, 2000.

 

8)      Casarett & Doull: “Toxicology”, IV ed., Pergamon Press, 1991.

 

9)      Atti del seminario “Progettazione e ristrutturazione degli stabilimenti industriali” – AIDII – Verona, 28 gennaio 2000.

 

10)  Atti del Convegno Nazionale “I DPI delle vie respiratorie” – ISPESL, Regione Emilia-Romagna, USL Modena – Modena, 23 settembre 1999.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA SICUREZZA DEL LAVORO

 

 

I.S.P.E.S.L.                            PROGETTO SI.PRE.                                              REGIONI

 

 

BANCA NAZIONALE DEI PROFILI DI RISCHIO DI COMPARTO

 

 

 

 

1. COMPARTO

GOMMA

 

2. CODICI ISTAT

25.13

 

 

 

 

 

 

 

 

3. CODICE ISPESL

 

     (riservato all’ufficio)

 

 

             ZONA DI RILEVAZIONE

 

4. NAZIONALE:

 

 

5. REGIONALE

LOMBARDIA

 

6. PROVINCIALE

MANTOVA

 

7. USL

ASL PROVINCIA DI MANTOVA

 

8.ANNO DI RILEVAZIONE

2

0

0

0/2003

 

 

 

 

 

9. NUMERO  ADDETTI:

 

 

   5

 

 

 

9A. IMPIEGATI:

14

uomini                                      donne

   5

 

 

 

9B. OPERAI:

63

uomini                                      donne

 

 

 

 

 

 

   3

 
10. NUMERO  AZIENDE :

 

 

 

All. 2/B

 

 

 

11. STRUTTURA DI RILEVAZIONE

ASL – SERVIZIO PREVENZIONE E

 

 

 

SICUREZZA AMBIENTI DI LAVORO (SPSAL)

 

                                                                                                                                             

 

 

12. REFERENTE:           Dr. P. Ricci – Responsabile SPSAL – ASL  Mantova

 

             INDIRIZZO:

via dei Toscani, 1

 

 

                         CAP:

46100

 

 

 

                    CITTA’:

MANTOVA

 

 

           PROVINCIA:

MN

 

 

 

            TELEFONO:

0376/334460

 

 

 

 

                         FAX:

0376/334461

 

 

 

 

                   E-MAIL:

spsalmantova@aslmn.it

 

 

 

13. INFORTUNI:

 

TOTALE:

49

DI CUI MORTALI

0

 

14. MALATTIE PROFESSIONALI: nessuna

 

DENOMINAZIONE

N° CASI

COD. INAIL

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA SICUREZZA DEL LAVORO

 

 

I.S.P.E.S.L.                            PROGETTO SI.PRE.                                              REGIONI

 

 

BANCA NAZIONALE DEI PROFILI DI RISCHIO DI COMPARTO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1. COMPARTO:

GOMMA

 

 

 

 

2. FASE DI LAVORAZIONE:

VULCANIZZAZIONE

 

 

 

 

3. COD. INAIL:

 

 

 

 

 

4. FATTORE DI RISCHIO:

 

 

 

 

 

5. CODICE DI RISCHIO

 

 

    (riservato all’ ufficio)

 

 

 

 

 

6. N. ADDETTI:

77